Informazione

(српски / italiano / français / english)

La ricolonizzazione della Costa d'Avorio

1) LA COSTA D’AVORIO È UN ESEMPIO EVIDENTE DELL’INGERENZA E DEL NEOCOLONIALISMO
Intervista a Michel Collon, 22.5.2017

2) КОЛОНИЗАЦИЈА АФРИКЕ – ПОД ВОЂСТВОМ АФРИКАНАЦА 
Peter Koenig i Russia-TV24, 18.5.2017


Á lire aussi:
Commission d’enquête Gbagbo (OLIVIER NDENKOP ET CARLOS SIÉLENOU / Le Journal de l’Afrique n°32 – 22 May 2017)
Puisqu’il est difficile de comprendre la Côte d’ivoire d’aujourd’hui et peut être de demain sans savoir comment Gbagbo est arrivé au pouvoir en 2000, comment il a gouverné ou plutôt comment il a été empêché de gouverner jusqu’en 2010, pourquoi et comment il a été débarqué pour être remplacé par Alassane Ouattara, Investig’Action a organisé une conférence sous forme de Commission d’enquête le 22 avril dernier à Paris. Michel Collon a donné la parole à 17 témoins privilégiés : conseillers, ministres, avocats de Gbagbo ou de ses proches, des journalistes et intellectuels indépendants… Cette édition du Journal de l’Afrique revient sur leurs témoignages et donne la parole à Michel Collon qui a décidé de faire éclater la vérité sur la Côte d’Ivoire en faisant parler les acteurs clé qu’on a toujours refusé d’écouter...
=== 1 ===

ORIG.: Michel Collon : « La Côte d’Ivoire est un exemple flagrant d’ingérence et de  néocolonialisme » (Olivier Ndenkop, 22.5.2017)


La Costa d’Avorio è un esempio evidente dell’ingerenza e del neocolonialismo

intervista a Michel Collon – da investigaction.net

Traduzione di Lorenzo Battisti per Marx21.it

Olivier A. Ndenkop / Michel Collon

In questa intervista esclusiva, il giornalista e scrittore belga torna sulla conferenza di Parigi che aveva per tema “Gbagbo contro la Françafrique”

Le journal de l’Afrique (JDA): dal 2011 la Françafrique (la presenza francese in Africa) ha imperversato in diversi paesi africani: Repubblica Centrafricana, Costa d’Avorio, Mali, Libia. Perché scegliere di organizzare una grande conferenza sul caso del Gbagbo?

Michel Collon (MN) : con le forze limitate della nostra squadra Investig’Action, è impossibile trattare tutti questi interventi come sarebbe necessario! Ho molto lavorato sull’aggressione contro la Libia, producendo un libro e un piccolo film, è stata veramente una guerra contro tutta l’Africa.

Ma la Costa d’Avorio è anch’essa un esempio evidente dell’ingerenza e del neocolonialismo. Imprigionare a L’Aia un presidente che ha solamente voluto difendere l’indipendenza del suo paese serve a intimidire tutti quelli che in Africa vorrebbero liberarsi della Françafrique. A mio parere, ne abbiamo parlato troppo poco, e il pubblico largo è rimasto con un’impressione confusa fabbricata dai media. Le tecniche di demonizzazione mediatica hanno funzionato bene. Quindi, verificare i fatti con i testimoni diretti mi sembrava indispensabile per sensibilizzare un pubblico più largo e cominciare a cambiare i rapporti di forza.

JDA : Qual è l’idea generale che si coglie dalle testimonianze raccolte?

MC:  i nostri 17 testimoni principali hanno portato una mole incredibile di fatti concreti, di rivelazioni e di analisi pertinenti. Io stesso ho imparato molto.

La Francia delle multinazionali ha calpestato il diritto internazionale, ha organizzato direttamente i brogli dei risultati delle elezioni (Ggabo aveva vinto, senza alcun dubbio), la corruzione dei politici, il furto di risorse di cacao e di altro, un vero e proprio colpo di stato con rapimento politico. Considerano l’Africa come una loro proprietà e pensano che il governo debba obbedire loro. D’altra parte, prima di Gbagbo, l’ordine del giorno dei consigli dei ministri era deciso a Parigi, e dice tutto!

I responsabili sono Sarkozy, Villepin, Alliot-Marie, Juppé e la loro politica è stata continuata da Hollande, Valls e Kouchner. Ma i veri comandanti sono una serie di multinazionali francesi e altre di cui abbiamo ascoltato le malefatte con precisione.

JDA : l’affare Gbagbo è molto seguito in Africa e oltre. Avete preso posizioni per una larga diffusione delle testimonianze raccolte?

MC: si, sebbene i nostri mezzi siano limitati come ho detto, noi abbiamo fatto attenzione a registrare nelle condizioni migliori. Con il comitato organizzatore, Investig’Action prepara un DVD. Penso che sarà uno strumento prezioso perché ciascuno possa far conoscere quello di cui i media non parlano mai.

JDA: Laurent Gbagbo e i suoi sostenitori sono perseguiti presso la Corte Penale Internazionale e in Costa d’Avorio. Nel mentre, Alassane Ouattara e Guillaume Soro non sembrano preoccupati. Come spiegare questa politica dei due pesi e due misure?

MC: Gli avvocati ci hanno mostrato chiaramente che i processi sono dei bidoni, che l’istruzione del Procuratore a carico, e che malgrado i suoi mezzi enormi, il dossier è vuoto. In realtà, hanno fatto allungare il processo per impedire il ritorno di Gbagbo alla vita politica.

JDA: Il Fondo Monetario Internazionale non smette di elogiare il regime di Ouattara che mostra un tasso di crescita elevato (8,6% nel 2016). Vuol dire che la partenza di Gbagbo è stata una cosa positiva per l’economia ivoriana?

MC: Delle cifre finte! L'ingegnere Ahoua Don Mello, ex ministro, ha mostrato che queste cifre sono false: la “crescita” proviene dal settore delle costruzioni, interamente finanziato dall’”aiuto allo sviluppo”, di cui beneficiano le multinazionali francesi delle costruzioni. Mentre i settori creatori di ricchezza sono crollati del 10% o addirittura del 22% per il petrolio.

JDA: La conferenza di Parigi si è tenuta alla vigilia del primo turno delle presidenziali. Una semplice coincidenza o una strategia?

MC: una coincidenza, ma cascava a fagiolo per mostrare la situazione internazionale. D’altra parte abbiamo chiesto agli 11 candidati quello che volevano fare riguardo questo processo, sull’imprigionamento di Gbagbo e in generale sulla Françafrique, specialmente sul Franco coloniale. Solo tre hanno risposto, con buone posizioni di Mélenchon e di Assalineau...

JDA: L’arrivo di Emmanuel Macron all’Eliseo può cambiare qualche cosa nella Françafrique?

MC: Ecco, è il terzo ad avere risposto. Ma non cambierà alcunché. Non ha risposto alle domande, ma ha inviato un testo di generalità e di bla bla sulla continuazione del bel partenariato tra la Francia e l’Africa. Come hanno fatto tutti i presidenti precedenti.

JDA: Tra i sostenitori di Macron, c’è Bernard Henry Levy. Visto il suo ruolo nel caso libico, non dobbiamo temere altre guerre imperialiste in Africa sotto Macron?

MC: Assolutamente. Macron è un guerrafondaio, allineato agli Stati Uniti, aggressivo verso i palestinesi, e pericoloso per l’Africa. Levy è un venditore di propaganda di guerra che viene inviato ovunque bisogna giustificare un’aggressione coloniale.

JDA: Cosa ne pensate dell’attuale mobilitazione contro il Franco Coloniale?

MC: Molto positiva. È molto importante che tutto il continente si unisca su alcuni obiettivi precisi. Il Franco coloniale è uno strumento centrale per mantenere l’attuale tutela, è giusto prendere di mira questa morsa che blocca i popoli.

JDA: Nel 2013, il Collettivo Investig’Action che voi avete creato e diretto dal 2004, ha lanciato il Journal de l’Afrique. Cosa vi ha spinto a creare questo mensile?

MC: Ero cosciente che non si voleva parlare dei problemi dell’Africa, sull’internet internazionale. E quando se ne parla, raramente si parla degli africani. Ho quindi ritenuto molto importante creare questo incontro mensile, sono molto contento che il testimone abbia potuto essere assicurato dal redattore capo della redazione di Investig’Action, Alex Anfruns, e da voi stessi. È una vera soddisfazione vedere che il JDA si sviluppa bene, contando sulle proprie forze e spero che possa ancora allargare la sua rete di autori, i suoi scambi di idee e il suo impatto. Ne avevo parlato con Hugo Chavez, posso dirvi che considerava l’America Latina e l’Africa come due sorelle che dovevano assolutamente battersi insieme.

JDA: Avete altri progetti per l’Africa?

MC: Ora che   Alex Afruns mi ha sostituito come redattore capo del sito, posso concentrarmi sulla scrittura dei miei libri e sullo sviluppo della nostra casa editoriale. Nel 2018 pubblicheremo un grande manuale strategico di tutta l’Africa, preparato dal celebre sociologo Said Bouamama. E vogliamo ripubblicare un altro libro molto importante, un vero “classico”, sulla storia del continente africano, spero di poterne dire di più a breve.

Ma vorrei sottolineare che la nostra piccola squadra non può niente senza il sostegno e la partecipazione dei suoi lettore. Nella battaglia delle informazioni, il rapporto di forza non potrà cambiare che se ognuno diventa un attore attivo.

Lista dei testimoni

Professeur BALOU-BI, ex prigioniero politico del regime di Ouattara,
Pr. Albert BOURGI, insegnante di diritto
Bernard GENET,  giurista e consigliere di relazioni internazionali
Robert CHARVIN, universitario
Henriette EKWE, giornalista e panafricanista
Bernard HOUDIN, portaparola per l’Europa di Laurent GBAGBO
Guy LABERTIT, ex delegato per l’Africa del Ps
Théophile KOUAMOUO,  giornalista
François MATTEI, giornalista
Clotilde OHOUOCHI, ex ministro in esilio
Maître Habiba TOURE, avvocato
Seed ZEHE, avvocato
Séri ZOKOU, avvocato
Aminata TRAORE, scrittore impegnato
Ahoua DON MELLO, ex ministro in esilio
Georges Peillon


=== 2 ===

L'articolo che segue – nel quale si traccia un parallelismo tra caso Milosevic e caso Gbagbo – è una sintesi dell'intervista apparsa in inglese:
Libya – Why Was Muammar Gaddafi Killed – May We Never Forget (By Peter Koenig and Russia-TV24 – Global Research, May 18, 2017)
http://www.globalresearch.ca/libya-why-was-muammar-gaddafi-killed-may-we-never-forget/5590628


Хашки суд и неолиберална финансијска олигархија  

КОЛОНИЗАЦИЈА АФРИКЕ – ПОД ВОЂСТВОМ АФРИКАНАЦА 

                            Попут Слободана Милошевића и бивши кандидат за председника Обале Слоноваче Лаурент Гбагбо веома је непријатан притвореник суда у Хагу, али би могао бити још непријатнији ако би био на слободи, изјавио је Петер Кениг, геополитички аналитича у интервјуу за ТВ Русија 24 а преноси Глобал Ресеарцх. 
           У изборима за председника Обале Слоновача 2010 године Гбагбо се кандидовао против дотадашњег председника Аласан Кватара. Званичници су објавили, међутим, да је изгубио трку, па је Гбагбо затражио да се поново преброје гласови.                                                                                                                  
                         Уместо тога Кватара – бивши службеник ММФ-а и симпатизер међународних неолоберланих финансијских институција – прогласио је своју победу. Петер Кениг наглашава у интервјуу да је Кватара био у служби западних корпорација и да је све чинио по савету ММФ-а. По Кенигу је ово типичан пример модерне неоколонизација, доказ да је она жива и да траје. „Називан то финансијским државним ударом, наметнутим од страних финансијских институција“, додаје Кениг. 
                      Након извесног времена Лаурет Гбагбо је оптужен за читав низ тешких кривичних дела – само зато што се супротставио светској финансијкој диктататури – за убиств, силовање и врло брзо пребаче у Међународндни кривични суд у Хагу, где је чекао 5 година да апочне суђење –које траје још од јануаара 2016. Маја 2017 године суђење му је продужено на захтев Тужиоца због потреба да се прибаве допуснке чињенице. По Кенигу је то обична судска фарса како би се обманула јавност д аповерује како у Хагу има правичан суд и правично суђење. 
                       Већ у првом саслушању 2014 Гбагбо је оглашен кривим за сва кривична дела која му се стављају на терет – све до кривичних дела против човечности. Кениг на то изјављуе:“Попут Слободана Милошевића, и он је непријатан притвореник, који може бити још непријатнији као слободан грађанин. Због тога ће вероватно остати у затвору – а једног дана ће починити „самоубство“ или ће преминути од „срчаног удара“ (алузија на убиство Слободана Милошевића). То је већ хашка класика.Јер тако Запад поступа са свим потенцијалним сведоцима његових (Западних) злочина. Крај приче!. Нико се неће бунити, јер „слобони свет“ већ чврсто верује ономе што му пласирају западни медији да су то особе нехумани тирани. Слично су западни медији пласирали и о Моамеру Гадафију у својим насловним странама када су саопштили – Смрт тиранина
                        У 2015 године, Кватара је „поново изабран“ малом маргином. Тако кажу западни медији. Тако настаје колонизација Африке под „афричким вођством“. Највећу подршку Кватари је пружила француска војска. 

    (Види – „Либија – зашто је убијен Моамер Гадафи – несмемо никада заборавити“




“Care italiane, cari italiani, cari connazionali,

leggendo nei siti on line di gran parte dei quotidiani italiani ed ascoltando i report radiofonici e televisivi emessi dalla Rai e da altre catene, abbiamo purtroppo registrato che rispetto ai fatti venezuelani, vige una informazione a senso unico che rilancia esclusivamente le posizioni e le interpretazioni di una delle parti che si confrontano.

Abbiamo anche letto e ascoltato spesso che l’attenzione prestata alla situazione venezuelana viene giustificata per la presenza in Venezuela di una “consistente comunità italiana o di origine italiana” in sofferenza e che sembrerebbe essere accomunata in modo unanime alle posizioni dell’opposizione.

Noi sottoscrittori di questa lettera, siamo membri di questa comunità. Ma interpretiamo in modo assai diverso l’origine e le cause della grave situazione che attraversa il paese dove viviamo da tanti anni e dove abbiamo costruito la nostra vita e formato le nostre famiglie. Siamo in questo paese perché vi siamo arrivati direttamente o perché siamo figli e nipoti di emigrati italiani che raggiunsero il Venezuela nel dopoguerra per emanciparsi dalla situazione di povertà o di mancanza di opportunità e di lavoro in Italia.

In tanti abbiamo condiviso e accompagnato il progetto di socialismo bolivariano proposto da Chavez e proseguito da Maduro, sia come militanti o elettori, sia partecipando direttamente il progetto di un Venezuela più giusto e solidale.

Ciò che era ed è per noi inaccettabile è che in un paese così bello e ricco di risorse e di potenzialità, decine di milioni di persone vivessero da oltre un secolo in una situazione di oggettiva apartheid, al di fuori da ogni opportunità di emancipazione sociale e quindi senza i diritti essenziali che sono quelli di una vita dignitosa, cioè quello delle reali condizioni di vita, di lavoro, di educazione, di servizi sanitari pubblici, di pensioni per tutti.

Questa situazione è durata in Venezuela per oltre 100 anni e bisogna chiedersi perché, soltanto all’inizio di questo secolo, con Hugo Chavez, per la prima volta nella storia di questo paese, questi problemi sono stati affrontati in modo deciso. E come mai, prima, questo non era accaduto. Chi oggi manifesta nelle strade dei quartieri ricchi delle città del nostro paese, gridando “libertà!” dove stava, cosa faceva, di cosa si occupava, prima che Chavez fosse eletto in libere elezioni democratiche ?

In questi anni, diverse agenzie dell’Onu e l’Onu stessa, hanno certificato che il Venezuela è stato tra i primi paesi al mondo nella lotta alla povertà, all’analfabetismo, alla mortalità infantile, raggiungendo risultati che non hanno confronti per la loro entità, rapidità e qualità.

Si citano la mancanza di prodotti di primo consumo e di farmaci, ma nessuno dice che è in atto una azione coordinata di accaparramento e di speculazione che ha fatto lievitare i prezzi e fatto crescere in modo esponenziale l’inflazione. Chi ha in mano il settore dell’importazione di questi prodotti ? Alcune grandi e medie imprese private per giunta sovvenzionate dallo Stato. La penuria di questi prodotti è in realtà l’effetto dell’inefficienza di questi gruppi privati nel migliore dei casi, o piuttosto dell’uso politico che essi stanno operando, analogamente a quanto avvenne in Cile, nel 1973 per abbattere il governo democratico di Allende.

E’ evidente che l’obiettivo principale di questa specie di rivolta dei ricchi (perché dovete sapere che le rivolte sono situate solo nei quartieri ricchi delle nostre città) sia rimettere in discussione tutte le conquiste sociali raggiunte in questi anni, svendere la nostra impresa petrolifera e le altre imprese nascenti che operano in settori strategici, come il gas, l’oro, il coltan, il torio scoperti recentemente e in grandi quantità nel bacino del cosiddetto arco minero: l’obiettivo di questi settori sociali è tornare al loro mitico passato, un passato feudale in cui una piccola elite godeva di tanti privilegi e comandava sul paese, mentre decine di milioni languivano nell’indigenza.

Noi non abbiamo una verità da trasmettervi; abbiamo però tante cose che possiamo raccontare e far conoscere agli italiani in Italia. Che possiamo dire ai vostri giornalisti e ai vostri media. A partire dal fatto che la comunità italiana non è, come oggi si vuol dare ad intendere, schierata con i violenti e con i vandali che distruggono le infrastrutture del paese o con i criminali che hanno progettato e che guidano le cosiddette proteste che non hanno proprio nulla di pacifico.

La comunità italiana in Venezuela è composta di circa 150 mila cittadini di passaporto e oltre 2 milioni di oriundi. Questi cittadini, che grazie alla Costituzione venezuelana approvata sotto il primo governo di Hugo Chavez possono avere o riacquisire la doppia cittadinanza, hanno vissuto e vivono insieme agli altri venezuelani i successi e le difficoltà di questi anni. Gran parte di loro hanno sostenuto e sostengono il processo di modernizzazione e democratizzazione del Venezuela. Molti di loro sono stati e sono sindaci, dirigenti sociali e politici, parlamentari della sinistra, imprenditori aderenti a “Clase media en positivo”, ad organizzazioni cristiane come Ecuvives ed hanno sostenuto e sostengono il processo bolivariano. Diversi di loro hanno partecipato alla stesura della Costituzione, che molto ha preso dalla Costituzione italiana. In gran parte hanno sostenuto Hugo Chavez e sostengono Maduro, opponendosi alle manifestazioni violente e vandaliche organizzate dai settori dell’ultra destra venezuelana.

Un’altra parte, limitata, come è limitata l’elite venezuelana, è sulle posizioni dell’opposizione. Grazie a sostegni finanziari esterni svolgono una continua campagna di diffamazione del Venezuela bolivariano in molti paesi, compresa l’Italia.

L’Ambasciata italiana censisce una ventina di associazioni italiane in Venezuela. Si tratta di associazioni costituite sulla base della provenienza regionale dei nostri emigrati, veneti, campani, pugliesi, abruzzesi, siciliane, ecc. che aggregano circa 7.000 soci e che intrattengono relazioni stabili con l’Italia e le proprie regioni. Solo alcune di queste associazioni, insieme a qualche giornale sovvenzionato con fondi pubblici italiani, hanno svolto in questi anni, in piena libertà, una campagna di informazione contro l’esperienza bolivariana; esse hanno costituito talvolta le uniche “fonti di informazione” privilegiate e accreditate da diversi organi di stampa italiani.

Ma questa non è “la comunità italiana” in Venezuela. Ne è solo una parte limitata, le cui opinioni vengono amplificate da alcuni organi di informazione. Il resto della comunità italiana e il resto del mondo degli oriundi italo-venezuelani si organizza e si mobilità in questo paese nello stesso modo in cui si mobilita e si organizza il resto del paese. Vi è chi è contro e chi è a favore del processo bolivariano.

Da questo punto di vista, non vi è alcun pericolo per la collettività italiana in Venezuela. Come in ogni paese latino americano, e come dovunque, si parteggia e si lotta con visioni politiche e sociali differenti.

Strumentalizzare la presenza italiana in Venezuela è un gioco sbagliato, pericoloso e che non ha alcun fondamento se non l’obiettivo di alimentare lo scontro e la menzogna.”

 

Caracas, Venezuela, 23 giugno 2017

Giulio Santosuosso - Caracas, 
Donatella Iacobelli - Caracas, 
Mario Cavani - Cumana, 
Cecilia Laya - Caracas, 
Angelo Iacobbi Por la Mar - Margarita, 
Michelangelo Tavaglione - Maracay, 
Giordano Bruno Venier - Caracas,
Mario Neri - Caracas,  
Isa Carascon - Caracas, 
Franca Giacobbe - Valencia, 
Alfredo Amoroso, Caracas
Evedia M. Ochoa - Caracas,
Beda Sanchez - Caracas, 
Antonio Mobilia - Caracas, 
Ennio Di Marcantonio V. - Caracas,   
Fulvio Merlo - Caracas,  
Pietro Altilio - Caracas, 
Luca Spadageo - Caracas, 
Celestino Stasi - Maracay, 
Luigino Bracci - Caracas, 
Sandra Emanuela Neri - Caracas,
Immacolata Diotaiuti - Caracas, 
Stella Coiro - Valencia, 
Nancy Guerra - Caracas, 
Marco Aurelio Venier - Caracas, 
Irving Francesco Sanchez - Caracas,  
Leo Zanelli - Caracas,  
Antonietta  Zanelli - Caracas, 
Damaris Alcala - Barcelona, 
Giovannina De Vita - Caracas, 
Domenico Mosuca - Caracas, 
Vittorio Altilio - Caracas, 
Marina Yanes - Caracas, 
Elio Gallo - Caracas,
Antonio Gerardo Di Santi - Caracas,  
Luisa Fabbro - Caracas, 
Vita Napoli - Caracas, 
Alfedo Tepedino - Caracas, 
Donato Jose Scudiero - Lecheria, 
Maria Bernieri - Valencia, 
Francesco Misticoni - Caracas,
Gimar Patricia - Valencia,  
Escudiero - Puerto La Cruz, 
Margy Rosina Escudiero - El Tigre,
Orietta Caponi - Caracas, 
Mario Gallo - Caracas, 
Mercedes de Cavani - Cumana, 
Maira Garcia - Caracas, 
Arcangelo Manganelli - Valencia, 
Franco Altilio - Caracas, 
Giuseppe Tramonte - Caracas, 
Antonieta Petroni - Guarico, 
Nelson Mendez - Puerto la Cruz, 
Ennio F. Di Marcantonio - Caracas, 
Monica Vistali - Caracas, 
Antonio Neri - Barcelona, 
Tramonte Andrea - Caracas, 
Biagio Scudiero - Lecheria, 
Giuliana Geremia - Valencia, 
Pasquale di Carlo - Maracay, 
Lira Millan - Caracas, 
Bruna Mijares - Caracas, 
Valeria D’Amico - Caracas, 
Maurizio Conforto - Barinas, 
Lucia Di Natale - Acarigua, 
Antonietta Rivoltella - Puerto la Cruz, 
Alessandro Carinelli - Caracas, 
Gianni Daverio - Morrocoy, 
Giacomo Altilio - Caracas,
Mayira Leandro - Puerto la Cruz, 
Marta Trappiello - Valencia, 
Vincenzo Gallo - Caracas, 
Alfonso Bruni - Caracas,
Claudio Manganelli - Valencia, 
Maria Eugenia Tepedino - Caracas, 
Luigi Puglia - Caracas, 
Mariaelena De Vita - Caracas, 
Rosanna Percepese - Caracas, 
Gabriela Merlo - Caracas,
Vincenzo Policcello - Barquisimeto, 
Ada Martínez – Maracay,
Barbara Meo Evoli – Caracas, 
Valeria D’Amico - Puerto la Cruz.

  

*. Colectivo de Italovenezolanos Bolivarianos
* V.O.I. – Venezolanos de Origen Italiana;
* CEIC – Colectivo Estudiantes de Origen Italiano
* Circulo   Bolivariano Antonio Gramsci



Per contatti: CBantoniogramsci @ hotmail.com

Sul sito Cambiailmondo, che ha pubblicato la lettera tra i primi – https://cambiailmondo.org/2017/06/23/lettera-dal-venezuela-alle-italiane-e-agli-italiani/ –, appare oggi 26 giugno 2017 la seguente Nota redazionale:

<< L’elenco dei firmatari della lettera è stato sospeso a causa di gravi minacce subite da alcuni di loro e dalle rispettive famiglie da parte di soggetti che evidentemente non tollerano il pluralismo di opinioni. Con molta probabilità questo tipo di squadrismo fascista è presente anche tra le fila di italo-venezuelani che sono venuti a conoscenza della lettera. Vi sono sufficienti ragioni per sollecitare il Governo italiano e le sue rappresentanza diplomatiche e quello del Venezuela a richiamare al rispetto del diritto alla libera espressione anche i nostri connazionali nel paese e, insieme, a garantire la loro incolumità. Sia la Costituzione italiana che quella venezuelana garantiscono la libertà di opinione. E i reati ad essa connessi, minacce, intimidazioni e quant’altro, sono punibili in entrambi i paesi. >>




1) È NATO il neonazismo in Europa (Manlio Dinucci, 13 giugno 2017)
2) FLASHBACKS: Democrazia NATO in Ucraina... ed altri link (Manlio Dinucci)


=== 1 ===

Sullo stesso tema si veda anche:

---

La Notizia di Manlio Dinucci : È NATO il neonazismo in Europa (PandoraTV, 13 giu 2017)
Il parlamento di Kiev ha votato un emendamento legislativo per l’adesione ufficiale dell’Ucraina alla Nato. Mossa pericolosissima: se l’Ucraina entrasse nella Nato gli altri 29 membri, in base all’Art. 5, dovrebbero andare in guerra contro la Russia. Il “merito” dell’iniziativa va al presidente del parlamento Andriy Parubiy, famigerato neonazista (ricevuto con tutti gli onori a Montecitorio dalla presidente Boldrini), uno dei capi del colpo di stato sotto regia Usa/Nato che ha trasformato l’Ucraina in «vivaio» del rinascente nazismo nel cuore dell’Europa...


L’arte della guerra 

È NATO il neonazismo in Europa

Manlio Dinucci
  
L’Ucraina, di fatto già nella Nato, vuole ora entrarvi ufficialmente. Il parlamento di Kiev, l’8 giugno, ha votato a maggioranza (276 contro 25) un emendamento legislativo che rende prioritario tale obiettivo. 

La sua ammissione nella Nato non sarebbe solo un atto formale. La Russia viene accusata dalla Nato di aver annesso illegalmente la Crimea e di condurre azioni militari contro l’Ucraina. Di conseguenza, se l’Ucraina entrasse ufficialmente nella Nato, gli altri 28 membri della Alleanza, in base all’Art. 5, dovrebbero «assistere la parte attaccata intraprendendo l’azione giudicata necessaria, compreso l’uso della forza armata». In altre parole, dovrebbero andare in guerra contro la Russia. 

Il merito di aver introdotto nella legislazione ucraina l’obiettivo di entrare nella Nato va al presidente del parlamento Andriy Parubiy. Cofondatore nel 1991 del Partito nazionalsociale ucraino, sul modello del Partito nazionalsocialista di Adolf Hitler; capo delle formazioni paramilitari neonaziste, usate nel 2014 nel putsch di Piazza Maidan, sotto regia Usa/Nato, e nel massacro di Odessa; capo del Consiglio di difesa e sicurezza nazionale che, con il Battaglione Azov e altre unità neonaziste, attacca i civili ucraini di nazionalità russa nella parte orientale del paese ed effettua con apposite squadracce feroci pestaggi di militanti del Partito comunista, devastando le sue sedi e facendo roghi di libri in perfetto stile nazista, mentre lo stesso Partito sta per essere messo ufficialmente fuorilegge. 

Questo è Andriy Parubiy che, in veste di presidente del parlamento ucraino (carica conferitagli per i suoi meriti democratici nell’aprile 2016),  è stato ricevuto il 5 giugno a Montecitorio dalla presidente della Camera, Laura Boldrini. «L'Italia - ha sottolineato la presidente Boldrini - ha sempre condannato l'azione illegale avvenuta ai danni di una parte del territorio ucraino». Ha così avallato la versione Nato secondo cui sarebbe stata la Russia ad annettersi illegalmente la Crimea, ignorando il fatto che la scelta dei russi di Crimea di staccarsi dall’Ucraina e rientrare nella Russia è stata presa per impedire di essere attaccati, come i russi del Donbass, dai battaglioni neonazisti e le altre forze di Kiev. 

Il cordiale colloquio si è concluso con la firma di un memorandum d'intesa che «rafforza ulteriormente la cooperazione parlamentare tra le due assemblee, sia sul piano politico che su quello amministrativo». Si rafforza così la cooperazione tra la Repubblica italiana, nata dalla Resistenza contro il nazi-fascismo, e un regime che ha creato in Ucraina una situazione analoga a quella che portò all’avvento del fascismo negli anni Venti e del nazismo negli anni Trenta. 

Il battaglione Azov, la cui impronta nazista è rappresentata dall’emblema ricalcato da quello delle SS Das Reich, è stato incorporato nella Guardia nazionale, trasformato in unità militare regolare e promosso allo status di reggimento operazioni speciali. È stato quindi dotato di  mezzi corazzati e pezzi d’artiglieria. Con altre formazioni neonaziste, trasformate in unità regolari,  viene  addestrato da istruttori Usa della 173a divisione aviotrasportata, trasferiti da Vicenza in Ucraina, affiancati da altri della Nato. 

L’Ucraina di Kiev è così divenuta il «vivaio» del rinascente nazismo nel cuore dell’Europa. A Kiev confluiscono neonazisti da tutta Europa, Italia compresa. Dopo essere stati addestrati e messi alla prova in azioni militari contro i russi di Ucraina nel Donbass, vengono fatti rientrare nei loro paesi. Ormai la Nato deve ringiovanire i ranghi di Gladio. 

(il manifesto, 13 giugno 2017) 



=== 2: FLASHBACKS ===

Di Manlio Dinucci, sullo stesso tema, si vedano anche:

Heil mein Nato! L’Ucraina «vivaio» del rinascente nazismo in Europa (M. Dinucci, 5.1.2016 – testo e video)
TESTO: https://ilmanifesto.it/ucraina-heil-mein-nato/
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=UTuVZwvLlco

Manlio Dinucci sull'euro-NATO-nazismo ucraino (rassegna JUGOINFO 15 set 2015)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8388

I neo-nazisti ucraini addestrati dagli Usa (Manlio Dinucci,  9.2.2015)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8256

Come la Nato ha scavato sotto l’Ucraina (Manlio Dinucci, 25 febbraio 2014)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7904

---

En français: Démocratie selon l’Otan en Ukraine (par Manlio Dinucci, 22 septembre 2015)
La presse occidentale tenta de faire passer le coup d’État en Ukraine pour une « révolution » populaire et spontanée. Mais avec le temps et l’accumulation de preuves, il fut admit que les événements avaient été provoqués et encadrés de manière à en finir avec la « dictature ». On devait donc admettre cette entorse au droit international comme un moyen malheureux permettant d’arriver à la démocratie. Un an et demi plus tard, Manlio Dinucci observe ce qu’est devenu le pays. Le bilan montre qu’il n’a jamais été question d’instaurer de régime démocratique ce qui pose à nouveau, rétrospectivement cette fois, deux questions. La première sur la légitimité des institutions actuelles, la seconde sur la nature et les ambitions de l’Otan qui organisa ce coup...
http://www.voltairenet.org/article188771.html

L’arte della guerra
 
Democrazia NATO in Ucraina 

Manlio Dinucci
  

«Storica» visita del segretario generale della Nato Stoltenberg, il 21/22 settembre, in Ucraina, dove partecipa (per la prima volta nella storia delle relazioni bilaterali) al Consiglio di sicurezza nazionale, firma un accordo per l’apertura di un’ambasciata della Nato a Kiev, tiene due conferenze stampa col presidente Poroshenko. 

Un decisivo passo avanti nell’integrazione dell’Ucraina nell’Alleanza. Iniziata nel 1991 quando, appena divenuta Stato indipendente in seguito alla disgregazione dell’Urss, l’Ucraina entra nel «Consiglio di cooperazione nordatlantica» e, nel 1994, nella «Partnership per la pace». Nel 1999, mentre la Nato demolisce con la guerra la Jugoslavia e ingloba i primi paesi dell’ex Patto di Varsavia  (Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria), viene aperto a Kiev l’«Ufficio di collegamento Nato» e formato un battaglione polacco-ucraino per l’operazione Nato di «peacekeeping» in Kosovo. 

Nel 2002, il presidente Kuchma dichiara la disponibilità a entrare nella Nato. Nel 2005, sulla scia della «rivoluzione arancione» (organizzata e finanziata da Washington attraverso «Ong» specializzate e sostenuta dall’oligarca Poroshenko), il presidente Yushchenko viene invitato al summit Nato a Bruxelles. Ma, nel 2010, il neoeletto presidente Yanukovych annuncia che l’adesione alla Nato non è nella sua agenda. 

Nel frattempo la Nato tesse una rete all’interno delle forze armate ucraine e addestra gruppi neonazisti (come prova una documentazione fotografica di militanti di Uno-Unso addestrati nel 2006 in Estonia da istruttori Nato). I neonazisti vengono usati come forza d’assalto nel putsch di Piazza Maidan che rovescia Yanukovych nel febbraio 2014, mentre il segretario generale della Nato intima alle forze armate ucraine di «restare neutrali». 

Subito dopo va alla presidenza Poroshenko, sotto la cui guida – dichiara la Nato – l’Ucraina sta divenendo «uno Stato sovrano e indipendente, fermamente impegnato per la democrazia e il diritto». 

Quanto sovrana e indipendente sia l’Ucraina lo dimostra l’assegnazione di incarichi ministeriali a cittadini stranieri scelti da Washington e Bruxelles: il ministero delle finanze è affidato a Natalie Jaresko, cittadina statunitense che ha lavorato al Dipartimento di Stato; quello del commercio e dello sviluppo economico al lituano Abromavicius, che ha lavorato per gruppi bancari europei; quello della sanità all’ex ministro georgiano Kvitashvili. L'ex presidente  georgiano Saakashvili, uomo di fiducia di Washington, viene nominato governatore della regione ucraina di Odessa. E, per completare il quadro, Kiev affida le proprie dogane a una compagnia privata britannica. 

Quanto l’Ucraina sia impegnata per la democrazia e il diritto, lo dimostra il fatto che i battaglioni neonazisti, rei di atrocità contro i civili di nazionalità russa nell’Ucraina orientale, sono stati inquadrati nella Guardia nazionale, addestrata da istruttori statunitensi e britannici. Lo dimostra la messa al bando del Partito comunista ucraino e della stessa ideologia comunista, in un clima persecutorio simile a quello dell’avvento del fascismo in Italia negli anni Venti. Per evitare testimoni scomodi, Kiev ha deciso il 17 settembre di impedire l'ingresso nel paese a decine di giornalisti stranieri, tra cui tre della Bbc, definiti «una minaccia alla sicurezza nazionale». 

L’Ucraina di Poroshenko – l’oligarca arricchitosi col saccheggio delle proprietà statali, del quale il premier Renzi loda la «saggia leadership» – contribuirà anche alla nostra «sicurezza nazionale» partecipando come partner all’esercitazione Nato Trident Juncture 2015 che si svolge in Italia.
 
(il manifesto, 22 settembre 2015)  




D’Alema: «A sinistra è vietata la rottura, per tutti noi è l’ultima chiamata» 

Il colloquio. L'ex premier: un fischio non mi spaventa, ma insieme a tanto impegno al Brancaccio c’era dell’estremismo. La sfida di governo è doverosa. I civici facciano una svolta, servono tutte le forze. Con Pisapia ingenerosi, ho detto a Vendola: non è una creatura del renzismo 

Daniela Preziosi 
Il Manifesto 
ROMA 20.6.2017, 8:59 

Per dirla come la direbbe un comunista italiano, non si può dire che Massimo D’Alema sia stato convinto dalla riunione dei ’civici’ di domenica scorsa al Brancaccio. 
«Da vecchio militante ho una certa esperienza di assemblee, in questa c’era un po’ di estremismo. A partire dall’introduzione di Tomaso Montanari», spiega a chi gli chiede un giudizio. 
C’è dell’ironia. Ma la questione è seria. 
D’Alema era in prima fila, a un passo dal palco, quando il combattivo giovane studioso ha elencato le colpe del vecchio centrosinistra. E, nel lungo elenco, ha scandito «la guerra illegale in Kosovo». D’Alema, che era il presidente del consiglio in quel marzo ’99, non ha mosso ciglio. 
Ma ora replica: «Vorrei spiegare a Montanari che di questo fui accusato da un gruppo di giuristi. Poi la Cassazione emise una sentenza che archiviò tutto riconoscendo la piena legittimità del mio agire». Perché, spiega, l’art.11 della Costituzione dice che «l’Italia ripudia la guerra» eccetera, «ma poi anche che consente alle limitazioni di sovranità necessarie agli obblighi derivanti dai trattati internazionali». La conclusione è tagliente: «L’accusa è decaduta, se lui la rilancia è una calunnia». 
Non che intenda passare alle carte bollate, l’ex presidente del consiglio. Ma «il mondo è complesso, prima di parlare meglio informarsi, non ci si aspetta da un illustre storico dell’arte una sortita inutile e dannosa. Non si fanno battute a caso, tanto più se si lavora ad unire la sinistra». 
Segue racconto dei suoi ritorni in Serbia, dei giovani che lo hanno ringraziato perché quella guerra fu l’inizio «del ritorno alla libertà». Ma questa sarebbe un’altra storia. 
(...) «Sono diventato buono, so che i giornalisti hanno nostalgia del D’Alema cattivo ma invece, vede, ho ascoltato quelle calunnie sul Kosovo e sono rimasto seduto. In altri tempi mi sarei alzato e me ne sarei andato. A proposito, andrò a piazza Santi Apostoli il primo luglio, lo considero un mio dovere di militante».

===

https://alganews.wordpress.com/2017/06/20/dalema-e-i-suoi-ricordi-di-guerra/

D’ALEMA E I SUOI RICORDI DI GUERRA

di Alberto Tarozzi, 20.6.2017

D’Alema oggi, su il Manifesto, bacchetta Tomaso Montanari che l’altro giorno, al Brancaccio, aveva fatto riferimento alle sue responsabilità relativamente alla “guerra illegale in Kosovo”.

D’Alema sostiene che Montanari, critico d’arte, certe cose non le capisce e che meriterebbe una denuncia per calunnia che lui, bontà sua gli risparmierà. Esiste infatti una sentenza della Corte costituzionale che stabilisce che quella guerra non fu anticostituzionale. Anche se l’art.11 della Costituzione sostiene che l’Italia ripudia la guerra, poi consente, dice D’Alema “limitazioni di sovranità necessarie agli obblighi derivanti dai trattati internazionali” come, evidentemente, quelli legati alla nostra presenza nella Nato.

Ha ragione: il giovane e inesperto Montanari ignorava che per “limitazioni di sovranità” si potessero intendere i bombardamenti sulle popolazioni civili. Non è il solo, ma si è sbagliato.
A dire il vero Montanari è incorso pure in un’altra disattenzione minore, non passibile di calunnia, di cui però l’attento D’Alema non si è accorto: ha parlato di guerra in Kosovo. L’Italia, sotto la premiership di D’Alema fece da rampa di lancio per aerei che per molti giorni andarono a bombardare Belgrado, Novi Sad, Nis e molte altre città che dal Kosovo distano kilometri e kilometri.

Un’imprecisione di termini in cui molti sono soliti cadere. In fondo, se Montanari anziché di guerra illegale in Kosovo avesse parlato di bombardamenti della Nato, Italia compresa, sulla popolazione civile della Jugoslavia nessuno lo avrebbe potuto accusare di imprecisione e nessuno lo avrebbe potuto denunciare per calunnia. Un’altra volta ci dovrà stare più attento.

Peraltro, per quanto riguarda D’Alema, anche lui è uscito in un’affermazione che avrebbe richiesto qualche chiarimento politico in più, quando ha citato il suo ritorno in Serbia ai tempi in cui era Ministro degli Esteri del Governo Prodi tra il 2006 e il 2008.

Dice che i giovani lo hanno ringraziato perché quella guerra fu l’inizio “del ritorno alla libertà”.

Personalmente non nutro pregiudizi, quando si tratta di stabilire la verità dei fatti e i fatti di quegli anni li conosco discretamente, anche se può essermi sfuggito qualcosa. Per esempio non ho problemi a riconoscere che a Belgrado, D’Alema, come Ministro degli esteri del governo Prodi, fece un intervento che ricevette applausi. Solo che non riguardava tanto “il ritorno della libertà” in Jugoslavia grazie alle bombe della Nato. Piuttosto riguardava un progetto di possibile cooperazione economica tra Italia e Serbia che conteneva elementi di interesse per il governo locale.
Nessun problema a riconoscerlo, ma le due cose mi sembrano parecchio diverse.

Naturalmente, per Massimo D’Alema come per tutti, fino a prova contraria, vale la sua parola a proposito di quei giovani serbi che l’avrebbero ringraziato per le bombe. Però, ci faccia un piacere. Ci mostri un documento, una registrazione, uno straccio di attestazione che confermi questa sua affermazione. E che magari metta in risalto il numero e la rilevanza politica dei soggetti che si erano complimentati con lui. Altrimenti saremmo nostro malgrado portati a formulare cattivi pensieri sul suo conto. Magari che lui non sia quel modello di attendibilità che dichiara di essere.

Qui mi fermo: nessun processo alle intenzioni.
Ma nemmeno nessuna disponibilità a farmi prendere in giro dalle giravolte dialettiche del politico di turno, indipendentemente dal fattore generazionale.

===

Sulle denunce penali a D'Alema ed altri per la aggressione alla RF di Jugoslavia si veda la documentazione alla nostra pagina:
https://www.cnj.it/24MARZO99/giudiziario.htm
Sulle implicazioni di quella aggressione, mirata a rovesciare la leadership politica democraticamente eletta ed a smembrare ulteriormente il paese a partire dalla secessione della provincia del Kosovo, si veda:
https://www.cnj.it/24MARZO99/index.htm



(italiano / english / deutsch / français)


Appel Montenegro

1) APPELLO / APPEL / APPEAL to the Peace Movement
2) Der jüngste NATO-Partner (GFP 13.06.2017)


Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS aderisce ed invita tutti ad aderire e far conoscere l'Appello del Movimento per la Neutralità del Montenegro alle forze progressiste ed al governo di quel paese perché si agisca per il rispetto della volontà della grande maggioranza della popolazione montenegrina.

The National Coordination for Yugoslavia, no-profit organization based in Italy, endorses and invites all people to endorse and distribute the Appeal proposed by the Movement for the Neutrality of Montenegro to the progressive forces and the government of that country to respect the will of the great majority of the Montenegrin population.


Si vedano anche / see also:

La pulce Montenegro guida il plotone della nuova Nato (PTV news 06.06.2017)

MONTÉNÉGRO : DES IMITATEURS RUSSES PIÈGENT MILO ĐUKANOVIĆ ET DUŠKO MARKOVIĆ (par S. Janković, Radio Slobodna Evropa / CdB 5 juin 2017)
Le Premier ministre monténégrin Duško Marković et son prédécesseur Milo Đukanović ont cru parler au Président et au Premier ministre d’Ukraine. Il s’agissait en fait des imitateurs russes Lexus et Vovan. Milo Đukanović a notamment promis au faux Petro Porochenko de l’aider à implanter une usine de chocolats au Monténégro...

Allargamento della Nato: dall’Urss al Montenegro (di Fabrizio Poggi, 5/6/2017)
... si tiene a Washington la cerimonia ufficiale dell’ingresso del Montenegro nella Nato, quale 29° membro. Perché non ci siano dubbi su chi comandi, il segretario generale Jens Stoltenberg e il vice Segretario di stato USA Thomas Shannon accoglieranno la trasmissione del relativo documento ufficiale al Dipartimento di Stato da parte del primo ministro montenegrino Duško Markovič....

NATO 'Wants to Use Montenegro to Militarize Balkans' (17.05.2017)
The North Atlantic Alliance intends to use its newest member, Montenegro, to militarize the Balkan Peninsula, political activist and one of the leaders of the Resistance to Hopelessness movement Marko Milacic told Sputnik Serbia...


=== 1 ===

--- ITALIANO

Questo appello è stato proposto nell'ambito del contro-vertice NATO lo scorso 25 maggio a Bruxelles
da Marko Milacic, esponente del Movimento per la Neutralità del Montenegro

ITA.- APPELLO AL MOVIMENTO PER LA PACE A SOSTEGNO DEL MONTENEGRO

Il Montenegro sta affrontando una situazione pericolosa. Il parlamento ha recentemente preso la decisione, contro la volontà della maggioranza dei cittadini, di aderire alla NATO, benché l'84% della popolazione del Montenegro sia a favore di un referendum, in base a fonti governative.

Si dovrebbe comprendere che costringere il Montenegro a entrare nella NATO, da parte della stessa NATO e dei suoi partner, la cricca in stile mafioso al potere nel paese, può solamente destabilizzare la società, e – cosa ancor più importante – questo è proprio ciò che sta avvenendo adesso. Questa è una aggressione politica da parte della NATO contro il Montenegro. 

La decisione sull'entrata del Montenegro nella NATO non è valida, poiché non è sostenuta dal popolo del Montenegro. Essa è sostenuta da un regime antidemocratico che è rimasto sempre lo stesso per quasi tre decadi. 

Noi facciamo appello a tutte le forze progressiste presenti sia nei paesi NATO che nei paesi non aderenti alla NATO, affinché sostengano il popolo del Montenegro nella sua lotta contro questo processo illegittimo e illegale.

Noi facciamo appello al governo del Montenegro perché rispetti il volere del popolo.

***
Firmare e diffondere ampiamente questo Appello!

Inoltrate questa pagina con la vostra firma, precisando il vostro nome, indirizzo email, il nome eventuale della vostra organizzazione, a: milacici2007@...


--- ENGLISH

This appeal was proposed at the NATO Counter-summit on 25th May in Brussels 
by Marko Milacic, representative of the Movement for the Neutrality of Montenegro


ENG.- APPEAL TO THE PEACE MOVEMENT TO SUPPORT MONTENEGRO

Montenegro is facing a dangerous situation. The parliament recently took the decision, against the will of the majority of citizens, to join NATO, although 84% of the population of Montenegro, according to government sources, is in favour of a referendum. 

It should be understood that forcing Montenegro into NATO, by NATO and its partners, the mafia style clique in power in the country, can only destabilize the society, and more importantly that is happening right now. This is political aggression by NATO against Montenegro.

The decision about Montenegro entering NATO is not valid, because it is not backed by the people of Montenegro. It is backed by an undemocratic regime that hasn’t change for almost three decades.

We call on progressive forces in NATO and non-NATO member states to support the Montenegrin people in their struggle against this illegitimate and illegal process.

We call on the government of Montenegro to respect the will of the people.

***
Please sign and make this appeal widely known!
Please send this document back, mentioning your individual and/or organization name, country, e-mail address to milacici2007@...


--- FRANÇAIS

Appel présenté à Bruxelles, le 25 mai 2017, lors de la conférence du Contre-Sommet Otan

par Marko Milacic, responsable du Mouvement pour la Neutralité du Monténégro


FR - APPEL AU MOUVEMENT DE LA PAIX POUR SOUTENIR LE MONTENEGRO

Le Monténégro affronte une situation dangereuse. Récemment, le parlement monténégrin a pris la décision d'adhérer à l'OTAN, alors que la majorité des citoyens s'y opposent et que, selon les propres sources gouvernementales, 84% de la population est favorable à l'organisation d'un referendum.

Par cette adhésion imposée par l'OTAN et ses partenaires, la clique mafieuse actuellement au pouvoir au Monténégro ne fera que déstabiliser gravement la société, comme cela est en train de se produire actuellement. C'est une agression politique de l'OTAN envers le Monténégro.

Cette décision d'adhésion du Monténégro à l'OTAN n’est pas légitime, car elle n'est pas acceptée par sa population. Elle a été imposée par un régime anti-démocratique au pouvoir depuis près de trente ans.

Nous appelons les forces progressistes des pays membres et non-membres de l'Otan à soutenir le peuple monténégrin dans sa lutte contre ce processus illégal et illégitime.

Nous appelons le gouvernement du Monténégro à respecter la volonté du peuple. 

***

Signer et diffuser largement cet Appel !

Renvoyez cette page avec votre signature, en précisant votre nom, adresse mail, nom éventuel de votre organisation à milacici2007@...



=== 2 ===


Der jüngste NATO-Partner
 
13.06.2017

PODGORICA/BERLIN
 
(Eigener Bericht) - Mit dem NATO-Beitritt Montenegros in der vergangenen Woche haben Deutschland und die anderen westlichen Mächte einen wichtigen Punktgewinn im Machtkampf gegen Russland in Südosteuropa erzielt. Montenegro ist am 5. Juni dem westlichen Militärpakt als 29. Mitglied in aller Form beigetreten. Die deutschen Bundesregierungen der vergangenen 15 Jahre hatten das kleine südosteuropäische Land stets bei der Abspaltung von Serbien und der Annäherung an die westlichen Bündnisse (EU und NATO) unterstützt. Ihrem wichtigsten montenegrinischen Kooperationspartner ist dabei immer wieder eine enge Verbindung zur Organisierten Kriminalität vorgeworfen worden. Russland hingegen hat sich seit der Jahrtausendwende insbesondere ökonomisch um Einfluss in Montenegro bemüht: Wirtschaftlich unterhielten Moskau und Podgorica lange Zeit enge Beziehungen. Jüngst veröffentlichten Dokumenten zufolge zielte Russland darauf ab, durch die Schaffung eines neutralen Staatengürtels in Südosteuropa den Druck, dem es durch die NATO-Osterweiterung ausgesetzt ist, ein wenig zu lindern.

Organisierte Kriminalität

Der Machtkampf zwischen dem Westen und Russland hat seit der Jahrtausendwende neben diversen anderen Ländern auch Montenegro geprägt. Die Schlüsselfigur in der montenegrinischen Politik der vergangenen 25 Jahre und der wichtigste Kooperationspartner des Westens ist dabei stets Milo Đukanović gewesen, der von 1991 bis 2016 abwechselnd als Premierminister und als Präsident des Landes amtierte. Bereits seit langer Zeit werden Vorwürfe gegen ihn erhoben, er sei in den 1990er Jahren in größerem Umfang in den Schmuggel mit Zigaretten involviert gewesen; Telefonprotokolle italienischer Ermittlungsbehörden hätten beispielsweise Gespräche zwischen ihm und italienischen Mafiabossen beinhaltet.[1] Die italienischen Behörden stellten allerdings die Ermittlungen gegen ihn im Jahr 2009 ein.[2] Journalisten der BBC und der Antikorruptionsinitiative "Organised Crime and Corruption Reporting Project" (OCCRP) fanden darüber hinaus im Jahr 2012 heraus, dass die Erste Bank Montenegros, die unter der Kontrolle der Familie Đukanović steht, einerseits Gelder der montenegrinischen Exekutive einlagerte, andererseits aber hauptsächlich von Đukanovićs persönlichem Umfeld - unter anderem von gesuchten Drogenschmugglern - für Kredite genutzt wurde.[3] Für die Bundesregierung, die eng mit Đukanović kooperiert, sind die immer wiederkehrenden Vorwürfe kein Problem: "Die [...] Sachverhalte", heißt es zur Begründung, hätten "bis heute nicht gerichtlich nachgewiesen werden" können; man müsse deshalb keine Konsequenzen aus ihnen ziehen.[4]

Deutsche Unterstützung

Um Montenegro fest in seine Einflusssphäre einzubinden, hat Deutschland zunächst den montenegrinischen Weg in die Eigenstaatlichkeit und zuletzt den NATO-Beitritt des Landes unterstützt. Als Đukanović zum ersten Mal als Präsident Montenegros amtierte (von 1998 bis 2002, damals war das Land noch eine jugoslawische Teilrepublik), führte Podgorica einseitig die Deutsche Mark als offizielle Währung ein. Auch der Umstellung auf den Euro in Deutschland schloss sich das südosteuropäische Land an. Wenig später unterstützte Berlin Podgorica, indem die staatliche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit (GIZ, damals noch: Deutsche Gesellschaft für Technische Zusammenarbeit, GTZ) von 2005 bis 2007 einen Berater in die montenegrinische Zentralbank entsandte. Seit 2008 reisten auch immer wieder Bundespolizisten zu Ausbildungsmaßnahmen ins Land. Darüber hinaus unterhielt die Bundeswehr von 2007 bis 2010 einen Berater im montenegrinischen Verteidigungsministerium.[5] Im Jahr 2008 bat die montenegrinische Regierung schließlich um Beitrittsverhandlungen mit der EU; seit 2010 ist Montenegro offizieller EU-Beitrittskandidat. Bei einem Besuch in Montenegro im Jahr 2013 erklärte der damalige Bundesentwicklungsminister Dirk Niebel, Deutschland sehe sich "als engagierter Partner im EU-Beitrittsprozess"; es wolle Montenegro "insbesondere in seinen Bemühungen zur Konsolidierung rechtstaatlicher Strukturen und zur Bekämpfung von Korruption und organisierter Kriminalität tatkräftig zur Seite stehen".[6]

"Fest in russischer Hand"

Während Deutschland sich vor allem auf politisch-administrativem Weg um Einfluss bemühte, boomte die montenegrinische Wirtschaft in den 2000er Jahren hauptsächlich dank russischer Investitionen.[7] Rund 30.000 russische Staatsbürger besaßen zu dieser Zeit laut Berichten Grundstücke oder Wohneigentum in Montenegro. Die vom Bundeskanzleramt finanzierte Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) resümierte im Jahr 2009, die Wirtschaft des Landes sei "fest in russischer Hand".[8] Bis heute hat Deutschland es nicht geschafft, starken wirtschaftlichen Einfluss auf Montenegro zu entwickeln. Allerdings geht die Regierung in Podgorica ihrerseits gegen den russischen Wirtschaftseinfluss vor. Die bedeutendste russische Investition stellte lange das Aluminiumkombinat Podgorica (KAP) dar, der größte Arbeitgeber des Landes, der im Dezember 2005 von der russischen Firma En+ übernommen worden war. Über das KAP konnte Moskau jahrelang dominierenden Einfluss auf die Wirtschaft des südosteuropäischen Landes ausüben. Doch die montenegrinischen Behörden erklärten den Konzern im Oktober 2013 für bankrott; die Regierung, die bereits vorher knapp 30 Prozent des Unternehmens innegehabt hatte, übernahm die vollständige Kontrolle - ein empfindlicher Schlag für Russlands Einflussarbeit in Südosteuropa.

Ein angeblicher Putschversuch

Schlagzeilen hat zuletzt eine ungewöhnliche, bis heute nicht aufgeklärte Etappe im Machtkampf zwischen dem Westen und Russland um Montenegro gemacht: Am 16. Oktober 2016, dem Tag der montenegrinischen Parlamentswahlen, erklärten die Behörden des Landes, einen Putschversuch verhindert zu haben. Ein montenegrinischer Sonderermittler warf in der Folge zwei russischen Staatsbürgern vor, einen Plan entworfen zu haben, das montenegrinische Parlament von Demonstranten stürmen zu lassen, um Đukanovićs Herrschaft zu beenden.[9] Nach den Putschvorwürfen boykottierte die Opposition die Kommunalwahl in Nikšić, der zweitgrößten Stadt des Landes, und rief dazu auf, auch dem nationalen Parlament die Mitarbeit zu verweigern: Sie bestreitet, dass es überhaupt einen Putschversuch gegeben hat, und hält das Vorgehen der Behörden für einen Versuch, ihre Politik zu diskreditieren.[10] Die Orientierung der Opposition läuft zentralen Interessen der deutschen Südosteuropapolitik zuwider: Sie verfolgt einen außenpolitisch klar von deutschen Vorgaben abweichenden Kurs; erst im Mai forderte die größte Oppositionsfraktion etwa, die diplomatische Anerkennung der serbischen Separatistenrepublik Kosovo zurückzunehmen.[11]

Wider die russische Balkanstrategie

Jüngst publizierte Dokumente, die angeblich vom makedonischen Geheimdienst stammen, werfen ein Schlaglicht auf die Ereignisse in Montenegro und darüber hinaus. Demnach sei es russische Strategie, auf dem Balkan einen Gürtel neutraler Staaten zu schaffen. Zu den "B-4-Staaten" sollen demnach Bosnien-Herzegowina, Serbien, Makedonien und Montenegro gehören.[12] Der jüngst unter maßgeblichem Druck Berlins forcierte Regierungswechsel in Makedonien gegen den auf außenpolitische Eigenständigkeit orientierten Premierminister Nikola Gruewski (german-foreign-policy.com berichtete [13]) steht dieser Strategie ebenso entgegen wie vor allem die Aufnahme Montenegros in die NATO in der vergangenen Woche. Letztere hilft, ein Land des einst bündnisneutralen Staatengürtels im ehemaligen Jugoslawien fest in die westlichen Bündnisstrukturen zu integrieren. Sie ist ein schwerer Rückschlag für Russland im Machtkampf in Südosteuropa.

[1] Ian Traynor: Montenegrin PM accused of link with tobacco racket. theguardian.com 11.07.2003.
[2] Longtime prime minister Djukanovic steps down. france24.com 22.12.2010.
[3] Liz MacKean/Meirion Jones: Documents tarnish Montenegro's EU bid, bbc.com 29.05.2012.
[4], [5] Antwort der Bundesregierung auf die Kleine Anfrage von Sevim Dagdelen et al.: Deutsch-montenegrinische Beziehungen angesichts der rechtsstaatlichen Verhältnisse in Montenegro. Deutscher Bundestag, 18/1216 vom 24.04.2014.
[6] Bundesminister Dirk Niebel besucht Montenegro (August 2013). podgorica.diplo.de.
[7] Andrew Byrne: Montenegro counts cost of becoming Nato's newest member. ft.com 02.06.2017.
[8] Russlands Rückkehr auf den Westbalkan; SWP-Studie S 17, Juli 2009. S. auch Hilfstruppen.
[9] Montenegro Opposition to Boycott Poll Over 'Coup' Claims. balkaninsight.com 15.02.2017.
[10] Simon Shuster: Duško Marković, the Prime Minister Stuck Between Putin and Trump in the Balkans. time.com 16.02.2017.
[11] Dusica Tomovic: Opposition Urges Montenegro to Revoke Kosovo Recognition. balkaninsight.com 11.05.2017.
[12] Aubrey Belford/Saska Cvetkovska/Biljana Sekulovska/Stevan Dojčinović: Leaked Documents Show Russian, Serbian Attempts to Meddle in Macedonia. occrp.org 04.06.2017.
[13] S. dazu Einflussverlust in Südosteuropa.





La notizia di Manlio Dinucci: Il «disarmo» nucleare di Gentiloni

VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=-hquxihADio


L’arte della guerra 

Il «disarmo» nucleare di Gentiloni 

Manlio Dinucci 
  

La scena della folla presa dal panico in piazza San Carlo a Torino, con drammatiche conseguenze, è emblematica della nostra situazione. La psicosi da attentato terroristico, diffusa ad arte dall’apparato politico-mediatico in base a un fenomeno reale (di cui si nascondono però le vere cause e finalità), ha fatto scattare in modo caotico l’istinto primordiale di sopravvivenza. Esso viene invece addormentato col black-out politico-mediatico, quando dovrebbe scattare in modo razionale di fronte a ciò che mette in pericolo la sopravvivenza dell’intera umanità: la corsa agli armamenti nucleari. 

Di conseguenza la stragrande maggioranza degli italiani ignora che sta per svolgersi alle Nazioni Unite, dal 15 giugno al 7 luglio, la seconda fase dei negoziati per un trattato che proibisca le armi nucleari. La bozza della Convenzione sulle armi nucleari, redatta dopo la prima fase negoziale in marzo, stabilisce che ciascuno Stato parte si impegna a non produrre né possedere armi nucleari, né a trasferirle o riceverle direttamente o indirettamente. 

L’apertura dei negoziati è stata decisa da una risoluzione dell’Assemblea generale votata nel dicembre 2016 da 113 paesi, con 35 contrari e 13 astenuti. 

Gli Stati uniti e le altre due potenze nucleari della Nato (Francia e Gran Bretagna), gli altri paesi dell’Alleanza e i suoi principali partner – Israele (unica potenza nucleare in Medioriente), Giappone, Australia, Ucraina – hanno votato contro. 

Hanno così espresso parere contrario anche le altre potenze nucleari: Russia e Cina (astenutasi), India, Pakistan e Nord Corea. 

Tra i paesi che hanno votato contro, sulla scia degli Stati uniti, c’è l’Italia. Il governo Gentiloni ha dichiarato, il 2 febbraio, che «la convocazione di una Conferenza delle Nazioni Unite per negoziare uno strumento giuridicamente vincolante sulla proibizione delle armi nucleari, costituisce un elemento fortemente divisivo che rischia di compromettere i nostri sforzi a favore del disarmo nucleare». 

L’Italia, sostiene il governo, sta seguendo «un percorso graduale, realistico e concreto in grado di condurre a un processo di disarmo nucleare irreversibile, trasparente e verificabile», basato sulla «piena applicazione del Trattato di non-proliferazione, pilastro del disarmo». 

In che modo l’Italia applica il Tnp, ratificato nel 1975, lo dimostrano i fatti. Nonostante che esso impegni gli 
Stati militarmente non-nucleari a «non ricevere da chicchessia armi nucleari, né il controllo su tali armi, direttamente o indirettamente», l’Italia ha messo a disposizione degli Stati uniti il proprio territorio per l’installazione di armi nucleari (almeno 50 bombe B-61 ad Aviano e 20 a Ghedi-Torre), al cui uso vengono addestrati anche piloti italiani. 

Dal 2020 sarà schierata in Italia la B61-12: una nuova arma da first strike nucleare, con la capacità  di penetrare nel terreno per distruggere i bunker dei centri di comando. Una volta iniziato nel 2020 (ma non è escluso anche prima) lo schieramento in Europa della B61-12, l’Italia, formalmente paese non-nucleare, verrà trasformata in prima linea di un ancora più pericoloso confronto nucleare tra Usa/Nato e Russia.

 Che fare?  Si deve imporre che l’Italia contribuisca al varo del Trattato Onu sulla proibizione delle armi nucleari e lo sottoscriva e, allo stesso tempo, 
pretendere che gli Stati uniti, in base al vigente Trattato di non-proliferazione, rimuovano qualsiasi arma nucleare dal nostro territorio e rinuncino a installarvi le nuove bombe B61-12. 

Per quasi tutto il «mondo politico», l’argomento è tabù. Se manca la coscienza politica, non resta che ricorrere all’istinto primordiale di sopravvivenza.  

(il manifesto, 6 giugno 2017)   


en français: Le « désarmement » nucléaire de Gentiloni (par  Manlio Dinucci)
Les Nations Unies vont ouvrir, le 15 juin 2017, une véritable négociation visant à interdire les armes nucléaires. Jusqu’ici le Traité de non-prolifération est une mascarade visant exclusivement à maintenir l’avantage que détiennent les puissances nucléaires sur les autres. Bien entendu, toutes les puissances nucléaires, sans exception, ont tenté de s’opposer à cette initiative de l’Assemblée générale de l’Onu...



Un nazista ucraino ricevuto alla Camera dalla Boldrini


di Danilo Della Valle - Lantidiplomatico, 8 giugno 2017


Un nazista a Roma….a firmare un Memorandum d’intesa tra la Camera dei Deputati e la Rada ucraina che ha come obiettivo il rafforzamento della cooperazione parlamentare tra le due assemblee sia sul piano politico che su quello amministrativo.
La Presidente Laura Boldrini che ha accolto con tutti gli onori del caso il Presidente della Rada ucraina Andriy Parubiy, ha tenuto a precisare che “l’Italia ha sempre condannato l’azione illegale avvenuta ai danni di una parte del territorio ucraino come ha ripetutamente fatto anche l’Unione Europea”. Inoltre la Presidente Boldrini ha tenuto a precisare, in piena sintonia con Parubiy, che è in atto una grave campagna di disinformazione atta a destabilizzare il territorio ucraino. Fin qui tutto “nella norma”, viste le posizioni a dir poco miopi del nostro governo sulla questione ucraina, quello che però non è normale è altro.

Altrove, ad esempio in Uk, la visita del Presidente della Rada ucraina non è passata sotto silenzio, anzi, è stata oggetto di numerose critiche da parte dell’opinione pubblica e dei partiti politici sinceramente democratici ed antifascisti.

Perchè?

Perché, cara Presidente Boldrini, senza voler scendere troppo nel dettaglio chiedendole se lei conosca effettivamente ciò che succede non solo nei territori in cui il governo ucraino bombarda altri cittadini ucraini colpevoli di abitare ad est e parlare russo. Senza volerle chiedere se conoscA la repressione che subiscono le forze progressiste e comuniste nell’Ucraina “democratica” di Poroshenko, le chiediamo…..ma lei conosce almeno Andriy Parubiy, il presidente della Rada con cui ha detto di esser in sintonia?

Andriy Parubiy, che dice di essersi sempre ispirato ai valori della Eu e di guardare all’Europa come ad un traguardo da raggiungere per l’Ucraina, nel 1991 fondò insieme a Oleg Tyahnybok, attuale leader della formazione nazionalista Svoboda, il Partito Nazional Sociale Ucraino. La fonte di ispirazione per questi democratici ucraini era il Partito Nazional Socialista di Adolf Hitler, come nel 2015 scriveva la testata tedesca spiegel.de (http://www.spiegel.de/international/europe/ukraine-sliding-towards-civil-war-in-wake-of-tough-new-laws-a-945742.html) e solo gli “etnicamente ucraini” potevano farvene parte. Sempre a proposito del PNSU, in una ricerca del 2009 degli studiosi Andreas Umland e Anton Shekovstov, famosi per non esser popriamente dei propagandisti russi, il partito fondato da Parubiy veniva etichettato con le seguenti parole: “Dei vari partiti nazionalisti ucraini il Partito Nazional Sociale Ucraino era il meno incline a nascondere la sua ideologia neofascista. Il suo simbolo ufficiale era il Wolfangel usato dalla divisione tedesca SS Das Reich e da una serie di organizzazioni neofasciste europee dopo il 1945. L’ideologia ufficiale del partito era quella del “nazionalismo sociale” in riferimento alla ideologia nazional socialista di stampo Hitleriano. La piattaforma politica del PNSU si è sempre contraddistinta per il suo ultranazionalismo, per l’obiettivo dichiarato della presa del potere attraverso azioni violente e per incolpare la Russia di tutti i problemi che affliggevano ed affliggono l’Ucraina. Inoltre il PNSU è stato il primo partito a coinvolgere nelle proprie attività naziskin provenienti dagli ambienti calcistici ucraini”. 

http://www.academia.edu/5261476/Ultraright_Party_Politics_in_Post-Soviet_Ukraine_and_the_Puzzle_of_the_Electoral_Marginalism_of_Ukrainian_Ultranationalists_in_1994-2009


Dal 1998 al 2004 il democraticissimo Parubiy ha guidato la formazione paramilitare di estrema destra “Patrioti di Ucraina”sempre all’interno del PNSU. In questi anni la formazione paramilitare si è resa protagonista di pestaggi a Lvov durante le manifestazioni del Partito Comunista Ucraino (1998) e di commemorazioni inneggianti ai collaborazionisti nazisti della OUN – UPA capeggiati da Stephan Bandera, divenuto eroe nazionale in questi ultimi anni. Bandera si è reso responsabile della uccisione di migliaia di russi, bielorussi e polacchi, secondo gli studiosi le azioni dell’OUN – UPA sono da catalogarsi come pulizia etnica. http://www.academia.edu/7629265/Ethnic_Cleansing_Genocide_or_Ukrainian-Polish_Conflict_The_Mass_Murder_of_Poles_by_the_OUN_and_the_UPA_in_Volhynia

A proposito di Stephan Bandera, quando nel 2010 una risoluzione del Parlamento Europeo deplorava la decisione del governo Yushchenko di proclamare il collaborazionista nazista Bandera eroe nazionale, il sempre democraticissimo Parubiy vomitava parole d’odio verso la “democrazia europea” e verso la “sempre colpevole” Russia in difesa del nazismo.http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P7-TA-2010-0035+0+DOC+XML+V0//EN .

Tornando agli avvenimenti più recenti, Parubiy lo ritroviamo durante la rivolta di Maidan tra i protagonisti della “ribellione”, conosciuto come “comandante di Maidan”. Appare in molti scatti al fianco di manifestanti violenti soprattutto con i militanti di Pravji Sektor (Settore Destro), una delle organizzazioni paramilitari nazionaliste che stranamente è capeggiata dal pupillo di Parubiy ai tempi di “Patrioti Ucraini”, Andriy Biletskiy. Durante i giorni più caldi del Maidan che hanno portato poi alla destituzione del Presidente eletto Yanukovitch e al seguente colpo di Stato, Parubiy assume un ruolo importante nel coordinare le operazioni dell’ala paramilitare della protesta. Secondo la BBC ed altri studiosi dei tragici avventimenti ucraini la storia ufficiale del massacro di Maidan sarebbe ben diversa dalla realtà che viene fuori da varie testimonianze, e Parubiy sembra aver una fetta enorme di responsabilità su quanto è successo visto il suo ruolo di coordinatore dell’ala più oltranzista e la sua capacità di riunire sotto la propria ala protettrice tutti i gruppi più nazisti d’Ucraina. http://www.globalresearch.ca/who-was-maidan-snipers-mastermind/5384599

https://gordonhahn.com/2016/03/09/the-real-snipers-massacre-ukraine-february-2014-updatedrevised-working-paper/

http://www.bbc.com/news/magazine-31359021

Infine, per non farsi mancare niente, Andriy Parubiy lo possiamo vedere il 29 Aprile del 2014 quando si reca ad Odessa a regalare giubbotti antiproiettili ai “patrioti” Ucraini, ed in particolare lo possiamo vedere chiacchierare in maniera molto amichevole con Mykola Volkov, uno dei principali protagonisti dell’organizzazione del Massacro del 2 Maggio 2014, quando persero la vita migliaia di manifestanti pacifici che non volevano il colpo di Stato in atto a Kiev. In questi seguenti video possiamo vedere il momento della consegna dei giubboti e il ruolo di Volkov durante il 2 Maggio, quando lo si vede chiaramente sparare all’indirizzo della casa dei Sindacati. video widely available on the internethttps://www.youtube.com/watch?v=LLOD0aIcn_s

Sempre nel 2014, Andryi Parubiy fonda il Partito Fronte Popolare, partito che ha al proprio interno un “consiglio militare” composto dai Presidenti delle organizzazioni naziste paramilitari Azov e Aidar.

In conclusione ci chiediamo come sia possibile che un Paese come il nostro che si dichiara antifascista per vocazione costituzionale possa accogliere personaggi simili con tutti gli onori del caso e possa addirittura firmare memorandum di intesa con governi che perseguono questo tipo di politiche razziste nei confronti delle minoranze interne. Ci chiediamo come sia possibile che la Presidente Boldrini sempre attenta, a parole, a combattere ogni forma di razzismo possa fare dichiarazioni come quelle riporatate in apertura di articolo. A quanto sembra le uniche fake news sono proprio le sue e quelle del suo carrozzone politico politically correct a parole e non nei fatti.

Chiediamo quindi che tutte le formazioni sinceramente democratiche e autenticamente ancorate alla nostra Costituzione antifascista si facciano da portavoce per chiedere spiegazioni alla Presidente della Camera ed al governo Italiano che si sta rendendo complice di uno Stato che fa del razzismo il suo cavallo di battaglia.


===


Su Andrej Parubij, speaker del Parlamento ucraino, si vedano anche:

... il a créé le parti néo-nazi ukrainien « Parti social-national ukrainien » en 1991, devenu Svoboda en 2004...
http://cesteneurodictaturecapitaliste.skynetblogs.be/archive/2016/04/17/bien-sur-les-mediuas-ne-parleront-pas-de-celui-qui-est-prese-8596004.html

Verità per Andy Rocchelli, il presidente del parlamento ucraino rassicura l’Italia: «Le indagini proseguono» (5.6.2017)

LAURA BOLDRINI STRINGE LA MANO AD UN NEONAZISTA (Fort Rus, 6/6/2017)


Sulla complicità della politica italiana con il colpo di Stato e l'instaurazione del regime banderista in Ucraina si vedano anche: 

Gianni Pittella, eurodeputato PD vicepresidente del Parlamento Europeo, è tra i grandi sponsor del nazismo ucraino:

Febbraio 2014, Gianni Pittella accompagna Eugenia Timoshenko, figlia della oligarca mafiosa di estrema destra Julija, dalla presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini (fonte: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10205309185236841&set=gm.1542284676041583&type=1&theater )

Manlio Di Stefano: "Il governo italiano alleato dei nazisti Ucraini" (Fort Rus, 19 mar 2015)
Intervento alla Camera del Parlamentare del Movimento 5 Stelle Manlio Di Stefano. 
In una lunga accusa alla politica estera del governo italiano, Di Stefano si focalizza anche sulla questione della guerra Ucraina. Il Governo del PD e di Matteo Renzi è complice di avere appoggiato il golpe che ha portato al potere in Ucraina dei criminali e dei neonazisti, che sono al servizio degli interessi geopolitici americani. "La distruzione economica e l'occupazione dell'Ucraina, segue un piano preciso di politica estera degli Stati Uniti: portare la NATO ai confini della Russia e rompere le relazioni tra Mosca ed UE, sia dal punto di vista commerciale che da quello energetico. Il governo italiano non è alleato degli Stati Uniti. Ne è proprio un suddito"...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=W0Ec5st9UNM

Opere d'arte italiane ostaggio dei golpisti ucraini
[In ostaggio di Poroshenko i quadri rubati nel museo di Castelvecchio]
Tele di Castelvecchio. Poroshenko ora risulta indagato (L'Arena 30.11.2016)
La denuncia presentata dall’avvocato Guariente Guarienti per l’appropriazione indebita di quei quadri sottratti, armi in pugno, al museo di Castelvecchio la sera del 19 novembre 2015 si è tradotta con l’apertura di un fascicolo d’indagine...
Pagato riscatto per i quadri di Castelvecchio (segnalazione di F. Muzzolon)
Dopo la restituzione seppur tardiva dei quadri di Castelvecchio in centro a Verona, rubati da una banda moldava con l'appoggio della guardia giurata, si è ipotizzato che sia stato pagato un riscatto. L'on. D'Arienzo è sbottato: “Il contributo di emergenza di un milione di euro all'Ucraina: 700.000 euro al Programma Alimentare Mondiale (PAM) per la distribuzione di razioni alimentari e di aiuti in contanti alle categorie più vulnerabili della popolazione civile e 300.000 euro all’UNICEF per finanziare la realizzazione di un progetto nel settore dello sminamento umanitario è frutto di decisioni prese circa tre anni fa, con l'allora Ministra degli Esteri Emma Bonino” sostiene il deputato PD Vincenzo D'Arienzo. Un PD sempre più renziano e con simpatie tosiane evidentemente:
http://www.veronasera.it/cronaca/quadri-castelvecchio-d-arienzo-riscatto-pagato-29-dicembre-2016.html
Così si è venuti a sapere che l'Italia ha versato in quella occasione alla nuova Ucraina di Petro Porosenko un milione di euro...

Le autorità italiane al servizio dei nazisti ucraini (PTV news 12 Aprile 2017)
[Sequestrati alla Fiera di Verona tutti i vini provenienti dalla Crimea]
Il vino della discordia. Lunedi' 10 aprile, la Guardia di Finanza ha sequestrato dalla fiera Vinitaly 2017 a Verona tutti i vini provenienti dalla Crimea. A quanto pare, su richiesta del governo ucraino. Gli imprenditori crimeani hanno partecipato alla fiera come parte della delegazione russa. Secondo Janina Pavlenko, a capo della famosa cantina “Massandra”, al momento del sequestro erano rimaste soltanto alcune decine di bottiglie, dato l’enorme successo ottenuto. Intanto, Kiev ha lanciato Stop List. Da oggi, chi visita la Crimea senza l'autorizzazione ucraina, potrà essere segnalato da chiunque, direttamente sul sito web della polizia di frontiera. Un evidente incoraggiamento alla delazione europea. E questi sarebbero i nostri futuri alleati?

---

Sulle attività di Mauro Voerzio (Fort Rus, 22.3.2016)
Il giornalista ucraino Anatoly Sharij, noto smascheratore di bufale e fake, esprime la sua opinione sulla brutta figura che fa l'Ucraina in Italia...

Deputato Pd introduce i nazisti nel parlamento italiano (PandoraTV, 5 apr 2017)
Martedì 4 aprile presso la sala stampa di Montecitorio si è svolta la conferenza stampa intitolata ‘Stop Fake una questione di libertà’ promossa dall’onorevole del PD Davide Mattiello, con la partecipazione di Yevhen Fedchenko, direttore della Mahyla School of Journalism nonché co fondatore del sito Stopfake.org e Mauro Voerzio di StopFake Italia...

"Mauro Voerzio: Chi lo muove?" (PandoraTV, 5 apr 2017)
Giulietto Chiesa intervistato da News Front. Traduzione a cura di Tamara Djiuranova.







Il grande architetto del terrorismo moderno: la vera storia di Zbigniew Brzezinski


di Henry Tougha *

È morto da pochi giorni Zbigniew Brzezinski, uno degli ispiratori della politica estera americana dai tempi della guerra russo-afghana fino al recente conflitto in Siria, uno dei più geniali e spietati ideatori della violenza imperialista statunitense. The AntiMedia ne riassume l’eredità: la costruzione metodica dell’estremismo islamico, di al-Qaeda, la destabilizzazione sistematica del Medio Oriente, l’induzione di uno stato di tensione continua contro la Russia.

di The AntiMedia, 27 maggio 2017

Zbigniew Brzezinski, ex consulente per la sicurezza nazionale del Presidente Jimmy Carter, è morto lo scorso venerdì in un ospedale della Virginia, all’età di 89 anni. Sebbene il New York Times ammetta che l’ex consulente del governo fosse un “falco della teoria strategica”, travisare la sua eredità come se fosse, per il resto, infinitamente positiva, non è così semplice come l’establishment vorrebbe credere.

Mentre il Regno Unito si destreggia con la “minaccia terroristica” ai più alti livelli, dopo un attacco devastante ispirato dall’ISIS — e mentre le Filippine entrano in uno stato di legge marzialequasi totale, dopo la devastazione ispirata dall’ISIS — la morte di Brzezinski giunge al momento giusto, come stimolo a una comprensione più profonda dell’origine del terrorismo moderno.

Come spiega il New York Times, il “profondo odio di Brzezinski contro l’Unione Sovietica” ha guidato molta della politica estera Americana, “nel bene e nel male“. Così scrive il Times:

Brzezinsky sostenne l’invio di miliardi [di dollari] di aiuto ai militanti islamici che combattevano contro l’invasione delle truppe sovietiche in Afghanistan. Incoraggiò tacitamente la Cina a continuare il suo sostegno a favore del regime di Pol Pot in Cambogia, nel timore che i vietnamiti, sostenuti dall’Unione Sovietica, prendessero il controllo del paese”.

Sebbene sia un progresso, da parte del New York Times, notare il sostegno di Brzezinski verso i militanti islamici, minimizzare gli effetti della sua aggressiva agenda di politica estera con una semplice frase non rende giustizia al vero orrore dietro le politiche di Brzezinski.

Dopo che un colpo di stato in Afghanistan, nel 1973, aveva istituito un nuovo governo laico favorevole ai sovietici, gli Stati Uniti si impegnarono a rovesciare questo nuovo governo organizzando una serie di tentativi di colpi di stato tramite i paesi lacché dell’America, il Pakistan e l’Iran (che a quel tempo era sotto il controllo dello Shah, sostenuto dagli USA). Nel luglio 1979 Brzezinski autorizzò ufficialmente il sostegno ai ribelli mujaheddin in Afghanistan, tramite il programma della CIA denominato “Operazione Ciclone”.

Molti oggi difendono la decisione dell’America di armare i mujaheddin in Afghanistan, perché credono che fosse necessario per difendere il paese, e l’intera regione, dall’aggressione sovietica. Tuttavia le stesse affermazioni di Brzesinski contraddicono in pieno questa giustificazione. In un’intervista del 1998, Brzesinski ammise che, nel condurre questa operazione, l’amministrazione Carter stava “consapevolmente aumentando la probabilità” che i sovietici intervenissero militarmente (suggerendo così che avessero iniziato ad armare le fazioni islamiste già prima dell’invasione sovietica, rendendo dunque la giustificazione superflua, perché non ci sarebbe stata, a quel tempo, alcuna invasione sovietica da respingere armando i guerrieri afghani della libertà). Brzezinski disse poi:

Pentirci di cosa? Quella operazione segreta fu un’idea eccellente. Ebbe l’effetto di attirare i russi nella trappola afghana e volete che me ne penta? Il giorno in cui i sovietici varcarono ufficialmente il confine afghano scrissi al Presidente Carter: ora abbiamo l’opportunità di dare all’URSS il suo Vietnam”.

Questa affermazione andava aldilà del semplice vanto di avere istigato una guerra e il collasso definitivo dell’Unione Sovietica. Nelle sue memorie, intitolate From the Shadows“, Robert Gates — ex direttore della CIA sotto Ronald Reagan e George H. W. Bush, e segretario alla difesa sia sotto George W. Bush che sotto Barack Obama — confermò direttamente che questa operazione segreta iniziò sei mesi prima dell’invasione sovietica, proprio con l’intento di attirare i sovietici in un pantano in stile vietnamita.

Brzezinski sapeva esattamente cosa stava facendo. I sovietici si impantanarono in Afghanistan per circa dieci anni, combattendo contro una riserva interminabile di armi fornite dagli americani e di combattenti addestrati dagli americani. A quel tempo i media si spinsero al punto di elogiare Osama Bin Laden — una delle figure più influenti dell’operazione segreta di Brzezinski. Sappiamo tutti come è andata a finire.

Perfino dopo la piena consapevolezza di ciò che era diventata la sua creazione finanziata dalla CIA, nel 1998 Brzezinski fece queste dichiarazioni ai suoi intervistatori:

Cos’è più importante per la storia del mondo? I Talebani o il crollo dell’impero sovietico? Un po’ di musulmani scalmanati o la liberazione dell’Europa Centrale e la fine della guerra fredda?”

L’intervistatore, allora, si rifiutò di lasciar passare questa risposta come se nulla fosse, e ribatté:

Un po’ di musulmani scalmanati? Ma è stato detto e ripetuto che il fondamentalismo islamico rappresenta una minaccia per il mondo moderno”.

Brzezinski troncò questa affermazione dicendo: “Nonsense!

Cose di questo genere succedevano quando i giornalisti facevano ancora domande pressanti ai funzionari di governo, cosa che oggi accade assai di rado.

Il sostegno di Brzezinski a questi elementi radicali portò direttamente alla formazione di al-Qaeda, che letteralmente significa “la base”, perché era in effetti la base da cui si lanciava la controffensiva contro l’invasione sovietica che si stava anticipando. Ciò portò anche alla creazione dei Talebani, la mortale creatura che oggi sta combattendo una battaglia all’ultimo sangue contro le forze NATO.

Inoltre, nonostante le affermazioni di Brzezinski, che cerca di far passare l’idea di una sconfitta definitiva dell’impero russo, la verità è che, per Brzezinski, la guerra fredda non è mai terminata. Sebbene sia stato critico riguardo all’invasione dell’Iraq nel 2003, Brzezinski ha mantenuto un forte controllo sulla politica estera americana fino al momento della sua morte.

Non è una coincidenza che, in Siria, l’amministrazione Obama abbia adottato una strategia del tipo “pantano afghano” contro un altro alleato della Russia: il regime di Assad. Un comunicato divulgato da Wikileaks, datato dicembre 2006 e firmato da William Roebuck, che a quel tempo era incaricato di affari presso l’ambasciata americana a Damasco, diceva:

Pensiamo che le debolezze di Bashar stiano nel modo in cui lui decide di reagire ai problemi incombenti, sia reali che percepiti, come ad esempio il conflitto tra le riforme economiche (per quanto limitate) e la forza radicata della corruzione, la questione curda, e la potenziale minaccia al regime da parte di una crescente presenza di estremisti islamisti. Questo comunicato riassume la nostra valutazione su queste vulnerabilità e suggerisce che ci possono essere delle azioni, delle affermazioni e dei segnali, da parte del governo degli Stati Uniti, che potrebbero aumentare la probabilità che queste potenzialità si verifichino“.

Un po’ come con l’Operazione Ciclone, sotto Barack Obama la CIA ha speso cir


È morto da pochi giorni Zbigniew Brzezinski, uno degli ispiratori della politica estera americana dai tempi della guerra russo-afghana fino al recente conflitto in Siria, uno dei più geniali e spietati ideatori della violenza imperialista statunitense. The AntiMedia ne riassume l’eredità: la costruzione metodica dell’estremismo islamico, di al-Qaeda, la destabilizzazione sistematica del Medio Oriente, l’induzione di uno stato di tensione continua contro la Russia.

 

di The AntiMedia, 27 maggio 2017

Zbigniew Brzezinski, ex consulente per la sicurezza nazionale del Presidente Jimmy Carter, è morto lo scorso venerdì in un ospedale della Virginia, all’età di 89 anni. Sebbene il New York Times ammetta che l’ex consulente del governo fosse un “falco della teoria strategica”, travisare la sua eredità come se fosse, per il resto, infinitamente positiva, non è così semplice come l’establishment vorrebbe credere.

Mentre il Regno Unito si destreggia con la “minaccia terroristica” ai più alti livelli, dopo un attacco devastante ispirato dall’ISIS — e mentre le Filippine entrano in uno stato di legge marzialequasi totale, dopo la devastazione ispirata dall’ISIS — la morte di Brzezinski giunge al momento giusto, come stimolo a una comprensione più profonda dell’origine del terrorismo moderno.

Come spiega il New York Times, il “profondo odio di Brzezinski contro l’Unione Sovietica” ha guidato molta della politica estera Americana, “nel bene e nel male“. Così scrive il Times:

Brzezinsky sostenne l’invio di miliardi [di dollari] di aiuto ai militanti islamici che combattevano contro l’invasione delle truppe sovietiche in Afghanistan. Incoraggiò tacitamente la Cina a continuare il suo sostegno a favore del regime di Pol Pot in Cambogia, nel timore che i vietnamiti, sostenuti dall’Unione Sovietica, prendessero il controllo del paese”.

Sebbene sia un progresso, da parte del New York Times, notare il sostegno di Brzezinski verso i militanti islamici, minimizzare gli effetti della sua aggressiva agenda di politica estera con una semplice frase non rende giustizia al vero orrore dietro le politiche di Brzezinski.

Dopo che un colpo di stato in Afghanistan, nel 1973, aveva istituito un nuovo governo laico favorevole ai sovietici, gli Stati Uniti si impegnarono a rovesciare questo nuovo governo organizzando una serie di tentativi di colpi di stato tramite i paesi lacché dell’America, il Pakistan e l’Iran (che a quel tempo era sotto il controllo dello Shah, sostenuto dagli USA). Nel luglio 1979 Brzezinski autorizzò ufficialmente il sostegno ai ribelli mujaheddin in Afghanistan, tramite il programma della CIA denominato “Operazione Ciclone”.

Molti oggi difendono la decisione dell’America di armare i mujaheddin in Afghanistan, perché credono che fosse necessario per difendere il paese, e l’intera regione, dall’aggressione sovietica. Tuttavia le stesse affermazioni di Brzesinski contraddicono in pieno questa giustificazione. In un’intervista del 1998, Brzesinski ammise che, nel condurre questa operazione, l’amministrazione Carter stava “consapevolmente aumentando la probabilità” che i sovietici intervenissero militarmente (suggerendo così che avessero iniziato ad armare le fazioni islamiste già prima dell’invasione sovietica, rendendo dunque la giustificazione superflua, perché non ci sarebbe stata, a quel tempo, alcuna invasione sovietica da respingere armando i guerrieri afghani della libertà). Brzezinski disse poi:

Pentirci di cosa? Quella operazione segreta fu un’idea eccellente. Ebbe l’effetto di attirare i russi nella trappola afghana e volete che me ne penta? Il giorno in cui i sovietici varcarono ufficialmente il confine afghano scrissi al Presidente Carter: ora abbiamo l’opportunità di dare all’URSS il suo Vietnam”.

Questa affermazione andava aldilà del semplice vanto di avere istigato una guerra e il collasso definitivo dell’Unione Sovietica. Nelle sue memorie, intitolate From the Shadows“, Robert Gates — ex direttore della CIA sotto Ronald Reagan e George H. W. Bush, e segretario alla difesa sia sotto George W. Bush che sotto Barack Obama — confermò direttamente che questa operazione segreta iniziò sei mesi prima dell’invasione sovietica, proprio con l’intento di attirare i sovietici in un pantano in stile vietnamita.

Brzezinski sapeva esattamente cosa stava facendo. I sovietici si impantanarono in Afghanistan per circa dieci anni, combattendo contro una riserva interminabile di armi fornite dagli americani e di combattenti addestrati dagli americani. A quel tempo i media si spinsero al punto di elogiare Osama Bin Laden — una delle figure più influenti dell’operazione segreta di Brzezinski. Sappiamo tutti come è andata a finire.

Perfino dopo la piena consapevolezza di ciò che era diventata la sua creazione finanziata dalla CIA, nel 1998 Brzezinski fece queste dichiarazioni ai suoi intervistatori:

Cos’è più importante per la storia del mondo? I Talebani o il crollo dell’impero sovietico? Un po’ di musulmani scalmanati o la liberazione dell’Europa Centrale e la fine della guerra fredda?”

L’intervistatore, allora, si rifiutò di lasciar passare questa risposta come se nulla fosse, e ribatté:

Un po’ di musulmani scalmanati? Ma è stato detto e ripetuto che il fondamentalismo islamico rappresenta una minaccia per il mondo moderno”.

Brzezinski troncò questa affermazione dicendo: “Nonsense!

Cose di questo genere succedevano quando i giornalisti facevano ancora domande pressanti ai funzionari di governo, cosa che oggi accade assai di rado.

Il sostegno di Brzezinski a questi elementi radicali portò direttamente alla formazione di al-Qaeda, che letteralmente significa “la base”, perché era in effetti la base da cui si lanciava la controffensiva contro l’invasione sovietica che si stava anticipando. Ciò portò anche alla creazione dei Talebani, la mortale creatura che oggi sta combattendo una battaglia all’ultimo sangue contro le forze NATO.

Inoltre, nonostante le affermazioni di Brzezinski, che cerca di far passare l’idea di una sconfitta definitiva dell’impero russo, la verità è che, per Brzezinski, la guerra fredda non è mai terminata. Sebbene sia stato critico riguardo all’invasione dell’Iraq nel 2003, Brzezinski ha mantenuto un forte controllo sulla politica estera americana fino al momento della sua morte.

Non è una coincidenza che, in Siria, l’amministrazione Obama abbia adottato una strategia del tipo “pantano afghano” contro un altro alleato della Russia: il regime di Assad. Un comunicato divulgato da Wikileaks, datato dicembre 2006 e firmato da William Roebuck, che a quel tempo era incaricato di affari presso l’ambasciata americana a Damasco, diceva:

Pensiamo che le debolezze di Bashar stiano nel modo in cui lui decide di reagire ai problemi incombenti, sia reali che percepiti, come ad esempio il conflitto tra le riforme economiche (per quanto limitate) e la forza radicata della corruzione, la questione curda, e la potenziale minaccia al regime da parte di una crescente presenza di estremisti islamisti. Questo comunicato riassume la nostra valutazione su queste vulnerabilità e suggerisce che ci possono essere delle azioni, delle affermazioni e dei segnali, da parte del governo degli Stati Uniti, che potrebbero aumentare la probabilità che queste potenzialità si verifichino“.

Un po’ come con l’Operazione Ciclone, sotto Barack Obama la CIA ha speso circa un miliardo di dollari all’anno per addestrare i ribelli siriani (affinché si impegnassero in tattiche terroristiche). La maggioranza di questi ribelli siriani condivide l’ideologia fondamentalista dell’ISIS e ha l’obiettivo esplicito di stabilire la legge della Sharia in Siria.

Proprio come in Afghanistan, la guerra in Siria ha coinvolto formalmente la Russia nel 2015, e l’eredità di Brzezinski è stata mantenuta viva attraverso gli avvertimenti di Obama al Presidente russo Vladimir Putin, che avrebbe spinto la Russia verso un altro pantano in stile afghano.

Da chi può aver acquisito, Obama, queste tecniche alla Brzezinski, gettando la Siria nell’orrore di sei anni di guerra e di nuovo trascinando una grossa potenza nucleare in un conflitto pieno di crimini di guerra e di crimini contro l’umanità?

Ecco la risposta: le ha acquisite da Brzezinski stesso. Secondo Obama, Brzezinski è stato un suo mentore personale, un “amico eccezionale”, dal quale ha imparato moltissimo. Alla luce di questo, c’è forse da sorprendersi che siano sorti così tanti conflitti dal nulla durante la presidenza Obama?

Il 7 febbraio 2014 la BBC ha pubblicato la trascrizione dell’intercettazione telefonica di una conversazione tra l’assistente segretaria di stato Victoria Nuland e l’ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt. In quella conversazione telefonica i rappresentanti stavano discutendo su chi avrebbero voluto piazzare al governo ucraino dopo il colpo di stato che aveva cacciato il presidente filorusso Viktor Yanukovych.

Ed ecco che Brzezinski stesso, nel suo libro del 1998, “Il Grande Scacchiere“, sosteneva la necessità di prendere il controllo dell’Ucraina, dicendo che l’Ucraina era “uno spazio nuovo e importante sulla scacchiera euroasiatica, un perno geopolitico, perché la sua stessa esistenza come nazione indipendente implicava che la Russia cessasse di essere un impero euroasiatico“. Brzezinski ammoniva contro l’eventualità di permettere alla Russia di prendere il controllo dell’Ucraina, perché “la Russia si riprenderebbe automaticamente i mezzi per tornare ad essere un potente stato imperiale, con influenze sia in Europa che in Asia“.

Dopo Obama, Donald Trump è salito in carica con tutta un’altra mentalità, con l’idea di lavorare con la Russia e con il governo siriano per combattere l’ISIS. Non c’è da sorprendersi che Brzezinski non abbia sostenuto la campagna di Trump per la presidenza, e abbia ritenuto che le idee di Trump sulla politica estera mancassero di coerenza.

Dopo tutto questo, l’anno scorso Brzezinski è sembrato aver cambiato posizione sugli affari globali, iniziando a sostenere un “riallineamento globale”, una redistribuzione del potere globale, alla luce del fatto che gli USA non erano più la grande potenza imperiale di un tempo. Tuttavia, Brzezinski sembrava ancora ritenere che, senza il ruolo di guida dell’America, il risultato sarebbe stato solo “il caos globale”. Pare perciò improbabile che il suo cambiamento di posizione fosse fondato su un cambiamento reale e significativo sullo scacchiere geopolitico.

La stessa esistenza della CIA è fondata sull’idea di una minaccia russa, come è stato evidenziato dall’aggressione decisa da parte della stessa CIA contro l’amministrazione Trump non appena si è delineata una possibile distensione con l’ex Unione Sovietica.

Brzezinski è morto nella tranquillità del suo letto di ospedale, a differenza di milioni di civili sfollati e assassinati, risucchiati nel contorto gioco di scacchi geopolitico di Brzezinski, fatto di sangue e follia. La sua eredità è la militanza jihadista, la formazione di al-Quaeda, il più devastante attacco su suolo americano che sia mai stato fatto da un’entità straniera nella storia recente, e la demonizzazione della Russia come eterno avversario, con il quale la pace non si può e non si deve fare.

 

ca un miliardo di dollari all’anno per addestrare i ribelli siriani (affinché si impegnassero in tattiche terroristiche). La maggioranza di questi ribelli siriani condivide l’ideologia fondamentalista dell’ISIS e ha l’obiettivo esplicito di stabilire la legge della Sharia in Siria.

Proprio come in Afghanistan, la guerra in Siria ha coinvolto formalmente la Russia nel 2015, e l’eredità di Brzezinski è stata mantenuta viva attraverso gli 


Roma, venerdì 16 giugno 2017
alle ore 17:00 presso la Casa della Memoria e della Storia – Via S. Francesco di Sales, 5

A.N.P.I. Provinciale di Roma
A.N.P.I. Sezione “Aurelio Del Gobbo” di Marino
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS

invitano alla proiezione del film serbo

SETTE DELLA DRINA

La storia dei 7 italiani che combatterono per la libertà della Serbia

del regista Nikola Lorencin

Esso narra la storia dei sette italiani che, ispirati da ideali garibaldini e internazionalisti, partirono volontari nel 1914, prima ancora dell'entrata in guerra dell'Italia, per combattere per la libertà della Serbia. Di loro, cinque caddero praticamente subito in combattimento, nella remota località di Babina Glava presso il fiume Drina...

Saluti:
Fabrizio De Sanctis, Presidente ANPI Provinciale di Roma
Interventi:
Ugo Onorati, membro del direttivo della sezione ANPI di Marino - “Eroi in camicia rossa
Andrea Martocchia, rappresentante del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS - “Il Risorgimento Serbo e Jugoslavo visto dall’Italia
Mirjana Jovanović-Pisani, giornalista e traduttrice serba

Alla presenza della Console della Repubblica di Serbia, Ljiljana Zarubica, e dell'Incaricata d'affari dell'Ambasciata signora Tatjana Garčević.


si veda anche la nostra pagina dedicata a questa vicenda e al film di Lorencin: https://www.cnj.it/documentazione/varie_storia/garibaldinci.htm



Le vittime del pogrom di Odessa, 2014

Vediamo i lenzuoli sui corpi di decine di persone, nelle videoriprese di Odessa, in Ucraina. Lì è in atto un pogrom antirusso in pieno XXI secolo, con lancio di molotov, granate artigianali, assedi, bastonature.


Manlio Dinucci
BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI 

PARTI 1... 5 (CONTINUA). Fonti:https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/19855724
https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/19926482 
https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/19990202
https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/20047091

===

Si vedano anche:

– il libro di Manlio Dinucci
L’arte della guerra. Analisi della strategia USA/NATO (1990-2015)
Prefazione di Alex Zanotelli. Nota redazionale di Jean Toschi Marazzani Visconti
Zambon editore, 2015, pp. 550, euro 18,00
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8419

– la serie di Manlio Dinucci del 2014-2015 sul riorientamento strategico della Nato dopo la guerra fredda:
Prima parte: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8200 
Seconda e terza parte: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8208 
Quarta e quinta parte: https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8225

Sulla storia della NATO ben prima del 1991 segnaliamo: 

LA NATO. IL NEMICO IN CASA (1968)
Regia: Giuseppe Ferrara. Casa di produzione: Pci. Sezione stampa e propaganda
Abstract: Il documentario, realizzato interamente con materiali di repertorio, è una ricostruzione degli eventi che precedettero la firma del Patto Atlantico e degli avvenimenti spesso drammatici che si sono succeduti in Italia e nel mondo. Le lotte popolari in difesa della pace e per l'indipendenza nazionale, i conflitti armati determinati in diversi paesi dalla politica aggressiva dell'imperialismo americano
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=bfPSPelQAqw

===


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 1) 

Manlio Dinucci

La Nato, fondata il 4 aprile 1949, comprende durante la guerra fredda sedici paesi: Stati Uniti, Canada, Belgio, Danimarca, Francia, Repubblica federale tedesca, Gran Bretagna, Grecia, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Turchia. Attraverso questa alleanza, gli Stati Uniti mantengono il loro dominio sugli alleati europei, usando l’Europa come prima linea nel confronto, anche nucleare, col Patto di Varsavia. Questo, fondato il 14 maggio 1955 (sei anni dopo la Nato), comprende Unione Sovietica, Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Repubblica democratica tedesca, Romania, Ungheria, Albania (dal 1955 al 1968). 

DALLA GUERRA FREDDA AL DOPO GUERRA FREDDA
Nel 1989 avviene il «crollo del Muro di Berlino»: è l’inizio della riunificazione tedesca che si realizza quando, nel 1990, la Repubblica Democratica si dissolve aderendo alla Repubblica Federale di Germania. Nel 1991 si dissolve il Patto di Varsavia: i paesi dell’Europa centro-orientale che ne facevano parte non sono ora più alleati dell’Urss. Nello stesso anno, si dissolve la stessa Unione Sovietica: al posto di un unico Stato se ne formano quindici. 
La scomparsa dell’Urss e del suo blocco di alleanze crea, nella regione europea e centro-asiatica, una situazione geopolitica interamente nuova. Contemporaneamente, la disgregazione dell’Urss e la profonda crisi politica ed economica che investe la Russia segnano la fine della superpotenza in grado di rivaleggiare con quella statunitense.
La guerra del Golfo del 1991 è la prima guerra che, nel periodo successivo al secondo conflitto mondiale, Washington non motiva con la necessità di arginare la minacciosa avanzata del comunismo, giustificazione alla base di tutti i precedenti interventi militari statunitensi nel «terzo mondo», dalla guerra di Corea a quella del Vietnam, dall'invasione di Grenada all'operazione contro il Nicaragua. Con questa guerra gli Stati Uniti rafforzano la loro presenza militare e influenza politica nell’area strategica del Golfo, dove si concentra gran parte delle riserve petrolifere mondiali. 
Allo stesso tempo Washington lancia ad avversari, ex avversari e alleati un inequivocabile messaggio. Esso è contenuto nella National Security Strategy of the United States (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti), il documento con cui la Casa Bianca enuncia, nell’agosto 1991, la nuova strategia.  
«Nonostante l'emergere di nuovi centri di potere – sottolinea il documento a firma del presidente – gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Negli anni Novanta, così come per gran parte di questo secolo, non esiste alcun sostituto alla leadership americana». 
Sei mesi dopo la direttiva presidenziale, un documento proveniente dal Pentagono -- Defense Planning Guidance for the Fiscal Years 1994-1999 (Guida alla pianificazione della Difesa per gli anni fiscali 1994-1999), filtrato attraverso il New York Times nel marzo 1992 -- chiarisce ciò che nella direttiva presidenziale doveva restare necessariamente implicito: il fatto che, per esercitare la loro leadership globale, gli Stati Uniti devono impedire che altre potenze, compresi i vecchi e i nuovi alleati, possano divenire competitive: «Il nostro primo obiettivo è impedire il riemergere di un nuovo rivale, o sul territorio dell'ex Unione Sovietica o altrove, che ponga una minaccia nell'ordine di quella posta precedentemente dall'Unione Sovietica. Dobbiamo impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione le cui risorse sarebbero sufficienti, se controllate strettamente, a generare una potenza globale. Queste regioni comprendono l'Europa occidentale, l'Asia orientale, il territorio dell'ex Unione Sovietica, e l'Asia sud-occidentale. 
In tale quadro, sottolinea il documento, «è di fondamentale importanza preservare la Nato quale principale strumento della difesa e della sicurezza occidentali, così pure quale canale dell'influenza e della partecipazione statunitensi negli affari della sicurezza europea. Mentre gli Stati Uniti sostengono l'obiettivo dell'integrazione europea, essi devono cercare di impedire la creazione di dispositivi di sicurezza unicamente europei, che minerebbero la Nato, in particolare la struttura di comando dell'Alleanza», ossia il comando Usa. 

IL NUOVO CONCETTO STRATEGICO DELLA NATO
Mentre riorientano la propria strategia, gli Stati Uniti premono sulla Nato perché faccia altrettanto. Per loro è della massima urgenza ridefinire non solo la strategia, ma il ruolo stesso dell’Alleanza atlantica. Con la fine della guerra fredda e il dissolvimento del Patto di Varsavia e della stessa Unione Sovietica, viene infatti meno la motivazione della «minaccia sovietica» che ha tenuto finora coesa la Nato sotto l’indiscussa leadership statunitense: vi è quindi il pericolo che gli alleati europei facciano scelte divergenti o addirittura ritengano inutile la Nato nella nuova situazione geopolitica creatasi nella regione europea. 
Il 7 novembre 1991 (dopo la prima guerra del Golfo, a cui la Nato ha partecipato non ufficialmente in quanto tale, ma con sue forze e strutture), i capi di stato e di governo dei sedici paesi della Nato, riuniti a Roma nel Consiglio atlantico, varano «Il nuovo concetto strategico dell'Alleanza». «Contrariamente alla predominante minaccia del passato – afferma il documento – i rischi che permangono per la sicurezza dell'Alleanza sono di natura multiforme e multidirezionali, cosa che li rende difficili da prevedere e valutare. Le tensioni potrebbero portare a crisi dannose per la stabilità europea e perfino a conflitti armati, che potrebbero coinvolgere potenze esterne o espandersi sin dentro i paesi della Nato». Di fronte a questi e altri rischi, «la dimensione militare della nostra Alleanza resta un fattore essenziale, ma il fatto nuovo è che sarà più che mai al servizio di un concetto ampio di sicurezza». Definendo il concetto di sicurezza come qualcosa che non è circoscritto all’area nord-atlantica, si comincia a delineare la «Grande Nato». 


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 2) 

Manlio Dinucci

L’INTERVENTO NATO NELLA CRISI BALCANICA 
Il «nuovo concetto strategico» della Nato viene messo in pratica nei Balcani, dove la crisi della Federazione Jugoslava, dovuta ai contrasti tra i gruppi di potere e alle spinte centrifughe delle repubbliche, ha raggiunto il punto di rottura. 
Nel novembre 1990, il Congresso degli Stati Uniti approva il finanziamento diretto di tutte le nuove formazioni «democratiche» della Jugoslavia, incoraggiando così le tendenze secessioniste. In dicembre, il parlamento della Repubblica croata, controllato dal partito di Franjo Tudjman, emana una nuova costituzione in base alla quale la Croazia è «patria dei croati» (non più dei croati e dei serbi, popoli costituenti della repubblica) ed è sovrana sul suo territorio. Sei mesi dopo, nel giugno 1991, oltre alla Croazia, anche la Slovenia proclama la propria indipendenza. Subito dopo, scoppiano scontri tra l’esercito federale e gli indipendentisti. In ottobre, in Croazia, il governo Tudjman espelle oltre 25mila serbi dalla Slavonia, mentre sue milizie occupano Vukovar. L’esercito federale risponde, bombardando e occupando la città. La guerra civile comincia a estendersi, ma potrebbe ancora essere fermata. 
La via che viene imboccata è invece diametralmente opposta: la Germania, impegnata a estendere la sua influenza economica e politica nella regione balcanica, nel dicembre 1991 riconosce unilateralmente Croazia e Slovenia quali stati indipendenti. Come conseguenza, il giorno dopo i serbi di Croazia proclamano a loro volta l’autodeterminazione, costituendo la Repubblica serba della Krajna. Nel gennaio 1992 l’Europa dei dodici riconosce, oltre alla Croazia, anche la Slovenia. A questo punto si incendia anche la Bosnia-Erzegovina che, in piccolo, rappresenta l’intera gamma dei nodi etnici e religiosi della Federazione Jugoslava. 
I caschi blu dell’Onu, inviati in Bosnia come forza di interposizione tra le fazioni in lotta, vengono volutamente lasciati in numero insufficiente, senza mezzi adeguati e senza precise direttive, finendo col divenire ostaggi nel mezzo dei combattimenti. Tutto concorre a dimostrare il «fallimento dell’Onu» e la necessità che sia la Nato a prendere in mano la situazione. Nel luglio 1992 la Nato lancia la prima operazione di «risposta alla crisi», per imporre l’embargo alla Jugoslavia. 
Nel febbraio 1994, aerei Nato abbattono aerei serbo-bosniaci che violano lo spazio aereo interdetto sulla Bosnia. E’ la prima azione di guerra dalla fondazione dell’Alleanza. Con essa la Nato viola l’art. 5 della sua stessa carta costitutiva, poiché l’azione bellica non è motivata dall’attacco a un membro dell’Alleanza ed è effettuata fuori dalla sua area geografica. 

LA GUERRA CONTRO LA JUGOSLAVIA 
Spento l’incendio in Bosnia (dove il fuoco resta sotto la cenere della divisione in stati etnici), i pompieri della Nato corrono a gettare benzina sul focolaio del Kosovo, dove è in corso da anni una rivendicazione di indipendenza da parte della maggioranza albanese. Attraverso canali sotterranei in gran parte gestiti dalla Cia, un fiume di armi e finanziamenti, tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999, va ad alimentare l’Uck (Esercito di liberazione del Kosovo), braccio armato del movimento separatista kosovaro-albanese. Agenti della Cia dichiareranno successivamente di essere entrati in Kosovo nel 1998 e 1999, in veste di osservatori dell’Osce incaricati di verificare il «cessate il fuoco», fornendo all’Uck manuali statunitensi di addestramento militare e telefoni satellitari, così che i comandanti della guerriglia potessero stare in contatto con la Nato e Washington. L’Uck può così scatenare un’offensiva contro le truppe federali e i civili serbi, con centinaia di attentati e rapimenti.
Mentre gli scontri tra le forze jugoslave e quelle dell’Uck provocano vittime da ambo le parti, una potente campagna politico-mediatica prepara l’opinione pubblica internazionale all’intervento della Nato, presentato come l’unico modo per fermare la «pulizia etnica» serba in Kosovo. Bersaglio prioritario è il presidente della Jugoslavia, Slobodan Milosevic, accusato di «crimini contro l’umanità» per le operazioni di «pulizia etnica». 
La guerra, denominata «Operazione forza alleata», inizia il 24 marzo 1999. Mentre gli aerei di Stati Uniti e altri paesi della Nato sganciano le prime bombe sulla Serbia e il Kosovo, il presidente democratico Clinton annuncia: «Alla fine del XX secolo, dopo due guerre mondiali e una guerra fredda, noi e i nostri alleati abbiamo la possibilità di lasciare ai nostri figli un’Europa libera, pacifica e stabile». Determinante, nella guerra, è il ruolo dell’Italia: il governo D’Alema mette il territorio italiano, in particolare gli aeroporti, a completa disposizione delle forze armate degli Stati Uniti e altri paesi, per attuare quello che il presidente del consiglio definisce «il diritto d’ingerenza umanitaria». 
Per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane, 1100 aerei effettuano 38 mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili. Il 75 per cento degli aerei e il 90 per cento delle bombe e dei missili vengono forniti dagli Stati Uniti. Statunitense è anche la rete di comunicazione, comando, controllo e intelligence attraverso cui vengono condotte le operazioni: «Dei 2000 obiettivi colpiti in Serbia dagli aerei della Nato – documenta successivamente il Pentagono – 1999 sono stati scelti dall’intelligence statunitense e solo uno dagli europei». 
Sistematicamente i bombardamenti smantellano le strutture e infrastrutture della Serbia, provocando vittime soprattutto tra i civili. I danni che ne derivano per la salute e l’ambiente sono inquantificabili. Solo dalla raffineria di Pancevo fuoriescono, a causa dei bombardamenti, migliaia di tonnellate di sostanze chimiche altamente tossiche (compresi diossina e mercurio). Altri danni vengono provocati dal massiccio impiego da parte della Nato, in Serbia e Kosovo, di proiettili a uranio impoverito, già usati nella guerra del Golfo. 
Ai bombardamenti partecipano anche 54 aerei italiani, che compiono 1378 sortite, attaccando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. «Per numero di aerei siamo stati secondi solo agli Usa. L’Italia è un grande paese e non ci si deve stupire dell’impegno dimostrato in questa guerra», dichiara il presidente del consiglio D’Alema durante la visita compiuta il 10 giugno 1999 alla base di Amendola, sottolineando che, per i piloti che vi hanno partecipato, è stata «una grande esperienza umana e professionale».
Il 10 giugno 1999, le truppe della Federazione iugoslava cominciano a ritirarsi dal Kosovo e la Nato mette fine ai bombardamenti. La risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu dispone che la presenza internazionale deve avere una «sostanziale partecipazione della Nato» ed essere dispiegata «sotto controllo e comando unificati». A chi spetti il comando lo chiaritsce il presidente Clinton, sottolineando che l’accordo sul Kosovo prevede «lo spiegamento di una forza internazionale di sicurezza con la Nato come nucleo, il che significa una catena di comando unificata della Nato». «Oggi la Nato affronta la sua nuova missione: quella di governare», commenta The Washington Post. 
Finita la guerra, vengono inviati in Kosovo dagli Stati Uniti oltre 60 agenti dell’Fbi, ma non vengono trovate tracce di eccidi tali da giustificare l’accusa, fatta ai serbi, di «pulizia etnica». Slobodan Milosevic, condannato a 40 anni di reclusione dalla Corte Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia, muore dopo cinque anni di carcere. La stessa corte lo scagiona, nel 2016, dall’accusa di «pulizia etnica».  
Il Kosovo, dove gli Usa installano una grande base militare (Camp Bondsteel), diviene una sorta di protettorato della Nato. Contemporaneamente, sotto la copertura della «Forza di pace», l’ex Uck al potere terrorizza ed espelle oltre 250 mila serbi, rom, ebrei e albanesi «collaborazionisti». Nel 2008, con l’autoproclamazione del Kosovo quale Stato indipendente, viene ultimata la demolizione della Federazione Jugoslava. 


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 3) 

Manlio Dinucci

IL SUPERAMENTO DELL’ARTICOLO 5 E LA CONFERMA DELLA LEADERSHIP USA
Mentre è in corso la guerra contro la Jugoslavia, viene convocato a Washington, il 23-25 aprile 1999, il vertice che ufficializza la trasformazione della Nato in «una nuova Alleanza più grande, più flessibile, capace di intraprendere nuove missioni, incluse le operazioni di risposta alle crisi». 
Da alleanza che, in base all’articolo 5 del Trattato del 4 aprile 1949, impegna i paesi membri ad assistere anche con la forza armata il paese membro che sia attaccato nell’area nord-atlantica, essa viene trasformata in alleanza che, in base al «nuovo concetto strategico», impegna i paesi membri anche a «condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza». 
A scanso di equivoci, il presidente democratico Clinton spiega in una conferenza stampa che gli alleati nord-atlantici «riaffermano la loro prontezza ad affrontare conflitti regionali al di là del territorio della Nato». Alla domanda di quale sia l’area geografica in cui la Nato è pronta a intervenire, «il Presidente si rifiuta di specificare a quale distanza la Nato intende proiettare la propria forza, dicendo che non è questione di geografia». In altre parole, la Nato intende proiettare la propria forza militare al di fuori dei propri confini non solo in Europa, ma anche in altre regioni. 
Ciò che non cambia, nella mutazione della Nato, è la gerarchia all’interno dell’Alleanza. La Casa Bianca dice a chiare lettere che «noi manterremo in Europa circa 100 mila militari per contribuire alla stabilità regionale, sostenere i nostri vitali legami transatlantici e conservare la leadership degli Stati Uniti nella Nato». 
Ed è sempre il Presidente degli Stati Uniti a nominare il Comandante Supremo Alleato in Europa, che è sempre un generale o ammiraglio statunitense, e non gli alleati che si limitano a ratificare la scelta. Lo stesso avviene per gli altri comandi chiave dell’Alleanza.

LA SUBORDINAZIONE DELL’UNIONE EUROPEA ALLA NATO 
Il documento che impegna i paesi membri a operare al di fuori del territorio dell’Alleanza, sottoscritto dai leader europei il 24 aprile 1999 a Washington, ribadisce che la Nato «sostiene pienamente lo sviluppo dell’identità europea della difesa, all’interno dell’Alleanza». Il concetto è chiaro: l’Europa occidentale può avere una sua «identità della difesa», ma essa deve restare all’interno dell’Alleanza, ossia sotto comando Usa.
Viene così confermata e consolidata la subordinazione dell’Unione europea alla Nato. Il Trattato di Maastricht del 1992 stabilisce, all’articolo 42, che «l’Unione rispetta gli obblighi di alcuni Stati membri, i quali ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite la Nato, nell’ambito del Trattato del Nord Atlantico». Questo stabilisce, all’art. 8, che ciascuno Stato membro «si obbliga a non sottoscrivere alcun impegno internazionale in contrasto con questo Trattato». 
E a ulteriore conferma di quale sia il rapporto Nato-Ue, il protocollo n. 10 sulla cooperazione istituita dall’art. 42 sottolinea che la Nato «resta il fondamento della difesa» dell’Unione europea.

L’ADOZIONE DA PARTE DELL’ITALIA DI UN «NUOVO MODELLO DI DIFESA» CHE VIOLA L’ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE
Partecipando con le sue basi e le sue forze armate alla guerra contro la Jugoslavia, paese che non aveva compiuto alcuna azione aggressiva né contro l’Italia né contro altri membri della Nato, e impegnandosi a condurre operazioni non previste dall’articolo 5 al di fuori del territorio dell’Alleanza, l’Italia conferma di aver adottato una nuova politica militare e, contestualmente, una nuova politica estera. Questa, usando come strumento la forza militare, viola il principio costituzionale, affermato dall’Articolo 11, che «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
È il cosiddetto «nuovo modello di difesa» adottato dall’Italia, sulla scia del riorientamento strategico Usa, quando con il sesto governo Andreotti essa partecipa alla guerra del Golfo: i Tornado dell’aeronautica italiana effettuano 226 sortite per complessive 589 ore di volo, bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. E’ la prima guerra a cui partecipa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11, uno dei principi fondamentali della propria Costituzione.
Subito dopo la guerra del Golfo, durante il settimo governo Andreotti, il Ministero della difesa pubblica, nell'ottobre 1991, il rapporto Modello di Difesa / Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni '90. Il documento riconfigura la collocazione geostrategica dell'Italia, definendola «elemento centrale dell'area geostrategica che si estende unitariamente dallo Stretto di Gibilterra fino al Mar Nero, collegandosi, attraverso Suez, col Mar Rosso, il Corno d'Africa e il Golfo Persico». Considerata la «significativa vulnerabilità strategica dell'Italia» soprattutto per l'approvvigionamento petrolifero, «gli obiettivi permanenti della politica di sicurezza italiana si configurano nella tutela degli interessi nazionali, nell'accezione più vasta di tali termini, ovunque sia necessario», in particolare di quegli interessi che «direttamente incidono sul sistema economico e sullo sviluppo del sistema produttivo, in quanto condizione indispensabile per la conservazione e il progresso dell'attuale assetto politico e sociale della nazione». 
Nel 1993 – mentre l’Italia sta partecipando all’operazione militare lanciata dagli Usa in Somalia, e al governo Amato subentra quello Ciampi – lo Stato maggiore della difesa dichiara che «occorre essere pronti a proiettarsi a lungo raggio» per difendere ovunque gli «interessi vitali», al fine di «garantire il progresso e il benessere nazionale mantenendo la disponibilità delle fonti e vie di rifornimento dei prodotti energetici e strategici». 
Nel 1995, durante il governo Dini, lo stato maggiore della difesa fa un ulteriore passo avanti, affermando che «la funzione delle forze armate trascende lo stretto ambito militare per assurgere anche a misura dello status e del ruolo del paese nel contesto internazionale». 
Nel 1996, durante il governo Prodi, tale concetto viene ulteriormente sviluppato nella 47a sessione del Centro alti studi della difesa. «La politica della difesa – afferma il generale Angioni – diventa uno strumento della politica della sicurezza e, quindi, della politica estera». 
Questa politica anticostituzionale, introdotta attraverso decisioni apparentemente tecniche, viene di fatto istituzionalizzata passando sulla testa di un parlamento che, in stragrande maggioranza, se ne disinteressa o non sa neppure che cosa precisamente stia avvenendo. 


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 4) 

Manlio Dinucci

L’ESPANSIONE DELLA NATO AD EST VERSO LA RUSSIA
Nello stesso anno – il 1999 – in cui lancia la guerra contro la Jugoslavia e annuncia di voler «condurre operazioni di risposta alle crisi, non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza», la Nato inizia la sua espnasione ad Est. Essa ingloba i primi tre paesi dell’ex Patto di Varsavia: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria. 
Quindi, nel 2004, si estende ad altri sette: Estonia, Lettonia, Lituania (già parte dell’Urss); Bulgaria, Romania, Slovacchia (già parte del Patto di Varsavia); Slovenia (già parte della Federazione Jugoslava). Al vertice di Bucarest, nell’aprile 2008, viene deciso l’ingresso per l’anno seguente di Albania (un tempo membro del Patto di Varsavia) e Croazia (già parte della Federazione Jugoslava).
Facendoli entrare nella Nato, Washington lega questi paesi non tanto all’Alleanza, quanto direttamente agli Usa. Romania e Bulgaria mettono subito a disposizione degli Stati Uniti le importanti basi militari di Costanza e Burgas sul Mar Nero. 
La Repubblica Ceca garantisce la disponibilità del suo territorio per la dislocazione di rampe missilistiche dello «scudo antimissili» Usa. 
La Lituania, ancor prima di entrare nella Nato, comincia ad acquistare armamenti statunitensi, a partire da 60 missili Stinger per un valore di oltre 30 milioni di dollari. 
La Polonia acquista nel 2002 48 caccia F-16 della statunitense Lockeed Martin e, per pagarli, usa un prestito statunitense di quasi 5 miliardi di dollari (con interessi non solo finanziari ma politici).  
La Bulgaria procede, su direttiva di Washington, a una drastica epurazione delle forze armate, espellendo migliaia di ufficiali (ritenuti non del tutto affidabili) per sostituirli con oltre 2 mila giovani e fidati ufficiali, formati da istruttori statunitensi e in grado di parlare un ottimo inglese, anzi americano. 
In tal modo gli Stati Uniti rafforzano ulteriormente la loro influenza in Europa. Sui dieci paesi dell’Europa centro-orientale che entrano nella Nato tra il 1999 e il 2004, sette entrano nell’Unione europea tra il 2004 e il 2007: all’Unione europea che si allarga a Est, gli Stati Uniti sovrappongono la Nato che si allarga a Est sull’Europa. Quale sia il reale scopo dell’operazione lo rivelano funzionari del Pentagono: i dieci paesi dell’Europa centro-orientale entrati nella Nato – essi dichiarano nel febbraio 2003 – «stanno prendendo rilevanti posizioni filo-Usa, riducendo efficacemente l’influenza delle potenze della vecchia Europa, come la Germania e la Francia». 
Si rivela così, chiaramente, il disegno strategico di Washington: far leva sui nuovi membri dell’Est, per stabilire nella Nato rapporti di forza ancora più favorevoli agli Stati Uniti, così da isolare la «vecchia Europa» che potrebbe un giorno rendersi autonoma. 
L’espansione a Est della Nato ha, oltre a queste, altre implicazioni. Inglobando non solo i paesi dell’ex Patto di Varsavia ma anche le tre repubbliche baltiche un tempo facenti parte dell’Urss, la Nato arriva fino ai confini della Federazione Russa. Nonostante le assicurazioni di Washington sulle intenzioni pacifiche della Nato, ciò costituisce una minaccia, anche nucleare, verso la Russia.  
Per tranquillizzare la Russia, la Nato afferma di «non avere intenzione, né piani, di schierare armi nucleari sul territorio dei nuovi membri» dell’Europa centro-orientale. Quanto valga tale impegno, lo dimostra il fatto che la Nato, dopo aver promesso solennemente di non mantenere unità da combattimento sul territorio dei paesi dell’Europa centro-orientale in procinto di entrare o entrati nell’Alleanza, subito dopo usa la base aerea ungherese di Taszar quale principale centro logistico delle forze statunitensi operanti nei Balcani. 
L’impegno a non schierare armi nucleari nei paesi dell’Europa centro-orientale viene smentito dal fatto che, tra le armi nucleari mantenute dagli Stati Uniti in Europa nel quadro della Nato, vi sono «bombe nucleari per aerei a duplice capacità». Poiché aerei di questo tipo, come gli F-16 della U.S. Air Force e i 48 acquistati dalla Polonia, operano nei paesi dell’Europa centro-orientale entrati nella Nato, la loro presenza in queste basi avanzate costituisce una potenziale minaccia nucleare nei confronti della Russia. 


BREVE STORIA DELLA NATO DAL 1991 AD OGGI (PARTE 5)

Manlio Dinucci

AFGHANISTAN: LA PRIMA GUERRA DELLA NATO AL DI FUORI DELL’AREA EURO-ATLANTICA 
Il reale motivo dell’intervento Usa/Nato in Afghanistan non è la sua liberazione dai taleban, che erano stati addestrati e armati in Pakistan in una operazione diretta dalla Cia per conquistare il potere a Kabul, ma l’occupazione di quest’area di primaria importanza strategica per gli Stati Uniti. 
L’Afghanistan è al crocevia tra Medio Oriente, Asia centrale, meridionale e orientale. In quest’area (nel Golfo e nel Caspio) si trovano le maggiori riserve petrolifere del mondo. Si trovano tre grandi potenze – Cina, Russia e India – la cui forza sta crescendo e influendo sugli assetti globali. Come aveva avvertito il Pentagono nel rapporto del 30 settembre 2001, «esiste la possibilità che emerga in Asia un rivale militare con una formidabile base di risorse». 
La decisione di dislocare forze in Afghanistan, quale primo passo per estendere la presenza militare statunitense nell’Asia centrale, viene presa a Washington non dopo l’11 settembre 2001, ma prima. Lo rivelano attendibili fonti, secondo le quali «il presidente Bush, due giorni prima dell’11 settembre, era in procinto di firmare un piano dettagliato che prevedeva operazioni militari in Afghanistan» (NBC News, 16 maggio 2002): era già dunque sul tavolo del presidente, prima dell’attacco terroristico che ufficialmente motiva la guerra in Afghanistan, «il piano di guerra che la Casa Bianca, la Cia e il Pentagono hanno messo in atto dopo l’11 settembre». 
Nel periodo precedente l’11 settembre 2001, vi sono in Asia forti segnali di un riavvicinamento tra Cina e Russia, che si concretizzano quando, il 17 luglio 2001, i presidenti Jang Zemin e Vladimir Putin firmano a Mosca il «Trattato di buon vicinato e amichevole cooperazione», definito una «pietra miliare» nelle relazioni tra i due paesi. Pur senza dichiararlo, Washington considera il riavvicinamento tra Cina e Russia una sfida agli interessi statunitensi in Asia, nel momento critico in cui gli Stati Uniti cercano di occupare, prima di altri, il vuoto che la digregazione dell’Urss ha lasciato in Asia centrale. Una posizione geostrategica chiave per il controllo di quest’area è quella dell’Afghanistan. 
Con la motivazione ufficiale di dare la caccia a Osama bin Laden, indicato come mandante degli attacchi dell’11 settembre a New York e Washington, la guerra inizia il 7 ottobre 2001 con il bombardamento dell’Afghanistan effettuato dall’aviazione statunitense e britannica. Precedentemente vengono infiltrate in territorio afghano forze speciali con il compito di preparare l’attacco insieme all’Alleanza del nord e altre formazioni anti-talebane. Sotto i massicci bombardamenti e l’offensiva terrestre dell’Alleanza del nord, le forze talebane, cui si affiancano volontari provenienti dal Pakistan e altri paesi, sono costrette ad abbandonare Kabul il 13 novembre.
A questo punto il Consiglio di sicurezza dell’Onu autorizza, con la risoluzione 1386 del 20 dicembre 2001, la costituzione dell’Isaf (Forza internazionale di assistenza alla sicurezza). Suo compito è quello di assistere l’autorità ad interim afghana a Kabul e dintorni. Secondo l’art. VII della Carta delle Nazioni unite, l'impiego delle forze armate messe a disposizione da membri dell’Onu per tali missioni deve essere stabilito dal Consiglio di sicurezza coadiuvato dal Comitato di stato maggiore, composto dai capi di stato maggiore dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza. Anche se tale comitato non esiste, l’Isaf resta fino all’agosto 2003 una missione Onu, la cui direzione viene affidata in successione a Gran Bretagna, Turchia, Germania e Olanda. 
Ma improvvisamente, l’11 agosto 2003, la Nato annuncia di aver «assunto il ruolo di leadership dell’Isaf, forza con mandato Onu». E’ un vero e proprio colpo di mano: nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza autorizza la Nato ad assumere la leadership, ossia il comando, dell’Isaf. Solo a cose fatte, nella risoluzione 1659 del 15 febbraio 2006, il Consiglio di sicurezza «riconosce il continuo impegno della Nato nel dirigere l’Isaf».
A guidare la missione, dall’11 agosto 2003, non è più l’Onu ma la Nato: il quartier generale Isaf viene infatti inserito nella catena di comando della Nato, che sceglie di volta in volta i generali da mettere a capo dell’Isaf. Come sottolinea un comunicato ufficiale, «la Nato ha assunto il comando e il coordinamento dell’Isaf nell’agosto 2003: questa è la prima missione al di fuori dell’area euro-atlantica nella storia della Nato». La missione Isaf viene quindi inserita nella catena di comando del Pentagono. Nella stessa catena di comando sono inseriti i militari italiani assegnati all’Isaf, insieme a elicotteri e aerei, compresi i cacciabombardieri Tornado. 


(CONTINUA)




Venezuela: da dove vengono le "fake news" e perché

1) Da "La Stampa" al "Fatto Quotidiano", ecco a voi il letame della stampa italiana (LINKS)
2) Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti finanzia media e giornalisti stranieri in funzione dei suoi piani d'intervento (Misión Verdad)
3) Amnesty International e il Venezuela: una lettera critica al portavoce italiano Riccardo Noury (di Adolfo Perez Esquivel e altri firmatari)
4) Venezuela. I consiglieri di Soros indicano la strada per il rovesciamento di Maduro (di Sergio Cararo)
5) COME FUNZIONANO LE “RIVOLUZIONI COLORATE”, DALL’EGITTO AL VENEZUELA. Gli inizi in Serbia... (Natalia Viana, 2012)


Si vedano anche:

Tutti gli articoli de L'ANTIDIPLOMATICO sul Venezuela
http://www.lantidiplomatico.it/argnews-Venezuela/58/

Chi c’è dietro il colpo di Stato contro il Venezuela? (Misión Verdad, TeleSUR 27 aprile 2017 – Global Research)
Creare un’immagine distorta della crisi umanitaria è il punto di partenza. Tracciare l’immagine di un Paese sull’orlo del collasso è l’alibi
https://aurorasito.wordpress.com/2017/05/07/chi-ce-dietro-il-colpo-di-stato-contro-il-venezuela/

Premio Nobel della Pace Esquivel: "i grandi mezzi di comunicazione producono notizie false per il deterioramento del Venezuela" (Telesur / L'Antidiplomatico, 1/5/2017)
... Per Esquivel, il Venezuela soffre una crisi imposta dagli Stati Uniti, che non vuole perdere il controllo continentale e cerca di impedire l'autodeterminazione dei popoli attraverso golpe morbidi...

Violenza e incitazione all’odio: così i siti dell'opposizione venezuelana preparno uno "scenario Ruanda" (di Geraldina Colotti, il Manifesto, 5 maggio 2017)
... non si tratta di manifestazioni pacifiche, come vorrebbe il racconto a senso unico dei media internazionali. Diversi leader di opposizione, mentre si fanno vedere in piazza a incitare gli incappucciati (Freddy Guevara)... basta farsi un giro tra i siti di opposizione per imbattersi nella rivendicazione piena di quel che sta avvenendo, con una cifra di violenza e di incitazione all’odio che ricorda in modo preoccupante quel che accadde in Ruanda nel 1994 e che portò al genocidio. Digitate per esempio su google «resistencia venezolana por la sexta Republica»...

Venezuela. Ex Generale dell'Aviazione: "Le violenze si sono trasformate in insurrezione armata su ordine del Comando del Sur (Usa)" (RT / L'Antidiplomatico, 05/05/2017)
... Per Izarra, l'azione di questi gruppi armati persegue "un piano del Comando Sur (degli Stati Uniti, ndr), che è quello che dirige le operazioni destabilizzatrici contro il Venezuela"...

"Purtroppo non ho avuto le risposte che mi aspettavo". Il video che prova la faziosità dei media contro il Venezuela (L'Antidiplomatico, 06/05/2017)
Javier Couso... euro-deputato di Izquierda Unida... ha letteralmente umiliato la faziosità e l'ignoranza dei media europei... E' il caso di questa giornalista di Deutsche Welle che si accanisce ai limiti dell'isteria per difendere le ragioni dell'estrema destra golpista venezuelana, come se ad essere minacciata fosse la sua stessa incolumità a Berlino...
QUI IL VIDEO: Eurodiputado de Izquierda Unida, Javier Couso Permuy, coloca en su lugar a periodista de DW TV (YVKE Radio Mundial Margarita, 4 mag 2017)

"Invitiamo a rispettare la nostra sovranità". Comunicato dell'Ambasciata del Venezuela in Italia (8/5/2017)

Venezuela: ONG finanziate da Washington per destabilizzare (Fabrizio Verde / L'Antidiplomatico, 11/05/2017)
... Già nel 2014, allorquando fu sviluppato il piano golpista ‘La Salida’ per cui Leopoldo Lopez sta scontando 13 anni di reclusione, la sola NED ha fornito alle ONG venezuelane ben 2 milioni 381 mila 824 dollari; mentre nel 2015, 1 milione 908 mila 087 dollari ; e nel 2016, 1 milione 611 mila 637 dollari...

Le sole due alternative per il Venezuela (Atilio Boron / marx21.it, 14/05/2017)
... Tutte queste proteste e i loro istigatori hanno un unico obiettivo: garantire la vittoria della controrivoluzione e restaurare il vecchio ordine pre-chavista attraverso il caos scientificamente programmato da gente come Eugene Sharp e altri consulenti della CIA che hanno scritto vari manuali di istruzione su come destabilizzare governi...

EE.UU. envía 5,5 mdd a Venezuela para financiar "democracia" (TeleSUR, 17 mayo 2017)
... El informe fiscal estadounidense de 2017 revela que Estados Unidos continúa financiando organizaciones en Venezuela, lo ha que sido denunciado por el Gobierno Bolivariano como un acto injerencista...
Venezuela. Ecco come gli Usa preparano l'invasione tramite la Colombia (di Geraldina Colotti / il Manifesto / L'Antidiplomatico, 19/05/2017)
... Il bilancio fiscale degli Stati uniti rivela che per “difendere le pratiche democratiche, istituzioni e valori che appoggiano i diritti umani”, gruppi e ong di opposizione (e giornalisti) hanno ricevuto 5,5 milioni di dollari nel 2017. Cifre che risultano alla pagina 96 del rapporto sul bilancio degl Congresso, Dipartimento di Stato, Operazioni straniere e Programmi annessi degli Stati uniti. Finanziamenti essenziali per acquistare e distribuire armi e il costosissimo equipaggiamento dei “guarimberos”. Per attrezzare un “pacifico manifestante” serve una cifra pari a oltre 20 salari operai...
Gli Usa inviano 5,5 milioni di dollari per "la democrazia" in Venezuela (L'Antidiplomatico, 19/05/2017)
... La cifra esatta emerge a pagina 96 del rapporto [ https://www.state.gov/documents/organization/252179.pdf ], come riporta Telesur....

Venezuela: il chavismo inonda le strade di Caracas (L'Antidiplomatico, 21/05/2017)
... Il popolo chavista in questo momento delicato scende in campo in massa per difendere le conquiste della Rivoluzione e impedire che l’opposizione possa imporre al paese un ritorno al nefasto neoliberismo che mise in ginocchio il paese...
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-venezuela_il_chavismo_inonda_le_strade_di_caracas/5694_20193/

Documento USA trapelato. La lista dei politici e artisti venezuelani pagati per attaccare il governo sulle reti sociali (L'Antidiplomatico, 22/05/2017)
Un documento trapelato del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti mette in evidenza il finanziamento che avrebbero ricevuto alcuni personaggi pubblici e politici venezuelani da parte del paese nord-americano...
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-documento_usa_trapelato_la_lista_dei_politici_e_artisti_venezuelani_pagati_per_attaccare_il_governo_sulle_reti_sociali/82_20207/

Venezuela. Perché è un vostro diritto pretendere che i fake media vi mostrino questo video (L'Antidiplomatico, 22/05/2017)
... Nel video potete osservare come paghino  i mercenari terroristi che durante la giornata incendiano ospedali, assediano edifici pubblici, danno fuoco a bus, tengono in ostaggio interi quartieri...
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-venezuela_perch__un_vostro_diritto_pretendere_che_i_fake_media_vi_mostrino_questo_video/82_20208/

Il rapporto che smonta tutte le fake news dei media mainstream sulle morti in Venezuela (L'Antidiplomatico, 24/05/2017)
Il ministro del Potere Popolare per la Comunicazione e l’Informazione Ernesto Villegas; Il ministro degli Esteri del Venezuela Delcy Rodríguez e il Segretario Esecutivo del Consiglio Nazionale per i Diritti Umani, Larry Devoe, hanno tenuto una conferenza stampa con i mezzi d’informazione nazionali e internazionali, presentando un rapporto sui 51 giorni di violenza provocati dai partiti estremisti dell’opposizione, che hanno causato la morte di 60 persone...

Fronte popolare antimperialista e antifascista (PCV / Resistenze.org, 25/05/2017)
... Si richiede urgentemente un'azione congiunta e il coordinamento tra le organizzazioni rivoluzionarie, le forze del movimento operaio e popolare e degli ufficiali patriottici delle Forze Armate Nazionali Bolivariane (FANB). E' necessario un Piano Unitario Patriottico e Popolare per sconfiggere la destra terrorista e l'imperialismo. Il contrario significherebbe agire irresponsabilmente. Il contrario, nella pratica, corrisponderebbe a una resa. Le vere e i veri rivoluzionari non si arrendono, ma combattono uniti fino alla vittoria...

Il Venezuela accusa il Parlamento europeo di alimentare la violenza (30/5/2017)

Venezuela: terrorista confessa di ricevere vestiti e denaro per gli atti vandalici (Fabrizio Verde / L'Antidiplomatico, 30/05/2017)
... Attraverso un video che circola sulle reti sociali, viene mostrato uno dei terroristi che tiene sotto scacco gli abitanti di Altamira e Bello Monte (Caracas) che riconosce di essere remunerato dall’estrema destra venezuelana...

Venezuela: la Russia «estremamente preoccupata» per gli attacchi degli oppositori a scuole ed ospedali (Fabrizio Verde / L'Antidiplomatico, 31/05/2017)
... questa la denuncia forte della portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, che in una conferenza stampa ha anche segnalato come Mosca sia «estremamente preoccupata perché scuole, ospedali e mezzi di trasporto sono bersaglio di attacchi». La portavoce del ministero russo ha inoltre denunciato i «casi di linciaggio» sofferti da sostenitori del governo Maduro per mano dei terroristi dell’opposizione...

Rapporto Nazioni Unite. Venezuela migliore in termini di uguaglianza sociale in America Latina, Colombia ultima (L'Antidiplomatico / TeleSUR, 31/05/2017)
Secondo i dati forniti da un nuovo rapporto della Commissione economica per l'America Latina e i Caraibi (CEPAL, commissione regionale delle Nazioni Unite con sede a Santiago del Cile), il Venezuela e l'Uruguay hanno le migliori percentuali in termini di distribuzione della ricchezza. Colombia e Guatemale sono le peggiori...


=== 1 ===

Da "La Stampa" al "Fatto Quotidiano", ecco a voi il letame della stampa italiana (LINKS)

Più realisti del Re. La Stampa di Torino sul Venezuela rilancia perfino le fake news smentite dall'opposizione (di Fabrizio Verde, L'Antidiplomatico, 30/04/2017)
... Il giornalista del quotidiano torinese afferma che il giovane studente è stato colpito da una bomba lacrimogena al petto. Una menzogna colossale smentita dal quotidiano di opposizione ‘El Nacional’ e dal sindaco del municipio di Chacao...

Il Fatto Quotidiano e il Venezuela: il giornale di Travaglio si conferma la migliore "sponda dell'interventismo"
(L'Antidiplomatico, 01/05/2017)
... La disinformazione parte gia dal titolo: «Venezuela, ingiusto Maduro: il dittatore senza qualità con la paranoia di Chavez»...

Travaglio e il Fatto Quotidiano: Cavallini dell'Impero (L'Antidiplomatico, 04/05/2017)
... L’ennesima ‘perla’ del quotidiano diretto da Marco Travaglio, è regalata dal blogger Massimo Cavallini. Al pari di quei 'corrispondenti' dei vari quotidiani italiani che vengono spacciati per inviati a Caracas mentre scrivono i loro articoli comodamente dagli Stati Uniti. ...

Venezuela. Quella visione di Washington che trapela da La Repubblica (Sergio Cararo, Contropiano, 5/5/2017)
... Uno speciale di ben otto pagine che sui rivela però una sorta di monologo del corrispondente del giornale: Omero Ciai. Nessuna intervista, nessun documento, nessun altro contributo. Insomma è totalmente assente quella articolazione informativa che, di solito, dà sostanza e interesse ad uno speciale coerente con questo il senso comune che si dà a queste forme di approfondimento. E’ solo un monologo di un corrispondente con una visione ben precisa di come si debba raccontare una realtà...

L'ultima incredibile "fake news" di Repubblica. Senza rispetto neanche dei morti (di Alessandro Bianchi, L'Antidiplomatico 5/5/2017)
Laura Boldrini in un recente Convegno alla Camera ha chiesto impegni concreti, non solo parole, contro le fake news che inquinano un nostro diritto fondamentale. Dobbiamo agire, dichiara la Boldrini. Bene agiamo...

Venezuela, l'incredibile foto bufala de la Stampa: le fake news non sono sul web, le pagate 1,50 in edicola! (L'Antidiplomatico, 25/05/2017)
... la persona ritratta nella foto si chiama Orlando Figuera, ambulante di Caracas. Registra ustioni per l'80% del suo corpo e la sua vita è salva solo per l'intervento della polizia. La sua unica colpa è quella di aver confermato di essere chavista a questi terroristi, fascisti e mercenari...


=== 2 ===

ORIG.: El Departamento de Estado financia las noticias falsas en Venezuela (investigación) (MAYO 3 DE 2017)
El establishment de los Estados Unidos financia permanentemente a medios de noticias y periodistas extranjeros en función de sus planes de intervención en países esenciales para su control político global, como el caso de Venezuela...
http://misionverdad.com/columnistas/el-departamento-de-estado-financia-las-noticias-falsas-en-venezuela-investigacion

EN FRANCAIS: Le Département d’Etat USA finance les fausses informations contre le Venezuela
L’establishment des Etats-Unis finance constamment des médias de presse et des journalistes étrangers en fonction de leurs plans d’intervention dans des pays essentiels pour leur contrôle politique mondial, comme le Venezuela...



Ecco da dove arrivano le fake news sul Venezuela

Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti finanzia media e giornalisti stranieri in funzione dei suoi piani d'intervento


da Mision Verdad

Organi di governo come il Dipartimento di Stato, il Dipartimento della Difesa, la USAID e la NED finanziano lo «sviluppo dei media» in oltre 70 paesi, specificamente organizzazioni non governative straniere (ONG), associazioni di giornalisti, mezzi d’informazione e spazi accademici di giornalismo. 

 

Le corporation e i governi vogliono che l’esercizio della propaganda sia coperto con l’estetica e linguaggi apparentemente neutrali con elementi di rapidità e reattività, così il ricevitore dell’informazione può giudicare come ragionevole la viralizzazione del messaggio senza valutare l’interesse o l’intenzione che c’è dietro i dati forniti, lasciando come unico fattore di mediazione tra la ‘verità’ e il suo consumo le proprie emozioni e i sentimenti. 

 

Dollari per un difficile contesto operativo 

 

L’obiettivo di finanziare la destabilizzazione per favorire un contesto di guerra non convenzionale è portato avanti dal Dipartimento di Stato, come dimostra il Congressional Budget Justification o CBJ, presentazione annuale che l’organizzazione tiene davanti al Congresso degli Stati Uniti sulle operazioni che realizza all’estero.

 

Finanziando i mezzi di comunicazione venezuelani, gli Stati Uniti rafforzano una delle armi più potenti contro il chavismo. Mark Weisbrot, economista del Center for Economic and Policy Research, un think thank di Washington, ha affermato che «in un certo numero di paesi, tra cui Venezuela e Bolivia, l’USAID sta operando come un’agenzia coinvolta in operazioni segrete, come la CIA, piuttosto che un’agenzia per lo sviluppo», i nomi delle organizzazioni straniere che ricevono fondi non vengono rivelati in quanto segreti di Stato, esattamente come nel caso della CIA. 

 

Nei casi in cui vengono richieste informazioni sulle organizzazioni beneficiarie, l’USAID risponde che non può «confermare o negare l’esistenza di documenti».

 

Canali incrociati, finanziamento efficiente e diretto

 

Tra il 2007 e il 2009, il Dipartimento di Stato ha versato almeno 4 milioni di dollari (US$4MM) a giornalisti in Bolivia, Nicaragua e Venezuela attraverso la Fondazione Panamericana per lo Sviluppo (PADF) con sede a Washington, creata dal Dipartimento di Stato nel 1962 e affiliata all’OSA. 

 

Secondo il giornalista Jeremy Bigwood questo importo è stato destinato al finanziamento dei migliori mezzi di comunicazione venezuelani e al reclutamento di giovani giornalisti. I risultati di Bigwood si evincono da un documento del Dipartimento di Stato denominato ‘requisiti’ che attualmente non è disponibile online, dove vengono nominate le ONG Espacio Público e Instituto Prensa y Sociedad.

 

Un rapporto pubblicato nel maggio del 2014 dal think thank europeo di centrodestra FRIDE (rimosso dal sito web poco dopo la pubblicazione) ha rivelato il finanziamento statunitense al giornalismo venezuelano, dal 2002 gli Stati Uniti hanno investito tra 3 e 6 milioni di dollari ogni anno in «piccoli progetti con partiti politici e ONG». 

 

Secondo un rapporto ancora non completato dall’USAID, il finanziamento alle ONG, partiti e media venezuelani è calato dai 14 milioni del 2009 ai 5 del 2016. Questo importo rappresenta poco più della metà di quanto investito negli ultimi 15 anni. Quei fondi, che sicuramente sono stati dilapidati dall’opposizione, sono stati concentrati sull’attacco mediatico, che ha generato i maggiori risultati.

 

Menzogne potenziate e ampliate

 

Uno degli obiettivi nel 2016, secondo il CBJ, è stato potenziare « i media indipendenti, liberi e professionali». Durante quest’anno (2016) e il precedente è stato notevole l’emergere di nuovi media digitali così come il rafforzamento di altri già esistenti il cui dispiegamento nelle reti sociali continua a essere massiccio e crescente. Media come EL Pitazo, Caraota Digital, Efecto Cocuyo ed El Estimulo, tutti che in misura maggiore o minore, cercano di accreditarsi come «media indipendenti». 

 

Il Dipartimento di Stato afferma che le sue attività in Venezuela «non di parte», cercano di promuovere i valori della democrazia rappresentativa e i diritti umani, oltre a migliorare l’accesso del pubblico all’informazione.
Come vedremo in seguito questi media producono notizie false (o fake news). 

 

 Il circuito di elaborazione della notizia falsa comincia con la deformazione di un fatto che immediatamente viene ripreso dai media internazionali, il pezzo viene cancellato in un lasso di tempo che va da 1 a 4 ore ma l’informazione continua a circolare sui social network, quando emerge la versione reale nessun media internazionale corregge la notizia, o quantomeno viene utilizzata la stessa veemenza. Così è accaduto in occasione di varie morti verificatesi durante le guarimbas in corso e attribuite ai collettivi chavisti (definiti paramilitari dagli operatori politici). 

 

La linea editoriale delle fake news viene definita dal Dipartimento di Stato: accusare di terrorismo di Stato e crimini contro l’umanità il governo venezuelano (sfruttando la matrice dei ‘collettivi paramilitari’) per formare un assedio diplomatico e finanziario nei suoi confronti. Come già accaduto in Nicaragua, Haiti, Siria e Libia.
In merito a questo caso il Ministero degli Interni e Giustizia ha stabilito che il responsabile della morte è un militante di Vente Venezuela, Iván Alexis Pernía Pérez. Vente Venezuela è un partito di opposizione guidato da Maria Corina Machado. La giovane non partecipava alle proteste, come insinuato da Efecto Cocuyo. 

 

El Pitazo non si è tirato indietro ed essendo parte integrante dell’operazione di propaganda ha diffuso la falsa notizia.
Sulla stessa linea c’è El Estimulo che ha generato disinformazione, assicurando senza alcuna prova o testimoni credibili, che queste organizzazioni «reprimono» le manifestazioni pacifiche dell’opposizione. In questo caso cercando di sfruttare il fattore di sensibilità che suscita una donna. Sino a questo momento El Estimulo non ha presentato alcuna prova.
Altro aspetto non meno ingannevole è rappresentato dalla pubblicazione di immagini di altri luoghi per spaventare i cittadini e generare nevrosi mediatiche. Per Esempio Caraota Digital, che per documentare la repressione a El Paraiso…
Utilizza la stessa fotografia pubblicata dal portale Dolar Today per accusare «i collettivi» di provocare il caos in prados del Este, dove gruppi violenti dell’opposizione erano appostati dal pomeriggio. 

 

L’utilizzo di notizie false come arma di guerra psicologica e mediatica, è servito per forzare scenari di intervento contro Libia e Siria, come il presunto bombardamento della Piazza Verde a Tripoli nel 2011 o l’attacco chimico del governo siriano nello stesso anno. In Venezuela utilizzano lo stesso copione per ottenere lo stesso risultato.

(Traduzione dallo spagnolo per l’AntiDiplomatico di Fabrizio Verde)



=== 3 ===


Amnesty International e il Venezuela: una lettera critica al portavoce italiano Riccardo Noury

di Adolfo Perez Esquivel E Altri Firmatari

Signor Riccardo Noury,
Portavoce e responsabile della comunicazione di Amnesty International Italia

con grande rammarico e preoccupazione apprendiamo come la sua organizzazione sia tornata a prestare il fianco all’offensiva delle destre contro la Repubblica Bolivariana del Venezuela. In un nuovo rapporto intitolato ‘Ridotti al silenzio con la forza: detenzioni arbitrarie e motivate politicamente in Venezuela’, Amnesty accusa le autorità venezuelane «di aver intensificato la persecuzione e le punizioni nei confronti di chi la pensa diversamente, in un contesto di crisi politica in cui le proteste che si susseguono in tutto il paese hanno dato luogo a diverse morti e a centinaia di ferimenti e arresti».
Si tratta di una ricostruzione falsa, tendenziosa e che getta ulteriore benzina sul fuoco delle violenze provocate da chi cerca, per la terza volta (2002 e 2014 i precedenti), di esautorare un governo legittimo con la violenza e con il terrorismo sulle strade.
I dirigenti dell’opposizione venezuelana hanno innescato una spirale di odio ormai sfuggito anche al loro stesso controllo. Gruppi di violenti – fascisti e mercenari con un tariffario preciso perlopiù – applicano con un’organizzazione paramilitare omicidi (che poi i media trasformano in “morti per la brutale repressione del regime”), rapine e devastazioni, oltre a veri e propri atti di terrorismo contro ospedali infantili, linciaggi in piazza, blocco di strade e distruzioni di edifici pubblici.

Se la situazione non fosse così grave per il futuro del Venezuela, suonerebbero quasi comiche le parole di Erika Guevara Rosas, direttrice per le Americhe della sua organizzazione, che arriva a parlare di una «campagna diffamatoria sui mezzi d’informazione nei confronti di oppositori politici». Siamo oltre il farsesco.

Quale sarebbe, signor Noury, secondo Lei la reazione di un qualunque governo occidentale se i dirigenti dell’estrema destra del paese scendessero in piazza a coordinare le azioni dei violenti, spesso armati, come fatto da Freddy Guevara di Voluntad Popular? Il Partito estremista e violento di Gilbert Caro e Stelcy Escalona, che citate nel vostro rapporto. Il dirigente e la militante del partito guidato dal golpista Leopoldo Lopez, sono stati fermati di ritorno dalla Colombia e trovati in possesso di un fucile FAL calibro 7,62 mm, di proprietà della Forza Armata Nazionale Bolivariana con il numero di serie cancellato; un caricatore con 20 cartucce; 3 stecche di esplosivo C4. Ci sembra quanto meno arduo prendere le difese di chi viene trovato in possesso di un vero e proprio arsenale.

Quale sarebbe, signor Noury, secondo Lei la reazione di un qualunque governo occidentale se uno dei leader dell’estrema destra del paese in un’intervista alla BBC, certamente non un organo che può essere additato di simpatie con l’attuale governo venezuelano, invitasse testualmente l’esercito e la polizia del paese a compiere un colpo di stato non obbedendo più agli ordini dello Stato? E’ quello che ha fatto recentemente Julio Borges, altro leader della destra venezuelana.

Come nel caso di Honduras, Haiti, Paraguay e Brasile, in Venezuela è in corso un nuovo tentativo di “golpe morbido”. E i mezzi di comunicazione, purtroppo, si sono posti al servizio dei grandi interessi economici e politici, con l’intento di screditare il governo venenzuelano attraverso notizie false che servono a provocare il deterioramento generale del paese. “Quello che mi spaventa di più del Venezuela è l’opposizione, o una gran parte di essa. Credo che ci sia un clima di radicalizzazione che si è trasformata in irrazionale e che nel lungo periodo finisca per favorire la destra. Questo è molto pericoloso dato che c’è Trump negli Stati Uniti. Siamo ormai abituati alla retorica della difesa della democrazia, dei diritti umani, contro le armi di distruzione di massa. E dopo arriva sempre il terribile intervento armato degli Stati Uniti. Il peggio che possiamo fare come latinoamericani è fare da sponda all’interventismo. La radicalizzazione e quello che sta facendo Almagro nell’OSA è un pericolo, non solo per il Venezuela, ma per tutto il continente”. Sono le parole illuminanti di Pepe Mujica, ex Presidente dell’Uruguay.

Ecco, signor Noury, perché la sua organizzazione ha deciso di fare da “sponda all’interventismo”? Prevenire le guerre di aggressione, come le tante che l’Occidente ha condotto in questi decenni, è un modo sicuro per evitare oceani di dolore e il disfacimento di interi paesi, che poi costringe a moltiplicare le organizzazioni addette all’emergenza umanitaria, bellica e post-bellica. Per prevenire le guerre occorre anche combattere le menzogne che le favoriscono, perché creano il pretesto. Quando – e solo ogni tanto – le menzogne sono smascherate, è troppo tardi e un paese è già distrutto.

Le ripetiamo, signor Noury: perché la sua organizzazione ha deciso di fare da sponda all’interventismo contro il Venezuela aiutando a creare il “pretesto”? Dopo ex Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Ucraina, Siria… la sua organizzazione non ha già visto troppi morti e sofferenza nel mondo prodotti dalla furia cieca dell’ingerenza occidentale?

E, per concludere, Signor Noury, non provate rimorso nei confronti delle famiglie delle vittime riunite nel ‘Comitato vittime delle Guarimbas e del Golpe Continuato’ che Lei, adducendo come motivazione la mancanza di tempo, ha rifiutato di incontrare l’anno scorso quando erano in visita in Italia? Sa signor Noury, quelle persone erano la testimonianza viva di quella violenza terrorista che oggi, come nel 2014, si ripete in Venezuela con gli stessi strumenti e protagonisti.

23 maggio 2017

Primi firmatari:

Adolfo Pérez Esquivel – Premio Nobel per la pace 1980. Carcerato e torturato dalla dittatura argentina.
Gianni Vattimo – Filosofo
Frei Betto – Teologo della liberazione brasiliano
Pino Cacucci – Scrittore
Gianni Minà – Giornalista e scrittore
Alessandra Riccio – Docente universitario e giornalista
Maïté Pinero – Giornalista 
Giorgio Cremaschi – Ex leader del sindacato Fiom 
Luciano Vasapollo – Docente universitario. Capitolo Italiano della Rete di Intellettuali in difesa dell’umanità



=== 4 ===


Venezuela. I consiglieri di Soros indicano la strada per il rovesciamento di Maduro

di Sergio Cararo, 31 maggio 2017

L’International Crisis Group, organizzazione creata e finanziata da Soros al tempo della disgregazione forzata della Jugoslavia, ha pubblicato una lunga analisi di un suo esperto, Phil Gunson, nella quale vengono delineati i passaggi del progetto di regime change in corso (un modo elegante per non pronunciare la parola gole, ndr).

Secondo l’ICS: “La pressione internazionale è fondamentale, ma deve essere attentamente calibrata con carote e bastoni, per fornire uno sbocco ai membri del regime che possono essere inclini a negoziare un ritorno alla democrazia. A questo proposito, l’Assemblea Nazionale dovrebbe prendere in considerazione le leggi che prevedono l’amnistia parziale e condizionale per i membri militari e civili del regime, segnalando l’intenzione di cercare la riconciliazione e di evitare una caccia alle streghe, nel caso di una transizione. Anche se la Corte Suprema quasi certamente porrà il veto, la legge avrebbe mandato un messaggio che potrebbe isolare i relativamente pochi seguaci del regime che non potrebbero beneficiare di un’amnistia, a causa del loro coinvolgimento in attività come il traffico di droga o di gravi violazioni dei diritti umani. Sanzioni individuali, come quelli già imposte dagli Stati Uniti contro alcuni dirigenti del regime potrebbero essere estese e avere come bersaglio individui associati con flagranti violazioni dei diritti umani, così come proposto da un progetto bipartisan in Senato (Usa,ndr) la scorsa settimana”.

In coerenza con scenari realizzati in altri paesi, il documento dell’International Crisi Group, prosegue indicando quasi praticamente le tappe da percorrere per l’abbattimento del governo Maduro. “Veri negoziati – a differenza dei “dialoghi” senza fine che predilige il governo – sono essenziali, e dovrebbero idealmente portare ad elezioni e ad un governo ad interim di unità nazionale in cui alcuni funzionari attuali (forse anche il procuratore generale Ortega) possono essere parte . Un risultato di questo genere dovrebbe includere a breve termine il riconoscimento dell’Assemblea Nazionale, e il rispetto per i suoi poteri. Non c’è più futuro per lo sforzo di mediazione guidato dall’ex primo ministro spagnolo Jose Luis Rodriguez Zapatero, anche se alcuni dei suoi elementi possono essere incorporati in una struttura più stretta di negoziazione efficace. Questo dovrebbe essere un obiettivo primario dell’iniziativa dell’Organizzazione degli Stati Americani, che richiederà la creazione di un “gruppo di amici”, tra cui almeno un governo di un paese sostenitore di Maduro”.

Esaminiamo bene questo progetto. In primo luogo si dice no a qualsiasi mediazione che non sia finalizzata a buttare giù il governo Maduro (viene infatti dato il benservito al tentativo negoziale di Zapatero); in secondo luogo la creazione di un club di paesi – così come fatto con la Siria – per legittimare il dualismo di potere nel paese, con la perfidia di voler cercare di coinvolgere anche “un paese sostenitore di Maduro” per non dare l’idea di un patto sovranazional

(Message over 64 KB, truncated)