Informazione

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Nuovo Maccartismo

1) RISPOSTA AL QUIZ DI VISNJICA BROJ 992 "RETORICA BELLICA"
2) Intervista a Vladimiro Giacché
3) "L'Antidiplomatico" conduce la battaglia contro il nuovo Maccartismo
4) "Fake news": i softwares per censurare e il convegno autogol della Boldrini
5) IL REGIME VUOLE IL MONOPOLIO DELLE BUFALE. GIÙ LE MANI DALLA RETE! (di Giorgio Cremaschi)


Sul carattere strategico della disinformazione nel caso jugoslavo conduciamo una polemica ostinata da un quarto di secolo. Tra la ampia documentazione disponibile segnaliamo:
Guerra e disinformazione strategica (di Andrea Martocchia. Intervento al convegno TARGET, Vicenza 21/3/2009)
La disinformazione in ex Jugoslavia e in Kosovo (di Jean Toschi Marazzani Visconti, maggio 2006)
Guerra di Bosnia:
- "Ora i serbi usano il napalm..." /  "La suora violentata non è mai esistita"
https://www.cnj.it/documentazione/DOSSIER96/Pages/13.html
- Notizie dalla Jugoslavia: "la stampa di parte" (Foreign Policy / Die Weltwoche / Internazionale, 1994)
https://www.cnj.it/documentazione/DOSSIER96/Pages/14.html
- An interview to James Harff of Ruder&Finn Public Global Affairs 

Altri link:

Il parlamento Ue apre la stagione della censura contro tutti i dissenzienti (PandoraTV, 24.11.2016)
Im EU-Parlament werden Massnahmen gegen die "Russische Propaganda" von RT und Sputnik, welche mit derjenigen des Islamischen Staates gleichgesetzt wird (!), beschlossen:
PTV news Speciale - Putin: “Chi è l’insegnante di democrazia?” (PandoraTV, 24 nov 2016)
Vladimir Putin, Presidente della Federazione Russa, commenta la risoluzione dell’Ue, intitolata "Comunicazioni strategiche dell'UE come contromisure alla propaganda di parti terze”, che addita i media russi come pericolo per la sovranità dei Paesi europei e li equipara allo Stato Islamico...

Propaganda in Schweizer Medien?
Ob öffentliches Fernsehen oder Lokalradio, ob Boule­vard oder NZZ: Wenn es um Geo­po­li­tik und Kriege geht, be­rich­ten die eta­blier­ten Medien selbst in der offiziell neutralen Schweiz erstaunlich gleich­artig und ein­seitig. Sie tun dies wo­mög­lich nicht ganz frei­wil­lig, denn die Schweiz steht unter Druck. Eine all­zu objek­tive Be­richt­er­stat­tung und die Ver­wen­dung „feind­licher“ Quellen könnte un­an­ge­nehme politische und wirtschaftliche Konsequenzen für das erfolgreiche Alpen­land haben. Schwei­zer Medien: un­ab­hängig oder an­ge­passt?

Michel Collon: journalisme ou propagande? (Investig'Action - Michel Collon, 20 set 2016)
Quelle est la différence entre journalisme et journalisme engagé? Que l’on travaille pour de grands groupes, ou avec un indépendant, c’est une opinion citoyenne qui nous incite à exercer ce métier. Le problème commence quand la transparence et l’honnêteté se transforment en propagande et en désinformation...Regardez ce documentaire réalisé par Jennifer Malherbe et faites vous votre opinion. Les grands médias ont l’argent. Nous, nous ne pouvons compter que sur les gens. Aidez-nous à démasquer les médiamensonges ! https://dons.investigaction.net/fr


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Risposta al QUIZ di Visnjica broj 992 "Retorica bellica"

A chi sono da attribuire le parole seguenti?

<< La Russia è un serpente a sonagli che circola in tutto il mondo... Non sempre il serpente a sonagli morde velenoso. Spesso, specie se viene accarezzato, circonda con disinvoltura il corpo di chi lo sopporta, ma se si arrabbiasse allora morde con morsi velenosi... C’è chi stritola il serpente a sonagli e chi ne è stritolato. >>

La risposta esatta è la numero 2) Eugenio Scalfari:

La Russia di Putin è un serpente a sonagli (di Eugenio Scalfari, 8 gennaio 2017)
http://espresso.repubblica.it/opinioni/vetro-soffiato/2017/01/04/news/la-russia-di-putin-e-un-serpente-a-sonagli-1.292851


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Si veda anche:
“Informazione da controllare? Siamo al ministero della Verità, come in ‘1984’ di Orwell” – Intervista a Vladimiro Giacché su Il Fatto Quotidiano del 31 dicembre 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/siamo-al-ministero-della-verita-come-in-1984-di-orwell/
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Dal relativismo alla sindrome da “fake news” 

6 Gennaio 2017

Intervista a Vladimiro Giacché, a cura di Zenit – da it.zenit.org
https://it.zenit.org/articles/dal-relativismo-alla-sindrome-da-fake-news/

Chi per anni ha affermato che la verità non esiste, oggi invoca agenzie statali per intercettare le notizie non vere. Il parere di Vladimiro Giacché, autore de “La fabbrica del falso”

L’anno nuovo sembra essersi aperto con una sindrome che sta contagiando diversi ambienti, quella delle cosiddette “fake news”, le notizie false.

Il leader del M5S, Beppe Grillo, invoca la necessità di formare improbabili giurie popolari con il compito di controllare la veridicità delle notizie diffuse da stampa e tv. Facebook ha elaborato un software che avrebbe la capacità di segnalare agli utenti le notizie ritenute inattendibili. C’è poi chi, come il presidente dell’Antitrust, Giovanni Pitruzzella, propone un’agenzia statale di vigilanza.

Quest’ultima idea ha suscitato diverse critiche. Molti la paragonano a quegli uffici statali, tipici dei totalitarismi, che hanno il compito di controllare ogni pubblicazione e sequestrare quelle potenzialmente pericolose o esplicitamente ostili al potere. Altri ancora, più in vena letteraria, agitano l’accostamento con il ministero della Verità del libro 1984, di George Orwell.

Tra questi c’è Vladimiro Giacchè, economista e filosofo, presidente del Centro Europa Ricerche, autore de La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea (nuova ed. aggiornata 2016). ZENIT lo ha intervistato.

Cosa non la convince della proposta di Pitruzzella?

Mi sembra una proposta sbagliata e pericolosa. Sbagliata per molti motivi. Perché oggi le fake news non passano soltanto attraverso la rete ma anche attraverso i media tradizionali. Perché la menzogna veramente pericolosa non è il singolo enunciato falso, ma la falsa cornice interpretativa generale che viene offerta per certi fatti. E perché spesso la menzogna non si presenta come tale: pensiamo alle mezze verità (per cui ti parlo degli atti di violenza dell’aggredito, ma non ti dico che si sta difendendo da un aggressore), a quello che non ci viene detto (pochi giorni fa un rapporto sulla povertà in Germania è stato depurato dal governo di alcune frasi “spiacevoli”), agli eufemismi che consentono di rendere la verità meno brutta (“uso della forza” per parlare della guerra, “interrogatori rafforzati” al posto di “tortura”, e così via). Ma è anche una proposta pericolosa, perché adombra una sorta di controllo governativo o paragovernativo sulla rete, che può facilmente tradursi nella chiusura di siti non graditi a chi è al potere.

Qualcuno sta coniando un nuovo termine per indicare la nostra epoca: post-verità. Di orwelliano c’è anche la neo-lingua? Quanto è importante il potere delle parole?

Le parole sono importantissime. Harold Pinter diceva che “il linguaggio viene adoperato per tenere a distanza il pensiero”. Questo avviene tutti i giorni, e proprio attraverso i termini chiave del nostro lessico politico. Basti pensare alla metamorfosi che hanno conosciuto parole come democrazia o riforma. Quanti ancora associano al termine democrazia il concetto di “potere del popolo”, che poi dovrebbe essere il suo significato letterale? Angelo Panebianco ha denunciato anni fa che la stessa “democrazia rappresentativa” (concetto comunque già più ristretto di quello di democrazia) “a voler essere realisti, è poco più di un sistema di oligarchie in competizione”. Ancora più clamoroso il caso di una parola come “riforma”. Un tempo le “riforme” indicavano provvedimenti di legge per migliorare la condizione delle persone. Oggi le “riforme” indicano tagli allo Stato sociale e alle pensioni.

Anche complottista è un termine coniato in modo artificiale? Magari per screditare chi la pensa in modo non allineato…

I complottisti ci sono davvero, e ci sono sempre stati. Ma spesso hanno lavorato al servizio del potere: ad esempio i Protocolli dei savi di Sion, un documento falso costruito per dimostrare un presunto complotto degli ebrei, fu opera della polizia segreta zarista. Oggi spesso si usa il termine contro chi mette in dubbio che alcune “verità” del potere siano realmente tali. Anni fa si diede del complottista a chi sosteneva che la famosa fialetta con le armi chimiche di Saddam agitata da Powell all’assemblea dell’Onu fosse una messinscena. All’epoca tutti i principali giornali, anche in Italia, presero per buono quel falso vergognoso. È chiaro che in rete girano molte notizie inventate di sana pianta, ma in genere si attirano il discredito che meritano. E comunque la pericolosità delle sciocchezze sulle scie chimiche è ben diversa da quella delle menzogne sulle armi di distruzione di massa di Saddam, che sono servite a scatenare una guerra in cui sono morte centinaia di migliaia di persone.

Nel libro “La fabbrica del falso” afferma che “la menzogna è il grande protagonista del discorso pubblico contemporaneo”. Lei ha citato le fialette di antrace agitate da Colin Powell. Qualche altro eclatante esempio?

C’è l’imbarazzo della scelta. Praticamente tutte le più recenti guerre sono state giustificate e vendute all’opinione pubblica attraverso la costruzione di fake news e la loro diffusione attraverso i grandi media. A sostegno della prima guerra in Iraq si disse che i soldati di Saddam avevano staccato la corrente alle incubatrici degli ospedali di Kuwait City, per giustificare la seconda – come abbiamo detto – si tirarono fuori le armi di distruzione di massa, in Libia ci hanno fatto vedere fosse comuni che erano normali cimiteri, per di più fotografati mesi prima. È importante capire che in tutti questi casi la falsa notizia è funzionale a costruire una cornice interpretativa (il dittatore cattivo, pericolo per l’umanità, ecc.): una volta recepita questa interpretazione, le persone collocheranno entro di essa le altre notizie che ricevono, dando meno importanza – o non prendendo in considerazione – quelle che la contraddicono. Ad esempio, nel caso della Siria, i monasteri e le chiese distrutti dai cosiddetti “ribelli” e non dalle truppe governative.

Facebook ha elaborato un software per individuare e segnalare agli utenti le notizie inattendibili. Questo lavoro di vigilanza è affidato alla Poynter Institute, società finanziata dalla fondazione Open Society di George Soros. C’è il rischio che il controllore non sia propriamente super partes…

Sarebbe divertente applicare il software alla notizia che Facebook ha elaborato un software per segnalare le notizie inattendibili: se il software è ben fatto, dovrebbe segnalarla come inattendibile. Scherzi a parte, trovo molto significativo che fondazioni nate (a loro dire) per diffondere gli ideali delle “società aperte” contro i “totalitarismi” finiscano poi per farsi promotrici… della chiusura delle società aperte. E per di più facendo uso di algoritmi e altri strumenti automatici. Non mi sembra un passo avanti. Più in generale, credo che lo stato di salute dei paesi del “libero Occidente” sia ben definito dal ruolo conferito a uno speculatore di borsa che, dopo aver tratto profitto per decenni dalla destabilizzazione dei mercati finanziari, ora con i soldi così guadagnati si dedica a destabilizzare regimi che non gli piacciono e a promuovere “rivoluzioni colorate”.

Eppure fino a ieri ci era stato insegnato che la verità non esiste, che è un retaggio oscurantista medievale, che tutte le opinioni sono uguali e relative. Non evince anche Lei una contraddizione?

La contraddizione c’è eccome. Ma entrambi gli atteggiamenti rappresentano una scorciatoia. Quando si è in difficoltà perché non si riesce a confutare le argomentazioni di qualcuno, spesso si gioca la carta del relativismo, mettendo sullo stesso piano tutte le opinioni (la propria, infondata, e quella altrui, più fondata). Ma anche l’accusa di costruire fake news o di credere ad esse è una via di fuga: in questo caso, dal fatto che non si riesce ad imporre il proprio punto di vista, pur avendo dalla propria parte tutti o quasi gli organi di informazione “ufficiali”. Questo apre un problema gigantesco: chi è legittimato a decidere se una notizia è vera o falsa, e a comminare sanzioni su questa base? In realtà, il fatto di ritenere che non esista qualcosa come la Verità assoluta non impedisce di demistificare un enunciato falso. Ma a mio giudizio questo può e deve emergere dal libero confronto delle opinioni. E deve riguardare tutti i media.

Chi può decidere quando una notizia è falsa?

Ciascuno di noi, se è posto in condizione di esercitare il ragionamento e di verificare contenuti e contesto della presunta notizia. Però, per chi non si occupa professionalmente di queste cose, la possibilità di ragionare è resa complicata dalla velocità con cui le notizie si susseguono e la verifica dei contenuti dalla difficoltà di accesso alle fonti. Precisamente a questo dovrebbero servire i professionisti dell’informazione: a renderci disponibili notizie quanto più possibili verificate, basate su fonti attendibili e riferite con onestà. Come sappiamo, purtroppo le cose spesso non vanno così. È per questo che occorre che ciascuno di noi eserciti in prima persona il proprio senso critico. Nella “Fabbrica del falso” parlo di “strategie di resistenza”, che vanno dalla demistificazione del linguaggio usato per dare certe notizie all’utilizzo delle incongruenze presenti nel discorso ufficiale. Meglio adoperare queste strategie che far decidere a un’agenzia statale se una notizia è vera o falsa.

* Vladimiro Giacché è Vice Presidente dell'Associazione Politica e Culturale Marx XXI


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2017, l'anno della mobilitazione per la difesa della libera espressione su internet


Ricordo bene nel 1950 quando i russi dovevano entrare nelle nostre scuole, nel Congresso, nel Dipartimento di Stato - e secondo molti sostenitori di Eisenhower / Nixon - prendere in consegna il nostro paese senza una seria opposizione (e loro mi chiamano paranoico!). E 'stato questa stessa psicosi che insisteva sul nostro bisogno di andare in Vietnam per difendere le nostre libertà contro i comunisti a 6.000 miglia di distanza. E dopo che il Terrore Rosso è finito per sempre nel 1991, non è finita. E 'diventato Hussein dell'Iraq con le sue armi di distruzione di massa. E' diventato il demone, reale come qualsiasi Processo alle streghe. Lo è stato Gheddafi della Libia, e poi era Assad della Siria. In altre parole, come in una profezia orwelliana, non è mai finita, e vi posso garantire che non finirà - a meno che le persone che ancora pensano dicano "Basta" a questo demone”, Oliver Stone.

 

Quest’oggi si chiude il 2016. Un anno per noi importante, di crescita e consolidamento del nostro progetto che viene premiato quotidianamente da voi lettori che ci seguite in numero sempre crescente.
 
Ci preme ringraziare chi attraverso i suoi blog personali nella nostra testata giornalistica ci ha permesso di crescere aldilà di ogni più rosea aspettativa e chi, con azioni volontarie per noi di fondamentale importanza, ci aiuta quotidianamente a reperire informazioni e collegare i tasselli. Una menzione a parte meritano, infine, siti amici come Contropiano e Marx 21, con cui abbiamo intrapreso un percorso di collaborazione reciproca quotidiana che ci lusinga e onora. Tutto questo rappresenta l'aspetto più bello della rete, di internet e di un'informazione alternativa possibile. Grazie a tutti.

Affronteremo il 2017 consci che si tratterà di un anno duro: eventi come la vittoria di Trump nelle elezioni statunitensi, la Brexit e le fake news del mainstream sulla guerra in Siria hanno segnato una grave sconfitta per l’informazione tradizionale. 

Sempre più persone preferiscono informarsi sui media alternativi come il nostro.
Vivremo tempi difficili. Utilizzando la lotta alle menzogne, alle fake news e all’odio, con la narrazione della post-verità proveranno a stringere le maglie della libertà d’informazione in rete. Negli Stati Uniti si è arrivati, primo passo, ad una lista di proscrizione attraverso il giornale della Cia e, secondo passo, ad una legislazione che cercherà di censurarli senza mezze misure. Nel mentre lo spettacolo ridicolo, grottesco e puerile di un presidente uscente, Barack Obama, che non perde occasione per non farsi rimpiangere dal mondo con la farsesca storia complottista “degli hacker e della propaganda russa”. 


In Europa sta accadendo lo stesso. Tutto è partito con la famigerata risoluzione del Parlamento europeo che ha addirittura equiparato la “propaganda” della Russia a quella dell'Isis. Siamo alla follia di un nuovo maccartismo molto periocoloso che noi, come AntiDiplomatico, vi abbiamo denunciato per primi in Italia. E siamo alla prova, l'ennesima, di come l'Unione Europea oggi sia un esperimento fallito e contro la storia.

E in Italia? Beh Italia, i cavalieri delle “fake news” BoldriniOrlando e ora Pitruzzella hanno gettato la maschera e dichiarano senza mezze misure che anche nel nostro paese si debba mettere un bavaglio alla rete e ripercorrere la scure in corso negli Stati Uniti. 

Ma sempre più persone stanno dicendo “basta” alle menzogne delle corporazioni mediatiche. La dimostrazione l'abbiamo avuta proprio in questa settimana: quando “Left” ha deciso di nominare “persone dell'anno” niente meno che gli amici di Al-Nusra (Al-Qaeda) ad Aleppo est, gli “Elmetti bianchi”, la reazione consapevole degli utenti ci ha sorpreso e ha dato un senso compiuto al nostro lavoro quotidiano. 

Del resto, se ci riflettete, la mancata invasione della Siria sulla “fake news” delle armi chimiche utilizzate da Assad nel 2013 è la sconfitta pià grande della propaganda guerrafondaia occidenale. Le armi di distruzione di massa di Saddam e il viagra utilizzato dalle milizie di Gheddafi hanno permesso lo stupro di Iraq e Libia; la nuova consapevolezza dell'opinione pubblica, al contrario, non ha permesso che lo stesso potesse essere fatto in modo completo in Siria. 

E veniamo agli ultimi giorni dell'anno. La liberazione di Aleppo è stata descritta dai propagatori delle fake news come un “assedio” - un po' come se dicessimo che “le truppe di De Gaulle hanno assediato Parigi contro i rivoluzionari nazisti”. 

La liberazione di Aleppo è una vittoria dell'umanità e uno spartiacque storico di una nuova epoca per l'informazione. 

Non potendo più controllare l'opinione pubblica come in passato, tuttavia, l'obiettivo delle corporazioni mediatiche è chiaro: censura. Le dichiarazioni di Boldrini, Orlando e Pitruzzella hanno gettato un cammino preciso contro cui noi de l'AntiDiplomatico saremo pronti a combattere. Ma la mobilitazione deve essere generale, da parte di tutti coloro che hanno a cuore il futuro della libera espressione in rete. 
 
Noi siamo pronti e non ci tiriamo indietro. Così come non ci hanno fermato gli attacchi infamanti di quest'anno da parte di chi si ritrova sempre dalla parte sbagliata della storia ed è costretto, per giustificare l'ingiustificabile, a raccontare “fake news” a cui non crede davvero più nessuno.... oltre a fare pubblicità positiva all'AntiDiplomatico!  

Buon 2017 in difesa della libera espressione del pluralismo dell'informazione mai così in pericolo!


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IL FALLIMENTO DEI GRANDI GRUPPI EDITORIALI E' LA NOSTRA VITTORIA

di Federico Pieraccini, 14/12/2016


IL FALLIMENTO DEI GRANDI GRUPPI EDITORIALI

Il Sole 24 Ore perde 100 milioni di euro all'anno.

Il New York Times 114 milioni di dollari all'anno.

Il Guardian 173 milioni di Sterline all'anno.

L'elenco potrebbe continuare con Corriere della Sera, Repubblica, Le Monde, Washington Post etc... il senso è che tutti i grandi gruppi, da qui ai prossimi cinque anni, probabilmente falliranno.

Il motivo è quanto mai scontato e banale: hanno perso credibilità. Nessuno crede più loro. Il livello giornalistico è imbarazzante. Il 98% dei pezzi sono brutali scopiazzature di articoli già scritti negli Stati Uniti.

Il cittadino medio non ha più alcun interesse ad informarsi tramite quotidiani o siti internet che riciclano false notizie, parziali o volutamente errate come forma estrema di propaganda.

Questo trend è stato confermato dalle tendenze di voto in Europa e Stati Uniti.

Più il cittadino incrementa la sua capacità di informarsi correttamente, ad esempio comprendendo causa-effetto (soprattutto collegando questo aspetto alle difficoltà economiche quotidiane) e più vota nel proprio interesse. Esattamente il contrario di ciò che le elite vorrebbero.

Naturalmente, l'interesse dell'uomo medio non coincide con quello dei padroni dei grandi gruppi editoriali e ancor meno con i candidati prescelti dal 'sistema' o dalle loro politiche. Da qui, la notevole incazzatura dei tempi recenti mirata ai siti e ai quotidiani di autentica informazione .
L'ultima trovata, davvero ridicola, è etichettare tutto ciò che è contrario alla propaganda dei grandi gruppi editoriali come 'fake news' (notizie false).

Come se aver invaso un paese come l'Iraq, con il falso pretesto costruito ad arte delle armi di distruzione di massa, provocando circa 1 milione di morti, potesse essere ignorato di colpo o far parte delle notizie "autentiche".

Basta aprire un giornale o accendere la TV, osservare come viene descritta la situazione ad Aleppo, per comprendere come sia già iniziato, da tempo, il canto del cigno di queste nullità. Stanno impazzendo.

Non dobbiamo dimenticare o sottovalutare il fatto che è iniziata una guerra sleale e scorretta, diretta verso analisti e giornalisti che informano in maniera indipendente, con mezzi infinitamente inferiori rispetto ai grandi gruppi editoriali. Siamo tutti in prima linea.

Hanno dichiarato guerra alla verità, in barba a tutti i principi di democrazia e libertà di parola con cui questi fetenti si sono riempiti le bocche per decenni, giustificando guerre, morti e distruzione degli Stati Uniti. Hanno gettato la maschera. Si mostrano per quello che sono: organi di propaganda. Nient'altro.

Appostiamoci sulla classica riva del fiume e attendiamo i cadaveri-editoriali che scorrano... il loro destino è già segnato.

Come disse Lincoln: "Potete ingannare tutti per qualche tempo e alcuni per tutto il tempo, ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo".

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Difendi l'AntiDiplomatico. Difendi la tua Liberta' di "Stampa" contro il nuovo Maccartismo


"Un concetto assai caro anche al sito chiave che dà al M5S i contenuti da esibire per piacere a Mosca, «lantidiplomatico.it», che si distingue per il suo sostegno a Putin, Assad e Trump"

La Stampa, 5 novembre 2016.


Negli ultimi mesi il nostro sito, l'AntiDiplomatico, ha notevolmente aumentato il numero dei suoi lettori. Non è stato solo merito nostro, lo dobbiamo ammettere. Tanto hanno fatto anche tutti coloro che hanno scelto di utilizzare a nostro favore la loro cattiva fama e il loro essere sempre dalla parte sbagliata della storia. Tutto potevamo aspettarci, dobbiamo essere onesti, tranne che ad attaccarci arrivasse anche il giornale di Fiat Chrysler.

L'articolo che ci chiama in causa è il sequel di un precedente che ha l'obiettivo di far passare questo messaggio: la Russia del nemico Putin ha deciso di investire tanti miliardi in propaganda per far vincere il No al referendum del 4 dicembre, utilizzando siti satelliti italiani "grillini" che fanno da ponte. Per non offendere ulteriormente la vostra intelligenza, non aggiungiamo nulla di più rispetto alle considerazioni puntuali di Francesco Santoianni sul nostro sito (qui e qui), ma lasciateci solo una considerazione tragi-comica che denota lo stato dell'arte della nostra "informazione": dopo che l'ambasciatore del paese più potente del mondo e che controlla direttamente o indirettamente quasi tutti i mezzi di informazione occidentale ha fatto un endorsment diretto per il SI; dopo che lo stesso presidente della prima potenza del mondo e che controlla quasi tutti i mezzi di informazione occidentali ha organizzato una serata di gala in onore di Renzi per dire agli italiani che devono votare Si per non compromettere gli investimenti; e dopo che, infine, il presidente di Fiat Chrysler,  Marchionne, si è espresso per il Si ripetutamente, non si è forse sbagliato indirizzo per cercare una violazione del nostro diritto di non ingerenza negli affari interni?

Abbiamo deciso di riproporre la citazione che ci chiama in causa all'inizio dell'articolo perché l’isteria maccartista di chi vede in un giornale (e in un movimento politico) non allineato alle direttive di Renzi una quinta colonna  al soldo del “nemico" non è solo de La Stampa àma infetta oggi anche l’Unione Europea, che nell’aprile di quest’anno, ha creato una struttura finalizzata a contrastare la “propaganda” e la “disinformazione” proveniente dalla Russia: cioè la UE pagherà (con soldi nostri) giornalisti per scrivere articoli contro Putin. 

Ma soffermiamoci su due velenose affermazioni contenute nella citazione, le più preoccupanti.

1) "contenuti da esibire per piacere a Mosca". 

Il sito "l'AntiDiplomatico" nasce nel 2013 per iniziativa di giovani studiosi di relazioni internazionali e giornalisti interessati a vario titolo e varie esperienze alla politica internazionale. Credevamo che la politica estera nel nostro paese venisse raccontata male e ci siamo lanciati in quest'avventura. Tanti amici abbiamo incontrato nel nostro percorso e tanti sono i blog che stiamo aprendo.
C'è una visione di mondo nell'AntiDiplomatico e c'è una scelta redazionale negli articoli che pubblichiamo? Certamente si.
Ci sono dei valori di riferimento? Certamente si.
Si combatte ogni giorno contro le menzogne, le bufale e la propaganda dell'universalismo neo-liberista e i crimini delle guerre d'aggressione occidentali? Certamente si.
Crediamo che fenomeni in corso a livello internazionale (Alba, Brics e le sfide al Washington consensus) debbano essere raccontati bene? Certamente si.

Non si vuole dettare nessuna "direttiva" ma, più semplicemente, presentare – soprattutto attraverso gli articoli tradotti da siti come Telesur, Zero Hedge, Hispan Tv, Al Masdar, Press Tv, Russia Today, Correo de l'Orinoco, El Telegrafo, Cubadebate, Guardian, Telegraph,  Indipendent... e tanti altri - una visione del mondo diversa da quella della propaganda dell'universalismo neo-liberista e guerrafondaio così brillantemente portata avanti da giornali italiani come La Stampa. 

Il tutto con libertà assoluta, dignità e passione. Abbiamo deciso di inserire la pubblicità nel nostro sito, nella speranza di poter trasformare nel minor tempo possibile la nostra redazione informale di volantari volentorosi in una struttura più consolidata. 


2) "(L’AntiDiplomatico) che si distingue per il suo sostegno a Putin, Assad e Trump". 

Una affermazione falsa che, per quanto riguarda il nostro presunto "sostegno" a Trump (che riteniamo la stessa faccia della tragica medaglia di un regime, il più violento dalla seconda guerra mondiale ad oggi, al capolinea) è smentito da articoli come questoquestoquesto, questoquesto (e potremmo continuare) che contrasta con le nostre simpatie dichiarate per Jill Stein, candidata verde alle elezioni nord-americane, censurata in Italia da tutti, giornale di Fiat Cyrsler compresa. 

Per quanto riguarda il presunto sostegno a Putin, e Assad (anche esso smentito da innumerevoli articoli de L’Antiplomatico) non fa i conti con una realtà elementare e cioè che essi oggi, indipendentemente dal giudizio che si può dare del loro operato e delle loro politiche interne, sono l’obbiettivo di una colossale operazione, anche mediatica, portata avanti dai governi di quasi tutto l’Occidente che vede in una guerra (forse peggiore della Seconda guerra mondiale) lo sbocco finale. 

L’inaudito attacco a L’Antiplomatico da parte di uno dei più importanti giornali padronali italiani deve preoccupare tutti coloro che hanno a cuore le sorti della libertà di stampa e della democrazia nel nostro Paese; anche perché il maccartismo, che trasforma in “nemico interno” chiunque non accetti i diktat del Governo, delle banche, dell’Unione Europea… diventerà una costante nei prossimi tempi. Per questo, lungi dal volere ergerci a “vittime” di alcunché, chiediamo solidarietà ai nostri lettori e ai tanti altri siti che – come L’Antiplomatico – operano “per un’altra visione del Mondo”. Noi continueremo a raccontarvela con ancora maggiore forza e passione.

La Redazione de L’Antidiplomatico


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"Fake news": il Convegno autogol della Boldrini


“Operazione sporca”, “altera la realtà”, “è illegale”. Con queste parole la Presidentessa della Camera Laura Boldrini ha oggi aperto la sessione dei lavori del Convegno organizzato alla Camera dei Deputati "Non è vero ma ci credo – Vita, morte e miracoli di una falsa notizia" presso la Sala della Lupa di Montecitorio. “C'è una strategia precisa: si vuole delegittimare, ridicolizzare e gettare discredito”, prosegue la Boldrini che indica nelle “ragioni politiche e nel profitto” il movente. Quello che è stato organizzato oggi alla Camera è in linea con il processo di demonizzazione della rete e di censura preventiva delle voci dissonanti che negli Usa ha prodotto le prime "liste di proscrizione" e in Italia una nuova forma di maccartismo.

Dopo aver citato la definizione di “post truth” della Oxford University – a cui 



[Vi sottoponiamo l'articolo seguente, scritto da un diplomatico britannico, in quanto esempio perfetto non solo delle errate convinzioni e concezioni e delle illusioni imperanti in tema di Balcani, ma anche dello sforzo programmatico eversivo occidentale di ridisegnare i confini sulla base di criteri etnici-razziali-nazionalisti. Arrivederci nella Grande Albania! (a cura di Italo Slavo)]

We bring to your attention the following article, written by a UK diplomat, being a perfect example not only of western mistaken beliefs, misconceptions and delusions about the Balkans, but also of the West's programmatic subversive effort to reshape boundaries according with ethnic-racial-nationalistic criteria. Next to come: Greater Albania.

See also:

Timothy Less: First federalization, then annexation of western Macedonia to Albania (22.12.2016)

Timothy Less advocates reshaping of Balkan boundaries  (December 22, 2016 by Grey Carter)

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December 20, 2016

Dysfunction in the Balkans

Can the Post-Yugoslav Settlement Survive?
By Timothy Less

The political settlement in the former Yugoslavia is unraveling. In Bosnia, the weakest state in the region, both Serbs and Croats are mounting a concerted challenge to the Dayton peace accords, the delicate set of compromises that hold the country together. In Macedonia, political figures from the large Albanian minority are calling for the federalization of the state along ethnic lines. In Kosovo, the Serb minority is insisting on the creation of a network of self-governing enclaves with effective independence from the central government. In Serbia’s Presevo Valley, Albanians are agitating for greater autonomy. In Montenegro, Albanians have demanded a self-governing entity. And in Kosovo and Albania, where Albanians have their independence, nationalists are pushing for a unified Albanian state.
It is easy to dismiss all this as simply sound and fury, whipped up by opportunistic politicians. But it would be a mistake to ignore the will of the electorates, which have persistently shown their dissatisfaction with the multiethnic status quo and are demanding change. The choice facing Western policymakers is either to recognize the legitimacy of these demands and radically change their approach or to continue with the current policy and risk renewed conflict.
A BEAUTIFUL IDEA
When Yugoslavia collapsed at the start of 1990s, there was nothing predetermined about what followed. One possibility was the emergence of nation-states, comparable to those elsewhere in Europe; another was multiethnic states based on internal administrative boundaries. In the end, the West determined the nature of the post-Yugoslav settlement by recognizing the independence of the old Yugoslav republics within their existing borders. In doing so, they were guided not only by a belief that this would promote justice and security but also by an ideological conviction that nationalism was the source of instability in Europe. Multiethnicity was seen as a viable, even desirable, organizing principle. 
Unfortunately, this decision cut across the most basic interests of the emerging minority groups, which saw themselves condemned to second-class status in someone else’s state. In the 1990s, many took up arms to try to secure formal separation. Subsequently, wherever this failed, minorities have struggled to secure as much autonomy as possible within their adoptive states. Given the resistance of majority groups to the fragmentation of their polities, these attempts at separation have built tension into the very nervous system of the region’s various multiethnic states.
As a result, the West has been compelled for the last two decades to enforce the settlement it imposed on the former Yugoslavia, deploying UN-run civilian missions and NATO troops as regional policemen. At first, Washington took the lead, but after the United States downgraded its presence in the Balkans over the last decade, primary responsibility for upholding the post-Yugoslav settlement passed to the European Union. In doing so, the EU substituted the hard power of the U.S. military for the soft power of enlargement. Its assumption was that the very act of preparing for EU membership would transform poor authoritarian states into the kinds of prosperous, democratic, law-bound polities in which disaffected minorities would be content to live.
For a short while toward the end of the last decade, the policy appeared to be working. However, the disquiet of minorities eventually made it clear that the EU’s approach could not resolve the problems created by multiethnicity. Its central misconception was that minorities would give higher priority to political and economic reform than to grievances about territory and security, which would no longer matter after joining the EU. All this made sense to Europeans living in their post-historical paradise but did not hold water for minorities situated in the Hobbesian realm of the Balkans, unable to secure even their most primary needs—their security, rights, and prosperity.
Instead, issues of governance and the economy, and even more peripheral concerns such as education and the environment, were pushed to the margins as political institutions became gridlocked by intractable questions about territory, identity, and the balance between central and regional power. Day-to-day, Bosnia, Kosovo, and Macedonia were mired in political dysfunction, economic stagnation, and institutional corruption, even as their more homogenous neighbors, such as Albania, Croatia, and even Serbia, began to prosper.
The policy is further complicated by the Euroskepticism now sweeping across Europe, which threatens any remaining hope that integration could lead to stabilization. A Eurobarometer poll last year suggested that only 39 percent of EU citizens favor enlargement and 49 percent oppose it. Earlier this year, voters in the Netherlands decided in a referendum to block Ukraine’s integration with the EU; it was, in effect, a vote against enlargement. Previous governments in both Austria and France have also pledged to condition future enlargement upon a national referendum.
As a result, the process of enlargement has stalled. Thirteen years after its launch at a summit in Thessaloniki, four of the six non-EU states in the region have yet to open negotiations on EU membership. Serbia has only tentatively begun, and Montenegro, the region’s most advanced state, has only provisionally closed two of the 35 negotiating chapters, four years after starting. (By contrast, the central European countries completed the entire negotiating process within the same time frame.)
To complicate matters, Russia is using its influence to frustrate the process of integration, encouraging unhappy minorities such as the Bosnian Serbs to escalate their demands for separatism and threatening the pro-integration government in Montenegro. Turkey is nurturing the support of disaffected Muslims such as Bosniaks and Macedonian Albanians. And China is enthusiastically providing governments across the region with no-strings funding for investment in infrastructure, undermining the West’s attempts to promote conditions-based internal reform.
Almost every state has recently experienced serious unrest as people lose faith in the power of the EU to deliver them from their current state of hopelessness, poverty, and corruption. Adding to these tensions, minorities are trying to take control of their destiny by demanding the right to a separate territory in countries where the central government inevitably prioritizes the interests of the majority group. This combination of factors is already destabilizing the Balkans and, in turn, threatening to undermine the post-Yugoslav settlement.

For the moment, the EU’s ability to preserve the status quo in the Balkans is not completely spent because of its collective veto on border changes in the region. Meanwhile, Brussels is continuing to squeeze every last bit of leverage out of its policy of integration. In the last couple of years, it has pushed all the region’s laggards—Albania, Bosnia, and Kosovo—one step closer to membership.
But the EU is still struggling mightily to impose its authority. European diplomats were unable to resolve a two-year political crisis in Macedonia that began when the governing parties, which just won early elections, were implicated in wiretapped recordings revealing gross corruption and outright criminality. The EU also failed to conclude an agreement to normalize relations between Serbia and Kosovo. (In fact, relations between the two governments are deteriorating.) Perhaps most serious, Bosnia’s Republika Srpska proceeded with a controversial referendum in October, despite EU protestations, about retaining its national day holiday, which Bosnia’s highest court found discriminatory against non-Serbs and which Western diplomats said violated the Dayton constitution that holds Bosnia together. The EU’s subsequent inability to punish Bosnian Serb leaders through sanctions could embolden them to organize an independence referendum.
A MISERABLE REALITY
What happens next, of course, is a matter of speculation. In all probability, the post-Yugoslav settlement will continue to hold in law. But separatist groups can easily gain a kind of functional independence by repudiating the authority of the central government and then waiting for more opportune circumstances, such as the collapse of the EU, to formalize this separation. Left unchecked, the situation risks sliding toward renewed conflict as majority populations fight to maintain the integrity of their states.
If this is the danger, then how should policymakers respond? The key consideration is that the existing policy of stabilization through integration, to the extent that it ever worked, has fully run its course, given the effective end of EU enlargement. By laboring onward with an obsolete policy that relies on an elusive reward, and without any sanctions for noncompliance, the West is handing the power of initiative to local revisionists and their external sponsors, Russia and Turkey, which are pursuing self-interested policies that cut across the West’s objectives.
Some argue that the existing policy could be made to work if only Brussels tried a bit harder, backing up its pledge of EU membership with greater efforts to promote regional cooperation, democracy, transparency, economic development, and so on. However, this is wishful thinking. The promise of EU membership is broken, and every one of these initiatives has been tried in spades for the last 20 years.
Others, especially majority groups on the ground, argue that Europe should get tough with politicians who advocate separatism, as Washington did in the past. This might work if Europe were willing to intervene in the region indefinitely. But the political context has changed radically over the last decade. No one wants another civilian mission, and threatening a group such as the Bosnian Serbs would simply drive it into Russia’s open arms.
A radical new approach is therefore required that forges a durable peace by addressing the underlying source of instability in the Balkans: the mismatch of political and national boundaries. The two-decade experiment in multiethnicity has failed. If the West is to stay true to its long-standing goal of preserving peace in the Balkans, then the moment has come to put pragmatism before idealism and plan for a graduated transition to properly constituted nation-states whose populations can satisfy their most basic political interests.
Given the divisions in Europe, the United States needs to step up and take control of the process. In the short term, Washington should support the internal fragmentation of multiethnic states where minorities demand it—for example, by accepting the Albanians’ bid for the federalization of Macedonia and the Croats’ demand for a third entity in Bosnia. In the medium term, the United States should allow these various territories to form close political and economic links with their larger neighbors, such as allowing dual citizenship and establishing shared institutions, while formally remaining a part of their existing state.
In the final phase, these territories could break from their existing states and unite with their mother country, perhaps initially as autonomous regions. A Croat entity in Bosnia would merge with Croatia; Republika Srpska and the north of Kosovo with Serbia; and the Presevo Valley, western Macedonia, and most of Kosovo with Albania. Meanwhile, Montenegro, which may lose its small Albanian enclaves, could either stay independent or coalesce with an expanded Serbia. In pursuing this plan, the United States would not be breaking new ground but simply reviving the Wilsonian vision of a Europe comprising self-governing nations—but for the one part of the continent where this vision has never been applied.
Inevitably, there would be difficulties and risks, although not as serious as those inherent in the existing failed policy approach. Serbia would have to let go of Kosovo, minus the north, but the compensation would be the realization of a Serbian nation-state in the territory where Serbs predominate. Albanians would similarly have to give up northern Kosovo. More problematic, Bosniaks and Macedonians would need to accept the loss of territory to which they are sentimentally attached and without any significant territorial compensation.
In truth, this would simply be a formalization of the existing reality. But the United States and Europe would need to smooth the transition by investing heavily in their economic development and by involving a range of international partners—including Turkey, Russia, and the key regional states of Albania, Croatia, and Serbia—to commit to their security. During a transitional period, Washington and others may also have to deploy peacekeepers to uphold the borders of the expanded Albanian, Croatian, and Serbian states.
But this would be only a temporary commitment, in contrast with the current deployment needed to uphold an illegitimate status quo—4,300 troops in Kosovo, including around 600 from the United States, and another 600 troops in Bosnia. Ultimately, it is easier to enforce a separation than a reluctant cohabitation.
These suggestions may shock those who are heavily invested in the current policy of multiethnicity. But the debate on the Balkans has been dominated for far too long by Western diplomats and academics who deny what is obvious to almost everyone on the ground: that multiethnicity in the region is a beautiful idea and a miserable reality.
There is no question that undoing the existing settlement would be complicated. However, a managed process of separating groups with divergent national interests, rather than forcible coexistence for the sake of an abstract ideological goal, would eliminate the most serious risk facing the region—namely, uncontrolled disintegration and renewed conflict. It would also give places such as Bosnia and Kosovo a better chance of developing in the longer term. This is eminently preferable to the status quo.
After many wasted years, the West must have the confidence to embrace a new approach that cuts through hardened assumptions. For the new administration, there is now an unprecedented opportunity to rethink a policy that has been flawed since its very inception. In a final act of service to the Balkans, the United States should finish the job it started so long ago, this time once and for all.

TIMOTHY LESS is Director of Nova Europa, a political risk consultancy, and an Associate Researcher at the University of Cambridge’s Forum on Geopolitics. He was formerly a British diplomat in the Balkans.




Alep, plaidoyer pour la liberté d’analyse et une géopolitique cohérente de la France




Ces derniers jours, j’ai été la cible d’attaques répétées, dans plusieurs médias –FranceInterLe Mondele JDDLibération et Le Nouvel Observateur –, tendant à me présenter comme un soutien de Bachar el-Assad et/ou de Poutine et à m’accuser d’incompréhension par rapport aux événements en cours en Syrie, voire d’insensibilité face à la tragédie vécue par les civils d’Alep. Il est bien entendu qu’à travers ma personne, il s’agit là de viser Jean-Luc Mélenchon en tant que candidat à la présidence de la République, porteur d’une vision de la guerre en Syrie et d’une ligne géostratégique indépendantiste pour la France à même de redonner à notre pays sa grandeur et son autonomie. Gardant l’espoir que le débat reste encore possible – sur cette question comme sur toute autre. Je me permets donc de répondre à ces critiques, tout en précisant que je ne minimise pas les souffrances du peuple syrien, mais que je dénonce la propagande mensongère et le deux poids deux mesures qui conduisent aux guerres futures. Je ne suis pas favorable au dictateur Bachar-Al Assad, mais je dénonce le terrorisme djihadiste sanguinaire et l’ineptie de la ligne géostratégique française. Je ne suis pas pro-Poutine comme le répètent les atlantistes, je suis pour l’indépendance de la France.

Le courage, c’est de chercher la vérité et de la dire, c’est de ne pas subir la loi du mensonge triomphant qui passe et de ne pas faire écho aux applaudissements imbéciles et aux huées fanatiques – Jean Jaurès, Discours à la jeunesse, Juillet 1903.

 

Excuses sur un des tweets et pratiques journalistiques

Précisons tout d’abord qu’on me reproche essentiellement deux « tweets », que l’on juge ignominieux. Dans le premier, j’affirme que la couverture médiatique des événements en Syrie est orwellienne. Dans le second, je remarque que l’information selon laquelle le principal hôpital d’Alep a été détruit par les bombardements a été répétée plusieurs fois sur les quelques derniers mois. C’est en extrapolant à partir de ces deux publications de 140 caractères chacune qu’on me reproche de manquer de compassion à l’égard des civils tués et de ne pas dénoncer, comme je devrais, la barbarie dont font preuve les régimes de Bachar el-Assad et celui de Vladimir Poutine.

Si je ne retire rien au premier tweet concernant la propagande orwellienne – je m’en explique plus amplement plus bas –, je regrette le second sur l’hôpital. En raison de la concision des messages Twitter, aucune argumentation sérieuse n’est possible, ce qui laisse la porte ouverte à toutes les interprétations, y compris les plus absurdes et haïssables. Ce tweet, qui cherchait à dénoncer la propagande à l’œuvre dans les guerres sur un exemple spécifique, a blessé un grand nombre de camarades du Parti de Gauche, comme de citoyens non partisans, légitimement horrifiés par les images de morts provenant d’Alep. Je m’en excuse publiquement, mais demande de me faire la grâce de lire ce texte jusqu’au bout, car si condamné je dois être, moralement, publiquement ou politiquement, autant que ce soit pour les bonnes raisons et en toute connaissance de cause. Ces explications sont aussi exhaustives que possible, et permettent à chacun d’accéder aisément aux sources par liens hypertextes.

Je voudrais d’emblée souligner que contrairement à ce que devrait être une pratique journalistique de base, je n’ai été contacté par aucun des journalistes qui m’incriminent en extrapolant des positions politiques générales à partir de deux tweets ou en reprenant ce que leurs collègues ont initialement dit ou écrit. On conviendra qu’il s’agit là d’une attitude étrange pour les thuriféraires des valeurs démocratiques dont ils seraient les uniques défenseurs.

 

Un émoi légitime face au drame humain vécu par les civils et l’expression d’un dissensus

Non, je ne suis pas indifférent à la mort et à la souffrance d’enfants dans les guerres. Je les connais même sans doute mieux qu’une grande partie des personnes qui me le reprochent, pour avoir été, dans le cadre d’une opération humanitaire, assistant responsable d’un camp pour enfants orphelins ou perdus au Rwanda en 1994, peu après le génocide, mais aussi pour avoir vu une ville – Belgrade, où je suis né – bombardée, en 1999, par la plus formidable armada aérienne de l’histoire, conduite par l’OTAN. Ces bombardements, dont la ville garde toujours les stigmates, n’avaient d’ailleurs suscité à l’époque aucun émoi en Occident. Enfin, j’ai eu l’honneur de servir en tant qu’officier dans l’armée française ; participer à une opération extérieure en Afghanistan, en 2006-2007, m’a donné l’occasion d’appréhender directement la guerre et la tragédie qu’elle représente.

Il ne s’agit donc pas de ma part de nier la tragédie vécue par les civils pris sous les bombes, et on cherchera en vain une citation en ce sens venant de ma part. Les morts, d’Alep ou d’ailleurs, surtout des enfants, font au contraire écho aux images épouvantables que je porte dans ma mémoire. La prise d’une ville – moment particulièrement sanglant dans tout conflit armé – est toujours une catastrophe pour les civils, otages et cibles – volontaires ou non – des belligérants, qui risquent de manquer de nourriture, d’être blessés, violentés ou tués. Même si le combat est moralement et politiquement légitime, la violence subie par les civils est intolérable et particulièrement cruelle dans les zones urbaines où chaque rue est une nasse, où la menace de tireurs embusqués est omniprésente. Devant toute souffrance de civils, on ne peut que compatir ; pour reprendre les termes souvent utilisés ces derniers jours par les médias, elle signe toujours, peu ou prou, la mort de l’humanité. Mais partout et à chaque fois ; pas uniquement à Alep. Au-delà de ce constat, commun à tous les êtres humains doués de sensibilité, les conflits armés, pas plus que n’importe quel autre événement, ne peuvent échapper aux interprétations divergentes. Le problème survient lorsqu’un conflit en particulier acquiert soudain un statut spécial dans la couverture médiatique pour devenir une sorte d’icône dont il est interdit de commenter le sens.

C’est précisément ce qui se passe avec la bataille d’Alep. Dans la longue série de conflits qui ont secoué le monde, et en particulier le Moyen-Orient, depuis quinze ans, peu d’événements ont suscité une adhésion aussi massive des commentateurs à une version particulière de l’histoire et ont produit une injonction aussi forte adressée à tout un chacun de s’y conformer. Dans ce contexte, toute voix discordante, qui s’interroge à la fois sur la production de ce consensus, sur les raisons de l’émotion collective ainsi construite et sur le bien-fondé de l’éclairage apporté apparaît proprement hérétique. Pourtant aucune tragédie ne nous exonère du devoir non seulement de compatir, mais aussi de chercher à comprendre ; et ce n’est pas en clouant au pilori quiconque s’écarte de la version « approuvée » du conflit syrien qui prévaut dans les médias qu’on résout les problèmes qui conduisent à ces tragédies. Je crois au contraire que c’est le rôle d’un responsable politique de sortir du cadre compassionnel commun – même s’il est légitime – pour s’interroger sur les causes, comprendre dans toute sa complexité la course des événements qui conduisent aux drames et chercher des réponses adéquates.

Revenons donc aux deux tweets incriminés pour en développer le propos. Le tweet qui affirme que le dernier hôpital d’Alep a manifestement été détruit une quinzaine de fois ne vise pas, encore une fois, à moquer la tragédie d’enfants qui meurent à Alep faute de soins ; il cherche à attirer l’attention sur l’incroyable guerre de l’information qui double les hostilités physiques sur le terrain, utilisant tous les moyens possibles pour provoquer l’émotion, l’indignation et la haine. Cette propagande est évidemment menée par toutes les parties ; est-ce une raison suffisante pour ne pas dénoncer les excès commis du « bon » côté, le nôtre ? J’aurais d’ailleurs tout autant pu aborder cette propagande par d’autres biais. Quoi qu’il en soit, l’erreur a été de le faire sur Twitter où il est impossible de développer une réflexion construite.

Dans les articles de Libération et du Monde, il est écrit que je ne base ma remarque que sur des tweets informant de la destruction du « dernier hôpital d’Alep » et non sur des articles de véritables journalistes écrivant dans la presse respectable. Il est vrai que les tweets sur le sujet sont légion – les recenser serait beaucoup trop long –, mais contrairement à ce qui a été suggéré dans ces articles, mon tweet malheureux m’a bien été inspiré par la lecture de la presse légitime. Mon tweet datait du 13 décembre ; voici quelques exemples de publications antérieures que Le Monde et Libération peuvent considérer comme sérieuses car produites par leurs confrères : Le Monde du 21 octobre« Alep sans médecins ni chirurgiens », le Washington Post du 16 novembre « Les avions de guerre bombardent l’hôpital des enfants alors qu’Assad relance l’offensive sur Alep »The Guardian du 19 novembre « Le dernier hôpital d’Alep-Est détruit par des frappes aériennes »,  le Huffington Post du 21 novembre « Les bombardements forcent les médecins à fermer le dernier hôpital pour enfants d’Alep », Al-Jazeera du 27 novembre « Dans le dernier hôpital d’Alep-Est même plus d’espace pour marcher », L’India Times du 4 décembre « En Syrie partie 3 : Avec le dernier hôpital détruit, Alep s’annonce comme le plus grand bain de sang de l’Histoire contemporaine ». Encore une fois, il ne s’agit pas de nier la souffrance bien réelle que peuvent endurer les civils pris sous le feu destructeur, mais de montrer à ces journalistes et à ceux qui ont pu être choqués par mon tweet que je ne suis pas de mauvaise foi et que je sais, en tant qu’ancien officier des opérations psychologiques, reconnaître une manipulation destinée à impressionner.

Ce reproche est par ailleurs relativement cocasse compte tenu du fait que les tweets sont souvent la seule base des informations dont disposent les journalistes qui me critiquent. En effet, il y a très peu de journalistes sur le terrain et aucune organisation internationale digne de ce nom, comme le rappelle fort justement le journaliste Patrick Coburn dans The Independent du 2 décembre « Voilà pourquoi tout ce que vous avez pu lire sur la guerre en Syrie pourrait s’avérer faux ». L’autre source d’information des médias, aveuglément reprise depuis des années, est l’organisation portant le nom irréprochable d’Observatoire syrien des droits de l’homme. Il s’agit en fait d’une source particulièrement illégitime puisqu’elle est une émanation des Frères Musulmans, financée par l’Arabie Saoudite et le Qatar et… basée à Londres ; pourtant, elle est la référence pour dénoncer les crimes et compter les morts. C’est, je l’affirme, une manipulation pure et simple du public, qui dure depuis trop longtemps.

 

Le caractère orwellien de la couverture médiatique du conflit

Oui, pour qualifier la couverture médiatique du conflit en Syrie, j’ai utilisé le terme « orwellienne », et je suis prêt à réitérer cette qualification. Par orwellien, j’entends faisant penser à la réalité décrite par Orwell dans 1984. Dans ce roman, les trois puissances qui se partagent le monde – OcéaniaEstasia et Eurasia – sont perpétuellement en guerre, et voilà comment l’auteur décrit la manière dont cette guerre est présentée à la population : « Mais retrouver l’histoire de toute la période, dire qui combattait contre qui à un moment donné était absolument impossible. Tous les rapports écrits ou oraux ne faisaient jamais allusion qu’à l’événement actuel. En ce moment, par exemple, en 1984 (si c’était bien 1984) l’Océania était alliée à l’Estasia et en guerre avec l’Eurasia. Dans aucune émission publique ou privée il n’était admis que les trois puissances avaient été, à une autre époque, groupées différemment. Winston savait fort bien qu’il y avait seulement quatre ans, l’Océania était en guerre avec l’Estasia et alliée à l’Eurasia. Mais ce n’était qu’un renseignement furtif et frauduleux qu’il avait retenu par hasard parce qu’il ne maîtrisait pas suffisamment sa mémoire. Officiellement, le changement de partenaires n’avait jamais eu lieu. L’Océania était en guerre avec l’Eurasia. L’Océania avait, par conséquent, toujours été en guerre avec l’Eurasia. L’ennemi du moment représentait toujours le mal absolu et il s’ensuivait qu’aucune entente passée ou future avec lui n’était possible. »

Oui, la couverture médiatique du conflit en Syrie m’a souvent fait penser à cette citation d’Orwell. En 2001, à la suite des attentats de New York, Al-Qaïda a été désignée comme le mal absolu et combattue par la coalition internationale sur tous les fronts possibles. Et d’une certaine manière légitimement : ne s’agit-il pas d’une organisation terroriste criminelle, agissant à l’échelle internationale, et dont Daech n’est qu’un des avatars ? Al-Qaïda est encore combattue aujourd’hui au Mali par les forces armées françaises, qui y ont mené et y mènent un remarquable et difficile combat contre les terroristes et autres criminels (opérations ServalEpervier, puis Barkhane). Elle a frappé les villes européennes, le 11 mars 2004 à Madrid, le 7 juillet 2005 à Londres ou encore à Paris lors de l’attentat contre Charlie Hebdo le 7 janvier 2015 par les frères Kouachi qui se sont revendiqués spécifiquement d’Al-Qaïda au Yémen. À chaque fois, là aussi légitimement, l’émotion populaire a été immense, l’inquiétude et la colère aussi. L’État islamique a ensuite pris le relais, avec les terribles attaques de novembre 2015, dites du Bataclan, les pires qui aient jamais ensanglanté la France. Et je ne parle même pas ici du volume proprement sidérant de victimes provoquées par ces organisations lors d’opération terroristes conduites dans des pays musulmans (ou dont la religion majoritaires est l’islam) : plus de 30 000 morts depuis les attentats de Charlie Hebdo – que l’on se représente bien ce chiffre, qui ne semble pas gêner ceux qui ont quelques tendresses pour les avatars d’Al-Qaïda, rapidement repeint en démocrates, du seul fait qu’ils combattent contre les troupes syriennes régulières et les Russes. Il faut aussi bien se souvenir de ce chiffre quand les mouvances d’extrême droite en France tentent de faire croire que les terroristes islamistes en veulent exclusivement à la France ou à l’Occident ou à leurs valeurs. Le terrorisme islamiste représente une plaie internationale frappant tousazimuts et sans distinction de nationalité, de religion ou de zone géographique ; c’est un des multiples fléaux de la mondialisation incontrôlée, dont les racines théoriques se trouvent dans les monarchies théocratiques wahhabites du Golfe, Arabie Saoudite et Qatar en tête.

Mais ces derniers mois, la couverture du conflit en Syrie – l’un des fiefs de ces deux organisations islamistes – semble frappée de schizophrénie. On parle de temps en temps de l’EI, plus jamais d’Al-Qaïda ou si peu, en catimini ; on parle beaucoup de la guerre menée par Bachar el-Assad ; mais on ne rapproche jamais ces deux informations. Certes, lorsqu’on le fait, le tableau qui en ressort est moins simple et moins confortable que celui d’une guerre où le bien (les rebelles démocratiques) combattrait le mal (le régime totalitaire). Mais cette amnésie et cette incapacité à faire tenir ensemble toutes les données nécessaires à la compréhension de la situation, fussent-elles inconfortables, suit très précisément le schéma orwellien décrit dans le passage de 1984 cité plus haut, qu’Orwell appelle la « double pensée ». Est-il criminel de remarquer cette particularité inquiétante de la couverture médiatique de ces tragiques événements ? D’essayer d’en comprendre les raisons ? De rappeler l’autre côté de la réalité, qu’on essaie sans cesse de refouler au point où certains communiqués qui passent dans les informations deviennent proprement incompréhensibles ? Ainsi, lors des combats simultanés à Palmyre et à Alep des dernières semaines, il était très malaisé pour une personne moyennement informée de comprendre qui attaque qui dans ces villes, les « gentils » et les « méchants » semblant changer de rôles sans aucune explication.

Par ailleurs, d’autres conflits tragiques aux conséquences humanitaires comparables, parfois pires, sont en cours au même moment sans que cela ne produise un émoi équivalent, ni dans les médias ni au sein du gouvernement. Il ne s’agit pas de nier les souffrances à Alep en en invoquant d’autres ailleurs, mais de s’interroger sérieusement sur le désintérêt quasi complet, ou au mieux léger et parcellaire, pour les autres conflits. Je tiens à préciser ici que je ne porte aucun jugement sur les citoyens français, mais sur les médias et les politiques qui s’adressent à eux. Je pense que l’émoi et l’horreur seraient pires encore si pendant plusieurs semaines on montrait dans les médias les souffrances des civils yéménites. Que se passe-t-il là-bas ? Un conflit qui dure depuis presque deux ans ou au moins 10 000 civils sont morts, dont au moins 4 000 en raison de bombardements, et où… 14 millions de personnes ont besoin d’une aide alimentaire. Pire, au Yémen, selon l’UNICEF, 2,2 millions, oui, 2,2 millions d’enfants souffrent de malnutrition aigüe dont 460 000 de malnutrition aigüe sévère. Je ne posterai pas ici de photos d’enfants en « malnutrition aigüe sévère », mais c’est terrifiant. Face à cette tragédie, le nouveau Premier ministre de la France n’évoque pas un crime contre l’humanité ; et pourtant c’est le cas, mais c’est dû à une guerre menée par l’Arabie Saoudite et le Qatar avec l’appui des États-Unis, soit tous des « alliés » de la France, qui livre aux deux premiers pays des armes en volume considérable. Les causes de la malnutrition et de la famine sont simples : le Yémen, pays pauvre avec peu de terres arables, importe la plus grosse partie de son alimentation, or les ports de ce pays subissent un blocus militaire de la part de l’Arabie Saoudite et du Qatar. Où est l’indignation ? Où sont les reportages ? Où sont les tribunes envolées dans nos médias et les pétitions en ligne ? Où sont les sanctions économiques ? Quid des résolutions à l’ONU ? On se le demande.

On se souviendra également du bombardement, le 3 octobre 2015, de l’hôpital de Kunduz tenu par Médecins sans Frontières, dont on trouvera le rapport ici. Ce n’était pas le premier hôpital bombardé par les États-Unis. Peut-être était-ce par erreur ? En tout état de cause, la couverture médiatique en avait été assez sobre et nul appel exigeant une explication de la part des États-Unis n’a vu le jour, pas plus, bien sûr, que des demandes de sanctions.

Être la patrie des droits de l’homme ne nous autorise justement pas à utiliser ces droits et l’indignation dont en suscite la violation de façon variable. On ne peut pas les invoquer uniquement pour dénoncer les actions de nos adversaires ou concurrents géopolitiques et les oublier lorsqu’il s’agit d’opérations menées pour appuyer notre hégémonie, ou celle de notre suzerain, les États-Unis. Si les droits de l’homme ne sont pas invoqués systématiquement et avec la même force pour tous les crimes, alors ils sont dévoyés.

 

Qui défend Alep, « djihadistes islamistes » ou « rebelles modérés » ?

Une fois intégré l’aspect toujours terrifiant de toute guerre, en particulier dans les zones urbaines, la question à se poser est de savoir qui fait la guerre contre qui et dans quel but politique. Il est bien évident que si la ville d’Alep était défendue par des « rebelles modérés » ou des forces combattantes démocratiques visant à renverser le régime dictatorial d’Assad, la légitimité de leur combat aurait été totale, le crime des Russes complet et la non-assistance par les États occidentaux tragique. C’est en gros le tableau dessiné dans nos médias. Malheureusement, la réalité concrète est tout autre.

Il est important de noter qu’un des premiers axes de propagande est d’avoir créé la confusion dans les esprits en se référant à Alep alors que les combats et les bombardements avaient lieu à Alep-Est. Alep-Ouest est tenue depuis des années par le gouvernement syrien et compte plus d’un million d’habitants ; c’est là qu’allaient se réfugier, le plus souvent, les civils qui pouvaient se dégager d’Alep-Est. Alep-Est, elle, comptait moins de 150 000 habitants (dans la dernière phase des combats, depuis le 15 novembre, Robert Balanche, chercheur au Washington Institute for Near Est Policy, n’en comptait plus que 20 à 30 000), que la guerre a forcés à vivre dans des conditions abominables : sans accès à l’eau potable, aux soins ou à une nourriture descente. La dureté des conditions de vie, inhérente à la tragédie que vivent les populations civiles en état de siège, était aggravée par les privations organisées volontairement par les groupes djihadistes qui nous ont été présentés comme défendant les populations ; ainsi lors de la prise d’Alep-Est a-t-on pu assister à la découverte de colossales réserves de nourriture, détournées de l’aide humanitaire et refusées aux populations civiles. Par ailleurs, les djihadistes tiraient depuis des mois sur Alep-Ouest (souvent depuis l’hôpital d’Alep-Est), et surtout sur les zones chrétiennes – sans, là non plus, provoquer une grande émotion dans nos médias (un exemple ici tiré du Monde ou du Point).

Si la ville d’Alep-Est était tenue principalement par des djihadistes apparentés d’une manière ou d’une autre à Al-Qaïda ou à Daech, la ligne morale et politique à tenir face aux événements devient beaucoup moins évidente. Pouvait-on soutenir sans réserve leurs revendications et leur combat contre l’armée de Bachar el-Assad ? Souhaiterions-nous sérieusement que des organisations terroristes prennent le contrôle de villes entières, de régions, voire de l’États, et s’y implantent durablement ?

On me rétorquera peut-être qu’assimiler la rébellion démocratique aux islamistes d’Al-Qaïda relève d’un simplisme outrancier. Pourtant les informations indiquant que la rébellion démocratique a depuis longtemps été phagocytée par les djihadistes ne manquent pas ; on se réfèrera utilement à l’article du journaliste Bachir El-Khoury dans Le Monde diplomatique intitulé « Qui sont les rebelles syriens ? » (du mois de décembre et toujours disponible en kiosque), qui a le mérite d’être exhaustif tout en adoptant un ton neutre. On pourra aussi se référer à Robert Balanche dans La Croix : « A Alep-Est, les rebelles sont cantonnés dans un périmètre d’environ 10 km², où ils compteraient 6 000 à 7 000 combattants. Ceux-ci appartiennent en majorité à deux groupes de la coalition salafiste-djihadiste Jaish Al-Fatah, le Front Fatah Al-Cham (ex-Front Al-Nosra, branche syrienne d’Al-Qaida), de tendance internationaliste, et Ahrar Al-Cham, de tendance locale. « Il n’y a pas de groupe laïque à Alep-Est depuis 2012-2013, précise le chercheur. Tous ont été éliminés par les islamistes ». Ou encore à Robert Fisk dont l’analyse, que je fais mienne, dans cet article de The Independent est la plus lucide tant sur la situation globale, les combats à Alep, la cruauté du régime syrien, la bouffonnerie de nos gouvernements et les conséquences à long terme : « Mais il est temps de dire l’autre vérité: que nombre des « rebelles » que nous, les Occidentaux, avons soutenus – et que notre absurde premier ministre Theresa May a indirectement bénis (…) – sont les plus cruels et les plus impitoyables des combattants au Moyen-Orient. Et tandis que nous avons été saisis d’effroi par Daech pendant le siège de Mossoul (un événement trop semblable à Alep, bien que vous ne le penseriez pas en lisant notre récit de l’histoire), nous avons volontairement ignoré le comportement des rebelles d’Alep ».

Fréderic Pinchon décrit les mêmes réalités pour France Info : « La plupart des habitants d’Alep-Est est allée à Alep-Ouest, c’est-à-dire les zones gouvernementales. (…) La poche de rébellion d’Alep-Est ne représente pas les civils. (…) Par ailleurs, sur la question de la réalité de la rébellion à l’est d’Alep, on a sans doute été beaucoup intoxiqué en Europe et en Occident en général. (…) À travers des négociations secrètes, ces rebelles ont obtenu un sauf-conduit. Et ce en négociant avec les Russes et non avec les Syriens. Depuis deux ans, les Russes sont à la manœuvre sur l’ensemble du territoire et négocient des trêves. Pour une grande partie, cette rébellion va soit rendre des armes, soit s’intégrer dans des unités de l’armée syrienne, soit partir pour Idleb, qui va rester la dernière zone que l’armée de Bachar Al-Assad n’a pas réussi à réduire. L’offensive à Idleb a d’ailleurs déjà commencé avec l’aide de l’aviation américaine. (…) Les civils dans leur grande majorité qui vivaient encore à Alep-Est ont servi de boucliers humains, comme en ce moment à Mossoul, l’État islamique se sert des habitants de Mossoul comme boucliers humains. On nous a présenté pendant quelques mois une situation qui ne correspondait pas à la réalité. »

La réalité, c’est que les « rebelles modérés » comme nous aimons à les qualifier dans les médias dominants sont pour la plupart des combattants d’Al-Nosra (soit Al-Qaïda) ou sous la coupe de cette organisation. Ces fanatiques au pouvoir seraient la pire chose que l’on puisse souhaiter à un pays – même la très étasunienne fondation Carnegie ne peut que constater la volonté d’Al-Nosra de transformer la Syrie en un État régi par la Charia. Pour la sécurité de la France et de l’Europe, pour l’avenir de la Syrie, la première chose à faire est de se débarrasser de ces groupes terroristes et d’organiser une transition démocratique sous mandat de l’ONU.

Il faut bien comprendre ce qui s’est passé à Alep-Est. Dans cette partie de la ville, les djihadistes en perte de puissance, acculés, font ce qu’ils ont fait hier à Manbij et ce qu’ils feront demain à Mossoul, après-demain à Raqqa, Al-Bab ou Idlib : prendre en otage les populations, exécuter ceux qui tentent de fuir et s’en servir comme boucliers humains, le plus souvent en s’abritant dans ou autour des éventuels hôpitaux. En août dernier, les forces armées kurdes de l’YPG (Unités de Protection du Peuple, l’armée du Rojava) ont repris aux djihadistes de Daech la ville de Manbij, au prix de terribles combats. Lors de la phase finale de l’assaut, les Kurdes ont dû négocier avec les djihadistes et avec les États-Unis un accord dont les termes étaient les suivants : les djihadistes survivants pourraient se retirer avec leurs familles, leurs blessés et leurs armes légères, les États-Unis promettant de ne pas les bombarder dans leur retraite vers Raqqa ; en échange les djihadistes promettaient de ne pas exécuter les milliers de civils pris en otage, ainsi que l’a décrit Patrice Franceschi. La bataille de Manbij n’était qu’une, bien qu’héroïque, parmi tant d’autres combats (par exemple à Kobané) livrés par les Kurdes. Éminemment utile pour la France, il ne provoquera pas d’émoi particulier, car ne sera que peu relaté, même si l’on doit souligner l’assistance des forces spéciales françaises dans ces combats. À Alep-Est, il se passe peu ou prou la même chose qu’à Manbij : les combattants djihadistes ont tenu la population civile en otage – si l’on veut une source parfaitement officielle pour s’en convaincre, on peut consulter le rapport de Robert Coville, porte-parole du Haut Commissariat de l’ONU aux droits de l’Homme. Désormais, les combattants survivants étant autorisés à quitter Alep par les Russes, qui organisent ces corridors et l’armée syrienne, pour aller au Nord vers les territoires et villes encore sous leur contrôle. À Mossoul, la coalition menée par les États-Unis attaque et livre, elle aussi, combat dans des hôpitaux. Et pourquoi ? Non pas par barbarie étasunienne ou irakienne, mais par nécessité, parce que les djihadistes de Daech ont fait de l’hôpital de Mossoul un centre de commandement. Il s’agit d’une stratégie délibérée et systématiquement appliquée par des fanatiques, à Alep-Est comme ailleurs. Demain, il faudra organiser les mêmes corridors pour libérer les derniers civils et permettre aux djihadistes survivants de se replier sans quoi ils se feront sauter. Non, l’idée que les civils d’Alep-Est étaient tenus en otage par les combattants islamistes n’est pas juste une opinion, mais une réalité avérée par les faits. Le pire est à venir quand l’une ou l’autre des coalitions arriveront au dernier bastion tenu par les djihadistes, quand il n’y aura plus ultimement où fuir, alors un immense bain de sang sera à craindre.

La forte présence d’islamistes dans les rangs des combattants n’est en rien une surprise, ni une anomalie. Même un spectateur non averti qui s’est intéressé au minimum à la manière dont les choses se sont déroulées dans tous les pays touchés par le printemps arabe a pu se rendre compte que dans cette région l’islamisme prospérait sur le terreau de l’instabilité étatique et de la guerre civile, et qu’en l’absence de solution politique rapide, c’est lui qui occupait généralement le terrain. La lecture des rapports, dès 2011, de personnalités comme Alain Chouet, ex-patron du service de renseignement de sécurité de la DGSE, longtemps en poste en Syrie, aurait été utile à certains (voir des éléments ici). Certes, si les islamistes ont pu à ce point s’imposer au sein de l’opposition anti-Assad, c’est aussi parce que les puissances occidentales ont tardé à soutenir les manifestations contre le régime ; mais ils étaient là dès l’origine, et l’issue actuelle n’était alors en rien imprévisible. En partant de cette donnée du terrain, et quelles que soient les réserves qu’on peut émettre à l’égard du régime syrien, surtout au bout de cinq ans de guerre civile, la position consistant à soutenir la puissance étatique, dans cette région, ne peut pas juste être balayée d’un revers de main au prétexte qu’elle serait immorale. Elle l’est certainement en partie, car c’est le cas de toutes les positions réalistes ; mais l’est-elle plus que celle qui consiste à « oublier » qui sont les insurgés qui ont tenu les quartiers est d’Alep, y retenant des civils en otage ? Que celle qui consiste à refuser de combattre ces groupes, dir

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RETORICA BELLICA


QUIZ: a chi sono da attribuire le parole seguenti?

<< La Russia è un serpente a sonagli che circola in tutto il mondo... Non sempre il serpente a sonagli morde velenoso. Spesso, specie se viene accarezzato, circonda con disinvoltura il corpo di chi lo sopporta, ma se si arrabbiasse allora morde con morsi velenosi... C’è chi stritola il serpente a sonagli e chi ne è stritolato. >>

[ ] Heinrich Himmler sulla Europäische Revue, Luglio 1941
[ ] Eugenio Scalfari su La Repubblica, Gennaio 2017
[ ] Julija Tymošenko intervistata da Le Parisien, Febbraio 2015
[ ] Hillary Clinton sul New York Times del 20 Settembre 2016
[ ] Achille Starace sul Popolo d'Italia, editoriale del 4 Maggio 1942

La risposta sarà fornita tra un paio di giorni all'interno del nostro post "Nuovo Maccartismo".




Una riflessione di Mira Marković per l'anno nuovo. Della stessa autrice si vedano anche i testi alla nostra pagina dedicata: https://www.cnj.it/MILOS/miramarkovic.htm


ПРОГНАНА И НЕИЗГУБЉЕНА

УОЧИ СЛЕДЕЋИХ ГОДИНА

Пише: Мира Марковић

Југословенски филозоф из Загреба, Милан Кангрга, је у некој прилици написао: „На почетку беше будућност“.
Мислио је на време у коме ће почети слобода за све народе и за све људе и равноправност међу њима.
Пут до тог времена је дуг и тежак али средином прошлог века велики део човечанства је њим кренуо. И Југославија, наша ондашња земља, је на њему била један од најбржих и најстраснијих путника. И успела је да живи у том времену пре свих, додуше кратко.
Али, већ на самом почетку неки су се путници уморили, обесхрабрилили су их тежина и дужина пута, неки су посумњали у реалност таквог циља, многима је била ближа садашњост са свим својим недостацима, него будућност – хуманија и лепа, али далека, у којој они неће стићи да живе.
Тако је било са некима, па са многима, па онда, скоро са свим путницима. Та будућност, далека и ако је буде, нека буде препуштена избору и ходу неких других поколења. 
И тако се човечанство ипак крајем прошлог века одлучило за садашњост, да је поправи где јој налази мане, и за ону будућност која је временски садржајно и креативно доступна и могућа. 
Већ се налазимо у прилично поодмаклој другој половини друге деценије двадесет првог века. Данас кад се каже будућност мисли се на следеће две – три године, на пет, 2025. година је већ предалека. 
Блиска будућност, по свему, са разлогом личиће на садашњост, изгледаће можда овако. 
1. Експлозиван материјални, економски и техничко-технолошки развој у развијеном делу света (Северна Америка, Северна, Западна и Централна Европа, најдаљи Исток) и са њим неускалђена друштвено-политичка организација друштва. Као и сваки пут у историји, материјални развој је бржи од друштвеног, њихова некомплементарност окончава се тако што се мирним или немирним (а обично немирним путем) мења постојећи друштвени систем да би, усклађен са материјалним корпусом, омогућио његов даљи развој и тиме развој друштва у целини. 
У том смислу неопходне промене друштвених система би требало да: ограничавају улогу државе, планетарно интегришу економски, социјални и културни живот, гасе представничку демократију, афирмишу непосредну и безпартијску демократију, и тако даље. 
У нарендим годинама или у наредним деценијама до тих промена у дрштвено-политичком животу неће доћи и планетарни интегративни процеси које налаже материјални, техничко-технолошки и економски развој имаће и даље препреку у друштвеним системима који ће их кочити. Тензије иземђу материјалног и друштвеног тешко да ће се окончати без притисака, или насиља, од стране прогресивних друштвено-политичких субјеката чији циљ треба да буде ослобађање материјалног и економског живота од друштвених и политичких стега – конзевативних државних и националних интереса, односно конзервативног разумевања државних, националних, па и личних интереса. 
2. Социјалне, односно класне разлике остаће и даље драматично и примарно лице следећих деценија. Оне ће се, као и до сада испољавати на мирко и макро нивоу.
На микро нивоу у оквиру држава и народа и на макро нивоу глобално. 
У развијеним друштвима на микро нивоу ће се те разлике смањивати захваљујући укупном друштвеном развоју. Високо развијене државе на Западу и Северу Европе захваљујући великом материјалном богатству довешће до радикалних позитивних промена у социјаној структури становништва. Смањиваће се сиромаштво, нестајеће лумпенпролетаријат. Али ће разлике између богате мањине и сиромашне већине и даље обележавати сва друга, мање развијена и неразвијена друштва. Као што ће на глобалном нивоу та диференцијација не само трајати већ показати тенденцију раста. 
Високо развијена друштва су у свим димензијама свог развоја оставила далеко иза себе двадесети век, али тај развој и даље дугују експлоатацији природних богатстава неразвијеног света који је, међутим, и даље неразвијен, често као што је био и пре неколико векова. 
Између НАСЕ и Јужног Судана смештено је више векова него што их је било између Нероновог царства и живота у Долини Брамапутре. Чак више него између Циришке Линден штрасе и бразилске фавеле 1963. године.
3. И даље ће се водити локални ратови као пљачкашки походи за потребе мултинационалних компанија. И даље ће се ширити експанзионизам и светска доминација највеће војне, економске и технолошке силе са нескривеном тенденцијом ка глобалној колонизацији.
Али ће и даље трајати пацификација могућих организованих и енергичних напора прогресиног света да се та колонизација заустави.
Јачање две велике силе, Русије и Кине, у првој половини двадесет првог века није успело да заустави колонијалне претензије са Запада – НАТО и администрације САД.
Али, с обзиром да су, у крајњој линији те претензије уперене ка њима могло да дође до оружаних сукоба који би добили глобални карактер. Да ли би то био Трећи светски или последњи светски рат зависило би од техничко-технолошког оружја којим би се водио. Постојећа сазнања о домашају тог оружја указују на његов апокалиптични карактер. 
4. Већина савремених друштава, односно држава, је организована на принципу парламентарне демократије. Тамо где је та демократија стартовала пре неколико векова, она представља истрошен историјски образац, у срединама где је новијег датума манифестује се прилично карикатурално с обзиром на број партија и одсуство њиховог политичког идентитета. 
У већини друштава организованих као парламентарна или представничка демократија губе се политичке разлике међу партијама, постоје само номиналне, лингвистичке и симболичке, па је вишепартијски систем то све више само формално а у ствари се трансформише у једнопартијски. Разлике између левице и деснице се смањују, са тенденцијом да се потпуно изгубе. 
Левица је одустала од радикалних потеза у погледу промене друштва, определила се да постојеће коригује, поправља и тиме се приближила десници која је, иако решена да сачува постојеће друштвене прилике, допустила промене које треба да их усаврше. 
Партијским животом доминира једна мисао и она ће доминирати и даље, још неко време, пре него што вишепартијски систем и парламентарна демократија не издахну, препуштајући своје место непосредној, стварној демократији.
Али бар до 2025. године непосредна демократија се неће догодити. Тешко да ће се афирмисати чак и као политички и друштвени идеал. (Краткотрајна најава такве демократије средином прошлог века у Југославији, она будућност о којој пише Кангрга, постаје излет у небо, антиципација живота који ће се догодити ако га не предухитри апокалиптични рат или ако га не одложи за дуго недостатак разума и енергије да се тај рат избегне. 
5. Електронска, дигитална цивилизација (настала из претходног такозваног информационог друштва) развија се темпом чију је брзину тешко предвидети. 
Мада, по свему тај темпо биће најдинамичнија динамика најближе будућности.
Та динамика измешта човеков живот, бар у развијеном свету, на ниво у коме физичке, административне, па и професионалне активности преузима „машина“. 
То човека чини слободним, али га истовремено и лишава слободе.
„Машина“ има услова да стави човека под контролу и она то већ чини. Та контрола може да буде палијативна и битна. Може да буде парцијална и целовита. Она је већ у овом тренутку све мање палијативна и парцијална. Све је више битна и целовита. У тренутку када је захваљујући електронском развоју стекао слободу, човек је у том истом тренутку и изгубио.
Двојство те цивилизацијске тековине је енигма за коју данас нема изгледа да буде решена у интересу човека, али по свему неће бити решена ни сутра. 
6. Неуравнотежени развој наука траје већ неколико деценија. Природне, техничко-технолошке и примењене науке се развијају темпом који превазилази брзину којом су се развијале кроз читаву досадашњу историју. И тај ће темпо бити настављен. Истовремено, друштвене науке, пре свега општа наука о друштву, и њене посебне дисциплине, стагнирају, налазе се између псеудофилозофских опсервација и неуредне, неамбициозне дескрипције. 
Ако је савременом свету потребна нека контрола у позитивном смислу, једна од првих треба да буде она над применом резултата природних и техничко-технолошких наука. До сада и за сада резултати ових наука су више коришћени против човека него у његовом интересу. А човеков интерес је требало да буде примарни мотив стицања и примене научних сазнања. 
Друштвене науке, демотивисане страхом од политике, не само што ће стагнирати, већ ће пропустити прилику да преузму део њене улоге у функционисању и креирању друштва и човековог живота уопште, што по природи ствари у двадесет првом веку треба да чине. 
Друшетвене науке су те које треба да усмеравају резултате природних наука у правцу човекових интереса, да заштите човека и његов свет од неразумне и нехумане примене природно-научних и техничко-технолошких сазнања. Друштвене, хуманистичке науке, под претпоставком да су посвећене интересима човека, у симбиози са природним наукама и техничко-технолошким наукама, могу тај интерес да реализују. Тек обједињене, оне могу комплементарно да креирају оптималан живот на планети. 
7. Уметност, упркос бољим условима за себе него што их је било када имала, налази се у опасности да се трансформише у свој антипод. 
Вајарство је све чешће лишено потребе за обликом, на рачун тобожњег садржаја кога, међутим, нема. 
Сликарство потцењујући форму не рачуна на садржај. Он се по потреби може претпоставити, додуше та претпоставка се не сматра неопходном, чак ни потребном.
Књижевност злоупотребљава човекову потребу за површношћу и баналношћу излазећи им у сусрет. Повремено ће им бити додата и вулгарност, тамо где се процени да површно и банално нису довољно комерцијални. Јер је злоупотреба ниских потреба мотивисана још нижим. „Писци“ транспарентне књижевности нису мотивисани тобожњим духовним алтруизмом, већ бруталним егоизмом – финансијском и медијском похлепом. 
Повремени вајарски, ликовни и књижевни испади у сферу наводно класичног, у интересу спасавања уметности од њеног антипода, осцилирају од неувиђавног кича до дирљиве наивности. И доприносе, у крајњој линији, процесу уметничке деградације коју су хтели да зауставе. 
Највеће резултате у антиуметничком тренду постиже филм. Он се чак и не устеже да своје „стваралаштво“ лингвистички преименује од уметности у индустрију. Огромна већина тих производа је финансијски јефтина, високо тиражна и прилично успешно посвећена етичкој и естетској деградацији Хомо сапиенса.
Осим површности, баналности и вулгарности филмска индустрија промовише и насиље, не само постојеће већ и његову футуристичку верзију, као престижно човеково биолошко, психолошко и цивилизацијско својство.
Ако су остале уметности занемаривале племенитост, солидарност, алтруизам, нежност, хуманизам уопште, па чак и лепоту, филмска уметност је успела да афирмише њихове антиподе. Нажалост без страха да ће бити цивилизацијски онемогућена. Напротив. Охрабрена је одсуством цивилизацијске индолентности, неразумне, готово мазохистичке пасивности. 
Друге уметности нејасним садржајем кокетирају са тобожњом мисаоном дубином, савршено свесно и савршено дрско злоупотребљавају страх, не само скромно образованих, већ и оних који су високо образовани, од неспособности да схвате сложеност, од скривене сумње да су недорасли разумевању стваралачке поруке модерног уметничког садржаја.
Филм, за разлику, дакле, од других уметности, те претензије нема. 
То јест, филмска индустрија не производи намеру да је филозофска, психолошка, уметнички авангардна појава. И то таква која тобоже еманципаторски конципирана, тражи индиректне, додуше не баш енергичне, начине да афирмише један непатетични хуманизам. 
Намере филмске индустрије су планирано комерцијалне, а последице су спонтано нехумане. Мада су уствари и оне планиране. Експанзивна природа те нехуманости није настала спонтано, случајно. Напротив. Она је лабораторијска творевина власника технолошке и финансијске моћи чији је циљ да креирају свет у коме су сви са друге стране те моћи, већина људи, само способни извођачи њене стабилности и експанзије. Непобуњеничка, високо квалификована радна снага у свету којим влада златна милијарда. 
Стварна уметност, нова, лепа, као етички и естетски израз доба које треба да буде прогресивно и хумано, налази се пред вратима овог века. Али за сада нема ко да их отвори. Држе их гвоздене полуге империјалног глобализма. Да их савладају, још су крхке руке еманципаторског универзализма. 
И биће још прилично дуго. Бар до будућности чије нам је лице доступно.
8. Религија ће још дуго бити присутна на националном и државном нивоу, као што ће и даље, чак и у већој мери, утицати на односе између народа и држава.
Форсирање значаја религије у испољавању националних интереса, као и подстицање религијских несугласица и нетрпељивости у глобалним размерама, има за циљ скретање пажње, и на националном и на глобалном нивоу са примарних разлика и супротности међу људима – социјалних, односно, класних, на секундарне.
Свест о примарности тих разлика подстакла би механизме да се оне смањују, укидају. Тиме би била доведена у питање постојећа цивилизација која на тим разликама егзистира. Њени творци и заштитници као кукавичје јаје подмећу свету старе мржње и нетрпељивости, измишљају нове као прашину бачену у очи милиона људи да не виде антагонизам између сиромаштва и богатства као примарно својство света у коме живе. 
Сличну „цивилизацијску“ улогу има и залагање за изједначавање једнополних ванбрачних и брачних веза са вишеполним. 
Отпори који том залагању постоје у многим срединама, у читавим државама и код великог броја народа, приписују се конзервативизму и одсуству демократског духа.
И ако је у најмању руку неумесно приписивати читавом једном друштву и народу конзервативизам и недемократичност, са озбиљније тачке гледишта се поставља питање – који то субјект у савременом свету може себи допустити да буде арбитар у оцени вредности као што су прогресивно, демократско, савремено, и тако даље.
Прецењивање значаја и изједначавање истополног и вишеполног мотивисано је истим, претходним лукавством – скретање пажње са секундарне теме да би се отклонила са главне.
Социјална, односно класна сфера друштвеног живота треба да буде маргинализована у интересу подручја које су, међутим, од секундарног значаја за човеков живот и друштво у коме живи. Та политика глобалних размера добила је подршку скоро у свим срединама, има развојну тенденцију и подржавају је и они који би требало да знају да је она уствари највиши домет империјалног лукавства.
9. Савремени капитализам је добио битку против социјализма 1989. године, симболично са падом Берлинског зида, а стварно са укидањем социјалистичког друштвеног система у СССР-у и социјалиситчким земљама у Источној и Централној Европи. Тријумфализам је кратко трајао, на нови „поредак“ брзо су се навикли и побеђени и победници.
Побеђени су брзо, а изгледа и лако, прихватили свој пораз. У ствари су се понашали као да су га једва чекали, односно као да се добровољно одричу живота који им није одговарао. А победници су задовољни победом, после много деценија, коначно одахнули. И пре, а поготово после Другог светског рата, западни капитализам је живео у приличном страху од источног социјализма. Тај страх га је подстакао на многе мере у економском, социјалном, политичком, па чак и културном животу које су га учиниле хуманијим друштвом.
У протеклим деценијама, захваљујући тим променама, он је са разлогом постао нови капитализам, социјалнији капитализам. Због тога се понекад употребљава израз социјални капитализам.
Међутим, сада без љутог противника у лицу социјализма, капитализам нема егзистенцијални подстицај да се мења, хуманизује, па чак ни да се развија. 
Сам на терену на коме је до јуче ратовао, и победио, заслужује да се одмори. 
Међутим, тај одмор дуго траје, капитализам се улењио. Одстуство противника успорава његов развој. Исти мач којим је одсекао главу свом противнику прети и њему. 
Економска, социјална и културна деградација капитализма ће се одвијати споро и као сви империјални животи престаће да постоји због својих унутрашњих слабости а не због цивилизацијског конкурента. За сада и у најближој будућности он се није најавио.
10. Технолошки развој се креће у правцу све већег присуства вештачке интелигенције која треба да компензира недостатке човекове, однсоно биолошке. Човек већ сада користи разне имплантанте (у мозгу и у телу) и користиће их све више да би опстао у свету који се технолошки толико брзо и интезивно мења да његов аутентични биолошки састав са њим све теже кореспондира.
Вештачка интелигенција ће се развијати на рачун биолошке, али је у скорој будућности неће радикално довести у питање.




Federazione Internazionale dei Resistenti

1) РАТ  НИКАД  НИЈЕ  БРАТ – НИКО КАО ВЕТЕРАНИ НЕ ЗНА БОЉЕ (SUBNOR, 24.11.2016.)
У Прагу kонгресовао је ФИР, међународна организација која окупља људе добре воље са овог нашег континента [Sul Congresso della FIR svoltosi a Praga in novembre]
2) FIR, I RESISTENTI INTERNAZIONALI (Filippo Giuffrida, Patria Indipendente 19.12.2016.)
Sul XXVII Congresso della Federazione Internazionale dei Resistenti – più nota con il suo acronimo “FIR” – tenutosi a Praga dal 18 al 20 novembre scorsi, e sulla storia di questa organizzazione


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http://www.subnor.org.rs/medjunarodna-saradnja-33


Међународна сарадња

РАТ  НИКАД  НИЈЕ  БРАТ


У центру Европе, у златном Прагу, већали су антифашисти. Конгресовао је ФИР, међународна организација која окупља људе добре воље са овог нашег континента. Међу њима ветеране из Другог светског рата, њихове потомке, поштоваоце, историјске и друге зналце што боље од многих знају какве страхоте, подстакнуте похлепом у освајању нових богатстава, носе ратни вихори.

Ређали су се говорници. Један за другим представнци из разних европских држава, остао је глас разума – сви народи света морају у заједничком налету да зауставе, најпре у својој средини па надаље, похлепна дивљања инспиратора погрома у разним кутовима планете.

Свеједно на којем језику, чули су се и Италијани и Шпанци, Немци и Енглези и Французи, онда Грци или Руси, нису изостали Украјинци и Шпанци уз Португалце, а представник СУБНОР-а Србије Душан Чукић, подсетивши да је у децембру 1941. из Рудог Прва пролетерска са најмање 1500 младића кренула, као једина толика војна формација, изузев оних совјетских, у бој са немачком окупационом силом. На крају исцрпљујуће четворогодишњег рата, у мају 1945, било је извесно да је фашизам војно поражен, али су рецидиви погубне идеологије интереса разним путевима остали и испливали у погубним обрисима и све више, на многим местима, прете новим облицима истребљења.

Рат никад није, без сумње, било коме био брат. То сви и свугде потврђују, али се ретко ко усуђује да упре прстом у инспираторе страдања, сви знају и ћуте због чега из Азије и са Блиског истока, са разних страна Африке, теку колоне заплашених несрећника у жељи да заштите и више од одузете коре хлеба и крова над главом.

ГОВОР ПРЕДСТАВНИКА СУБНОР-а МОЖЕТЕ ПРОЧИТАТИ НА ОВОМ ПОРТАЛУ ПОД НАСЛОВОМ ”НИКО КАО ВЕТЕРАНИ НЕ ЗНАЈУ БОЉЕ”.

Учесници репрезентативног окупљања у главном граду Чешке зналачки су оценили политичко и економско стање, а нису пропустили да изборну смену у вашингтонској Белој кући окарактеришу, без ефорије, као вољу америчког народа и, у исто време, дашак наде да ће политички дијалог без условљавања поново трасирати пут ка данима без претњи оружјем и празникавих обећања да је мир најпречи.

НИКАД АКТУЕЛНИЈИ АНТИФАШИЗАМ

Учесници Седамнаестог конгреса ФИР усвојили су политичку декларацију, у којој прецизирају, поред осталог, да је и после више од 70 година од историјске победе над фашистичким режимима у Европи маја 1945, антифашизам као политичка идеја актуелнији него икад.

Садашњи проблеми политичке, економске и друштвене природе захтевају заједничке акције свих људи – без обзира на политичке разлике – за један праведан, миран и демократски развој у свим деловима света.

Са великом забринутошћу гледамо како расте политички утицај екстремно десних снага, од насилног неофашизма до популистичких деснокрилних  група, у разним европским земљама. Ове групе се ангажују тако да изазивају забринутост људи, али они дају националистичке и расистичке одговоре на постојеће проблеме. Пропагирају и примењују све насилније облике сукоба. Кретање избеглица узроковано ратом и социјалним разлозима – на које се једино може одговорити солидарношћу свих европских земаља –наилази на одговор тражењем ауторитарности, нетолеранције и националистичког шовинизма. У исто време, они пропагирају идеале бивших фашистичких покрета (Бандера, Хорти, Мусолини, усташе и други “модели“).

ФИР и његове чланице као интернационалистички покрет стоји јединствен против расизма, ксенофобије, неофашизма, нацонализмаи екстремнодесног популизма.

Фашизам и рат су две стране исте медаље. Зато је 1945. настао слоган да нацизам треба разорити у корену и створити нови свет мира и слободе. ФИР – савез антифашиста има, као “Весник мира“ УН, моралну обавезу да ради на мирним, невојним, решењима конфликата у свету. Посебно се боримо против узрока рата и ратнохушкача који желе да наметну своје империјалне циљеве, потребе за сировинама и геополитичке интересе на рачун народа. Очекујемо да Уједињене нације подрже мирна средства за решавање проблема у Авганистану, Ираку, Сирији и у Украјини

Сећање на заједничку антифашистичку борбу народа и војних одреда антихитлеровске коалиције перманентан је задатак ФИР-а и њених чланица. У неколико европских земаља, балтичких држава, у земљама бивше Југославије и Украјини, видимо на разним политичким и друштвеним нивоима настојања да се фалсификује историја. Споменици  антифашистичке борбесу разарани, па чак и пренамењени. Бивши сарадници СС преименовани су у “борце за слободу“, а на европском нивоу има покушаја да се уведе “церемонија против тоталитаризма“ 23. аугуста. Ми се противимо тим настојањима за ревизију историје.

Задаци ФИР-а и његових чланица остају да штити и очувају историјска сећања на отпорнарода, на жене и људе који су жртвовали своје животе, који су се борили у редовима Антихитлеровске коалиције или за своја уверења или суиз других разлога били жртве фашистичке ексклузије у концлогорима за истребљење. Пренети њихова искуства на садашње и будуће генерације један је од најважнијих задатака који стоје пред нашим организацијама.

Већ 65 година ФИР делује као међународна кровна организација свих бораца и снага антихитлеровске коалиције, бораца ветерана антифашистичке борбе, прогоњених и данашњих антифашиста.Њихова снага је у јединству које резултира упркос различитим политичким оријентацијама, друштвеним визијама и религиозним вредностима. Стазе “Буктиње мира“ импресивно наглашавају заједништво”- стоји у политичкој декларацији.

СУБНОР Србије је један од носилаца Повеље ФИР за велики допринос организовању ”Буктиње мира” на територији наше државе. Београд ће, иначе, бити домаћин једне од будућих седница у наредној години Извршног одбора Међународне федерације, а добиће и место у руководству – што је посебно признање нашој организацији и Србији у целини у борби за народноослободилачку традицију и непоколебљиви антифашизам заштићујући слободарство и живот без насиља и ратова.



Међународна сарадња (2)

НИКО КАО ВЕТЕРАНИ НЕ ЗНА БОЉЕ

Нико није толико против ратовања као ветерани, ретко ко осим њих зна боље шта су страдања.

Овим речима је председник СУБНОР-а Србије Душан Чукић, прикључујући се као први у политичкој дебати на Седамнаестом конгресу Међународне федерације антифашиста и покрета отпора, одржаном у Прагу, подржао општу борбу против оживљавања фашистичке идеологије у свету и Европи, ометања слободарства, историјских накнадних фалсификата, угњетавања народа и распарчавања држава, подметања ратних пожара који изазивају бег милиона несрећника у настојању да спасу голи живот.

”Потпредседник ФИР, наш друг из Италије, завршио је кореферат податком о сто хиљада избеглица у његовој земљи, а ја вас обавештавам – нагласио је Душан Чукић – да у мојој отаџбини, у Србији, територијално знатно мањој од Италије, тренутно борави око десет хиљада несрећника углавном из Авганистана и Пакистана. У Србију утерују нове колоне, а из Србије не пуштају никог да изађе. ЕУ је спустила рампе, подигла бодљикаву жицу, нема више слуха ни жеље да чује о патњама.

Исчилила је, шта ли, осећајност. У Србији, као и увек до сада, није. У овогодишњем децембру славимо 75-ту годишњицу оснивања Прве пролетерске ударне народноослободилачке бригаде. Преко 1500 момака је тог 21. децембра 1941. године, понављам с разлогом, 1941.године, у Руду стало у строј да пред Врховним командантом Титом положе заклетву и већ сутрадан крену у одлучну борбу са фашистичким окупатором.

Такву војну формацију није нико на почетку Другог светског рата имао у поробљеној Европи осим, наравно, совјетске Црвене армије која је предводила антихитлеровску коалицију у којој су југословенски партизани имали достојно место и веома значајну улогу у сламању фашизма.

Сви знамо да је 1945. злокобни фашизам војно поражен, али је јасно да се до данашњих дана идеолошки одржао у разним срединама и ево сада, на разне начине, поново оживљава и прети човечанству. Тужно је и недопустиво што ретко ко хоће прстом да упре у изазиваче сукоба, неће у последицама катастрофалних исхода да извуче поуке и укаже путеве који ће насилнике зауставити бар за догледно време у име мира и подједнаког права на слободу и миран живот свих народа, без обзира на величину, имовно стање, боју, вероисповест, политичка определења.

Можда је ових дана амерички човек дао одговор на изборима. То јесте њихов и само њихов избор, али у исто време и трачак наде за остале да ће, можда, на планети превладати глас разума и поново дијалогом доћи до споразума, нарочито међу великима, у општем циљу да мир стварно нема алтернативу.

СУБНОР Србије у том погледу види у ФИР, као један од оснивача и због, између осталог, престижне награде ”Весник мира” коју су ОУН доделиле нашој заједничкој организацији, светионик што показује истрајним радом бранећи основне принципе човечанства.

Има, наравно, још простора за свеобухватније ангажовање, па ће у том погледу и СУБНОР додавати свој допринос. Ми са преко 130.000 чланова негдашњих ветерана славне Народноослободилачке партизанске борбе из победничког строја антихитлеровске коалиције у Другом светском рату, са њиховим потомцима и поштоваоцима, свим људима добре воље и све више са новом младом генерацијом, нећемо ни трена посустати у одбрани антифашизма, славне традиције и спречавања фалсификатора историје, скрнављења успеха који су допринели дужем миру и слободном животу. А у исто време, са низом сличних организација на нашем континенту, енергично се залагати за мир и сарадњу међу народима у интересу оних што долазе на сцену бранећи своје и опште интересе човечанства да би се спокојније живело” – рекао је председник СУБНОР-а Србије Душан Чукић, на Седамнаестом конгресу Међународне федерације покрета отпора и антифашиста ФИР, одржаном у Прагу.


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FIR, i resistenti internazionali


La storia di una federazione, unica organizzazione antifascista ufficialmente accreditata dall’Unione Europea. Nata nel 1951, ha celebrato a Praga a novembre di quest’anno il suo XXVII Congresso

“Ad oltre 70 anni dalla storica vittoria del 1945 sui regimi fascisti in Europa, l’antifascismo è un’idea politica più attuale che mai. Gli odierni problemi politici, economici e sociali richiedono azioni comuni – senza frontiere partitiche – per uno sviluppo socialmente giusto, pacifico e democratico in ogni parte del mondo”.
Con queste parole si apre il documento politico approvato dal XXVII Congresso della Federazione Internazionale dei Resistenti – più nota con il suo acronimo “FIR” – tenutosi a Praga dal 18 al 20 novembre scorso. Un’affermazione forte, che troviamo in filigrana anche nei documenti dei Congressi Nazionali ANPI di Torino e di Rimini. FIR e ANPI, un cammino comune che ha radici antiche.
Facciamo un passo indietro nella storia, sino al febbraio del 1946. Varsavia è una città ridotta in macerie, che ha pagato un prezzo altissimo alla follia nazista (nell’archivio dell’Istituto Luce:
I combattenti della Resistenza e i perseguitati dai regimi nazifascisti considerano la vittoria non come fine delle loro lotte, ma come un nuovo momento per dare voce politica al processo democratico dell’Europa da ricostruire. I rappresentanti di 17 organizzazioni di prigionieri politici e veterani della Resistenza si riuniscono nel febbraio del 1946 a Varsavia per fondare la FIAPP (Fédération Internationale des Anciens Prisonniers Politiques, Federazione Internazionale degli ex prigionieri politici) con l’obiettivo di “Lottare risolutamente per la soppressione totale del fascismo in tutte le sue forme e ovunque esso risorga, per l’eradicazione dell’ideologia fascista, per combattere con ogni mezzo qualsiasi tentativo – visibile e invisibile – di far rinascere il fascismo. (…) Per sviluppare un’attività tesa a rafforzare la solidarietà internazionale e la stretta collaborazione tra i popoli nei vari campi della vita politica, economica e culturale; per una pace duratura nel mondo e perché sia scongiurata una nuova guerra. (…) Per rappresentare gli interessi degli ex prigionieri politici verso i governi e le istituzioni nazionali ed internazionali, (…) per combattere in favore di un’educazione democratica dei popoli; erigere monumenti per le vittime della barbarie fascista e mantenere la Memoria dei martiri; creare archivi internazionali sulle prigioni fasciste e sui campi di sterminio.”
Sono anni difficili e la Guerra Fredda rischia di fomentare divisioni politiche all’interno della federazione. Il 3 luglio del 1951 s’incontrano a Vienna le più importanti associazioni nazionali di Resistenti, antifascisti, perseguitati e deportati e prendono atto del risorgere della propaganda nazifascista in Europa, favorita dalle spaccature nell’alleanza della coalizione anti-hitleriana.
Occorre una nuova energia per opporsi alla rinascita del nazifascismo, per vigilare sulle libertà democratiche, difendere i valori di movimento di Resistenza e rafforzare i principi che hanno costituito la base delle Nazioni Unite. È questo lo spirito che porta alla nascita della FIR.
“I Combattenti della Resistenza si sono uniti per opporsi alla rinascita del nazismo e del fascismo, per vegliare sulle libertà riconquistate, difendere i valori della Resistenza, esigere la condanna dei criminali di guerra, riaffermare i principi che furono base della creazione delle Nazioni Unite” dichiarerà il Sen. Arialdo Banfi, Partigiano di Giustizia e Libertà e Presidente della FIR in rappresentanza dell’ANPI in occasione del trentennale della Federazione.
È il colonnello Frédéric-Henri Manhès, Partigiano francese deportato a Buchenwald, Presidente della FNDIRP (la Fédération Nationale des Déportés et Internés, Federazione nazionale dei deportati ed internati francesi) l’iniziatore del movimento. A lui si deve la convocazione della riunione di Vienna del 30 giugno 1951, che dopo quattro giorni di intensi lavori porterà alla nascita della FIR. Il colonello Manhès è eletto primo Presidente dell’organizzazione dei Resistenti e lo resterà sino al suo decesso nel 1959.
Anni intensi, in cui il lavoro della FIR è scandito dal motto “Mai più fascismo! Niente più guerra“. La federazione raccoglie le associazioni degli ex combattenti nelle forze antifasciste (civili e militari), dei perseguitati dai regimi nazista e fascista durante la Seconda guerra mondiale e dei nuovi antifascisti; a essa aderiscono organizzazioni provenienti da 20 Paesi europei e da Israele e nuove associazioni continuano ad aggiungersi: nel 1971 la FIR conta 55 membri, saranno 64 nel 1981.
Nei primi anni della sua esistenza la federazione organizza varie conferenze internazionali su temi politici, storici e che riguardano la salute dei prigionieri nei campi di concentramento. Lo scopo di queste attività è dimostrare che la sconfitta del nazifascismo non è solo dovuta all’intervento degli eserciti alleati, ma anche a quello dei Resistenti e Partigiani.
Per preservare la memoria dei combattenti antifascisti e fornire ad accademici e alle generazioni successive materiale di studio e di memoria, la FIR crea una Commissione storica, che ha pubblicato dieci relazioni sui movimenti resistenziali nei vari Paesi europei, compreso un dettagliato lavoro di ricerca sulla liberazione di Parigi, Praga e il Nord Italia e sulla resistenza nei campi di concentramento e di sterminio, con una particolare attenzione ai gruppi di resistenza ebraici.
Le conferenze sulle condizioni mediche e di salute degli ex internati nei lager mettono in luce le conseguenze delle persecuzioni nazifasciste sui prigionieri e sulle loro famiglie, sottolineando la necessità di un equo indennizzo attraverso i pareri di medici di fama internazionale.
Arialdo Banfi diviene Presidente della FIR nel 1965 e riassume così lo spirito della federazione “È vero che tra di noi ci sono uomini molto diversi, sul piano ideologico, politico, religioso. Ci sono comunisti, socialdemocratici e socialisti, ci sono gollisti ed indipendenti; cattolici, ebrei ed atei. E malgrado tutto ciò la FIR ha saputo non solo mantenere, ma rafforzare la sua unità”.
Un punto fondamentale delle lotte nei primi anni di attività è il contrasto al riapparire di organizzazioni filonaziste e ai tentativi di restaurazione nella Repubblica Federale Tedesca. La FIR interviene a più riprese documentando le verità dei crimini nazifascisti e – a seguito dell’attentato alla sinagoga di Colonia nel dicembre del 1959 – convoca una conferenza internazionale contro il risorgere del nazismo e dell’antisemitismo. 130 delegati provenienti da 13 Paesi si incontrano a Firenze nel marzo 1960, sotto l’egida dalla Lega Internazionale per i Diritti dell’uomo, l’Unione delle Comunità ebraiche in Italia, l’ANPPIA, l’ANED, l’ANPI e la FIR. Sempre nel capoluogo toscano, tre anni dopo, è convocato il “Raduno internazionale contro il riemergere di nazismo e fascismo”, parte della campagna contro la HIAG (“Associazione di sostegno agli ex membri delle Waffen-SS”), che la Federazione ha iniziato nell’ottobre del 1963. A seguito dell’incontro italiano e delle costanti pressioni della FIR e delle associazioni nazionali, la HIAG è costretta ad annullare il previsto congresso europeo delle ex SS.
La collaborazione tra l’ANPI e la FIR è, in quegli anni, quotidiana, non solo per il contributo del presidente Banfi, ma anche attraverso il lavoro di Umberto Elia Terracini – che della Federazione sarà Vicepresidente dalla fondazione sino alla sua morte, nel 1983 – di Ferrer Visentini – Tesoriere e membro della Commissione controllo finanziario della FIR nel ventennio ’70/’80 – di Giuseppe Gaddi – membro del Comitato Esecutivo negli anni ’60 e della Segreteria dal 1969 – e di Isacco Nahoum, Vicepresidente nazionale dell’ANPI e per lungo tempo membro del Comitato Esecutivo della FIR.
L’inizio degli anni ’80 segna un progressivo distacco tra l’ANPI e la Federazione Internazionale dei Resistenti; pur rimanendo in contatto e collaborando a varie iniziative le due organizzazioni vivono in maniera diversa le mutazioni geopolitiche di quegli anni. La stessa cosa avviene con altre realtà resistenziali europee, ad esempio con le associazioni francesi, che pur essendo state alla base della creazione della FIR, decidono di cessare la collaborazione pur senza mai affermare apertamente l’uscita dalla federazione.
Dobbiamo a Massimo Rendina, rappresentante della FIR in Italia a cavallo del passaggio del millennio, il permanere dei rapporti tra le due organizzazioni e alla lungimiranza di Tino Casali e Raimondo Ricci il progressivo riavvicinamento che, grazie all’attenzione che Carlo Smuraglia ha da subito dedicato alla presenza ed all’impegno internazionale dell’ANPI, ha portato nel maggio del 2013 all’effettivo rientro della nostra associazione nella FIR, con l’elezione del Presidente Smuraglia alla Presidenza onoraria della FIR, di Marcello Basso alla Vicepresidenza e di Filippo Giuffrida nel Comitato Esecutivo.

La Federazione ha, nel frattempo, trasferito la sede da Vienna a Berlino e già nel 2004, in occasione del tredicesimo congresso, approvato un nuovo statuto che permette l’integrazione dei giovani antifascisti anche negli organi direttivi, aggiungendo al nome storico la menzione “Associazione di Antifascisti”. Michel Vanderborght, Partigiano belga, assume la presidenza, che manterrà sino al decesso nel settembre 2010.
È un periodo d’intenso lavoro per la FIR, che ritrova lo slancio e il vigore degli inizi, tanto che il Segretario Generale delle Nazioni Unite, per le varie attività in favore del disarmo e la cooperazione internazionale, le concede lo status di “Ambasciatore di Pace”, rafforzando la cooperazione con l’ONU che, sin dalle origini, è un interlocutore fondamentale. Come lo è il Consiglio d’Europa e – da qualche anno – il Parlamento europeo. La FIR è infatti l’unica organizzazione antifascista ufficialmente accreditata all’Unione Europea.
Innumerevoli le iniziative condotte direttamente o in collaborazione con le associazioni nazionali di questi ultimi anni, dalla Conferenza del maggio 2006 al Parlamento Europeo sui 60 anni d’Antifascismo in Europa alle manifestazioni a Riga contro il raduno annuale delle ex SS, l’organizzazione delle 3 edizioni del Treno dei 1000, l’incontro del gennaio 2014 in Campidoglio su “Destre e Antifascismo europei”, la Mostra sulle Resistenze Europee (esposta al nostro recente Congresso di Rimini), la carta dei campi di detenzione e sterminio (oltre 2200 luoghi di memoria in Europa).
Il recente congresso di Praga, che ha visto il rientro dell’Associazione francese ANACR, si è lungamente occupato non solo delle questioni legate alla presenza di movimenti e partiti di destra nella vita sociale e parlamentare di molti Stati europei, ma ha altresì stabilito un intenso programma di lavoro per gli anni a venire, che comprende una nuova edizione del Treno dei 1000, una rinnovata attenzione alle sinergie con le associazioni nazionali, nuovi strumenti di comunicazione e un più stretto rapporto con le istituzioni internazionali.
I delegati hanno rinominato alla presidenza Vilmos Hanti (MEASZ-Ungheria), eleggendo Filippo Giuffrida (ANPI), il generale Michail A. Moiseev (Federazione dei Veterani Russi) e Christos Tzintsilonis (PEAEA-Grecia) quali Vicepresidenti e confermando Ulrich Schneider (VVN-Germania) nel ruolo di Segretario Generale e Heinz Siefritz (VVN-Germania) quale Tesoriere. Il Congresso ha anche eletto al Comitato Esecutivo Alessandro Pollio Salimbeni (Vicepresidente nazionale dell’ANPI), Jean Cardoen (Fondazione Auschwitz-Belgio), Nikolai Royanov (Federazione dei Veterani Russi) e Gregori Touglidis (PEAEA-Grecia).
Si apre un nuovo capitolo nella storia della Federazione Internazionale dei Resistenti, in un contesto in cui la necessità di un antifascismo internazionalista appare più attuale che mai.
Filippo Giuffrida, giornalista, Presidente ANPI Belgio, Vicepresidente della FIR in rappresentanza dell’ANPI

PUBBLICATO LUNEDÌ 19 DICEMBRE 2016




Come volevasi dimostrare: la foiba non c'è.

1) La foiba non c’è: chiesta l’archiviazione 
Dalle indagini non è emerso alcun riscontro al documento del 1945 che segnalava la presenza di una fossa comune a Rosazzo
2) Lettera aperta a "Internazionale" sul Giorno del ricordo


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Si veda anche:

SULLA PATACCA DELLA NON-FOIBA DI ROSAZZO

È ufficiale: la «foiba volante del Friuli» non esiste. E, a proposito di #foibe, una lettera aperta a Internazionale (di Nicoletta Bourbaki, 23.12.2016)
...  la foiba volante, nonostante la generosa copertura mediatica offerta dal Messaggero Veneto – diretto (allora) da Tommaso Cerno – a colpi di presunti scoop susseguitisi un giorno sì e l’altro pure, aveva già da tempo interrotto l’appassionante tour che l’aveva portata a visitare una decina di località friulane...

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La foiba non c’è: chiesta l’archiviazione 

Dalle indagini non è emerso alcun riscontro al documento del 1945 che segnalava la presenza di una fossa comune a Rosazzo

di Luana de Francisco, 19 dicembre 2016

Nella zona di Rosazzo, e del Bosco Romagno in particolare, non esiste alcuna foiba contenente le salme di un numero imprecisato di persone - indicato tra un minimo di 200 e un massimo di 800 -, trucidate sul finire della seconda guerra mondiale per mano o, comunque, su ordine dei partigiani Sasso e Vanni.
È questa la conclusione cui è giunta la Procura di Udine, dopo dieci mesi di indagini condotte a scavalco tra il Friuli, alla ricerca della presunta fossa comune, e Roma, negli archivi dei ministeri agli Esteri e alla Difesa, dello Stato Maggiore dell’Esercito e dei Servizi segreti, dove solo avrebbero potuto essere conservati documenti comprovanti la sua presenza. Il risultato è stato negativo su tutta la linea e questo ha convinto i carabinieri di Palmanova a ritenere «non più utilmente esperibile altra attività», e il procuratore aggiunto Raffaele Tito, che ha coordinato l’inchiesta, a chiedere al gip l’archiviazione del procedimento.
A mettere in moto la macchina giudiziaria erano state le parole con cui Luca Urizio, presidente della Lega Nazionale di Gorizia, nel Giorno del Ricordo del febbraio scorso, aveva raccontato del ritrovamento alla Farnesina di un documento del 12 ottobre 1945, in cui si parlava appunto dell’infoibamento di centinaia di persone. La rivelazione era stata riferita dal Messaggero Veneto e prontamente fatta oggetto di un’informativa dell’Arma.
«Da quanto ricostruito – scrive il pm – sembra di poter ritenere, seppur non con totale certezza, che l’autore del documento, forse un agente segreto di nome Ermete, abbia esagerato o ingigantito fatti, peraltro di per sè comunque gravi e tragici, effettivamente avvenuti». Il che, quindi, non significa negare che in quel periodo e in quella zona avvennero episodi di sangue. Prova ne sia la nota a firma dell’allora sindaco di Premariacco, Dante Donato, inviata il 19 maggio 1945 alla Procura di Udine per segnalare che «nel territorio di questo Comune si trovano sparse nella campagna e sepolte quasi a fior di terra le salme di circa 60 persone in parte sconosciute, uccise dai partigiani, perchè ritenute spie o collaboratrici dei tedeschi». Con quella comunicazione si chiedeva l’autorizzazione a raccogliere i cadaveri (quelli riesumati in zona Rocca Bernarda sono risultati 41) e trasportarli in cimitero «anche per motivi igienici».
Nell’aprire un fascicolo a carico di ignoti - i due presunti responsabili Sasso e Vanni, al secolo Mario Fantini e Giovanni Padoan, nel frattempo sono entrambi deceduti -, Tito aveva ritenuto di applicare astrattamente una delle ipotesi previste all’articolo 3 della cosiddetta Amnistia Togliatti (22 giugno 1946): strage o sevizie particolarmente efferate, tali da escludere l’effetto estintivo del reato di omicidio semplice. La prova certa dell’esistenza della fossa, indispensabile per formulare la correlata ipotesi accusatoria, però, non è emersa.
Nulla nè dalle ricerche sul campo, propedeutiche a una significativa attività di scavo, nè dall’esame del materiale cartaceo acquisito negli uffici ministeriali, nè dalla testimonianza di chi avrebbe potuto o dovuto sapere. E cioè del figlio dell’allora sindaco di Premariacco, che alla Polizia giudiziaria ha invece riferito di non avere mai sentito dal padre alcunchè in proposito, e degli stessi Padoan e Fantini, che in vita non è risultato abbiano mai fatto cenno alla fantomatica fossa di Bosco Romagno.
E visto che di un’indagine simile si era recentemente occupata anche la Procura di Bologna, Tito ha voluto tentare anche quella strada, nella seppure remota possibilità di un qualche «riferimento trasversale». L’esito è stato a sua volta negativo. Così come vano è stato lo sforzo di memoria chiesto al luogotenente che all’epoca lavorava alla stazione di Cormòns e che, pur ricordando di un «casolare» nel Bosco Romagno usato come base logistica dai partigiani, di un «pozzo dove venivano occultate le armi», di «alcune uccisioni in località Rosazzo-Poggiobello», nulla ha invece detto di sapere, neppure indirettamente, di così tante persone gettate in una fossa comune.
E infine i documenti e le annotazioni di polizia messi a disposizione dall’Agenzia informazioni e sicurezza esterna, dove Tito si è recato personalmente il 21 ottobre. Niente neppure lì, tanto meno all’interno dei fascicoli personali di Sasso e Vanni.
«Il collega non ha lasciato niente di intentato – ha affermato il procuratore Antonio De Nicolo –. Condivido quindi pienamente la scelta di non tenere aperta oltre un’inchiesta di cui non sono prevedibili margini di sviluppo».


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Lettera aperta sul Giorno del ricordo

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

Riteniamo Internazionale una rivista di qualità, nella quale il lavoro giornalistico viene eseguito con competenza, obiettività e indipendenza. L’informazione fornita da Internazionale non ci sembra condizionata da mode, ossequiosa verso i potenti di turno o allineata al pensiero mainstream. 

Proprio per questo ci sembra che il modo in cui lo scorso anno è stato trattato sul sito l’argomento del Giorno del ricordo non sia all’altezza della professionalità che caratterizza il settimanale. 

Il 10 febbraio 2016, sulla versione online di Internazionale è uscita una scheda sulla complessità del “Confine Orientale”, dal titolo Cosa sono le foibe, che contiene numerose inesattezze. Anziché fare chiarezza su un tema cruciale che andrebbe trattato in maniera accurata, sono state riproposte cifre sensazionalistiche e approssimazioni che fanno ormai parte dell’arsenale retorico del Giorno del ricordo pur senza essere sostanziate da basi storiografiche. 

In particolare, vorremmo segnalare i seguenti punti critici (in corsivo le parti estratte dall’articolo di Internazionale del 10.2.2016). 

Dove

“Alla fine della seconda guerra mondiale l’esercito jugoslavo occupò Trieste e l’Istria (fino ad allora territorio italiano) per riconquistare i territori che, alla fine della prima guerra mondiale, erano stati negati alla Jugoslavia”.

Trieste e l’Istria in quel momento non erano più territorio italiano: dopo l’8 settembre erano state sottoposte all’amministrazione diretta tedesca e di fatto annesse al Terzo Reich con la denominazione “Zona di Operazioni del Litorale Adriatico”. 

Va inoltre ricordato che dal 1918 al 1943 la Venezia Giulia fu sì amministrativamente italiana, ma oltre la metà della sua popolazione era composta da sloveni e croati. Lo stato italiano mise in atto un’operazione di “bonifica etnica” tesa ad eliminare completamente i non italiani dal territorio, attraverso violenze, leggi che limitavano l’uso delle loro lingue in ambito pubblico e privato, lo scioglimento delle associazioni culturali, sportive e ricreative, la confisca delle proprietà e delle maggiori iniziative economiche, la chiusura delle scuole, l’italianizzazione forzata di nomi, cognomi e della toponomastica e la sistematica spinta all’emigrazione o al completo assorbimento e omologazione nella maggioranza italiana. 

Inoltre anche la mappa acclusa all’articolo risulta incoerente. Basovizza è oggi in territorio italiano e sulla mappa dovrebbe avere il nome italiano. Il “punto giallo” fa pensare sia in territorio sloveno. 

“In Istria sono state trovate più di 1.700 foibe”.

Questo dato, completamente inutile, ha solo l’effetto di aumentare l’enfasi sensazionalistica della propaganda irredentista. Le foibe sono fenditure carsiche: in molte di esse non vi fu alcuna “sepoltura”. 

“Uno dei principali monumenti alle vittime si trova a Basovizza, alle porte di Trieste. Qui è stata trovata una foiba che in realtà era il pozzo di una miniera di carbone scavata nella roccia agli inizi del Novecento e poi abbandonata. Vi furono gettate almeno 2.500 persone nei 45 giorni dal 1° maggio al 15 giugno 1945”.

Dai documenti alleati dell’epoca emerge invece che dalla “foiba” di Basovizza, oggi eretta a monumento del Giorno del ricordo, nella seconda metà del 1945 vennero recuperati una decina di corpi, per lo più soldati tedeschi, e carcasse di cavalli (cfr. J. Pirjevec, Foibe. Una storia d’Italia, Einaudi 2009). Non vi è alcun riscontro documentale di numeri come quelli riportati sopra. 

Quando e perché

Il fenomeno “foibe” è riferito fondamentalmente a due eventi distinti, con dinamiche e modalità diverse: il primo è successivo alla dissoluzione dell’autorità italiana con l’armistizio dell’8 settembre ’43 e riguardò principalmente l’Istria, il secondo è conseguenza della presa di potere da parte dei partigiani e dell’Esercito Popolare Jugoslavo nel maggio del ’45. 

“La prima ondata di violenza esplose dopo la firma dell’armistizio, l’8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi si vendicarono contro i fascisti e gli italiani non comunisti”.

Nella presa di controllo del territorio, occupato fino a quel momento dalle forze italiane, da parte della popolazione locale (sia slovena e croata che italiana), ci furono indubitabilmente anche esecuzioni sommarie, ma va sicuramente considerato come queste furono una risposta ai crimini italiani nella regione che proseguivano da un ventennio (si noti come molti degli autori di questi atti vennero poi processati dagli stessi partigiani). Un’interpretazione in chiave esclusivamente ideologica alle violenze del settembre del 1943 (“nemici del popolo” - “italiani non comunisti”) non è storicamente corretta, né ci sono prove a riguardo. Molti studiosi invece riconoscono che nel momento di sfaldamento dell’autorità seguente all’8 settembre ’43 si verificò una “jacquerie”, una sorta di rivolta contadina, contro coloro che avevano detenuto il potere fino ad allora. L’insurrezione istriana – non dalmata – del 1943 ha poco a che fare con l’italianità o meno delle vittime, visto che erano italiani anche molti degli insorti. “La violenza insurrezionale si rivolse contro la locale classe dirigente considerata compromessa con il fascismo e contro i possidenti” (cfr. P. Purini, Metamorfosi etniche. I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria, Kappa Vu, Udine 2014, pp. 192-193). Inoltre indicare come data di riferimento il settembre del 1943, omettendo invece le stragi e le deportazioni fasciste nella regione, induce all’impropria interpretazione che gli italiani vadano considerati semplicemente come vittime. È inoltre totalmente omesso il fatto che buona parte delle uccisioni del 1943 in Istria avvenne mentre era in corso l’occupazione nazista che portò all’eliminazione di circa 5.000 persone tra civili e partigiani (cfr. ibid.). 

“La violenza aumentò nella primavera del 1945”.

Le violenze nazifasciste non furono certamente inferiori a quelle degli jugoslavi, anzi. La popolazione civile di Trieste e della Venezia Giulia subì rappresaglie pesantissime per le azioni dei partigiani sul territorio (basti pensare ai 269 abitanti del villaggio di Lipa, in maggior parte donne, arsi vivi nella primavera del 1944, ai 51 ostaggi impiccati nel Conservatorio di Trieste dell’aprile del 1944 e ai 71 fucilati al poligono di Opicina di un anno dopo). L’entrata dei partigiani a Trieste nel maggio del 1945 significò invece la liberazione dei prigionieri della Risiera di San Sabba, l’unico campo di concentramento nazista ora in territorio italiano dotato di forno crematorio, nel quale morirono circa 5.000 persone e che vide il passaggio di altre 20.000 per i campi di sterminio dell’Europa centrale. 

Non intendiamo affatto minimizzare la violenza del post-liberazione, alla base della quale vi erano la rivalsa per le passate atrocità nazifasciste, i regolamenti di conti personali e la volontà di attuare una rivoluzione comunista includendo Trieste nella Jugoslavia socialista. Ma non si può lasciare intendere che la Trieste in mano ai nazisti fosse un posto “meno violento” della Trieste liberata senza offendere le vittime della Shoah e delle rappresaglie, che a differenza della violenza “titoista” erano dirette in modo indiscriminato contro comunità e “razze” intere e non contro avversari politici. 

Quanti

“Altri furono uccisi dai partigiani di Tito, gettati nelle foibe o deportati nei campi sloveni e croati. Secondo alcune fonti le vittime furono tra le quattromila e le seimila, per altre diecimila: ex fascisti, collaborazionisti e repubblichini, ma anche partigiani che non accettavano l’invasione jugoslava e cittadini qualunque”.

Spesso nella quantificazione degli infoibati si generalizza considerando come tali anche i militari internati nei campi di prigionia. Per capire le esatte dinamiche di quel momento va invece fatta una distinzione tra le due categorie: i corpi recuperati nelle foibe ammontano a qualche centinaio. Il sottufficiale dei vigili del fuoco Arnaldo Harzarich, incaricato dei recuperi dalle autorità tedesche, scrisse: “è ormai assodato che in Istria nel ’43 le persone uccise nel corso della insurrezione successiva all’8 settembre sono fra le 250 e le 500” (Rapporto Harzarich, conservato in copia presso l’Archivio dell’IRSMLT, n. 346). Lo stesso ordine di grandezza è riportato da un articolo apparso il 19 gennaio 1944 sul Corriere della Sera. Eccone l’occhiello: “I 471 caduti nelle foibe dell’Istria e della Dalmazia saranno rievocati il 30 gennaio da tutte le federazioni fasciste”. 

Inoltre durante la guerra le foibe furono talvolta usate anche come sepoltura d’urgenza da parte dei partigiani per occultare i cadaveri dei compagni ed evitare in questo modo che il ritrovamento dei corpi sepolti potesse portare a delle rappresaglie sui loro parenti da parte dei nazifascisti. 

La maggior parte delle vittime, invece, morì di malattia, stenti o fu giustiziata nei campi di prigionia jugoslavi. Si trattava in larga maggioranza di uomini che avevano militato in formazioni o gruppi paramilitari direttamente o indirettamente sottoposti ai tedeschi e dunque dichiarati prigionieri di guerra. Una situazione (anche questa) molto diffusa nell’Europa del primissimo dopoguerra, basti pensare che nei campi di prigionia americani “il numero totale dei morti fra i prigionieri tedeschi nelle mani degli Americani, qualunque sia la causa della loro morte, non ha potuto superare le 56.000 unità” (Albert Cowdrey, del Servizio del Centro Storico Militare dell’Esercito, in S.E. Ambrose, Ike and the Disappearing Atrocities, New York Times Books, 24 febbraio 1991). 

Sommando gli infoibati e le vittime delle deportazioni, comunque, in tutta la Venezia Giulia le vittime provocate dall’esercito jugoslavo dopo la cacciata dei tedeschi variano dalle 4-5.000 (stime di Raoul Pupo) alle 2.000 (stime di Piero Purini). Raffrontando queste cifre con il numero delle vittime delle violenze di fine guerra in altre zone d’Italia (”Nella sola Emilia Romagna si ebbero 2.000 epurazioni, a Torino più di 1.000”: M. Dondi, La lunga liberazione. Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano, Editori Riuniti, Roma 2000, pp. 97 e 224-225, cit. in L. Filipaz, Foibe o Esodo? “Frequently Asked Questions” per il Giorno del ricordo, apparso sul blog Giap l’8 febbraio 2015), si nota come il numero delle vittime non si discosti troppo da quello riscontrato altrove in Italia: il fenomeno si presenta dunque molto di più come una resa dei conti di fine guerra che come una violenza mirata contro gli italiani in quanto tali. 

Se poi si considerano i numeri dei morti in altri luoghi (nella stessa Slovenia le vittime collaborazionisti dei nazifascisti furono quasi 14.000, mentre in altre zone della Jugoslavia Tito usò una mano ancor più pesante) non si può più affermare che la violenza contro gli italiani fu quantitativamente maggiore, ma è invece in linea con quella del contesto generale dell’epoca (non mancarono inoltre anche violenze targate “occidente”, quale la sanguinosa repressione dei comunisti greci da parte di inglesi e monarchici). 

L’esodo

“Tra il maggio e il giugno del 1945 migliaia di italiani abitanti dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra”.

Il regime jugoslavo fu senza dubbio responsabile di un atteggiamento ostile nei confronti di determinati gruppi sociali considerati avversi all’edificazione del socialismo (ex funzionari dello stato italiano, sacerdoti, possidenti, insegnanti, ecc.), nonché di misure poliziesche e coercitive nei confronti della popolazione (compresi i comunisti rimasti fedeli al Cominform dopo la rottura tra Tito e Stalin nel 1948). Inoltre molte delle misure di stampo socialista attuate in materia economica, quali l’esproprio dei latifondi, l’abolizione della mezzadria, la collettivizzazione, l’occupazione delle case sfitte, sconvolsero la società locale peggiorando la condizione di molti (soprattutto della borghesia). Per considerare obiettivamente il fenomeno dell’esodo, è necessario ricordare anche che l’Istria era comunque una delle regioni italiane più arretrate e inoltre stava entrando in un sistema socialista, mentre l’Italia era già considerata come un paese della sfera occidentale, nel quale ci sarebbe stato facile accesso agli aiuti americani. Pertanto tra coloro che se ne andarono ci fu anche chi partì sperando di migliorare la propria situazione economica in Italia. 

Peraltro va ricordato come migliaia di italiani rimasero comunque in Istria, dove la minoranza italiana ebbe diritti e garanzie decisamente maggiori di quella slovena in Italia. 

Non si possono inoltre tacere le responsabilità dello stato italiano e delle organizzazioni istriane finanziate dall’Italia stessa. “L’esodo di massa da Pola e Fiume fu un disastro per la Jugoslavia, sia sul piano economico che politico. Per contro i famigerati CLN ‘antislavi’ d’Istria e Fiume spinsero gli italiani ad andarsene in massa (tramite stampa e propaganda di strada), da un lato con lo specifico scopo di sabotare la Jugoslavia – una specie di sciopero di cittadinanza (un porto vuoto è un porto morto) –, dall’altro fu una tattica suicida per convincere la commissione alleata a riassegnare quelle terre all’Italia mostrando ad essi una sorta di ‘plebiscito di fatto’ a mezzo emigrazione di massa” (L. Filipaz, Foibe o Esodo? “Frequently Asked Questions” per il Giorno del ricordo, cit.). Possiamo quindi constatare che l’interesse a diffondere l’idea di un odio verso gli italiani in quanto tali fu utile tanto alla propaganda fascista del tempo, quanto a quella neoirredentista del dopoguerra. 

Inoltre la Jugoslavia in più di un’occasione mostrò di non avere particolare interesse nella partenza degli italiani. Il prof. Raoul Pupo dice in un’intervista: “Tito voleva dimostrare agli Alleati, impegnati nella definizione dei nuovi confini post-bellici, la volontà ‘annessionista’ degli italiani e quindi diede istruzioni affinché fossero ‘invogliati a legarsi’ al regime e non a espatriare” (Intervista a R. Pupo a cura di V. Di Donato, in Giornale di Brescia, 9 febbraio 2006). 

A lungo termine la partenza degli italiani inoltre si rivelò una catastrofe per la Jugoslavia, perché l’Istria spopolata iniziò a rappresentare un problema economico per il resto del paese: per questo dopo il 1956 agli italiani fu sempre più difficile andarsene. 

Conclusioni

“Dal 2005 la giornata del 10 febbraio è dedicata alla commemorazione delle foibe e del successivo esodo forzato della popolazione italiana”.

“Dal 2005 la giornata del 10 febbraio conserva e rinnova la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, umani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale” (legge 30 marzo 2004 n. 92). 

A causa dell’invasione nazifascista in Jugoslavia morì un milione di persone su neppure 15 milioni di abitanti. Nella sola provincia di Lubiana 15.000 persone vennero fucilate dagli occupanti tedeschi e italiani. Nel lager italiano di Arbe/Rab morirono circa 1.500 internati su 10.000 (in massima parte donne, vecchi e bambini). Nel campo di concentramento della Risiera di San Sabba a Trieste i nazisti allestirono l’unico forno crematorio in Italia, nel quale vennero bruciati i corpi di 5.000 persone, civili e resistenti sloveni, croati, italiani ed ebrei. 

Ci pare dunque doveroso ricordare come le vittime innocenti non siano state solo italiane. Denunciare gli aspetti repressivi del regime jugoslavo ha un senso, ben altro invece è mettere sullo stesso piano la violenza del movimento partigiano con quella ben più gratuita e massiccia dei nazifascisti, responsabili del tentativo di bonifica etnica durante il regime di Mussolini e della violenza durante il governatorato della Zona Operazioni del Litorale Adriatico, antecedenti e quindi alla base di quanto accadde successivamente. 

Ogni 10 febbraio i mass media italiani non perdono l’occasione per raccontare una storia parziale e distorta del confine orientale, spesso basandosi su dati falsi o manipolati dalla propaganda neofascista. Il dibattito cui assistiamo ogni Giorno del ricordo sui mass media italiani appare pesantemente condizionato da omissioni e censure che possono essere lette come una spia del perdurare di un pericoloso vittimismo nazionalista all’interno della cultura e dell’informazione italiana. 

Chiediamo dunque che per il prossimo 10 febbraio la rivista, coinvolgendo una pluralità di voci e firme, prepari sul sito uno speciale che dia conto della complessità del tema, in primis reinserendo nel quadro le responsabilità dello stato italiano sul confine orientale a partire dal 1915. 

Nicoletta Bourbaki (gruppo di lavoro su revisionismo storico e false notizie storiche in rete)
Wu Ming (scrittori)
Kai Zen (scrittori)
Resistenze in Cirenaica (rete di collettivi, associazioni e gruppi di lavoro sul postcolonialismo italiano, Bologna)
Anpi Colle Val d’Elsa
Anpi Pavia centro “Onorina Pesce Brambilla”
Anpi Pavia Borgo Ticino “Giuseppe Pinelli”
Luca Bravi (storico)
Carlo Spartaco Capogreco (storico)
Anna Di Gianantonio (storica)
Eric Gobetti (storico)
Carlo Greppi (storico)
Piero Purini (storico)
Girolamo De Michele (scrittore)
Monica Di Barbora (insegnante)
Enrico Manera (insegnante e ricercatore)
Luca Manucci (ricercatore)
Benedetta Pierfederici (ricercatrice ed editor)
Alberto Prunetti (scrittore)


20 DICEMBRE 2016





(hrvatskosrpski / italiano)

Oni su ustaše?

1) Media in Croazia: un tentato omicidio che ci riguarda tutti (Helena Puljiz)
Il 28 ottobre scorso, mentre percorreva l'autostrada Bregana-Lipovac, l'automobile di Saša Leković ha mostrato segni di danneggiamento... si è constatato che due bulloni della ruota anteriore destra erano stati segati...
2) Oni su ustaše? Pa odnosimo se onda prema njima kako zaslužuju! (Mijo Vinceković)
A ako se tko ponaša kao ustaša, odijeva se kao ustaša, govori kao ustaša, pozdravlja kao ustaša, slavi 10. travnja, mrzi Srbe i pjeva ustaške budnice i poskočnice, onda je on bez svake sumnje ustaša. Zašto bi itko želio biti ustaša, je već drugo pitanje, jednako onome ima li itko pametan, a da želi biti ustaša?...


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Si veda anche: Libertà dei media in calo in Croazia: un'infografica (OBC 15 novembre 2016
... Misure quali la rimozione di oltre 70 dipendenti dal servizio pubblico radiotelevisivo, la messa in discussione dell’agenzia nazionale per la regolamentazione delle telecomunicazioni e l'abolizione del finanziamento per i media non profit erodono la possibilità che i giornalisti possano svolgere il proprio lavoro adempiendo il compito fondamentale...



Media in Croazia: un tentato omicidio che ci riguarda tutti


Nella giornata internazionale per fermare l'impunità per i crimini contro i giornalisti, il commento di Helena Puljiz sul tentato omicidio ai danni di Saša Leković, presidente dell'Associazione dei giornalisti croati

02/11/2016 -  Helena Puljiz Zagabria 

(Pubblicato originariamente da Index.hr  il 28 ottobre 2016 e tradotto da OBCT)

Il tentato omicidio ai danni del presidente dell'Associazione dei giornalisti croati, Saša Leković  , è un messaggio a tutti i giornalisti croati. Si dice loro di tacere e chinare il capo, e di accettare di lavorare secondo i dettami dei nemici della democrazia e della libertà di parola. Le centinaia di minacce verbali nei confronti di giornalisti avvenute nell’ultimo anno, le cui implicazioni sono state  minimizzate o ignorate in modo sistematico e persistente dalla polizia, sono sublimate nell’attacco a Leković e, solo  fortuitamente e grazie alla sua attenzione, oggi il giornalismo croato non è in lutto.

Di Saša Leković si può pensare quel che si vuole, ma quando si parla di lui non ci si riferisce solo a un cittadino di questo paese e a un giornalista, ma al presidente dell’Associazione dei giornalisti croati, organizzazione ombrello dei cronisti della Croazia. Quando qualcuno mette in pericolo la sua vita, non è in gioco solo la sua persona, ma ci troviamo di fronte ad un attacco al mondo del giornalismo nel suo insieme e alla libertà dei media in questo paese. Se il giornalismo indipendente è uno dei pilastri dell’ordinamento democratico, e non vi è dubbio che lo sia, allora il tentato omicidio di Leković è un tentativo di colpire i valori costituzionali e l'ordine democratico. Qualsiasi attacco ai danni dei giornalisti che svolgono il proprio lavoro con onestà e professionalità è un attacco alla libertà di parola e al sistema democratico croato.

La politica ha creato e incoraggiato i violenti

Da quando è entrato in carica, Saša Leković è stato continuamente esposto a brutali attacchi verbali e minacce, eventi ritenuti estremamente preoccupanti da molti di noi. Tuttavia, in molti abbiamo considerato verosimile e auspicabile che non si sarebbe andati oltre l’intimidazione verbale. La provenienza di quasi tutte queste minacce può essere identificata nei ranghi dell’estrema destra, alle cui fila Tomislav Karamarko ha dato legittimità in qualità di presidente del partito HDZ. L’incitamento all'odio si è diffuso nel paese lo scorso anno, senza che a ciò seguisse una reazione seria da parte delle autorità al governo né dalle fila dell’opposizione. In molti casi, al contrario, molte delle dichiarazioni e delle azioni da parte dei governanti hanno incoraggiato atteggiamenti di questo tipo.

Quando una folla di estremisti ha preso di mira la presidente del Consiglio per le comunicazioni elettroniche Mirjana Rakić, inneggiando lo slogan ustascia "Za dom spremni!" e intonando altri insulti orribili, la polizia si è astenuta dallo schedare chi aveva preso parte all'azione, adducendo come giustificazione il fatto che ci fossero troppe persone, è che quindi non si potesse intervenire in alcun modo. Quando i "serpenti ustascia", pochi giorni fa hanno minacciato i giornalisti Sandra Bartolović e Goran Borković, la polizia ha concluso che si fosse solo trattato di molestie, e non di minacce. Un caso simile ha riguardato di recente Branka Valentić, direttrice dell’agenzia di stampa Hina.

Quando la scorsa primavera, nel centro di Spalato, è stato preso di mira il giornalista e scrittore Ante Tomić, l’allora ministro della Cultura Zlatko Hasanbegović commentò cinicamente l’accaduto sostenendo l’importanza di fare attenzione a cosa si scrive e a come lo si fa. Željko Glasnović, fra i non eletti in parlamento del partito HDZ, ha sostenuto in passato che i giornalisti sono i peggiori nemici della democrazia e continua a rivendicare questa affermazione senza che nessuno si sia mai preso il disturbo di contraddirlo, con il pretesto che le sue posizioni non vengono prese sul serio.

Incitamento all’odio e minacce istituzionalizzati

Incitamento all’odio e minacce sono stati generati e nutriti dalla politica. La politica stessa è responsabile per il declino terrificante subito dalla cultura del dialogo nella nostra società e per aver spacciato l’incitamento all’odio per libertà di parola. Quando si tratta di politica, il silenzio significa complicità e assenso, e finora sono numerose le personalità pubbliche responsabili di aver mantenuto il silenzio - il primo ministro, la presidente, il presidente del Parlamento e il leader dell'opposizione; uno dei vice-presidenti del Parlamento ha addirittura preso parte all’assalto contro Mirjana Rakić.

L’incitamento all'odio e le minacce in Croazia sono istituzionalizzati e restano impuniti. Oltretutto, quando pressioni di questo tipo provengono dai rappresentanti politici che siedono in parlamento e dalle poltrone ministeriali, il passo successivo è che il primo dei vili si senta autorizzato a ricorrere a intimidazioni e offese, ritenendo che queste costituiscano la maniera più appropriata e normale di comunicare con il resto del mondo, e soprattutto con i giornalisti. Questo problema nel nostro paese non esiste da ieri, ma si è intensificato ed era solo una questione di tempo che a qualcuno venisse in mente di tranciare i bulloni dell’automobile del presidente dell'Associazione giornalisti croati.

Nessuno pensi che gli attacchi al giornalismo non lo riguardano

Ci sono molte cose che non funzionano nel giornalismo croato di cui siamo tutti a conoscenza. Non c’è dubbio che, sotto la pressione dei poteri politici, di uomini d'affari e di una parte del settore pubblicitario, gli standard professionali ed etici di molti giornalisti nel nostro paese abbiano subito un drastico declino. Ma che nessuno pensi che un attacco alla libertà di stampa non lo riguardi, o che sia stato un tentativo di eutanasia.

In questi giorni, la propaganda politica sta cercando di convincervi che siamo arrivati ad un governo di salvezza nazionale e che lo stato o il ministro delle Finanze aumenteranno i salari. È solo grazie alla stampa libera che ai cittadini è dato sapere che queste promesse non sono veritiere, perché i salari saranno aumentati solo alla classe politica e a chi già percepisce stipendi alti.

Solo grazie alla libertà di stampa e dei mezzi di informazione i cittadini hanno accesso a informazioni cruciali come il fatto che la riforma fiscale significherà per tutti loro cibo e medicinali più costosi, mentre non vi saranno aumenti significativi per quanto riguarda il reddito mensile di ciascuno di loro. È solo grazie al giornalismo indipendente che i cittadini possono essere messi a conoscenza dei problemi del governo di coalizione HDZ-Most, che proseguono immutati anche con la nuova formazione Petrov-Plenković. Allo stesso modo, è grazie alla stampa che si saprà che il revisionismo di Zlatko Hasanbegović, ammiratore dei "martiri ustascia" e ministro della Cultura nel precedente governo, è stato sostituito nell’attuale esecutivo dal revisionismo di Pavo Barišić che a sua volta si dichiara ammiratore dei "martiri ustascia" e che occuperà la posizione di ministro dell'Istruzione.

I media liberi sono l'unica difesa nei confronti del potere

Solo il giornalismo indipendente vi ricorderà che il primo ministro Andrej Plenković dice sciocchezze quando afferma che non permetterà che l’INA [la compagnia petrolifera di stato croata, ndt] diventi una mera filiale della compagnia MOL, perché nei fatti è già così dal momento in cui l'allora presidente dell’HDZ e primo ministro Ivo Sanader cedette i diritti di gestione di INA, facendolo per di più in circostanze talmente sospette da portare alla riapertura delle indagini nei suoi confronti. Tramite questo stesso giornalismo verrete a sapere che cosa possiedono Andrej Plenković e gli altri rappresentanti politici.

Solo grazie alla libertà di stampa e ai media indipendenti i nostri destini non sono più nelle mani del potere decisionale di Tomislav Karamarko, Slavko Linić, Branko Šegon, Mijo Crnoja e molti altri personaggi altrimenti ritenuti intoccabili.

Tutti i summenzionati, così come tutti coloro i cui nomi potrebbero comparire nelle righe soprastanti, preferirebbero che in questo paese non esistessero il giornalismo indipendente e la libertà dei mezzi di informazione, che senza essere stati invitati a farlo si immischiano nei retroscena dei loro interessi politici e privati. È nell’interesse di tutti coloro che hanno a cuore la vita in uno stato democratico, governato dalla legge e non dalla forza, che il giornalismo libero sopravviva e venga rafforzato.

Non sappiamo chi ha segato i bulloni della vettura del presidente dell’Associazione dei giornalisti croati, Saša Leković, o chi abbia potuto ordinare un simile gesto, ma questi criminali devono sapere che la Croazia non si piegherà alle loro intenzioni.

Hanno cercato di liquidare il presidente dell’Associazione dei giornalisti croati, ma non ci metteranno a tacere.


Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea.

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Come riporta l'Associazione dei giornalisti croati  , il 28 ottobre scorso, mentre percorreva l'autostrada Bregana-Lipovac, l'automobile di Saša Leković ha mostrato segni di danneggiamento. Dopo un controllo effettuato da un meccanico professionista, si è constatato che due bulloni della ruota anteriore destra erano stati segati, una tipologia di danno che avrebbe potuto causare un incidente fatale per il conducente.


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<< ... E se uno si comporta da ustascia, vestito come ustascia, parla come un ustascia, saluta come gli ustascia, celebra il 10 aprile, odia i serbi e canta inni e slogan ustascia, allora è senza dubbio un ustascia... >> Questo direbbe la logica, osserva Mijo Vinceković; eppure nella Croazia attuale i comportamenti ustascia sono ammessi, ed a sua volta la Croazia – neo-Stato fondato sulla pulizia etnica di mezzo milione di cittadini di etnia serba – è stata ammessa nella Unione Europea che la vezzeggia e la coccola.
Si veda anche, sulla recente apposizione di una targa ustascia nei pressi del lager di Jasenovac: 



Oni su ustaše? Pa odnosimo se onda prema njima kako zaslužuju!


Kontra Portal  6. prosinca 2016. piše: Mijo Vinceković


U današnjoj Hrvatskoj, državi koju prema njenom „tvorcu“ odmila zovemo Tuđmanistan, nema okupljanja, bilo kada, bilo gdje, bilo kojim i bilo kakvim povodom, osim onih zaista rijetkih, poput obilježavanja Dana antifašističke borbe, Dana ustanka naroda Like i komemoracije u Jasenovcu, na kojima se naveliko ne ustašuje u čemu prednjače članovi opskurnih proustaških stranaka, članovi braniteljskih udruga i to ne isključivo i samo bivših pripadnika HOS-a i katoličkog klera.

A ako se tko ponaša kao ustaša, odijeva se kao ustaša, govori kao ustaša, pozdravlja kao ustaša, slavi 10. travnja, mrzi Srbe i pjeva ustaške budnice i poskočnice, onda je on bez svake sumnje ustaša.
Zašto bi itko želio biti ustaša, je već drugo pitanje, jednako onome ima li itko pametan, a da želi biti ustaša?
Ali da ima onih koji žele biti ustaše i to njih ne tako mali broj, to valjda ni za koga u RH, osim za „europejce“ tipa Plenkovića, više nije sporno.

Zato osobno mislim da se ne smijemo ponašati kao da ustaša među nama nema, već da bismo kao društvo/država trebali svima koji žele biti ustaše dopustiti da to budu, kad to već tako silno žele, ali ih onda i tretirati kao ustaše, a to znači jednako kao što u Njemačkoj tretiraju neonaciste, naravno uz prethodno kriminaliziranje negiranja holokausta, promociju fašizma uz zabranu veličanja ustaškog režima i tzv. NDH. Najbolje bi bilo preuzeti zakonska rješenja SR Njemačke, jer su i ishodišta neprihvatljivih ponašanja antidemokratskih snaga u jednoj i drugoj državi vrlo slična.
Važno je napomenuti da je potrebno, jednako u stranačkim vrhovima, ali i vrhovima vlasti, prestati lupetati o svojim „antitotalitarističkim opredjeljenjima“ osudi „svih totalitarizama“, bez izričite osude ustaštva, jer doslovno ništa što se događalo u bivšoj državi nije usporedivo s monstruoznim ustaškim režimom, a kamoli da je isto ili jednako onome što se zbivalo u tzv. NDH.

Ja pritom ne želim reći da u Njemačkoj nema pojava neonacizma, pa i marševa neonacista, kad pokušavaju „pokazivati mišiće“, što je uvijek popraćeno, ne samo time da i policija provodeći zakon „pokaže mišiće“, štiteći demokraciju i državu vladavine prava, nego i masovnim okupljanjem onih koji za naciste i nacizam ne pokazuju nikakvo razumijevanje.
Kod nas na ustaške „nestašluke“ ne reagira policija, a i masovni protuprosvjedi antifašistički opredijeljenih građana izostaju.

Važno je napomenuti da niti njemačka stranačka scena, a pogotovo njemačke vlasti, nemaju razumijevanja niti se blagonaklono i poticajno odnose prema ispadima neonacista, za razliku od RH gdje na takve pojave ne reagiraju niti iz stranačkih struktura, niti iz struktura vlasti, a nažalost rijetko i mlako se reagira i iz Lige antifašista i još nekih tobože antifašističkih udruga, plašeći se reakcija moćnih i utjecajnih braniteljskih udruga, čiji članovi su uvijek u prvim redovima prilikom ovih ustaških performansa, a „Splitskom rivom“ „čekićanjem“ dvopismenih ploča u Vukovaru, „logorovanjem“ u Savskoj, „maršem s plinskim bocama“ i drugim manifestacijama „raspirivanja demokracije“ su pokazali i na što su sve spremni.

Ishodište veličanja ustaštva i tzv. NDH, kao i gotovo sve negativno što se u Hrvatskoj događalo, posebno od HDZ-ovog preuzimanja vlasti, valja tražiti u malignom karakteru ličnosti Franje Tuđmana, koji je već puno prije nego se nezadovoljan svojim statusom i odnosom vlasti u SRH prema njemu, ozbiljno sukobio s tim vlastima, on je naime smatrao da bi trebao u sustavu vlasti biti visoko pozicioniran. Kako vlasti nisu pokazivale nikakvo zanimanje za tog nasrtljivca, naprosto su ga ignorirale, Tuđman kreće u sukob sa SKH, koji mu „nestašluke“ ne oprašta, kažnjava ga i isključuje iz članstva. Tako je Franjo Tuđman postao „disident“.

Već i prije nego se ozbiljno sukobio s vlastima, Tuđman landra po svijetu, obilazi hrvatsko iseljeništvo, uglavnom onaj njegov segment koji je kontrolirala ustaška emigracija, posjećuje ustaške prvake u emigraciji i sastaje se s njima, pa se tako posredstvom Vinka Nikolića sastaje i s Maksom Luburićem u Španjolskoj i od njega preuzima ideju o „pomirbi sinova partizana i ustaša“, ideju samu po sebi potpuno besmislenu, ali koja je trebala poslužiti tek za davanje legitimiteta ustaštvu i njegovom izvođenju na hrvatsku javnu i političku scenu.

Ilustrativno je kako Franjo Tuđman zaobilazi „Hrvatsku bratsku zajednicu“, najveću, najorganiziraniju, najbogatiju i dotad sa „starim krajem“ najpovezniju organizaciju hrvatskog iseljeništva, koja ali nije dopuštala penetraciju ustaštva u svoje redove, ekstremna ustaška emigracija pokušala je radi toga čak 16 atentata na dugogodišnje njene predsjednike Johna Badovinca i Bernarda Luketicha. Dakle Tuđman se ne vezuje uz najrespektabilniju organizaciju hrvatskog iseljeništva, on bira opskurne ustaške punktove poput onog u Norvalu, tamo dogovara daljnje aktivnosti i utanačuje međusobne obaveze prema kojima će ustaška emigracija promovirati Tuđmana i financijski pomagati njegov uspon na vlast, a on preuzima obavezu provedbe procesa „pomirbe sinova partizana i ustaša“, rušenje Jugoslavije svim sredstvima i lustraciju Srba a ne komunista.

Ta Tuđmanova „slizanost“ s ustaštvom dovela je do masovnog dolaska ustaša i neoustaša u Hrvatsku i njihove penetracije u sve segmente vlasti, čime je onemogućena kriminalizacija ustaštva i zabrane djelovanja onima koji ne samo što promoviraju zločinačke ideologije i režime poražene u 2. Svjetskom ratu, nego i negiraju holokaust i pokušavaju revidirati, neću reći povijest nego prošlost, pokušavajući je promijeniti i učiniti je neizvjesnom.
Od samih početaka punu podršku Tuđmanovom usponu na vlast i ustašama daje većina klera Stepinčeve crkve, zaglušna propaganda iz HDZ i crkvenih redova nameće temu „Bleiburga“ odnosno svih događanja krajem 2. Svjetskog rata i neposredno po njegovom završetku kao za Hrvatsku sudbinsko pitanje, koje ima jednu jedinu svrhu; relativiziranje kvislinških zločina, odnosno umanjivanjem njihovog obima i svireposti, prikazujući „antifašističke zločine“ većim i po hrvatski narod pogubnijim od onih ustaških.

Danas je svakom iole politički pismenom jasno da bi usprkos svima koji su se angažirali na rušenju Jugoslavije i tako Tuđmanu izravno i neizravno pomagali pri njegovom usponu na vlast, od stranih tajnih službi, KC, pojedinaca iz struktura vlasti i SK SRH, “spavača“ SDS, koje je navodno angažirao Josip Manolić, bez pomoći Ivice Račana njihov trud bio uzaludan, Račanova pomoć bila je presudna.
Taj deal koji su imali Tuđman i Račan s jedne je strane otupio otpor prema jačanju ustaštva i njegovog kriminaliziranja, a s druge uz proces pomirbe onemogućio provođenje lustracije na kojoj je posebno inzistirao katolički kler.

Nasilno rušenje Jugoslavije nije se moglo provesti mirnim putem, a jednako tako se nije moglo ni „lustrirati“ Srbe, zato je Tuđman pokrenuo rat koji je imao sva obilježja fašističke kontrarevolucije, tako da su silno ojačale snage okupljene oko ideologije ratnih gubitnika iz 2. Svjetskog rata koji su krenuli u osvetničke akcije prema ratnim pobjednicima.
Otud tvrdnje da su ustaše bili borci za Hrvatsku, imenovanja vojnih postrojbi po „ustaškim vitezovima“, imenovanja ulica i trgova po ustaškim „velikanima“, pa i podizanje spomenika ustaškim „zaslužnicima“, rušenje spomenika i drugih spomen-obilježja antifašističkoj borbi, proglašavanje antifašizma zločinačkom ideologijom, omalovažavanje boraca NOR-a, umanjivanja i relativiziranja ustaških zločina, negiranja holokausta i veličanja ustaškog režima i tzv. NDH.

A da to sve nije nimalo smetalo ivici Račanu pokazuje i ona sramotna Deklaracija usvojena na 1. Konvenciji SDP, „hodočašće“ prvog Račanovog suradnika, Zdravka Tomca, na Blajburško polje, te kupnja tamošnjeg terenu obavljena za vrijeme Račanovog mandata …

Ništa manje karakteristična nije bila ni Račanova gromoglasna šutnja kojom je popratio najprije diskriminacijske postupke, a potom i mjere državnog terora Tuđmanovih vlasti prema Srbima u Hrvatskoj, premda je dobro znao da su na prvim višestranačkim izborim Srbi većinski glasali za SKH – SDP.

Što reći na ova najnovija lamentiranja oko ove spomen-ploče poginulim HOS-ovcima u Jasenovcu, kao tamo „nije mjesto za ZDS.
Nigdje u svijetu, a ne samo u Jasenovcu, ne bismjelo biti mjesto za ZDS, jednako kao što to nije ni za „Sieg! – Heil!“

U današnjoj Hrvatskoj nema jednog jedinog razloga radi kojeg bi trebalo provoditi lustraciju, osim ako pod tim pojmom ne podrazumijevamo detuđmanizciju i deustašizaciju.




Tanti propositi per il Nuovo Anno

a cura del Direttivo di JUGOCOORD ONLUS


Sretna Nova Godina! Buon Anno Nuovo, a tutti gli jugoslavi e gli amici della Jugoslavia!


... Stavolta però andiamo oltre gli auguri di rito e parliamo un po' di noi. Di solito non lo facciamo mai, perché è nostro costume quello di non passare tempo a guardarci l'ombelico; una volta tanto però facciamo una eccezione, a confermare la regola. 
La recente Assemblea dei Soci della nostra ONLUS, con la quale abbiamo concluso il 2016, ha preso decisioni importanti che vi vogliamo comunicare.

Nel corso dell'anno abbiamo ricevuto una importante donazione a seguito delle volontà testamentarie di Giuseppe Torre, compagno attivo nel movimento contro la guerra, sensibile alle questioni internazionali e amico dei popoli jugoslavi e del popolo serbo in particolare, deceduto nel 2014. Torre ci ha chiesto infatti espressamente di "difendere i Serbi accusati presso il Tribunale Speciale dell’Aia e far conoscere all’opinione pubblica cos’è veramente quest’istituzione: un insulto al diritto, alla giustizia e al senso d’umanità, creato dai vincitori come corollario e parte integrante delle loro guerre."
Abbiamo perciò potuto articolare una serie di nuovi progetti che inizieranno a realizzarsi nel 2017: abbiamo stanziato fondi per le attività connesse alla critica del "Tribunale ad hoc" dell'Aia; abbiamo deliberato di acquisire una sede sociale nella quale allestire una Biblioteca e un Archivio; abbiamo disposto contributi di solidarietà per alcuni Comuni dell'Italia centrale colpiti dai recenti terremoti, nei quali vanno tutelate le memorie della presenza degli antifascisti jugoslavi nel 1941-'44; abbiamo un po' di risorse per l'avvio di corsi di lingua serbocroata e di una nostra collana editoriale (titolo: "OrientaMenti"), nonché per il sostegno a realtà jugoslaviste e dei lavoratori nelle repubbliche ex-federate, e per altre iniziative ancora.

In particolare, nella Biblioteca specialistica troveranno posto volumi, in gran parte fuori catalogo o comunque introvabili in Italia, sui rapporti tra le due sponde dell'Adriatico, sull'internazionalismo partigiano, sui paesi socialisti e soprattutto sulla RFS di Jugoslavia, sulla cultura e la storia dei popoli dei Balcani; nell'Archivio saranno ospitati i fondi personali di ex combattenti, come il compagno e amico Drago Ivanović, di studiosi e militanti che vorranno riversarli a noi per impedirne la troppo frequente dispersione.

La Assemblea dei Soci 2016 di JUGOCOORD ONLUS, che ha preso tutte queste decisioni, è stata necessariamente un punto di svolta nella nostra storia associativa e quindi anche un momento di bilancio delle nostre attività. Nel Documento Strategico che è stato approvato si legge tra l'altro:
 

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – "CNJ ONLUS" o "JUGOCOORD ONLUS" – è una associazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS) iscritta con il n.ro 3/25455 (prot. 86181 del 20/11/2007) al registro della Agenzia delle Entrate del Lazio. In base allo Statuto, essa

 

è formata da persone, cittadini italiani e stranieri, a vario titolo impegnate sulle problematiche jugoslave, inerenti cioè allo spazio geografico, culturale e politico della disciolta Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia. (...) Il CNJ si fonda su quegli stessi valori su cui è stato fondato mezzo secolo di vita pacifica e di sviluppo della Jugoslavia, contro ogni secessionismo e contro ogni contrapposizione nazionalitaria od etnicistica, a partire dalla Guerra Popolare di Liberazione alla quale, assieme a tutti gli altri, parteciparono anche migliaia di italiani. Con la nostra attività ci prefiggiamo di contribuire anche a rimediare al profondo debito storico e culturale e alla profonda disinformazione sulle vicende jugoslave e del nostro confine orientale che, proprio in Italia, ereditiamo da lunga data, attraverso il nazionalismo italiano post-unitario, le annessioni coloniali ed il fascismo, la guerra fredda, lo smembramento della RFSJ. In questo ci sentiamo in continuità con lo spirito della comune lotta dei partigiani jugoslavi e italiani contro il nazifascismo.

 

JUGOCOORD è ONLUS dal 2007, ma le sue attività si esplicavano già, nella veste di associazione non riconosciuta, negli anni precedenti.

Infatti, il Documento Costitutivo del Coordinamento – che prima ancora dello Statuto ha fissato valori e obiettivi di fondo – risale al 1/7/2001. Con quell'atto, diverse realtà che dalla seconda metà del 1999 avevano animato il Coordinamento Nazionale La Jugoslavia Vivrà stabilirono di conservare una struttura di collegamento a livello nazionale che continuasse a promuovere la necessaria controinformazione e mantenesse viva la memoria storica dei drammi recenti e della esperienza jugoslava, anche dopo il colpo di Stato che nell'ottobre 2000 aveva ipotecato, almeno per il breve e medio termine, le aspirazioni jugoslaviste.

Prima ancora della esperienza del Coordinamento Nazionale La Jugoslavia Vivrà, numerosi soggetti sul territorio italiano avevano animato la mobilitazione contro la aggressione della NATO della primavera del 1999; alcuni di questi erano attivi già negli anni ancora precedenti, impegnati a contrastare la disinformazione strategica che aveva consentito lo squartamento dello Stato unitario e lo scoppio della guerra fratricida in contesti come quello croato e bosniaco (1991-1992). Tra questi soggetti, va rilevato che il Coordinamento Romano per la Jugoslavia – la cui denominazione è non a caso simile a quella del CNJ – aveva operato nella Capitale sin dalla prima metà degli anni Novanta, curando la trasmissione televisiva "VOCE JUGOSLAVA" su Radio Città Aperta e promuovendo momenti di informazione e dibattito invero unici in un panorama assolutamente omologato sui pregiudizi correnti, come il convegno tenuto all'Università "La Sapienza" il 10-11/1/1996. E' significativo che gli attuali Presidente e Segretario di CNJ ONLUS vengano proprio da quella esperienza.

 

Torniamo dunque al luglio 2001 per passare brevemente in rassegna le principali iniziative ed i risultati conseguiti da JUGOCOORD:

 

– la prima iniziativa pubblica importante del nostro Coordinamento si è tenuta a Torino il 4 maggio 2002 quando abbiamo presentato, in anteprima assoluta per l'Italia, il documentario della BBC "FASCIST LEGACY" con una sottotitolazione originale in italiano prodotta per l'occasione. Con tale evento, cui partecipò il noto storico Angelo Del Boca, si portò all'attenzione del pubblico italiano la esistenza di questo documentario, che allora nessuno conosceva e che è tuttora censurato dalle reti RAI;

– grazie a JUGOCOORD fu promossa la traduzione in lingua italiana e furono organizzate presentazioni del libro di Jürgen Elsässer "MENZOGNE DI GUERRA" (2002–2004); con lo stesso Autore nel 2005 è stato organizzato un nuovo incontro a Roma sul tema, oggi più che mai attuale, della "JIHAD TARGATA U.S.A.";

– a Trieste il 16 novembre 2002 JUGOCOORD promosse il Convegno "PASSANDO SEMPRE PER LA JUGOSLAVIA...", primo tentativo di convergenza tra le numerose realtà che in Italia erano rimaste attive sulle questioni jugoslave e serbe (ma con ospiti anche dall’estero) e nell'ottica di mantenere tali questioni al centro dell'agenda del movimento contro la guerra;

– a Roma il 7-8 maggio 2005 JUGOCOORD ha co-promosso la convention “PARTIGIANI!”, iniziativa internazionale ed internazionalista nel 60.esimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo. A fronte di una modesta partecipazione di pubblico, l'iniziativa è stata feconda nella costruzione di un'ampia rete di contatti che negli anni successivi ha permesso di sviluppare numerose attività attorno agli argomenti dell'internazionalismo partigiano e sulle questioni del Confine Orientale;

– su queste ultime siamo attivi da sempre. Sicuramente la nostra opera di controinformazione ha giocato un ruolo fondamentale nella divulgazione verso il largo pubblico, su scala nazionale, delle ricerche del gruppo di Resistenza Storica attraverso la prima diffusione via internet di articoli selezionati sul tema ripresi da La Nuova Alabarda e la pubblicazione integrale sul nostro sito della prima edizione de "OPERAZIONE FOIBE A TRIESTE" di Claudia Cernigoi (2003). Il Coordinamento ha co-promosso il convegno "FOIBE: LA VERITÀ. Contro il revisionismo storico" tenutosi a Sesto S. Giovanni (MI) il 9 febbraio 2008, partecipando alle attività anche successive degli organizzatori: pubblicazione degli Atti, costituzione del Comitato nazionale contro il revisionismo storico, fino alla produzione della mostra "TESTA PER DENTE. CRIMINI FASCISTI IN JUGOSLAVIA 1941/1945” ed allo sviluppo del sito dedicato “DIECI FEBBRAIO”, per la cui esistenza la nostra partecipazione è determinante;

– sempre sugli stessi temi, CNJ ONLUS è stata al centro della polemica e di iniziative di contrasto a pesanti operazioni revisioniste, come la fiction Il cuore nel pozzo (nostri attivisti hanno contestato verbalmente l'attore protagonista Leo Gullotta al V Congresso Nazionale del PRC a Venezia, 2005), la pièce teatrale Magazzino 18 e le altre comparsate di Simone Cristicchi (per cui il cantautore ha anche provato a far censurare il nostro sito internet attraverso un intervento del suo legale; la petizione sul ritiro della tessera ANPI a Cristicchi, da noi sostenuta, ha avuto enorme risonanza);

– di nuovo a Torino il 5-6-7 ottobre 2005 si è contribuito alla realizzazione di una RETROSPETTIVA DI LORDAN ZAFRANOVIC, prestigioso regista jugoslavo con il quale permangono contatti; lo stesso Zafranović ha partecipato nella stessa città nell’ottobre 2007 alle giornate su "LA MEMORIA RIMOSSA. L'occupazione italiana della Jugoslavia (1941 - 1943)" per le quali il contributo organizzativo di JUGOCOORD è stato sostanziale;

– nel maggio-giugno 2007 JUGOCOORD ha contribuito all'allestimento a Milano della mostra “JASENOVAC, TOMBA DI 19432 BAMBINI/E”, curata da Andrea Catone. Sullo stesso argomento sono state promosse rappresentazioni teatrali (di Dino Parrotta: “JASENOVAC, OMELIA DI UN SILENZIO“) e si è partecipato ad iniziative-dibattito (ad es. a Poggibonsi, il 28 gennaio 2009 alla presenza dell’Ambasciatore di Serbia);

– ancora a Torino il 17 maggio 2011 è stato proiettato il video “RADE KONČAR. UNA STORIA DI OPERAI JUGOSLAVI”. Si è trattato di una delle (finora troppo poche) iniziative dedicate a far conoscere le vicende gloriose del movimento operaio e resistenziale jugoslavo;

– il connubio tra memoria storica antifascista e intervento artistico-culturale si ha anche, in anni più recenti, con le rappresentazioni della pièce teatrale “DRUG GOJKO”, di e con Pietro Benedetti, incentrata sulla figura di Nello Marignoli partigiano italiano nella Resistenza jugoslava;

– a Vicenza nei giorni 21-22 marzo 2009 CNJ ONLUS ha organizzato, assieme alla Rete Disarmiamoli!, il Meeting internazionale “TARGET” nel X Anniversario dei bombardamenti della NATO sulla Repubblica Federale di Jugoslavia. Si è trattato dell'unico evento di carattere internazionale (tra gli ospiti: J. Elsässer e D. Johnstone) organizzato al di fuori della Serbia per la ricorrenza; è stato inoltre il solo nuovo tentativo effettuato in Italia, dopo quello di Trieste 2002 e parecchi anni dopo i bombardamenti, di rilancio della collaborazione tra le realtà rimaste attive sulle questioni jugoslave e serbe, sempre nell'ottica di riportare tali questioni al centro dell'agenda del movimento contro la guerra;

– nello specifico della questione kosovara JUGOCOORD ha prodotto informazione costante, in particolare attraverso la mailing list JUGOINFO e promuovendo alcune iniziative, come quella di Milano del 10 maggio 2014 ("Kosovo-Serbia-Jugoslavia: UN TESORO IN PERICOLO"), soprattutto incentrate sul patrimonio culturale storico-artistico; sullo stesso tema è in lavorazione un testo divulgativo a cura di Rosa D'Amico, componente del nostro Comitato Scientifico-Artistico (CSA);

– sulla questione linguistica serbocroata JUGOCOORD è intervenuto con documenti e prese di posizione pubbliche, avvalendosi della consulenza di esperti come la slavista Ljiljana Banjanin nostra socia, promuovendo a Sesto S. Giovanni (MI) il 3 marzo 2010 una iniziativa su "LINGUE E CONFINI: LA GUERRA INFINITA?"; più in generale, per la promozione della conoscenza della letteratura serbocroata la nostra associazione ha aperto apposite sezioni sul sito internet www.cnj.it dove sono proposte traduzioni originali di poesie e prose celebri;

– sotto il profilo della solidarietà, JUGOCOORD ha sempre sostenuto le campagne attive a livello nazionale, curate da altre associazioni che a questo si dedicano specificamente e continuativamente, tra l'altro attivando simbolicamente un affido a distanza per un anno (2002) e poi con continui aggiornamenti sul sito e la newsletter. Più recentemente, grazie all'impegno della socia Mengarelli, JUGOCOORD ha preso direttamente in carico iniziative di ospitalità e scambio culturale-didattico quali “UN PONTE PER… DOMANI!” (2013) e “NA MORE CON AMORE” (oramai alla quarta edizione);JUGOCOORD

– JUGOCOORD ha aderito a tutte le principali manifestazioni e campagne indette contro la guerra, contro l'imperialismo e contro il razzismo, partecipando talvolta con un proprio piccolo spezzone ai cortei: ricordiamo ad esempio la manifestazione di Roma dell’8 giugno 2008 indetta a seguito dell’ondata di pogrom contro i Rom, in occasione della quale fu prodotto il lungo striscione "Ridateci il nostro paese";

– proprio sul tema della condizione Rom, JUGOCOORD è intervenuto soprattutto con prese di posizione pubbliche e campagne riguardanti specifiche situazioni in Toscana tramite la nostra socia Paola Cecchi;

– recentemente sulla questione Ucraina/Donbass JUGOCOORD ha prodotto informazione (via JUGOINFO e con pagine dedicate sul sito internet), co-promosso o partecipato ad iniziative pubbliche, partecipato alla Carovana Antifascista promossa dalla Banda Bassotti nel maggio 2015, ed infine contribuito alla costituzione del Coordinamento Ucraina Antifascista;

– l'impegno dei soci del CNJ è stato determinante per operazioni editoriali come le pubblicazioni dei libri "IL CORRIDOIO. Viaggio nella Jugoslavia in guerra" di J.T.M. Visconti (2006), "A TE MIA DOLORES" di S. Bozović (a cura di D. Kovačević, trad. Giacomo Scotti, 2008), “UOMINI E NON UOMINI” di G. Jelisić (a cura di J.T.M. Visconti, trad. I. Kerečki, 2013), promuovendone la diffusione e le presentazioni in tutta Italia;

– soci della nostra ONLUS sono tra i protagonisti del progetto di riscoperta della vicenda dei partigiani jugoslavi in Appennino e della conseguente pubblicazione del libro “I PARTIGIANI JUGOSLAVI NELLA RESISTENZA ITALIANA” (Odradek 2011) per la cui promozione la ONLUS ha avuto un ruolo-chiave;

– ad Arezzo il 7 dicembre 2013 con il convegno intitolato "I FALSI AMICI", che ha dato seguito alla pubblicazione di un ampio dossier omonimo, si è affrontato per la prima volta in assoluto in una sede pubblica il problema delle infiltrazioni della destra nazionalista e fascista nelle battaglie antimperialiste;

– il nostro Coordinamento ha sviluppato una radicale critica al “Tribunale ad hoc” dell’Aia sin da tempi “non sospetti”, e dal 2001 ha sostenuto (in maniera informale e discreta, data l’esistenza di una apposita diversa struttura e ad evitare esposizioni di carattere prettamente “politico” inopportune per una ONLUS) le attività della Sezione Italiana del Comitato Internazionale per la Difesa di Slobodan Milošević; la mole di traduzioni e controinformazione prodotta da nostri soci sui temi correlati è stata enorme ed ha consentito tra l’altro la pubblicazione dei testi-documento “IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA” (Zambon 2005) e “UOMINI E NON UOMINI” (Zambon 2013); dopo l’assassinio di Milošević e il conseguente scioglimento della predetta Sezione Italiana JUGOCOORD si è caratterizzato come nuovo referente nazionale-internazionale su questi temi;

– sono state organizzate diverse altre iniziative-dibattito, specialmente nelle ricorrenze dei bombardamenti del '99 (24 Marzo) e in polemica con il Giorno del Ricordo (10 Febbraio), nonché presentazioni di libri, petizioni e campagne su diversi argomenti, presenze con banchetti informativi e diffusione di libri, eccetera – sulle quali non ci soffermiamo. Ancor più sono state le iniziative cui JUGOCOORD ha aderito, su diverse tematiche, pur senza esserne direttamente organizzatore, impegnandosi sempre per la loro massima pubblicizzazione attraverso i canali disponibili.

 

– Un capitolo a sé è quello riguardante le nostre attività nell’ambito dell’informazione. 

JUGOCOORD ha ereditato dal Coordinamento Romano per la Jugoslavia una trasmissione radiofonica – VOCE JUGOSLAVA su Radio Città Aperta, che va avanti ininterrottamente dal 1993 – ed una newsletter telematica – oggi sotto il nome di JUGOINFO, che in un ventennio ha contato circa 10mila invii con una rassegna di testi spesso introvabili altrimenti –, mentre il sito internet, già articolato tematicamente e ricco di documentazione, negli anni si è “moltiplicato” sviluppando al proprio  interno sezioni tematiche separate sui bombardamenti NATO del 1999 (https://www.cnj.it/24MARZO99/), sul carattere internazionale e internazionalista della Resistenza (https://www.cnj.it/PARTIGIANI/), sui partigiani jugoslavi nella Resistenza italiana (http://www.partigianijugoslavi.it/), su Milošević e il Tribunale “ad hoc” dell’Aia (https://www.cnj.it/MILOS/). 

Il CNJ si è dotato anche di una propria presenza in Facebook, che se da un lato ha garantito la nostra visibilità sul social, dall’altro non è servita a incrementare la partecipazione fattiva alle nostre attività. Le ragioni di questo risiedono nel carattere stesso di Facebook, che mentre esalta l’esposizione individuale e la cacofonia comunicativa globale, attraverso precise “tagliole” (algoritmi selettivi e condizioni economiche per la visibilità dei post) relega in secondo piano le realtà associative o istituzionali, soprattutto se “scomode”. Si può stimare che a seguirci più o meno costantemente sulle diverse piattaforme (newsletter, Facebook) siano almeno 2000 persone; il numero delle visite al sito internet non è regolarmente monitorato, ma basti considerare che nella settimana 15/09--21/09/2016 si hanno avuti in media circa 600 click al giorno; 1500 accessi in quei giorni sono stati diretti, cioè non via motore di ricerca ma da chi ha direttamente digitato il nostro indirizzo!

Per molti anni (almeno fino al 2006) il nostro Coordinamento è stato la realtà che a livello nazionale si è più efficacemente impegnata per produrre le traduzioni dei documenti fondamentali - e tuttavia ignorati dai mass-media - sulle questioni jugoslave e affini. Questo lavoro di traduzione è andato però via via scemando, e attualmente le traduzioni da noi proposte (via JUGOINFO e sul sito) sono quasi sempre riprese da terze parti.

 

Il nostro lavoro ha gettato luce in tempi non sospetti e spesso in totale solitudine su questioni entrate solo in seguito nella discussione pubblica o almeno nel novero dei temi affrontati dai commentatori più attenti, ad esempio: i meccanismi della disinformazione strategica; le responsabilità occidentali nella “esplosione” dell’islamismo radicale; i dubbi sulla dinamica dell’11 Settembre; distorsioni e abusi della “legalità internazionale”; la propaganda italiana su “foibe” ed “esodo”; la strumentalizzazione delle questioni nazionali e i micro-nazionalismi; il dominio tedesco e la fondazione antipopolare e revanscista della Unione Europea; i caratteri neo-coloniali e da compradoras delle nuove “repubblichette” sorte dallo sfascio degli Stati ex-socialisti; i pregiudizi slavofobi, serbofobici e russofobici dominanti a tutti i livelli, anche accademici, nella nostra realtà culturale e politica.

Va rimarcato come il Coordinamento abbia sempre operato con disinteresse, mettendosi a disposizione per la divulgazione e realizzazione di iniziative di terzi o ascritte a terzi, facilitando in questo modo la circolazione di informazioni e la diffusione di un “senso comune” critico su questi argomenti senza preoccuparsi di averne un “ritorno”. Al contempo, abbiamo sempre rifuggito ogni tentazione di compiacere chicchessia, ponendo con rigore quesiti di principio e discriminanti sia verso l’esterno che al nostro interno, non avendo paura di criticare anche personaggi noti dai quali avremmo potuto avere un qualche sostegno, persino se membri del nostro CSA. La nostra funzione è stata finora al contempo di avanguardia e da “grilli parlanti”, siamo stati assieme generosi e impopolari: certamente queste attitudini non ci hanno agevolato nella crescita della organizzazione, ma la nostra coerenza è stata riconosciuta da chi ci ha seguito, come ha dimostrato Giuseppe Torre nominandoci a destinatari di un rilevante lascito, e ci consente di procedere a testa alta per il conseguimento dei nostri obiettivi.

 

Il quadro è dunque quello di una amplissima gamma di temi trattati e di una molteplice tipologia di iniziative: a fronte di ciò JUGOCOORD fino ad oggi ha potuto giovarsi solo di forze esigue. (...) Analogamente modesto è sempre stato il Bilancio sociale, con un patrimonio costantemente attestato attorno ai 2000 euro ed un ricircolo annuo di denaro di dimensioni non superiori. Negli ultimi anni la assegnazione del 5 per mille (600-1000 euro) ha comportato all'incirca il raddoppio delle entrate ma anche le uscite sono cresciute in proporzione, in virtù della aumentata mole di iniziative promosse.

Va certamente tenuta presente la odierna fase di crisi dell'associazionismo gravante a tutti i livelli, che vede anche sodalizi storici lamentare cali di partecipazione e di tensione ideale. Tale crisi, sulla quale non è questa la sede per sviluppare analisi approfondite, trova notoriamente le sue ragioni principali nella ricerca della gratificazione individualistica, nella commercializzazione di ogni rapporto sociale, nella scarsa abitudine al lavoro collettivo e alla verifica oggettiva dei risultati del lavoro di gruppo, ed ha come esito prevalente la autoreferenzialità e la perdita del carattere comunitario e conviviale della vita associativa.

 


Tra le priorità che abbiamo individuato c'è quindi quella di "far crescere il Coordinamento potenziandone la base di attivisti". Uno strumento che introduciamo a questo scopo, a partire dal 1 gennaio 2017, è quello di una forma di tesseramento “leggero”, rivolto ad es. ai giovani e a chi ancora non conosciamo di persona. Finora per aderire a JUGOCOORD è stato infatti necessario, tra l’altro, essere presentati da una persona già aderente; in futuro tale condizione continuerà a valere per i soci effettivi, mentre i simpatizzanti ne saranno esentati (non godranno perciò di alcuni diritti quali la eleggibilità alle cariche sociali e il diritto di voto).


Ricapitolando: per aderire a JUGOCOORD ONLUS 
come simpatizzanti è necessario
- condividere i contenuti dello Statuto; 
- compilare e trasmettere una scheda di adesione (da noi fornita);
- contribuire annualmente con il versamento di  una sottoscrizione minima di 10 euro/anno.
Per aderire come soci è inoltre necessario
- essere presentati da una persona già aderente.
Si può aderire dall'Italia e dall'estero. Sia i simpatizzanti che i soci in difficoltà economiche possono fare domanda motivata di esenzione dalla quota sociale annua.


Con la ripresa del tesseramento rivolto a nuovi soci (2017) e la apertura della sede si daranno le condizioni per un significativo incremento della base sociale. (...) Questo è ciò che auspichiamo come condizione necessaria per lo sviluppo della nostra associazione, lo sviluppo dei rapporti con associazioni affini e organizzazioni jugoslaviste all’estero, ed il conseguimento dei tanti obiettivi che ci siamo posti e che grazie alla generosità di Giuseppe Torre forse diventano più vicini.



Nessuno dunque se ne voglia se rivolgiamo un augurio particolare per il Nuovo Anno a noi stessi del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia



(english / srpskohrvatski.
A Jasenovac sono di nuovo "Pronti per la patria" – "Za Dom spremni!", come recita la lapide nera apposta pochi giorni fa dai veterani ustascia nei pressi dell'ex campo di sterminio che nel 1942-1945 era gestito dai loro ispiratori. Nessuna condanna è venuta da Bruxelles per questo nuovo gesto simbolico ignobile, dopo la "riabilitazione" di Stato del nazi-collaborazionista arcivescovo Stepinac pochi mesi fa... )


„ЗА ДОМ СПРЕМНИ“ ПОНОВО У ЈАСЕНОВЦУ

1) Wiesenthal Center Denounces Plaque With Ustasha Slogan in Town of Jasenovac
2) "Za dom spremni" usred Jasenovca 
3) Salomon Jazbec: JASENOVAC (iz biltena "Naša Jugoslavija")
4) Simon Wiesenthal Center outraged by annulment of Stepinac conviction


Isto pročitajte:

„ЗА ДОМ СПРЕМНИ“ ПОНОВО У ЈАСЕНОВЦУ (Lj. Karan, понедељак, 05 децембар 2016)
Постављање табле ХОС у Јасеновцу није само провокација него далекосежна порука и претња...
http://standard.rs/politika/36389-„за-дом-спремни“-поново-у-јасеновцу

Sui crimini degli ustascia al potere in Croazia nel 1941-1945 ed in particolare sul loro sistema concentrazionario si veda la nostra pagina dedicata:

Sulla riabilitazione dell' "arcivescovo del genocidio", il collaborazionista degli ustascia Alojizije Stepinac, da parte dello Stato croato si veda:
Clericofascismo (JUGOINFO 25 luglio 2016)


=== 1 ===


Wiesenthal Center Denounces Plaque With Ustasha Slogan in Town of Jasenovac, Site of Mass Murder by Ustasha

December 6, 2016

Jerusalem – The Simon Wiesenthal Center today denounced the use of an Ustasha (Croatian fascist) slogan on a memorial plaque to Croatian soldiers who fell in the 90s, in the village of Jasenovac, site of the largest concentration camp in the Balkans, where close to 100,000 Serbs, Jews, Roma, and anti-fascist Croatians were murdered by the Ustasha.

In a statement issued here today by its director for Eastern European affairs, Dr. Efraim Zuroff, the Center noted that the use of slogans which incite to violence is forbidden by Croatian law, and that Za dom spremni (for the Homeland, ready) was an integral part of the propaganda accompanying the Ustasha genocidal campaigns against Serbs, Jews and Roma.

According to Zuroff:

"It is hard to believe that an incendiary slogan like Za dom spremni can be publicly displayed in a country which is a member of the European Union. Such slogans are an insult to the survivors of the Ustasha terror and part of an attempt to distort the history of World War II and the Holocaust, turning perpetrators into heroes."

For additional information please contact the Israel Office of the Wiesenthal Center, 972-2-563-1274 or 972-50-721-4156,  join the Center on Facebook, www.facebook.com/simonwiesenthalcenter, or follow @simonwiesenthal or @EZuroff for news updates sent direct to your Twitter feed.
 
The Simon Wiesenthal Center is one of the largest international Jewish human rights organizations with over 400,000 member families in the United States. It is an NGO at international agencies including the United Nations, UNESCO, the OSCE, the OAS, the Council of Europe and the Latin American Parliament (Parlatino).


=== 2 ===


NOVA USTAŠKA PROVOKACIJA: "Za dom spremni" usred Jasenovca 

Jurica Kerbler | 03. decembar 2016. 16:52 > 19:25 | Komentara:  20
U neposrednoj blizini mesta gde je u ustaškoj NDH bio zloglasni logor Jasenovac, postavljena je tabla na kojoj su isklesana imena pripadnika Hrvatskih odbrambenih snaga uz napis "Za dom spremni"

OD STALNOG DOPISNIKA: ZAGREB

U neposrednoj blizini mesta gde je u ustaškoj NDH bio zloglasni logor Jasenovac, postavljena je tabla na kojoj su isklesana imena 11 pripadnika Hrvatskih odbrambenih snaga uz napis "Za dom spremni". Tabla je u centar Jasenovca stavljena pre mesec dana, na pročelje zgrade na Trgu kralja Petra Svačića, ali do sada niko nije reagovao. Na tabli piše da su je postavili veterani HOS-a iz Jasenovca i Zagreba, a na postavljanju su bili brojni hrvatski političari.

"Novostima" je rečeno da postoje sve potrebne dozvole za postavljanje table i da nijedna gradska služba nije imala nikakav prigovor - ni na tekst koji je ispisan na tabli, ni na hrvatski grb koji se koristio u vreme NDH, kao ni na ustaški pozdrav "Za dom spremni".

U vreme ratova devedesetih pripadnici HOS-a, koji su delovali kao paravojska, koristili su ustaška obeležja, a njihove jedinice nosile su imena najvećih koljača.

Do sada tabla nije izazvala pažnju van Jasenovca, jer hrvatski mediji nisu o tome pisali, i jedina informacija pojavila se u zagrebačkim "Novostima" koje izdaje Srpsko narodno veće.

Reč je, kako tvrdi istoričar Hrvoje Klasić, i o postupku koji zaslužuje kazneno gonjenje, jer je istaški pozdrav "Za dom spremni" zakonom zabranjen. 

STRAŠNI GOVOR

NA postavljanju table govorio je, uz predstavnike Jasenovca, i Hrvoje Niče, predsednik HSP-a Ante Starčevića, spomenuvši da je "zločinac Tito 21 godinu posle Drugog svetskog rata postavio velelepni spomenik 'Kameni cvet' Bogdana Bogdanovića u Jasenovcu, a mi tek sada, 21 godinu nakon Domovinskog rata, a postavljamo tablu našim palim bojovnicima".


=== 3 ===

Izvor: "Nasa Jugoslavija", Bilten XIV Novembar 2016. godine 

J A S E N O V A C 

Piše: Salomon Jazbec
(1) 

Povijest interneta predstavlja kratku povijest manipulacije javnim mnijenjem. Koliko god pružao korisnih, značajnih i konkretnih podataka, toliko ujedno sadrži laži, obmana, opasnih i štetnih izobličavanja činjenica, pri čemu je historija omiljena meta iživljavanja mnoštva anonimnih pojedinaca i grupa. Čini se da gotovo i nije potrebno elaborirati taj fenomen, jer svatko intuitivno osjeća kako je u nekom dijelu svojeg korištenja web-a bivao žrtvom internetske podvale ili pak svjedočio iskrivljavanju povijesne istine elektronskim putem. Povijesni je revizionizam u internetu pronašao svoj hram. 

Svakog se dana na oltaru tog hrama obavlja pogansko žrtvovanje Mnemozine, majke muza i božice pamćenja. Mnemozina u grčkoj mitologiji bješe božanstvo, no u ovom slučaju antičkog prokletstva za XXI. stoljeće lišena je svoje nedodirljive božanske prirode te poganskom pretvorbom preobličena u životinju. Svećenici i svećenice internetskih sljedbi svakodnevno kolju i pale Mnemozinu na sjajnom žrtveniku, da bi je – čudotvorno oživljenu – već sutradan nanovo ubijali. I ubijat će je tako iznova sve dok bude sredstava i načina. Za interes nema bojazni. Svjetina, sada „računalno opismenjena“ – no i dalje polupismena (s nepismenošću višeg reda) – tražit će i nadalje svoju porciju dnevne opsjene. Nebeska zaštitnica povijesti postade priklana junica. 

Kako reče jedan naš aforističar devedesetih, povijest je bila naša učiteljica, a onda su došli neki manijaci i silovali našu učiteljicu. Silovali i masakrirali, dodao bih. Sve u suglasju s pandemonijem ratnih zločinaca i makabričnim katalogom zločinstava, što eruptiraju na Balkanu svakih pola stoljeća kao kakvo usudno antičko prokletstvo. Krvavo klatno se klati. Na starim klaonicama i žrtvama – imenovanim i neznanim – temelje se novi ratovi i novi genocidi. Koloplet zla ne prestaje se plesti. Zločinačko kolo ne prestaje se vrtjeti. Jednom žrtvovana čovjeka ubijaju iznova. Povijesni revizionizam na internetu postaje sredstvo masovnog uništenja memorije. 

Internet možda nije najviši stupanj, ali je zato najprostraniji poligon obmane, manipulacije i malverzacije. Kao što se vidjelo iz slučaja matematičara Grigorija Jakovljeviča Pereljmana i njegovog dokaza Poincaréove slutnje, čak ni matematika – kao kraljica znanostî i vrhunac egzaktnosti ljudske misli – nije imuna na manipulacije World Wide Weba. Posredstvom interneta, moguće je jednom znanstveniku u virtualnom svijetu oduzeti kapitalno dostignuće iz stvarnog svijeta. 

Kineski matematičari iskoristiše samozatajnost ruskog matematičkog genija da ga ponize na globalnom nivou i njegove znanstvene rezultate pripišu sebi, iako nikakva stvarnog udjela u svemu tome ne imahu. Zbog toga je petrogradski matematičar dr. Griša Pereljman odbio primiti sve počasti i milijunske novčane nagrade koje su bile namijenjene onome tko razriješi jedan od najtežih i najprovokativnijih problema matematičke znanosti, postavljen 1904. godine. Tim činom ukazao je na činjenicu, koliko je u sadašnjem trenutku lako uprljati čitav jedan – po defaultu uzvišen – akademski svijet. Da, i prije su se događale takve stvari, ali nikad ovako široko, ovako duboko, ovako dalekosežno i ovako brzo kao danas, kad se jednim klikom miša može plasirati neistina na milijardu adresa, kad se s dva-tri posta pred oči svijeta može postaviti burleskna predstava na portalu svjetske informacijske prvostolnice. 

Ta kad se tako nešto već može zbivati na egzaktnom području ljudske misli, koliko li je to tek moguće na polju onih društvenih disciplina – s historiografijom kao oglednim primjerom – što su zbog svoje unutarnje elastičnosti i rubne fragilnosti podvrgnute svakojakim distorzijama i lomovima, dovodeći pokatkad vlastiti karakter do brutalne perverzije, pod lošim utjecajima iznutra i još pogubnijim vanjskim utjecajima?! 

Ovisno o odsutstvu ili unosu ideološkog napitka, jedna te ista „povijest“ može biti doktor Jekyll i mister Hyde. Vrhunac tog procesa ogleda se u internetskoj enciklopediji pod imenom wikipedija

Što nam hrvatska wikipedija, primjerice, piše o Juri Francetiću? „Hrvatski političar i vojnik, veliki rodoljub, osobno neobično hrabar i pošten.“ (2) O Anti Paveliću i njegovoj vladavini? „Hrvatski radikalni nacionalistički političar, razni pjesnici pišu pjesme posvećene njemu, nastaju slike i skulpture, status Srba u NDH se poboljšao, posebice u urbanim dijelovima.“ (3) O Vjekoslavu Maksu Luburiću? „Čovjek koji se na svoj način posvetio borbi za Hrvatsku, spašava desetke pravoslavne siročadi i smješta u institucije koje o svom trošku održava Ustaška obrana.“ (4) O Jasenovcu? „Partizani su fotografirali ljude koje bi sami pobili i navodili da su to žrtve ustaškog režima. Tamo je stradala 481 osoba.“ (5) 

Takve stvari ne navodi čak niti notorni biografski leksikon „Tko je tko u NDH“ (u izdanju zagrebačke „Minerve“ iz 1997. godine). Pa čak i da navodi, znalo bi se kome te navode možemo pripisati, jer su leksikonske jedinice autorizirane. 

Tako one o Juri Francetiću i Maksu Luburiću potpisuje Zdravko Dizdar (6), a onu o Anti Paveliću Slaven Ravlić (7), dok se na hr.wikipediji u autorskom i uredničkom svojstvu pojavljuju sablasti s nadimcima SpeedyGonzales, Kubura, Jack Sparrow, Flopy i Roberta F

U konačnici iza čitavog tiskanog leksikografskog projekta stoji određeni (poznati i provjerljivi) urednički savjet, neko uredništvo, glavni urednik, urednik biblioteke. U slučaju biografskog leksikona „Tko je tko u NDH“, urednik biblioteke „Leksikoni“ nakladničke kuće „Minerva“ je Marko Grčić (8), a glavni urednik leksikona Darko Stuparić (9). U slučaju wikipedije, urednici su neimenovani ljudi. Za unose nitko ne odgovara. Za njihovu redakciju također (10). Nominalno je kao osnivač wikipedije i odgovorna osoba naznačen Amerikanac iz Londona Jimmy Wales, no dotični pojma nema, niti može imati saznanja o svemu onome što se svakodnevno kroz trinaest godina postojanja wikipedije objavljivalo i objavljuje, s obzirom da je dosad, samo na engleskom, publicirano četiri i pol milijuna enciklopedijskih jedinica, dok nove natuknice nastaju svake minute, na brojnim stranim jezicima, pa tako i hrvatskom (11). 

Štoviše, teško da bi ikakav međunarodni urednički odbor mogao obuhvatiti informacijsku lavinu svakodnevnog stvaranja globalne internetske enciklopedije. Stanje u biti balansira između anarhije i entropije s jedne strane, odnosno više ili manje kontrolirane učinkovite samoorganiziranosti wikipedijskih ogranaka s druge, gdje se vrlo velikom količinom suradnika u konačnici ipak postiglo izvjesno ravnovjesje informacijskog obilja i vjerodostojnosti te relativna pouzdanost i nepristranost iznošenja činjenica i komentara, odnosno korisni mehanizmi popravaka i usavršavanja gradiva, pa ih možemo smatrati leksikografski relevantnim punktovima. 

Wikipedije s više od milijun članaka u sadašnjem su času: nizozemska, ruska, poljska, švedska, njemačka, španjolska, talijanska i francuska. Wikipedije s više od četiristo tisuća članaka: ukrajinska, katalonska (12), vijetnamska, portugalska, kineska, norveška i japanska. Wikipedije s više od dvjesto tisuća članaka: češka, arapska, indonezijska, malezijska, finska, rumunjska, mađarska, turska, iranska, korejska i srpska. A wikipedije s više od pedeset tisuća članaka jesu: grčka, danska, bugarska, hebrejska, hindu, latvijska, slovačka, litavska, slovenska, tajlandska, estonska, baskijska, galicijska, urdu, esperanto, srpskohrvatska i hrvatska. 

U tom pobješnjelom moru članaka i jezika i osoba i događaja i mjesta i pojava i tko zna čega sve još – teško je steći čak i najpovršniju preglednost. To nije tek obično more ili ocean, već čitav jedan tekući planet u stanju trajne uzburkanosti. Jasno je da se o bilo kakvoj ozbiljnijoj regulativi u tom mediju ne da ozbiljno niti govoriti. Stvar je prepuštena samoj sebi. 

I kako se to onda rješava u stvarnosti? Improvizacijama i sustavima razvijenima usput. Opće se stanje drastično razlikuje od jedne wikipedije do druge. Dok je engleska enciklopedija s trideset i dvije tisuće suradnika i urednika dobro uređena i stvarno relevantna, pa se – po ocjenama leksikografa – praktički ne razlikuje po količini pogrešaka od najčuvenije svjetske tiskane enciklopedije (Encyclopedia Britannica (13)), dotle je situacija s manjim wikipedijama, koje imaju stotinjak stalnih anonimnih suradnika i urednika, loša, pa i katastrofalna. One su gotovo nekorisne, ne samo u pogledu problematičnih područja, već počesto i u nekim područjima koja se inače čine nespornima, jer je tim jedinicama naprosto posvećeno premalo pažnje, te su obrađene šturo, površno, ponekad i pogrešno, ili posve nerazumljivo. Nakon konzultiranja takvih kvazienciklopedijskih izvora, korisnici ostaju neinformirani i zbunjeni. 

Djelomično je to rezultat procesa stvaranja članaka od strane nekompetentnih osoba, zatim premalog interesa stručnjaka za aktivnu i kontinuiranu suradnju na stvaranju sadržaja, no naposljetku i rezultat puke tendencioznosti ili kaprica onih koji su otvorili temu i ne dozvoljavaju da se njihovo viđenje ili iznošenje podataka dovodi u pitanje i podvrgava izmjenama. 

Svaka korisna inicijativa tu završava u slijepoj ulici i nikakav Jimmy Wales iz Londona ili John Smith iz Huntsvillea, Alabama – zapamtite! – neće rješavati stvari što se dešavaju na vašoj wikipediji. Ona je prepuštena domaćim vandalima, hordi diletantskih skribomana bez imena koji odavno zauzeše administratorske i birokratske busije i drže ih pod punim naoružanjem (14), kako bi se mogli boriti za određenu političku ili ideološku ili religijsku pristranost. Samo se o tome radi. Ne o istini, ne o činjenici, ne o znanosti. Samo o odnosu sila na elektronskom bojištu. (15) 

O tome i o – zezanju. Dvije trećine kreatora sadržaja wikipedije izjavilo je da sudjeluje u tome zbog zabave, a u studenom 2007. na prva tri mjesta motiva istrčali su „fun“ (!), „ideology“ (!!!) i „values“ (!?). Čak 13% kontributora mlađe je od 17 godina. 

Sve to naravno ne bi bilo toliko štetno, kad bi se radilo o tome da netko krivo piše o dekadskim logaritmima, jer bi se konačnom konzultacijom s bilo kojim logaritamskim tablicama moglo provjeriti da je autor upisa o toj temi zabludjela neznalica i dokona budala (16). No kad se radi o složenim povijesnim temama koje nas se neposredno tiču, koje nas upravo bole, poput ustaškog logora smrti Jasenovac, ubrzo se uviđa da je zalaganje protiv povijesnog revizionizma na hrvatskoj inačici internetske enciklopedije mukotrpan i praktički nemoguć, upravo uzaludan poduhvat, što će pokazati slučaj suradnika internetskog portala H-Alter Marka Gregovića, opisan u njegovom žurnalističkom prilogu iz 2012. godine, pod naslovom „Nezavisna Wikipedija Hrvatska“. 

Gregovićev članak započinje riječima: „U hrvatskoj inačici Wikipedije NDH je izraz stoljetnih težnji za samostalnošću, Ante Pavelić je književnik al pari Ivi Andriću, ustaški pokret ustvari nije bio ni rasistički ni totalitaran, Jasenovac je bio Raj na zemlji, a Maks Luburić ni u snu nije bio patološki ubojica. Želite li to sve ispraviti, nailazite na zabranu administratora.“ (17) Pa nastavlja: „Hrvatske inačica te enciklopedije koja ovih dana slavi devet godina postojanja, ipak nije samo blještavi spomenik slobodnom znanju i mogućnostima ljudske suradnje. Ona ima i mračniju stranu – prepuna je pseudoznanosti, izmišljotina i rasističkog revizionizma.“ (18) Zatim se Gregović – povodom devete obljetnice wikipedije – entuzijastično poduhvatio sređivanja hrvatske wikipedije, da ne dočeka sirotica jubilarnu obljetnicu tako uneređena. „Za početak odlučim izbrisati jednu irelevantnu i neprovjerenu rečenicu koja kaže da su logoraši iz Jasenovca često igrali nogomet, a da je svaki tim imao svoj dres. Smatrao sam da tako nešto, sve i da je bila istina, nema što tražiti u članku koji se bavi logorom smrti u kojem i ovako fali mnoštvo relevantnih detalja. I tako napravim malu izmjenu, izbrišem rečenicu o nogometu i osjetim se ispunjen doprinosom ljudskome znanju. U roku od sat vremena suradnik Jack Sparrow bez objašnjenja ukida moje izmjene. Malo me to čudi, ali prijeđem preko toga – možda Jack Sparrow toliko voli nogomet, da mu je njegovo spominjanje važno čak i u članku o logoru smrti. Odbijam dopustiti da mi to pokvari entuzijazam za sudjelovanjem. Krećem na popravljanje drugog članka – onoga o NDH. U njemu se također propušta napomenuti sve i svašta, ali odlučujem se dodati samo to da NDH danas ne smatramo prethodnicom suvremene Hrvatske. Referenca koju navodim je Ustav u kojem naravno piše da je hrvatska nastala na antifašizmu. Ovaj put osjećam se još korisnijim – faktički sam u enciklopediju dodao neko znanje koje će netko jednom možda upotrijebiti. Ubrzo postaje jasno da je i drugi pokušaj propao – ovog puta administrator Flopy bez objašnjenja briše moje izmjene. Meni sad prekipi što me tu neki Flopy zaustavlja u mojem prosvjetiteljskom zanosu i ukinem ja njegove izmjene i vratim na svoju verziju. Ukine on moje. Ja njemu. On meni. Ja njemu opet pokušam i – ne mogu! Shvatim da je članak zaključan na 48 sati (zbog tzv. vandaliziranja), a da sam ja zaradio nekakav “žuti karton” (također zbog vandaliziranja). Naravno, članak je zaključan na verziju koja ne spominje antifašizam suvremene Hrvatske. Nakon još nekoliko neuspješnih pokušaja uređivanja drugih članaka zasad odustajem od daljnje borbe – očito protiv sebe imam administratora koji ima moć i ne želi popustiti. Zaključujem da je za neke Wikipedijine administratore dobro da u Hrvatskoj ne postoje zakoni koji brane negiranje Holokausta jer bi ih dobar dio završio iza rešetaka.“ (19) 

Napominjem da je na Facebooku pokrenuta grupa „Razotkrivanje sramotne hr.wikipedije“, koja ima četiri tisuće članova. Adresa joj je ndh.wikipedija. (20) 

Primjećujete da ne ulazim u analizu samih članaka o logoru Jasenovac na hrvatskoj, srpskoj, srpskohrvatskoj i engleskoj wikipediji. Smatram da bih vam time oduzimao dragocjeno vrijeme. Svatko je od nas duboko ušao u tu problematiku i nema prijeke potrebe da samima sebi tumačimo ono što već predobro znamo. Napokon: iznjedrili smo brojne stručne radove o toj temi, sudjelovali na proteklih pet međunarodnih konferencija o Jasenovcu. Neki od nas napisali su čitave knjige o Jasenovcu. (I ja sam, primjerice, autor jedne od osamsto stranica.) Svatko od nas na kraju može na internetu otvoriti wikipediju i potražiti na njoj natuknice što se tiču Jasenovca i ostalih pojmova iz Nezavisne Države Hrvatske. Svatko od nas u stanju je razlučiti što je od napisanog istina, a što odraz bestidnog povijesnog revizionizma. To će – prosuđujem – vrijediti i za čitatelje zbornika radova VI. međunarodne konferencije o Jasenovcu. 

Ovim radom želio sam skrenuti pozornost na problem wikipedijskog prikaza Jasenovca. Htio sam ujedno pokazati kako su i drugi prije mene to uočili kao problem, navesti što ih je zasmetalo i kakva su iskustva imali s pokušajima uređivanja članaka iz tematike NDH na hrvatskoj wikipediji. Ono što ipak želim konkretno istaknuti, jest to da se anonimni stvaratelji – a po svemu sudeći – i imatelji hrvatske wikipedije, u ispisivanju članka o Jasenovcu referiraju na pristrane, suspektne, isključive, nejasne i ispolitizirane izvore, kao i one insuficijentne informativnosti, od propovijedi fra Blaža Toplaka na „misi zadušnici za žrtve bačene u Husinu jamu“ (planina Kamešnica, uz staru cestu Livno-Sinj) 3. rujna 2011, do kompendija navoda revizionistkinje Ljubice Štefan o logoru Jasenovac, koji je skupio jedan slovenski građanin, ali sadržaj više nije dostupan na internetu, no poveznica postoji u okviru wikipedijske jedinice o Jasenovcu. (21) 

O logoru Jasenovac izdano je od 1945. do danas preko tisuću i sto knjiga, publicirano preko tri tisuće stručnih radova. Od njih se na hrvatskoj wikipediji u rubrici „Knjige o Jasenovcu“ navode tek tri djela: knjiga Josipa Jurčevića Nastanak mita o Jasenovcu iz 2005.; knjiga Mladena Ivezića Jasenovac – brojke iz 2003. te knjiga Vladimira Horvata i Vladimira Mrkocija Ogoljela laž logora Jasenovac iz 2008. 

Od vanjskih poveznica, hr.wikipedija daje link na blogerski post suradnika portala Dnevno.hr Tvrtka Dolića, pod nazivom „Istina o Jasenovcu“. Blog dotičnog blogera – koji tvrdi da je Isus bio Hrvat, a Marija Hrvatica (22) – portal Index.hr maknuo je sa svojih stranica krajem prošle godine, o čemu piše Jutarnji list 25. studenog 2013. u članku pod nazivom „Index.hr uklonio ustaškog blogera sa svojih stranica“. (23) Dolićev tekst „Istina o Jasenovcu“ iz 2010. objavljuje 17. ožujka 2014. godine Dnevno.hr. Već u njegovom uvodu nalazimo riječi: „Je li Jasenovac bio najveće svjetsko stratište ili običan pržun, kako svjedoče preživjeli logoraši i aktivisti Crvenog križa?“ (24) U svojim tekstovima Dolić iznosi „osobna saznanja da se u Jasenovcu živjelo jako dobro i ugodno“. (25) 

Tekst Tvrtka Dolića „Istina o Jasenovcu“ jest poveznica koju leksikografska jedinica „Logor Jasenovac“ na hrvatskoj wikipediji daje još 11. svibnja 2014., iako je s portala Index.hr skinut u studenom 2013. – i na toj se poveznici taj „jako koristan“ tekst ne nalazi. Uz njega se daje poveznica na predavanje Ljubice Štefan s tzv. II. hrvatskog žrtvoslovnog kongresa 1998. godine „Poslijeratni Titov logor Jasenovac 1945.-1947/48.“, objavljen na internetskom portalu Stina hrvatskih pradidova. (26) Također se daje link na razgovor s Josipom Jurčevićem, „znanstvenim suradnikom Instituta društvenih znanosti ‘Ivo Pilar’ u Zagrebu i profesorom suvremene povijesti na Hrvatskim studijama Sveučilišta u Zagrebu“. 

Uza sve navedeno, daje se začudo i poveznica na „Izvorno izvješće Zemaljske komisije Hrvatske (1946.)“ (uz bedastu opasku „pogrešna procjena broja žrtava“). (27) Međutim, na toj se poveznici predmetni članak ne nalazi. 

Što se tiče spomenute procjene broja žrtava, hrvatska wikipedija od svih mogućih izvora citira tek ustaškog ratnog zločinca fra Miroslava Filipovića-Majstorovića, koji je procijenio „da je pod njegovim zapovjedni-štvom likvidirano oko 20.000-30.000 zaro-bljenika u glavnom jasenovačkom logoru.“ 

Kad navodi Žerjavićeve i Kočovićeve procjene broja žrtava, hrvatska wikipedija napominje: „Demografska istraživanja Vladimira Žerjavića i dr. Bogoljuba Kočovića, koji su radili neovisno jedan od drugoga, dala su slične rezultate. Prema Žerjaviću proizlazi da je u Jasenovcu stradalo oko 83.000 osoba (od toga između 45 i 52 tisuće Srba, 12 tisuća Hrvata i Muslimana, 13 tisuća Židova i 10 tisuća Roma), dok je dr. Kočović došao do procjene da je u Jasenovcu život izgubilo oko 70.000 ljudi. Okvirne procjene ove dvojice stručnih istraživača do sada nisu opovrgnute nikakvim znanstveno utemeljenim argumentima.“ To je glupo ustvrđivanje, jer je navedene procjene oborio sam poimenični popis jasenovačkih žrtava JUSP Jasenovac. Službeni broj od 83.145 objavljen je na stranicama Javne ustanove Spomen-područje Jasenovac još u ožujku 2013. godine. (Novopopisane žrtve za prethodnih godinu dana nisu pribrojene, niti objavljene.) Poimenični popis beogradskog Muzeja žrtava genocida iz 2012. daje 88.000 jasenovačkih žrtava. (On se također kontinuirano dopunjuje.) Procjene koje su ispod ukupnog broja poimeničnih žrtava nisu validne i samim time su Žerjavićeve procjene jasenovačkih žrtava postale besmislene. Kočović nije dao nikakve procjene jasenovačkih žrtava; informacija o tome je hoax od strane Vladimira Žerjavića. 

Povodom desete obljetnice hrvatske wikipedije, desetog rujna 2013. godine Jutarnji list piše o wikirevizionizmu – kako ga nazivam – pa u članku Gorana Penića „Desničari preuzeli uređivanje hr.wikipedije“ ističe sljedeće: „Da je hrvatska verzija Wikipedije izrazito pristrana i ultradesničarski intonirana, smatra i naš znanstvenik dr. sc. Pavle Močilac, koji je zbog toga i prekinuo s njima suradnju. Močilac kaže kako u temama koje se tiču povijesti, Drugog svjetskog rata i NDH dominira revizionistički ton u kojem se opravdava i veliča NDH i fašizam, dok se antifašizam portretira u jako negativnom svjetlu. To je opasno, kaže Močilac, jer se današnji učenici i studenti rado služe tim podacima za učenje i seminarske radove misleći da iza toga stoji struka. ‘Izrazita pristranost i ideološka obojenost totalno obezvređuje kompletan projekt hr.wikipedije, što je tragedija, jer važnost projekta wikipedija za današnje obrazovanje postaje ogromna. Akademici generalno nisu skloni wikipediji upravo zbog toga što je pišu i uređuju vrlo često amateri koji, kao što vidimo, počesto ubacuju neistine, poluistine, vlastito (neutemeljeno) mišljenje, ideologiju, svoj pogled na religijska pitanja i slično, a vrlo često kao reference uzimaju irelevantne i loše internetske izvore ili čak revizionističke knjige’, kaže Močilac. On je nekoć uređivao članke iz područja farmakologije, jer mu je to primarna struka, ali kada je shvatio što sve piše na hr.wikipediji, odlučio je da u tome ne želi sudjelovati.“ (28) 

Ukoliko je rat produženje politike drugim sredstvima – kako uči vojni teoretičar Clausewitz – onda je internet produženje rata drugim sredstvima. Pobjeđuje onaj tko je jači na mreži. Rat se dobiva na netu

Ne smijemo, međutim, ni u kom slučaju potcjenjivati utjecaj wikipedije. Wikipedija je deveta najpopularnija web-stranica na svijetu sa sto dvadeset milijuna posjeta mjesečno, dok je u prosjeku svaki petnaesttisućiti posjetitelj ujedno i kontributor sadržaja, a od njih je otprilike desetina onih koji stalno pridonose stvaranju sadržaja na wikipediji. U jednom mjesecu wikipedija naraste za trideset milijuna riječi. Svakog mjeseca pridolazi četvrt milijuna novih registriranih korisnika wikipedije. 

Ako pogledamo statistiku za hrvatsku inačicu wikipedije (prema podacima koje je krajem veljače ove godine prikupio i obradio analitičar podataka Fundacije Wikipedija Erik Zachte), hrvatska wikipedija se obraća potencijalnom čitateljstvu od šest milijuna ljudi, na njoj se nalazi 143,5 tisuće članaka, a uređuje je 167 suradnika, s prosječnom posjećenošću od 34 tisuće posjeta stranice na sat. 

U odnosu na hrvatsku wikipediju, srpska wikipedija ima stotinu suradnika više, stotinu tisuća članaka više i obraća se dvaput većem broju govornika jezika na kojem je pisana. U isto vrijeme, ona ima samo 22 tisuće posjeta stranice na sat. Treba napomenuti da frekvencija posjeta stranice oscilira i fluktuira unutar jednog dana i mjeseca. Ovo su prosječni podaci, ali je u svakom slučaju zanimljiva činjenica da hrvatska wikipedija u prosjeku ima 60% veću posjećenost od srpske. Ukoliko uzmemo u obzir da se srpska wikipedija obraća dvaput većem potencijalnom čitateljstvu od hrvatske, to bi značilo da bi njezina prosječna posjećenost – u usporedbi s hrvatskom wikipedijom – trebala biti oko 70 tisuća posjeta na sat, dakle: ona bi trebala biti barem triput posjećenija nego što je to u sadašnjem trenutku. 

U svjetlu svega toga, ne smijemo omalovažavati utjecaj hrvatske wikipedije, koja postoji od sredine veljače 2003. (29) Ona doduše iskrivljeno prikazuje tematiku NDH i ustaškog logora smrti Jasenovac, ali je u isto vrijeme vrlo posjećena i njezini članci formiraju javno mnijenje u Hrvatskoj te svim područjima gdje obitavaju govornici hrvatskog jezika: od Sjedinjenih Država i Kanade do Europske Unije i Švicarske; od Argentine i Čilea do Australije i Novog Zelanda; od Vatikana do Bosne i Hercegovine. 

Na kraju ovog rada, želio bih se još vrlo kratko pozabaviti povijesnim revizionizmom en général. U izdanju Knjižare seljačke sloge 1946. u Zagrebu izlazi hrvatski prijevod knjige Putevima Evrope Ilje Erenburga. Na stranicama 55-96 opisano je Erenburgovo putovanje kroz Jugoslaviju 1945. Nakon kratkog, ali dirljivog izlaganja ratnog martirija naših naroda, Ilja Erenburg postavlja pitanje: „Zar je moguće, da čovječanstvo ima tako slabo pamćenje, da će zaboraviti ove žrtve?“ (30) 

Odgovaram nakon sedam desetljeća – moguće je. Ništa ne ide u prilog pamćenju i sjećanju. Internet je zadnji čavao u lijesu historiografije. Danas povjesnicu može ispisivati čak i osoba kojoj je oduzeta poslovna sposobnost. Povijesti nam izgledaju kao da ih je pisao J.R.R. Tolkien. Prepune maštovitih izmišljotina. Romansirane. Herojske. Drske. Crno-bijelog tkanja, sa sivom u tragovima i pokojim vriskom krvave boje. Heroji jedne strane za drugu stranu su zločinci. Žrtve jedne strane za drugu stranu ne postoje. Stratišta postaju zabavišta. Spomenici junačkoj borbi nestaju u prah, a humanizam je iščeznuo u bespućima povijesne zbiljnosti. 

Pa i da jest, napokon, sve s tom povijesti – nekim čudom – potaman, postavlja se pitanje: što možemo naučiti iz povijesti? Možemo li išta naučiti? Jesmo li išta naučili? Što smo učinili da se ona ne ponavlja? 
Što bismo uopće mogli učiniti? Te su dvojbe – izgleda – ušle već i u pop-kulturu, kad nam švedska glazbena grupa Roxette na svojem CD albumu iz 1999. „Have a Nice Day“, u pjesmi „Crush on You“ poručuje kroz stih: „No lessons learned from history.“ 

Ništa iz povijesti naučili nisu, a kad mi pomremo – cijela jedna povijest umrijet će s nama. O budućim naraštajima ovisi hoće li ikada uskrsnuti ili će mrtvački plašt zaborava prekriti naš svijet. 


(U Zagrebu, 15. svibnja 2014 – © Salamon Jazbec) 
Rad za 6. međunarodnu konferenciju o Jasenovcu, Banja Luka 18-20. 05. 2014. godine. 

1. Glavni tajnik židovske organizacije Margelov institut iz Zagreba; autor dvaju knjiških djela o fenomenu povijesnog revizionizma 2008. i 2010. godine. Učesnik Pete međunarodne konferencije o Jasenovcu i Prve međunarodne konferencije o Jadovnu. 
2. Prema stanju od 10. rujna 2013. Navodi su uzeti iz članka novinara „Jutarnjeg lista“ Gorana Penića „'NDH NIJE BILA TOTALITARNA, A ŽRTVE U JASENOVCU POBILI SU PARTIZANI’ – Desničari preuzeli uređivanje hrvatske Wikipedije“; s uvodnim tekstom: „Ustaški pokret nije bio svjesno desno-radikalan, rasistički i totalitaran, za pojavu ustaške ikonografije u modernoj Hrvatskoj krivi su masoni, antifašizam je ograničavanje svih osnovnih ljudskih sloboda, partizanskih zločina bilo je triput više nego ustaških, a u Hrvatskoj se redovito organiziraju antifašističko-četničke proslave na račun poreznih obveznika.“ 
3. http://www.jutarnji.hr/radikalni-desnicari-preuzeli-uredivanje-hr-wikipedije–ndh-nije-svjesno-bila-totalitarna–a-antifasizam-se-bori-protiv-svih-sloboda-/1125398/ (prema dostupnosti internetskog članka na dne 4. svibnja 2014. godine) 
4. Ibid. 
5. Ibid. 
6. Ibid. 
7. Doktor povijesnih znanosti i znanstveni savjetnik na Hrvatskom institutu za povijest u Zagrebu. (U doba nastajanja leksikona „Tko je tko u NDH“ magistar znanosti i znanstveni asistent u Hrvatskom institutu za povijest.) 
8. Doktor političkih znanosti i redoviti profesor na Katedri za sociologiju Pravnog fakulteta Sveučilišta u Zagrebu, urednik Hrvatske opće enciklopedije. (U doba nastajanja leksikona „Tko je tko u NDH“ magistar znanosti i urednik u Leksikografskom zavodu „Miroslav Krleža“.) 
9. Pjesnik, prevoditelj, esejist i publicist iz Zagreba. Od 1959. do 1991. novinar „Vjesnika“; od 1991. do umirovljenja 2004. godine kolumnist zagrebačkog tjednika „Globus“. 
10. Novinar i publicist iz Zagreba. Bivši glavni urednik omladinske revije za mlade „Polet“, zabavnog časopisa „Pop express“ i tjednika „Arena“. Pomoćnik glavnog urednika dnevnog lista „Vjesnik“ od 1985. do 1993. Od 1997. do umirovljenja 2007. godine glavni tajnik Hrvatske enciklopedije Leksikografskog zavoda „Miroslav Krleža“. 
11. Na stranu činjenica da se kao suradnici na stvaranju leksikona „Tko je tko u NDH“ navode: „Srećko Pšeničnik, publicist, gl. urednik Nezavisne Države Hrvatske, Zagreb – Mississau (Kanada)“; „Vinko Nikolić, književnik, urednik Hrvatske revije, Zagreb“; „Živko Kustić, teolog i publicist, gl. urednik Informativne katoličke agencije, Zagreb“; „Dubravko Horvatić, književnik, gl. urednik Hrvatskog slova, Zagreb“; „Josip Pavičić, književni kritičar, Zagreb“; „msgr. Valter Župan, generalni vikar Krčke biskupije, Krk“ ili „dr. Šimun Šito Ćorić, književnik i misionar, predsjednik Svjetskog Hrvatskog kongresa, Bern“. (stranica XIII i XIV) Bez obzira na sve, četrdeset i osam osoba s imenom i prezimenom stoji iza dotičnog biografskog leksikona, a sve leksikografske jedinice potpisane su njihovim poznatim inicijalima. O sadržaju možemo raspravljati, no autorstvo je činjenica, jasno znamo komu što možemo pripisati i to je točka od koje možemo poći dalje. Što se tiče wikipedije, čini se kao da se sama od sebe ispisala. Njezine netočnosti doslovno ne možemo pripisati ikome. Glupo je kritizirati mašinu, a u ovom se slučaju sve u konačnici doima kao obračun s virtualnim vjetrenjačama. 
12. Prosječna brzina čitanja odraslog čovjeka iznosi 250 riječi u minuti. Kontinuirano svladavanje tog teksta je, dakle, običnom smrtniku nemoguće. 
13. Wikipedije su svrstane prema jezicima na kojima su bile pokrenute i dalje nastaju. Wikipedija u sadašnjem času djeluje na 285 jezika, tj. postoji sveukupno 285 zasebnih wikipedija. 
14. Prema studiji objavljenoj u časopisu Nature iz 2005. godine. To je istraživanje osporeno od strane predmetne tiskane enciklopedije, s argumentom da je tokom analize premali broj stručnjaka analizirao premali broj usporednih članaka na wikipediji i Britannici. 
15. Od dvanaesteročlanog globalnog arbitrarnog komiteta wikipedije, koji bi trebao rješavati sporna pitanja u gomili od tridesetak milijuna članaka i 77 tisuća urednika, samo je jedan član registriran pod vlastitim imenom, David Fuchs, dok se ostali članovi nazivaju: AGK, Beeblebrox, GorillaWarfare, LFaraone, NativeForeigner, Newyorkbrad, Salvio giuliano (i.e. Salvius Iulianus, lat. pravnik i političar za Hadrijanove vladavine), Seraphimblade, Timotheus Canens (i.e. „Raspjevani Timotej“ na lat.), Worm That Turned i Floquenbeam. Tako da vam je i ta arbitraža u konačnici jedna vrsta vodvilja. Zaboravite na to. 
16. Prema jednom istraživanju napravljenom na engleskom Sveučilištu Oxford 2013. godine, najveći wikipedijski ratovi vođeni su oko leksikografskih jedinica: „George W. Bush“; „Anarhizam“; „Muhamed“; „Popis članova WWE“ (američke udruge profesionalnih hrvača); „Globalno zatopljenje“; „Obrezivanje“; „Sjedinjene Države“; „Isus“ te „Rasa i inteligencija“. Ti su članci bili najnapadaniji i najosporavaniji te pretrpjeli najviše izmjena i prepravaka. Slično istraživanje za hrvatsku i srpsku wikipediju nije vršeno, ali pretpostavljam da su teme iz Drugoga svjetskog rata – da tako kažem – na najvišem mjestu rovovskog pregledavanja i gerilskog uređivanja. 
17. Problem je s medicinskim pojmovima, jer diletantski upisi mogu prouzročiti znatnu štetu, s obzirom da se primjećuje trend traženja medicinske samopomoći putem interneta, kod čega je wikipedija jedna od važnijih štacija za iznalaženje zdravstvenih savjeta o bolestima i njihovom liječenju. (Prema članku Julie Beck na portalu The Atlantic, 72% posjetitelja interneta je kroz proteklu godinu potražilo zdravstveni savjet na internetu, uključujući tu i same liječnike.) http://www.theatlantic.com/health/archive/ 2014/05/can-wikipedia-ever-be-a-definitive-medical-text/361822/ (dostupnost članka na dne 11. svibnja 2014. godine) 
18. http://www.h-alter.org/vijesti/mediji/nezavisna-wikipedija-hrvatska (prema dostupnosti na dne 4. svibnja 2014. godine) 
19. Ibid. 
20. Ibid. Potcrtavanje moje. 
21. https://www.facebook.com/ndh.wikipedia?fref=ts (prema dostupnosti na dne 11. svibnja 2014. godine) 
22. http://www.safaric-safaric.si/materiali_cro/stefan_ljubica (prema pregledavanju natuknice „Logor Jasenovac“ na hr.wikipediji 11. svibnja 2014. godine; referiranje na taj link dano je u predmetnom tekstu kao fusnota br. 11, u okviru navoda: „Skrivajući se iza teških nedjela koje je ovdje počinio osovinski satelitski režim i koje je javno osudio nadbiskup Alojzije Stepinac, jugokomunistički je režim nastavio služiti se kapacitetima ovog logora sve do 1947./1948. godine. Ova je činjenica skoro više od pola stoljeća bila tajnom za koju je znao samo vrh vlasti, osoblje logora, okolni stanovnici i obitelji preživjelih logoraša. I nakon toga, komunističko korištenje kapaciteta ovog logora bilo je znanstvenim tabuom. Sabirni logor Jasenovac je stoga bio logor dva totalitaristička režima: prvo ustaškog od 1941. do travnja 1945., a od svibnja 1945. do 1947./1948. komunističkog. Raščišćavanje logorskog prostora trajalo je sve do 1951.“) 
23. http://croative.net/index.php/vijesti/item/3266-tvrtko-dolić-isus-je-bio-hrvat (prema dostupnosti članka na dne 11. svibnja 2014. godine) 
24. http://www.jutarnji.hr/index-hr-uklonio-ustaskog-blogera-sa-svojih-stranica/1142344/ (prema dostupnosti članka na dne 11. svibnja 2014. godine) 
25. http://www.dnevno.hr/kolumne/tvrtko-dolic/117776-istina-o-jasenovcu.html (prema dostupnosti članka na dne 11. svibnja 2014. godine) 
26. http://www.jutarnji.hr/sokantan-ispad-bloger-indexa—jasenovac-nije-bio-tako-los–a-ndh-je-isti-kao-rh–/1142224/ (prema dostupnosti članka na dne 11. svibnja 2014. godine) Prema tom članku, Tvrtko Dolić – na kojeg se poziva hr.wikipedija – je također autor tekstova „Četnički smrad Boba Dylana“ i „Milanović je dokaz da kršćanski bog ne postoji“. Mislim da to dovoljno ilustrira ozračje hrvatske wikipedije. 
27. http://shp.bizhat.com/T.jasenovac.html (prema dostupnosti članka na dne 11. svibnja 2014. godine) 
28. http://hr.wikipedia.org/wiki/Logor_Jasenovac (prema dostupnosti članka na dne 11. svibnja 2014. godine) 
29. http://www.jutarnji.hr/radikalni-desnicari-preuzeli-uredivanje-hr-wikipedije–ndh-nije-svjesno-bila-totalitarna–a-antifasizam-se-bori-protiv-svih-sloboda-/1125398/ (dostupnost članka na dne 4. svibnja 2014 – kurziv moj) Manevre oko wikipedije možda objašnjava činjenica da je 91% kontributora muškog roda, iako je primijećen trend porasta suradnica u wikipedijskom miljeu. 
30. Srpskohrvatska wikipedija postoji od kraja 2001. godine i ima 140 tisuća članaka, a pretpostavlja se da je može koristiti/razumjeti 23 milijuna ljudi, dok na njoj radi 46 urednika – no ima prosječnu posjećenost od samo 14 i pol tisuća posjeta na sat. Bosanska wikipedija ima skoro pedeset tisuća članaka, a prosječna posjećenost joj je šest tisuća posjeta na sat. Latinska wikipedija ima 105 tisuća članaka, a starocrkvenoslavjanska 540 članaka. Jidiš wikipedija ima šest urednika, jedanaest i pol tisuća članaka, tisuću posjeta na sat, a obraća se milijunu ljudi. Ladino wikipedija ima tri tisuće članaka, dva urednika, četiristo posjeta na sat, a obraća se stotini tisuća ljudi. 
31. Ilja Erenburg Putevima Evrope; III. poglavlje „Jugoslavija“, 2. dio, str. 59 – prijevod: S. Danilevska i N. Kolčevska. (Primjerak u vlasništvu S.J.) 


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http://inserbia.info/today/2016/07/nazi-hunter-outraged-by-annulment-of-ustasha-collaborators-verdict/

Nazi hunter outraged by annulment of Ustasha collaborator’s verdict

By InSerbia with agencies -  Jul 25, 2016

BELGRADE – The Simon Wiesenthal Center (SWC) is outraged by the recent annulment of the 1946 conviction of Croatian Archbishop Alojzije Stepinac, for treason and collaboration with the Nazi-aligned Ustasha regime, The Jerusalem Post reported.

“As the leading Catholic priest in the Independent State of Croatia (NDH), Stepinac’s responsibility was to speak out on behalf of the innocent victims of the Ustasha, not to lend spiritual support to their murderers,” said the SWC’s top Nazi hunter, Dr. Efraim Zuroff.

“The genocidal campaign waged by the Ustasha against Serbs, their active participation in Holocaust crimes against Jews, and the murder of Roma and anti-fascist Croatians carried out in their network of concentration camps are among the most heinous crimes of World War II. No person who supported that regime should have their conviction annulled.”

The Zagreb County Court judge Ivan Turudić overturned the verdict last week, saying it had violated the right to a fair trial, the prohibition of forced labor and the rule of law.

Zuroff was dismissive of accounts that Stepinac later condemned Ustasha atrocities against Jews and Serbs.

“Bottom line is he was [NDH leader] Ante Pavelić’s priest, that says it all and it’s totally unforgivable,” he told The Jerusalem Post Monday. “He openly supported the regime, which committed mass murder and afforded them spiritual comfort and support,” he continued, saying the stance Stepinac took was of “huge significance.”

He says that for this reason, the annulment of the verdict is cause for celebration for nationalist and ultra right-wing Croatians. “Right now in Croatia there is a cultural, ideological war,” he states, saying that the latter are seeking to whitewash or modify the crimes of the Ustasha. “There are many people who view them as heroes because of their fierce patriotism and&

(Message over 64 KB, truncated)


UFFICIALI DI PAESI N.A.T.O. TRA I TOPI DI ALEPPO


Arresto di jihadisti e ufficiali stranieri ad Aleppo-Est

RETE VOLTAIRE | 18 DICEMBRE 2016 – Gli jihadisti di Aleppo-Est sono stati autorizzati a raggiungere, a loro scelta, Idleb (Al Qaeda) o Rakka (Daesh), oppure possono costituirsi prigionieri. Sono portati a destinazione con autobus, sotto responsabilità di Siria e Russia e alla presenza di rappresentanti dell’ONU.
Alcuni hanno tentato di fuggire mescolandosi alla popolazione civile. Al momento dell’identificazione di 120.000 abitanti, i servizi di controspionaggio ne hanno identificati e arrestati oltre 1.500.
Il deputato e presidente della Camera di commercio di Aleppo, Farés Shehabi, ha pubblicato una prima lista non esaustiva di 14 ufficiali stranieri fatti prigionieri nel bunker della NATO. Sono:

Mutaz Kanoğlu – Turchia 
David Scott Winer – Stati Uniti 
David Shlomo Aram – Israele 
Muhamad Tamimi – Qatar 
Muhamad Ahmad Assabian – Arabia saudita 
Abd-el-Menham Fahd al Harij – Arabia saudita 
Islam Salam Ezzahran Al Hajlan – Arabia saudita 
Ahmed Ben Naoufel Al Darij – Arabia saudita 
Muhamad Hassan Al Sabihi – Arabia saudita 
Hamad Fahad Al Dousri – Arabia saudita 
Amjad Qassem Al Tiraoui – Giordania 
Qassem Saad Al Shamry – Arabia saudita 
Ayman Qassem Al Thahalbi – Arabia saudita 
Mohamed Ech-Chafihi El Idrissi – Marrocco.

Si tratta di ufficiali che hanno declinato le loro generalità. Evidentemente, ci sono altri prigionieri che rappresentano altri Stati coinvolti nella guerra contro la Repubblica araba siriana. Conformemente alla Convenzione di Ginevra, non saranno pubblicate immagini.
A febbraio 2012 una quarantina di ufficiali turchi e una ventina di ufficiali francesi erano stati restituiti all’esercito di provenienza, grazie sia all’intermediazione di Mikhail Fradkov (direttore dell’intelligence russa), sia all’intervento diretto alla frontiera libanese dell’ammiraglio Edouard Guillaud (capo di stato-maggiore francese).

Fonte: http://www.voltairenet.org/article194622.html
Traduzione: Rachele Marmetti, Il Cronista 

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Sulla aggressione imperialista contro la Siria si veda anche (in ordine cronologico inverso):

Il racconto malato di Aleppo ha superato di gran lunga la messa in scena dell'aggressione alla Jugoslavia (di Massimo Zucchetti, 18 Dicembre 2016)
I "bambini di Aleppo" fra i quali ovviamente non si includono le bambine usate come bombe umane dai "ribelli moderati", che sono poi i jihadisti di Al Qaeda e terroristi assimilati (ex spauracchi dell'occidente fino a pochi anni fa), il "corridoio umanitario per la popolazione", che è poi una via di fuga per i terroristi sconfitti verso una zona in mano all'ISIS, la "città martoriata", ora che è in mano alle forze governative, mentre prima che era in mano ai terroristi era un parco dei divertimenti, le "atroci sofferenze" della popolazione, che festeggia per le strade la fine dell'incubo jihadista, le "ultime lettere da Aleppo" mandate da bloggers pagati dall'Arabia Saudita, gli "ultimi medici" nelle decine di "ospedali per bambini" dei quali ora non vi è traccia, i "clown umanitari" inventati, la "popolazione deportata dai russi", che in realtà fugge dalla morsa dei terroristi per andare nella zona libera dove trova cibo e cure, le "foto" taroccate malamente...

Crisi alla NATO (RETE VOLTAIRE | 18 DICEMBRE 2016)
... Come accaduto con la conquista di Tripoli in agosto 2011, e contrariamente all’art. 9 dello statuto NATO, il Consiglio atlantico non era stato consultato su quest’operazione segreta...

Dopo l’arresto di ufficiali NATO ad Aleppo, il Consiglio di sicurezza si riunisce a porte chiuse (RETE VOLTAIRE | 17 DICEMBRE 2016)

Vittorio Zucconi tifa per l’Isis (di Redazione Contropiano, 11/12/2016)

"Fallito il Nobel, ora possono tentare con l'Oscar". Ennesimo video bufala degli Elmetti Bianchi sulla Siria (rimosso troppo tardi) (di Francesco Santoianni, 23.11.2016)
<< Rispondo qui ai tanti che su Facebook mi hanno chiesto cosa diavolo volesse dire la “performance” che nel video pretendevano di realizzare gli sciagurati “volontari” di Withe Helmets. Si tratta del Mannequin Challenge, la “sfida dei manichini” che pare stia spopolando sul web: http://www.quotidiano.net/cronaca/mannequin-challenge-1.2673383
Performance che, al di là delle velleità promozionali, avrebbe finito per evidenziare una tecnica comune a tantissimi video-bufale di questa “organizzazione umanitaria”: per questo, verosimilmente, i responsabili di WH hanno deciso di rimuovere il video. Francesco Santoianni >>
Video promozionale (subito rimosso dalla Rete) dei White Helmets (Francesco Santoianni, 22 nov 2016)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=Zs8D7flSn7s

Siria, Aleppo e il video bufala di Repubblica (Francesco Santoianni, 21/11/2016)
Video- bufala bombardamento ospedale pediatrico ad Aleppo (Francesco Santoianni, 20 nov 2016)
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=gBmxT3xrI08

Nessuna traccia di bombardamenti sull’“Ospedale pediatrico di Aleppo est” (Francesco Santoianni, 20 nov 2016)
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-nessuna_traccia_di_bombardamenti_sullospedale_pediatrico_di_aleppo_est/6119_17913/

"L'ultimo ospedale pediatrico di Aleppo"... e la bufala continua (Francesco Santoianni, 17.11.2016)
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-lultimo_ospedale_pediatrico_di_aleppo_e_la_bufala_continua/6119_17885/

RACCOMANDIAMO INFINE DI SEGUIRE I CONTINUI AGGIORNAMENTI SULLA DISINFORMAZIONE STRATEGICA A PROPOSITO DELLA SIRIA AL SITO:
http://www.lantidiplomatico.it/argnews-Siria/59/



(français / italiano / english)

A Srebrenica denial law in Serbia?

1) Stephen Karganovic: SERBIA TO ADOPT REPRESSIVE LAW AGAINST “DENIAL OF SREBRENICA GENOCIDE” / LA SERBIE EST PRÊT A ADOPTER UNE LOI REPRESSIONNELLE CONTRE LE  « LE DÉNI DU GENOCIDE DE SREBRENICA »

2) Andy Wilcoxson: ICTY SIGNIFICANTLY REDUCES TOLL OF SREBRENICA MASSACRE, BUT CONTINUES TO EXAGGERATE BODY COUNT

3) FLASHBACK – E.S. Herman e J. Robles: IL MASSACRO DI SREBRENICA È UNA GIGANTESCA FRODE POLITICA


=== 1 ===

---------- Forwarded message ----------
From: S. K. <srebrenica.historical.project @ gmail.com>
Date: Monday, 21 November 2016
Subject: Srebrenica denial law in Serbia

Stephen Karganovic

 

SERBIA TO ADOPT REPRESSIVE LAW AGAINST “DENIAL OF SREBRENICA GENOCIDE”

 

A process of revision of Serbia’s Criminal Code has been going on for quite a while. It recently emerged that a government Task Force was set up for the purpose.  Nothing is publicly known about the composition of this committee or its brief.

 

One of the Task Force’s goals (or directives) apparently is to introduce a change in the Criminal Code that would make Srebrenica “genocide denial” a crime in Serbia. Accordingly, theexisting article 387 of the Criminal Code was revised and supplemented with a new clause (5) that would make such denial prosecutable with a maximum punishment of five years in prison.

 

The proposed draft of article 387 (5), which will be up for a vote in Parliament sometime this week, reads:

 

“Whoever publicly approves, denies, or significantly diminishes the gravity of genocide, crimes against humanity or war crimes committed against groups of persons or individual members of a group based on their race, skin color, religion, origin, or state, national, or ethnic affiliation, in a manner that could lead to violence or incitement to hate toward such a group or group-member, if such criminal acts have been adjudicated in a final judgment of a court in Serbia or the International Criminal Court, will be subject to imprisonment for a term from six months to five years.”

 

Information about the proposed revision of the Criminal Code became known to a limited segment of the Serbian public only on Wednesday of last week, when the text was circulated on the internet. The mass media had not reported a single word about this significant legal development up to that point.

 

On Wednesday, we called Miloš Jovanović, a professor of law and also vice-president of the Serbian Democratic Party, a small parliamentary group with three deputies in Parliament, to ask him what his party was planning to do about this. His response was that he had no idea of what we were talking about and had not even heard that such a thing was afoot at all. Once we informed him and sent him the text of the proposed new legislation, he called a press conference to express his party’s vehement opposition to this project.

 

The following day, something resembling a debate took place in parliament, with various parties taking positions in favor and against the “genocide denial” law. The ruling Serbian Progressive Party, which has a majority in parliament, was studiously silent, leaving advocacy for this obnoxious law to its junior coalition members.

 

However, probably taken aback by the ensuing uproar, the minister of justice, Nela Kuburović, finally made a public statement on this issue. She said that adoption of a “genocide denial law” was Serbia’s “European obligation.” She did not cite a specific source for her claim.

 

With a bit of internet research, however, we established the convoluted origin of this attempt to criminalize an important aspect of free speech in Serbia. It is the “Framework Decision on Racism and Xenophobia,” adopted by the Council of Europe on 28 November 2008 (see full text and further references in footnote).[1] It deals with genocide denial only in passing, mainly focusing instead on thetopics indicated in its title. But more importantly, it clearly states that whatever the directive requires is applicable only to EU member-countries, which Serbia is not. Therefore, minister Kuburović’s assertion that the new law is a “European obligation” was patently false.

 

Additionally, the Framework Decision contains wording with reference to genocide denial which the Serbian Task Force obviously transcribed practically without revision or adaptation, i.e. simply translated and incorporated it as such into “their” proposed draft. A more striking example of slavishness is difficult to imagine.

 

According to the 2015 Council of Europe compliance report, of 28 EU member countries, thirteen did not follow the directive in the Framework Decision of 2008 and as of last year did not introduce the required legislation. No punishment for such countries was indicated or envisaged. That makes Serbia’s rush to comply with a non-binding directive all the more bizarre. Just as incomprehensibly, while as the draft currently stands it will be permissible in Serbia to deny the well-established account of the persecution of the Jewish people during World War II, critical questioning of the controversial Srebrenica “genocide narrative” would be subject to imprisonment for up to five years.

 

Also pertinent is a 2015 judgment of the European Court of Human Rights which held that a Turkish public figure could not be prosecuted in Switzerland for denying the Armenian genocide because the right to  articulate such a position was a legitimate exercise in free speech.[2] That raises the question of whether the Serbian regime’s legal advisors are aware that their proposed genocide denial law may be subject to nullification once it is brought on appeal before the European court?

 

There is also a distinct possibility that the proposed Serbian law is not only contrary to the provisions of the European Convention of Human Rights, but is unconstitutional in Serbia as well. Articles 18 and 43 of the Serbian Constitution guarantee freedoms of conscience and public expression.

 

If you have concerns about this repressive legislation, please address them to the following institutions:

(1)          Parliament of Serbia Department of Public Relations:

infosluzba@...

(2)         Serbia’s Human Right Ombudsman:

zastitnik@...

Thank you for supporting the rule of law in Serbia.


=== EN FRANÇAIS ===