Informazione
In memoria di Fidel
1) Il carteggio tra Fidel Castro e Slobodan Milošević (1999)
Fidel Castro: Il ruolo genocida della NATO (ottobre 2011 - estratto)
Fidel Castro: A Silent Complicity (October 2007)
Castro says Spain's Aznar sought to bomb Serb media (Reuters - Sep 30, 2007)
Fidel Castro on Kosovo and US tyranny (June 2007)
Dalla stessa pagina, di seguito si riportano testi
- i messaggi di Castro a Milosevic del 2 e 5 aprile 1999 e una nuova risposta.
Cuando se inicia la guerra de Estados Unidos y sus aliados de la OTAN en Kosovo, Cuba definió de inmediato su posición en la primera página del periódico Granma, el 26 de marzo de 1999. Lo hizo a través de una Declaración de su Ministerio de Relaciones Exteriores con el título de “Cuba convoca a poner fin a la injustificada agresión de la OTAN contra Yugoslavia.”
Tomo párrafos esenciales de aquella Declaración:
“Después de un conjunto de dolorosos y muy manipulados sucesos políticos, prolongados enfrentamientos armados y complejas y poco transparentes negociaciones en torno a la cuestión de Kosovo, la Organización del Tratado del Atlántico Norte lanzó al fin su anunciado y brutal ataque aéreo contra la República Federativa de Yugoslavia, cuyos pueblos fueron los que más heroicamente lucharon en Europa contra las hordas nazis en la Segunda Guerra Mundial. “Esta acción, concebida como ‘castigo al gobierno yugoslavo’, se realiza al margen del Consejo de Seguridad de la ONU. [...]
“La guerra lanzada por la OTAN reaviva los justos temores de la humanidad por la conformación de un unipolarismo insultante, regido por un imperio guerrerista, erigido a sí mismo en policía mundial y capaz de arrastrar a las acciones más descabelladas a sus aliados políticos y militares, de manera similar a como ocurriera a principios y en la primera mitad de este siglo con la creación de bloques belicistas que cubrieron de destrucción, muerte y miseria a Europa, dividiéndola y debilitándola, en tanto los Estados Unidos fortalecían su poderío económico, político y militar. “Cabe preguntarse si el uso y el abuso de la fuerza solucionarán los problemas del mundo y defenderán los derechos humanos de las personas inocentes que hoy mueren bajo los misiles y las bombas que están cayendo sobre un pequeño país de esa culta y civilizada Europa. “El Ministerio de Relaciones Exteriores de la República de Cuba condena enérgicamente esta agresión de la OTAN contra Yugoslavia, liderada por los Estados Unidos [...]
“En estos momentos de sufrimiento y dolor para los pueblos de Yugoslavia, Cuba convoca a la comunidad internacional a movilizar sus esfuerzos para poner inmediato fin a esta injustificada agresión, evitar nuevas y aún más lamentables pérdidas de vidas inocentes y permitirle a esta nación retomar la vía pacífica de las negociaciones para la solución de sus problemas internos, asunto que depende única y exclusivamente de la voluntad soberana y la libre determinación de los pueblos yugoslavos. [...]
“La ridícula pretensión de imponer soluciones por la fuerza es incompatible con todo razonamiento civilizado y los principios esenciales del derecho internacional. [...]
De continuarse por este camino, las consecuencias podrían ser impredecibles para Europa y para toda la humanidad.”
Con motivo de estos hechos, había enviado el día anterior un mensaje al presidente Milosevic, a través del embajador yugoslavo en La Habana y de nuestro embajador en Belgrado. “Le ruego comunique al presidente Milosevic lo siguiente:
"Después de analizar cuidadosamente todo lo que está sucediendo y los orígenes del actual y peligroso conflicto, nuestro punto de vista es que se está cometiendo un gran crimen contra el pueblo serbio y, a la vez, un enorme error de los agresores, que no podrán sostener, si el pueblo serbio, como en su heroica lucha contra las hordas nazis, es capaz de resistir.
“De no cesar tan brutales e injustificables ataques en pleno corazón de Europa, la reacción mundial será aún mayor y mucho más rápida que la que desató la guerra en Vietnam. “Como en ninguna otra ocasión en los últimos tiempos, poderosas fuerzas e intereses mundiales están conscientes de que tal conducta en las relaciones internacionales no puede continuar.
“Aunque no tengo relación personal con él, he meditado mucho sobre los problemas del mundo actual, creo tener un sentido de la historia, un concepto de la táctica y la estrategia en la lucha de un pequeño país contra una gran superpotencia y siento un odio profundo hacia la injusticia, por lo que me atrevo a transmitirle una idea en tres palabras:
“Resistir, resistir y resistir".
“25 de marzo de 1999.”
Fidel Castro Ruz.
1º de octubre de 2007
6:14 p.m.
di Fidel Castro Ruz - 2 ottobre 2007 - 5:32 p.m. (Fonte: Ambasciata delle Repubblica di Cuba, via email - Jugoinfo - Reflexiones del Comandante en Jefe)
Nelle sue "Riflessioni" datate lunedì 1 ottobre 2007, Fidel Castro ha scritto di un messaggio di solidarietà da lui inviato a Milosevic il 25 marzo 1999, nel corso della aggressione della NATO contro il paese di cui Milosevic era il presidente.
Il 2 ottobre 2007, lo stesso Castro ha rivelato di aver ricevuto da Milosevic il seguente testo di risposta:
“Ho ricevuto il suo messaggio del 25 marzo 1999 con interesse e sincera gratitudine. La ringrazio per le sue decise parole d’appoggio e di stimolo alla Iugoslavia, e inoltre per la condanna all’aggressione della NATO espressa da Cuba e dai suoi rappresentanti durante le sedute delle Nazioni Unite. La Repubblica Federale dI Iugoslavia è sottoposta da parte degli Stati Uniti e della NATO a un’aggressione, la più grande a livello mondiale dai tempi delle aggressioni di Hitler. È stato commesso un crimine non solo contro la Repubblica Federale di Iugoslavia quale Stato pacifico, sovrano e indipendente, bensì un’aggressione contro tutto ciò che nel mondo intero possiede un valore alle porte del XXI secolo: al sistema delle Nazioni Unite, al Movimento dei Paesi Non Allineati, alle fondamenta stesse della legalità, ai diritti umani e alla civiltà in generale. Mi sento orgoglioso di poterle comunicare che l’aggressione ha solamente reso più omogenea e ha rafforzato la determinazione dei popoli della Iugoslavia a resistere e a difendere la libertà, la sovranità e l’integrità territoriale. Le nostre forze armate e il popolo sono decisi e disposti ad assolvere il loro compito. Per questo per noi è benvenuta e, oltretutto, necessaria, la solidarietà e l’aiuto degli amici di tutto il mondo, nella maniera più ampia e forte possibile.
“Il comportamento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riguardo all’aggressione della NATO alla Repubblica Federale di Iugoslava rappresenta una sconfitta per le Nazioni Unite. È un segnale molto negativo e un monito importante per il mondo intero, specialmente per i paesi medi e piccoli, sebbene non lo sia solo per loro. Sono sicuro che Lei è informato di come la Repubblica Federale di Iugoslava e la Repubblica Serba si siano continuamente e sinceramente impegnate nel cercare una soluzione politica per il Kosovo e la Metohija sempre nell’interesse di tutte le comunità nazionali che vivono lì e che rispettano il nostro ordine costituzionale. La prego, signor Presidente, di far sì che l’amicizia di Cuba continui la sua azione in seno al Movimento al fine di convocare l’Ufficio di Coordinamento dei Non Allineati e che il gruppo d’amici condanni risolutamente l’aggressione della NATO alla Repubblica Federale di Iugoslavia. Sono altresì convinto che il Suo prestigio personale sarebbe di grande utilità per incoraggiare i paesi dell’America Centrale e del Sud e, più in generale, i paesi Non Allineati ad alzare la voce per esprimere una forte condanna di questa vandalica aggressione. Ancora una volta, nel ringraziare per la solidarietà e per l’appoggio alla Repubblica Federale di Iugoslavia, esprimo la speranza che rimarremo in stretto contatto. Voglia ricevere, signor Presidente, l’espressione del mio più profondo rispetto.
“Firmato Slobodan Milosevic”
(30 marzo 1999)
Testo della riflessione del Comandante in Capo Fidel Castro Ruz, dal titolo “IL 2° ED IL 3° MESSAGGIO A MILOSEVIC E LA SUA RISPOSTA”, del 4 ottobre 2007.
Il 2 aprile 1999 inviai a Milosevic, tramite la nostra Missione all’ONU, il secondo messaggio:
Il 5 aprile 1999 gli trasmisi un terzo messaggio attraverso le nostre Missioni all’ONU ed in Iugoslavia:
Lo stesso 5 aprile 1999 riceviamo la risposta di Milosevic, per mezzo del suo ambasciatore all’ONU:
“Spero che continueranno i suoi utilissimi sforzi con i capi di stato, in particolare con i leader dei paesi Non Allineati affinché comprendano l’estremo pericolo per le relazioni internazionali nel loro insieme derivante dal precedente creato dall’aggressione degli Stati Uniti e della NATO contro la sovranità e l’indipendenza di un piccolo paese. Desidero invitarla e chiederle di inviare un messaggio personale ai presidenti Mandela, Nujoma, Mugabe, Obasanjo, Rawlings e Vajpayee, per chiedere loro di condannare l’aggressione e, nel caso lo avessere già fatto, chiedere di riaffermare tale condanna affinché si continui a respingere l’aggressione allo scopo di mobilitare l’appoggio più ampio possibile dei Non Allineati alla Iugoslavia in questo momento tanto importante. Riceva i miei più sentiti e calorosi saluti. Per quanto riguarda i 3 militari nordamericani imprigionati, apprezzo molto il suo amichevole suggerimento e desidero informarla che questi soldati penetrarono, abbondantemente armati, in profondità in territorio iugoslavo servendosi di alcuni blindati. Sono in corso indagini sull’accaduto. Essi sono trattati in modo umano e serio. Il suo suggerimento è stato capito e praticamente accettato. Non abbiamo fretta di portare i soldati davanti alla giustizia. Non lo faremo ora. Forse successivamente, o forse non lo faremo. Non lo faremo in fretta."
4 ottobre 2007
6:23 p.m.
FIDEL CASTRO SUL KOSOVO
Elaborazione e traduzioni di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova.
http://www.adnki.com/index_2Level_English.php
ADN Kronos International (Italy) - 12 giugno 2007
Kosovo: Castro discute su Bush “tiranno”
Havana - Il leader di Cuba Fidel Castro ha rivolto un severo rimprovero al Presidente degli Stati Uniti George W. Bush per le sue osservazioni, riguardanti l’indipendenza del Kosovo secessionista, rilasciate domenica scorsa durante la sua visita nella capitale Albanese, Tirana.
In un documento dal titolo “Il Tiranno visita Tirana” diffuso dall’agenzia stampa di Cuba, Castro ha criticato aspramente Bush per l’appoggio espresso all’indipendenza del Kosovo, “senza il minimo rispetto per gli interessi di Serbia, Russia e dei vari paesi Europei che si sono dimostrati sensibili al destino della Provincia, che è stata lo scenario dell’ultima guerra della NATO.”
Il documento dell’ottuagenario Castro continuava così: “Bush ha ammonito la Serbia che avrebbe ricevuto aiuti economici solo appoggiando l’indipendenza del Kosovo, la culla della cultura di quel Paese. Prendere o lasciare! Bush è bramoso di affetto. Ha goduto del tutto per le accoglienze senza proteste a lui riservate in Bulgaria. Ha parlato con quei militari del Paese che hanno preso parte alle guerre in Iraq e in Afghanistan. Ha cercato di impegnarli ulteriormente per versare sangue generoso in queste guerre per la pace.”
Il lunedì, Bush aveva fatto visita alla Bulgaria – un fedele alleato degli USA – come tappa finale di un giro Europeo di otto giorni, che aveva visto la sua partecipazione al summit dei G8 in Germania, e le visite alla Repubblica Ceca, alla Polonia, all’Italia e all’Albania.
Commentando l’arrivo in settembre di più di 3.000 militari USA in una nuova base in Bulgaria, come parte della politica USA di spostare molte delle sue forze Europee più vicino al Medio Oriente, Castro ha affermato: “Da duemila a cinquemila soldati di Bush saranno movimentati a rotazione costante attraverso le tre basi militari impiantate dall’impero... Come se noi stessimo vivendo nel più felice dei mondi possibili!”
http://www.plenglish.com/article.asp?ID=%7BC9C6116D-
Prensa Latina - 14 giugno 2007
Nuove riflessioni di Fidel Castro
Havana – Il Presidente Cubano Fidel Castro si è espresso sull’appoggio dato all’Albania da parte del Presidente USA George W. Bush per il suo ingresso immediato nella NATO e sulla decisione di Bush di domandare l’indipendenza per la provincia Serba del Kosovo.
Data l’importanza, Prensa Latina riproduce integralmente le riflessioni del Presidente Cubano:
“In cerca di affetto”
Effettivamente è stata l’Albania l’unico posto dove Bush ha ricevuto un qualche affetto; per voler essere larghi, questo vale per l’accoglienza in Bulgaria dove diverse migliaia di persone lo hanno atteso sventolando bandierine Americane, comunque sembrando fredde nei suoi confronti.
L’appoggio di Bush dato all’Albania per il suo ingresso immediato nella NATO e la sua decisione di esigere l’indipendenza per la provincia del Kosovo hanno fatto diventare non pochi Albanesi un po’ pazzi.
Giornali ed altri mezzi di comunicazione riportano che molti di costoro, interrogati singolarmente, hanno risposto: “Bush è un simbolo di democrazia. Gli Stati Uniti sono i protettori della libertà dei popoli.” Migliaia di soldati e poliziotti Albanesi disarmati, condizione richiesta dalle autorità Yankee, facevano ala su due colonne, che andavano dall’aeroporto alla capitale, per più di 20 chilometri. In Europa, lo spinoso problema dell’indipendenza di una parte della Serbia è veramente controverso, e creerebbe un precedente che potrebbe essere seguito in diversi Paesi da altre regioni che reclamano la sovranità all’interno degli attuali confini.
E così l’Albania passerebbe da una situazione sociale di sinistra ad una di destra estrema.
Vivere per vedere! Vedere per credere!
La Serbia riceve un duro colpo non solo politico ma anche economico. Il Kosovo possiede il 70% delle risorse energetiche della Serbia.
Tra il 1998 e il 1999, l’anno della guerra della NATO contro la Serbia, la Provincia ha contribuito per il 70% dello zinco e dell’argento.
È stato valutato che il Kosovo possiede l’82% delle possibili riserve di questi metalli, ed inoltre le più grandi riserve di bauxite, nickel e cobalto. La Serbia perde industrie, territori e proprietà ed è lasciata sola con l’imposizione di pagare il debito estero incorso per gli investimenti in Kosovo, prima del 1998. Ho ricevuto proprio adesso un dispaccio dall’AFP che mi obbliga alla lettura di poche righe. Il comunicato letteralmente recita:
Fidel Castro
(Message over 64 KB, truncated)
Nessuna onorificenza per Poroshenko
Auguri di buon lavoro, signor Presidente.
Primi firmatari
1. Coordinamento Ucraina Antifascista
2. Banda Bassotti
3. Lidia Menapace, partigiana, Comitato nazionale ANPI, politica, saggista
4. Licia Pinelli, Milano
5. Vittore Bocchetta, ex-deportato, antifascista, Verona
6. Luciano Perenzoni, partigiano, divisione pasubiana
7. Umberto Lorenzoni, partigiano divisione "Nannetti", Presidente provinciale ANPI Treviso
8. Riccardo Saurini, consigliere comunale, Verona
9. Gianni Benciolini, consigliere comunale, Verona
10. Valerio Evangelisti, scrittore
11. Giorgio Cremaschi, sindacalista
12. Pierpaolo Leonardi, Esecutivo nazionale USB, Segretario Generale del
Sindacato Mondiale dei Lavoratori Pubblici
13. Domenico Losurdo, professore universitario e direttore dell'Istituto di
Scienze filosofiche e pedagogiche "Pasquale Salvucci" all'Università di
Urbino
14. Angelo D’Orsi, professore universitario, Università di Torino
15. Massimo Zucchetti, professore universitario, Università di Torino
16. Alexander Hobel, professore universitario, Università Federico II, Napoli
17. Andrea Genovese, professore universitario, University of Sheffield (GB)
18. Daniele Butturini, professore universitario, Università di Verona
19. Giuseppe Amata, professore universitario, Università di Catania
20. Mauro Gemma, direttore Marx21
21. Sergio Cararo, direttore di Contropiano
22. Checchino Antonini, direttore di Popoff Quotidiano
23. Fabrizio Marchi, giornalista, pubblicista direttore del periodico on line L'Interferenza
24. Marco Santopadre, giornalista
25. Antonio Mazzeo, giornalista, attivista no muos
26. Franco Fracassi, scrittore, giornalista
27. Marinella Correggia, giornalista e scrittrice
28. Giuseppe Aragno, storico, Fondazione Humaniter, Napoli
29. Sandi Volk, storico, Commissione consultiva del Comune di Trieste per il Civico Museo della Risiera di S. Sabba – Monumento nazionale.
30. Banda POPolare dell'Emilia Rossa
Verona democratica e antifascista, medaglia d’oro della Resistenza, non può tollerare che venga concessa la cittadinanza onoraria a chi, come il golpista e filo – nazista Poroshenko, nel metodo e nel merito, ha violato i principi della democrazia e del diritto internazionale con lo sterminio di migliaia di civili.
Ieri 11 giugno il Comitato veronese di solidarietà con l’Ucraina antifascista ha protestato di fronte a Palazzo Barbieri, sede del Comune, per chiedere l’immediata revoca della suddetta decisione, in nome dell’antifascismo, dell’antimperialismo, del sostegno alle repubbliche del Donbass e di Lugansk, dell’opposizione alla Nato e all’Unione Europea complice e acquiescente.
Come si può evincere dall’intervento svolto dall’Associazione internazionale dei giuristi democratici al Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite, tutta l’azione del governo Poroshenko è stata del resto improntata alla lotta cieca contro ogni forma di progressismo e dal tentativo di riesumare i peggiori fantasmi anticomunisti: “Il giro di vite senza precedenti su partiti politici, media indipendenti e altre voci di dissenso, nonché l’allarmante diffusione di ultra-nazionalismo, xenofobia e discorsi d’odiosono gravemente sottovalutati, se non ignorati. Il supporto e l’impunità garantiti dal governo all’estrema destra e a gruppi neonazisti non possono essere trascurati. Questi elementi, che sono peraltro tra le cause profonde del conflitto, hanno colpito brutalmente gli avversari politici e le minoranze, provocando profonde divisioni da ricucire. Nel suo slancio repressivo contro il dissenso, il governo, adducendo presunte minacce alla sicurezza nazionale, ha bandito media, giornalisti, libri, film e ha messo sulla lista nera artisti come Emir Kusturica, Oliver Stone, Goran Bregovic e molti altri. Il Partito comunista d’Ucraina, il principale partito d’opposizione nel Paese prima del “cambio di regime”, si è trovato sotto una crescente pressione: i suoi uffici sono stati assaliti, le sue manifestazioni proibite, i suoi membri picchiati e intimiditi. Nel luglio 2014 il ministro di Giustizia è ricorso in sede amministrativa per bandirlo definitivamente. Il processo, caratterizzato da significativi attacchi all’indipendenza della magistratura, è tuttora in corso. E’ in corso di preparazione unelenco di monumenti e memoriali da distruggere da parte dell’Istituto della Memoria nazionale, guidato da Volodymyr Vyatrovych, ben noto nella comunità scientifica per i suoi libri che negano i crimini di OUN-UPA, gruppi nazionalisti paramilitari ucraini che durante la seconda guerra mondiale hanno combattuto in unità naziste come la divisione SS “Galizia”, massacrando decine di migliaia di polacchi ed ebrei. Il progetto di “cancellazione della memoria”, oltre che prominenti politici russi e ucraini, include altresì rappresentanti europei della socialdemocrazia e del movimento antifascista come Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Wilhelm Pieck, Ernst Thalmann, Georgi Dimitrov e Mate Zalka”.
Il governo Poroshenko ha svolto un ruolo estremamente negativo anche dal punto di vista della pace. Con i suoi continui appelli guerrafondai alla Nato rappresenta un elemento di destabilizzazione e di crisi continua nei rapporti con la Russia. La sua ispirazione apertamente reazionaria e la presenza fra le sue file di formazioni apertamente fasciste hanno portato alla secessione della Crimea e alla crisi nel Donbass, dove la maggioranza della popolazione non intende certamente sottomettersi ai fascisti. Durante la presidenza di Poroshenko sono avvenuti, con l’evidente complicità degli apparati statali, veri e propri crimini contro l’umanità, tuttora impuniti, come l’orrenda strage di Odessa.
Per tutti questi motivi appare a dir poco bislacca l’iniziativa del sindaco leghista di Verona Flavio Tosi di conferire a Poroshenko addirittura la cittadinanza onoraria. Enti locali e regionali hanno certamente una propria sfera d’autonomia nel campo dei rapporti internazionali (si veda al riguardo lo studio che ebbi modo di pubblicare qualche anno fa nell’ambito del Rapporto annuale sullo stato del regionalismo), ma la relativa azione, inclusa l’attribuzione di titoli onorifici, deve certamente svolgersi nell’ambito dei principi fondamentali dell’ordinamento repubblicano tra i quali quello antifascista svolge tuttora un ruolo fondamentale, per non parlare del rispetto dei principi dell’ordinamento internazionale (art. 10 Costituzione) tra i quali quello della tutela dei diritti umani assume un rilievo fondamentale. Va pertanto appoggiato l’appello, che ho firmato insieme a molti altri, indirizzato al Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, affinché intervenga per porre nel nulla questa improvvida iniziativa. Speriamo che Mattarella si ricordi di essere il Presidente di una Repubblica nata dalla Resistenza antifascista e faccia il suo dovere.
È passato ormai un anno dal furto dei capolavori di Mantegna, Rubens, Tintoretto e altri maestri dal museo di Castelvecchio a Verona, e sei mesi dal loro ritrovamento in Ucraina. Ma le tele sono ancora a Kiev...
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucraina/Ucraina-da-Verona-sola-andata-175540/
IL MISTERO DEI QUADRI MAI TORNATI IN ITALIA - I CAPOLAVORI DI RUBENS, MANTEGNA E TINTORETTO RUBATI A CASTELVECCHIO E RITROVATI SONO A KIEV DA SEI MESI - RENZI AVEVA PROMESSO CHE SAREBBERO ARRIVATI A NOVEMBRE IN ITALIA - IL NODO DELLE RELAZIONI CON L’UCRAINA: SUI QUADRI SI STA GIOCANDO UNA PARTITA DI POLITICA INTERNAZIONALE
21 novembre 2016
Denunciato per ricettazione o appropriazione indebita il capo di Stato ucraino Petro Oleksijovyc Poroshenko.
La denuncia è stata depositata ieri mattina dall’avvocato Guariente Guarienti.
«I quadri sono stati ritrovati sei mesi fa in quel Paese», dice Guarienti, «da allora nonostante visite del sindaco Flavio Tosi in Ucraina, consegne di cittadinanza onoraria, svariate promesse, i nostri capolavori non ci sono stati restituiti. Se in un primo momento appare comprensibile e legittimo che il presidente Poroshenko volesse valorizzare il ritrovamento con un’esposizione nella sua capitale, dopo un anno è legittimo ritenere che il trattenimento dei quadri costituisca reato», dice l’avvocato che si è studiato anche il codice penale ucraino.
«Ho inviato la denuncia anche al procuratore della repubblica di Kiev. Riesaminata la questione credo che i procedimenti possano essere aperti sia a Verona che a Kiev. Il codice penale ucraino non prevede, per quanto abbiamo potuto capire da una traduzione del testo in inglese il delitto di ricettazione, ma indica, all’articolo 191 un’ipotesi di appropriazione indebita. Non abbiamo rinvenuto particolari esenzioni per la personalità del Capo dello Stato. L’articolo 6 recita testualmente: «Qualsiasi persona che ha commesso un reato sul territorio dell’Ucraina è penalmente responsabile, quindi io ho denunciato Poroshenko per i reati che la procura di Kiev ravviserà».
«È punito secondo la legge il cittadino italiano o straniero che commette in territorio estero (tra gli altri) i delitti commessi da pubblici ufficiali a servizio dello Stato abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni».
Non resta dunque che aspettare il rinvio a giudizio. E semmai fosse celebrato un processo, Poroshenko sarebbe contumace, visto che ci sono problemi diplomatici insormontabili per una sua venuta in Italia.
Esattamente un anno fa, il 19 novembre 2015, banditi armati con la complicità dell’unico addetto alla vigilanza presente alla chiusura del museo, si impadronirono di 17 tele, fra cui alcune di Pisanello, Caroto, Rubens, Mantegna e Tintoretto, poi rintracciate in Ucraina il 6 maggio scorso, cioè sei mesi dopo.
Un ritrovamento molto «scenografico», le tele nascoste sotto frasche fresche che li ricoprivano a malapena. La sensazione che non fosse quello il luogo in cui i quadri erano rimasti fino a quel momento.
Da allora i capolavori non sono stati restituiti all’Italia nonostante i solleciti del ministro degli Esteri Gentiloni e dello stesso presidente del Consiglio Renzi nei confronti di Poroshenko Lui aveva detto che li avrebbe fatti ritornare entro novembre.
Ma il termine ultimo è scaduto. Improbabile che i quadri arrivino nei prossimi giorni. C’è chi sostiene che il premier Renzi sia in tutt’altre faccende affacendato, impegnato com’è a promuovere il «sì» al referendum, paiono essere poca cosa le tele da riportare in patria.
Per sensibilizzare il governo s’era mosso anche il giornalista Alfredo Meocci che ha inviato mille firme al ministro Dario Franceschini per sollecitare il rientro delle opere.
Ma anche questa sollevazione popolare che aveva suscitato dibattito in città è rimasta lettera, pardon tela, morta.
Sarajevo, a scuola di revisionismo
Un istituto scolastico a Sarajevo viene intitolato a Mustafa Busuladžić, figura controversa di intellettuale islamista, accusato di antisemitismo e giustiziato dalle autorità comuniste nel 1945
23/11/2016 - Alfredo Sasso
Il cambio di regime in un paese porta con sé la riscrittura dello spazio pubblico. Strade, piazze, scuole, istituzioni culturali cambiano nomi, riscrivono memorie e identità, impartiscono nuovi riferimenti politici e morali ai cittadini. Nei paesi post-jugoslavi, e in Bosnia Erzegovina in particolare, questo processo è lungi dal completarsi.
A settembre, il Parlamento del Cantone di Sarajevo esaminava la proposta di intitolare la scuola primaria di Dobroševi a Mustafa Busuladžić, una figura su cui si sono formate narrative del tutto contrapposte. Brillante studioso e martire dell’identità musulmana secondo alcuni; portavoce di idee palesemente nazifasciste, antisemite e patriarcali, secondo altri. Dopo settimane di duro confronto tra i partiti politici, e aspre prese di posizione di intellettuali e accademici, la proposta è stata infine approvata il 26 ottobre, gettando nuove ombre sulla memoria collettiva in Bosnia Erzegovina e sulla sua proiezione nel presente.
Mustafa Busuladžić: chi era, chi (lo) rappresenta oggi
Nato a Trebinje nel 1914, diplomatosi alla medresa "Gazi Huzrev-Begova" di Sarajevo nel 1936, Busuladžić si occupa di letteratura, storia e pensiero islamico con posizioni apertamente tradizionaliste. Nel 1941-42, mentre la Bosnia Erzegovina è occupata dai nazifascisti ustaša dello Stato indipendente di Croazia, Busuladžić ottiene una borsa di studio in orientalistica a Roma, da dove è corrispondente per la radio croata. Tornato a Sarajevo, è militante di El-Hidaje (“La giusta via”), un movimento clericale che rivendica il ritorno ai valori islamici, collaborazionista con il regime ustaša. Poco dopo la liberazione della Jugoslavia a opera dei partigiani, nel giugno 1945, Busuladžić viene giustiziato dalle autorità comuniste dopo un processo sommario, apparentemente per la sua connivenza con le strutture ustaša, nonché per i suoi articoli che accusavano le politiche anti-musulmane dell’Unione Sovietica. Il suo corpo non fu mai ritrovato.
I sostenitori della riabilitazione di Busuladžić risaltano il suo valore intellettuale e il suo aspetto di martire. Secondo lo scrittore ultraconservatore Džemaludin Latić, si tratterebbe addirittura del “più brillante pensatore bosgnacco del XX secolo”, che avrebbe offerto una sintesi fra tradizione, spiritualità islamica e giustizia sociale, contrastando sia il comunismo, sia il fascismo. Con argomenti simili si sono espresse influenti voci dell’accademia sarajevese, come quella di Šaćir Filandra, preside della Facoltà di Scienze Politiche, che ha esaltato il suo “sguardo filosofico sui fondamenti del mondo contemporaneo”.
Infine è arrivato il consenso politico. L'SDA, il partito nazionalista al potere nella Federazione di BiH e nel Cantone di Sarajevo, ha subito appoggiato la proposta di intitolare la scuola a Busuladžić. Una scelta che non sorprende: il caso è stato utilizzato a scopi elettorali (si era nel pieno della campagna per il voto amministrativo). Inoltre, il padre fondatore del partito, Alija Izetbegović, negli anni ‘40 militava nel movimento dei Giovani Musulmani, contiguo a El-Hidaje. Va però precisato che l’iniziativa è partita dal basso, ovvero da una petizione di cittadini di Dobroševi (sobborgo nel nord-ovest di Sarajevo, dove si trova la scuola) poi seguita dal parere favorevole di consiglio di quartiere, dell’amministrazione e persino dal consiglio dei genitori dell’istituto scolastico.
Più che diretta dai vertici, la vicenda sembra svilupparsi in un contesto politico-culturale conservatore in cui è comune ritenere che l’identità bosgnacca soffra di un deficit di memoria. In questi ambienti, si adducono cause profonde risalenti al periodo jugoslavo e rimaste irrisolte dopo la guerra degli anni Novanta: debolezza delle istituzioni, complesso di inferiorità rispetto alle “altre” narrative nazionali presenti in Bosnia Erzegovina (quella serba e quella croata), immutata subalternità al discorso antifascista classico. Secondo questa visione, le riabilitazioni degli intellettuali bosgnacchi anticomunisti del passato compenserebbero questi presunti torti della memoria.
Gli scomparsi della čaršija
Alla riabilitazione di Busuladžić si sono opposti diversi intellettuali progressisti e tutti i partiti civici non-nazionalisti, che lo ricordano come un “propagatore del fascismo”, indicando l’odio etnico e di genere presente nei suoi scritti. “Qui la gente ha lottato contro gli ebrei e le loro speculazioni, frodi, prevaricazioni. Essi sono scomparsi dalla čaršija [il centro storico di Sarajevo, ndA] ma lì è rimasto il loro spirito giudeo di macchinazione, speculazione, occultamento e accumulazione delle merci, contrabbando e usura”, scriveva Busuladžić nel 1944. Nell’articolo “Il culto della nudità” (Kult golotinje) del 1943, l’autore si scagliava invece contro l’emancipazione femminile, associandola alla depravazione e alla decadenza economica. Il declino delle antiche Atene e Roma sarebbe iniziato quando la donna “ha iniziato a lasciare la casa” e abbandonato la maternità, “essenza dell’esistenza femminile”.
Il compiacimento per gli “scomparsi dalla čaršija” e la sottomissione della donna, per giunta riletti nel contesto di una città e un paese che hanno recentemente conosciuto altre pulizie etniche, ha gelato il sangue a molti. Come hanno osservato diversi commentatori, la confusa sovrapposizione tra il Busuladžić intellettuale islamista e il Busuladžić vittima individuale di un processo sommario, rende invisibili le migliaia di vittime innocenti della Seconda guerra mondiale in Bosnia Erzegovina, nonché le iniziative di solidarietà e coraggio civile che vi ebbero luogo.
Inoltre, è mancato non solo un dibattito pubblico, ma anche un confronto scientifico più esteso riguardo una figura che rimane semisconosciuta ai più, con le conseguenti manipolazioni politiche. “La prima domanda che ci si dovrebbe porre è: quali opere fanno di Mustafa Busuladžić ‘uno dei più grandi intellettuali bosgnacchi tra le due guerre mondiali?’ Per quanto mi riguarda, la risposta non è molto chiara. Penso che al centro della questione ci sia una determinata ideologia, quella dei Giovani Musulmani, e della sua rivitalizzazione nella società bosniaca, che de jure è avvenuta dal 1990, e de facto si ripropone dopo ogni tornata elettorale”, spiega a OBC Transeuropa Edin Omerčić, ricercatore presso l’Istituto di Storia dell’Università di Sarajevo.
La revisione della memoria appare uno strumento della politica per riempire i propri vuoti. Tarik Haverić, politologo impegnato da tempo nella critica ai revisionismi, e che si è dedicato proprio a un’analisi critica degli scritti di Busuladžić, ha commentato: “La destra clero-nazionalista che è al potere nei diversi livelli del paese (naturalmente non solo musulmana!) non ha nient’altro da offrire”, e dunque “legittima il proprio potere sulle sofferenze passate”. Si tratta di un processo consolidato. Nella parte croata di Mostar, vi sono diverse vie intitolate a ministri e alti ufficiali ustaša, mentre nella Republika Srpska lo “screening nazionalista” della toponomastica può dirsi completato. La scuola è un passaggio ulteriore nell’occupazione dello spazio pubblico. “Tutte le élite nazionaliste dell’ex-Jugoslavia trattano la scuola come fabbrica del loro modello di identità. L’ideologizzazione del sistema scolastico si presenta non solo a livello simbolico, con la ridenominazione, ma anche a livello sostanziale, con la politicizzazione della conoscenza attraverso le cosiddette ‘materie nazionali’”, spiega il filosofo Enver Kazaz.
A Mustafa Busuladžić, dopo la guerra degli anni '90, è già stata intitolata una via a Sarajevo. Nell'era jugoslava, quella stessa via (all'epoca un tratto più lungo) era intitolata a Fuad Midžić, partigiano musulmano e comunista. Midžić, fuggito dal lager ustaša di Jasenovac, fu ucciso a Sarajevo il 6 aprile 1945, il giorno in cui la città si liberò dal nazifascismo. Negli anni '80, Ulica Fuada Midžića diventò uno dei “simboli della Sarajevo jugoslava” perché citata in una canzone dei leggendari Zabranjeno Pušenje, emblemi dello ju-rock e della scena culturale alternativa. I componenti del gruppo vivevano proprio in quella via. Chissà se un giorno qualcuno dei ragazzi diplomati alla scuola Mustafa Busuladžić ascolterà quella canzone e si chiederà chi era Fuad Midžić, e dove era la sua via.
Portaerei, velivoli da attacco, armamenti nucleari. Le “cannoniere volanti”. Il caso dei controversi F35. Le atomiche ad Aviano. Ma l’Italia non dovrebbe ripudiare la guerra?...
Luz María De Stéfano Zuloaga de Lenkait, Juristin und Diplomatin a.D.
12.11.16
ZDF-Sendung „Maybrit Illner“ am 10.11.16: „Trumps Triumph - Was steht auf dem Spiel?“,
ARD-Tagesschau vom 11.11.16
Die NATO ist passé und Von der Leyen völlig inkompetent.
Verlogenheit und Untauglichkeit der CDU und der regierenden Clique bloßgestellt
Die Verlogenheit und politische Untauglichkeit der CDU und der regierenden CDU/CSU/SPD-Clique Deutschlands sind seit langem vor der Öffentlichkeit bloßgestellt. Aber der Auftritt der Verteidigungsministerin Ursula von der Leyen bei Maybrit Illner im ZDF am 10.11.16: „Trumps Triumph - Was steht auf dem Spiel?“ übertraf alles bisher dagewesene an Inkompetenz und Verlogenheit.
CDU-Verantwortung für den Krieg in Syrien durch Komplizenschaft mit bewaffneten Mörder-Banden nicht zu verheimlichen
Es erschreckt, wie es die Verteidigungsministerin Ursula von der Leyen fertigbringt, völlig unverfroren vor dem deutschen Publikum zu lügen, um ihre Verantwortung und die ihrer Partei für den Krieg in Syrien durch Komplizenschaft mit bewaffneten Mörder-Banden weiter zu verheimlichen. Ihr muss bekannt und bewusst sein, dass die deutsche Regierung mit ihren Waffenverkäufen nach Saudi-Arabien und Katar indirekt die Terroristen in Syrien und im Irak unterstützt, abgesehen von den Finanzströmen, die ohne Eingreifen der Regierung ungehindert von Deutschland und anderen EU-Staaten aus die Terroristen-Hauptquartiere erreichen. Auch die Unterstützung der deutschen Regierung bei der Formation illegaler Truppen in der Türkei zum Sturz der amtlichen syrischen Regierung ist inzwischen Allgemeingut. Ja, es gab sogar schon Verfassungsentwürfe, formuliert in Berlin und bezahlt vom deutschen Steuerzahler, für eine neue syrische Verfassung! Was für eine unverschämte Einmischung in die inneren Angelegenheiten Syriens, was für ein anmaßender, frecher Bruch der UN-Charta! Eine solche abstoßend verfehlte, rechtswidrige Außenpolitik gegenüber Syrien will die CDU-Ministerin in teutonischer Überlegenheitsattitüde weiter in Komplizenschaft mit Terror-Banden betreiben und dies als völlig in Ordnung und vereinbar mit dem internationalen Recht darstellen. Ausgerechnet diese unzumutbare Ministerin für Verteidigung hat auch noch die Arroganz, den neu gewählten US-Präsidenten Donald Trump in Sachen Völkerrecht und Menschenrechten belehren zu wollen, gerade die internationalen Regeln, die sie und ihre CDU-Regierung längst am brutalsten in Syrien gebrochen haben. Wann hat sie Bedenken geäußert, mit der saudischen Monarchie oder mit Katar zuammenzuarbeiten? Hat sie einmal gegen den ständigen Bruch des Völkerrechts und Brutalitäten dieser Regierungen Position bezogen?
Destruktives illegitimes Bündnis als „Wertegemeinschaft“ bezeichnet: Von der Leyen muss weg.
Eine solche Frau darf kein Regierungsamt repräsentieren. Sie muss weg. Für menschliche Werte hat von der Leyen nicht den Funken von Verständnis. Menschliches Mitgefühl ist Fehlanzeige bei ihr. Sie ist die Funktionärin einer Partei, die beide, sie und ihre Partei, bald von der Bildfläche zu verschwinden haben, denn sie agieren menschenfeindlich. Ein destruktives illegitimes Bündnis als „Wertegemeinschaft“ zu bezeichnen, wie es Ursula von der Leyen bei Maybrit Illner tut (10.11.), ist die superlative absurde Vorstellung einer ignoranten oder einfach dummen CDU-Politikerin. Ist es für sie ein gemeinsamer Wert, Menschen anderer Länder, die kein anderes Land angegriffen haben, zu töten, Massenmord zu betreiben, um das vermeintliche gemeinsame Interessen Willen oder aus sonst irgendeinem fabulierten Grund, wie es mit Hilfe der „Wertegemeinschaft“ NATO geschieht?
Friedenspolitik und europäische Sicherheitsordnung von Lissabon bis Wladiwostok
Die Zeit ist schon lange reif, die Außenpolitik Europas als Friedenspolitik zu definieren. Dazu sind aber eine Ursula von der Leyen und ihre CDU nicht in der Lage. Sie, ihre Mitarbeiter und ihre CDU-Führung sind dafür völlig inkompetent. Das hat der Auftritt von Ursula von der Leyen bei Maybrit Illner noch einmal für jeden Beobachter sehr deutlich gezeigt. Die NATO ist passé. Zu recht sagt man im Kreis des neuen gewählten Präsidenten Donald Trump, die NATO sei „überflüssig
(Message over 64 KB, truncated)
http://www.solidarite-internationale-pcf.fr/article-bataillon-azov-une-milice-neo-nazie-des-brigades-internationales-fascistes-finances-par-l-oli-124559517.html
TRAD.: Battaglione Azov: una milizia neo-nazista, delle brigate internazionali fasciste finanziate dall'oligarca israelo-ucraino I. Kolomoisky (PM | solidarite-internationale-pcf.over-blog.net - 17/09/2014)
http://www.resistenze.org/sito/te/po/uc/poucei21-015017.htm
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=311174112409182&set=a.266399576886636.1073741835.100005497879241&type=1
VADIM TROYAN. CAPO DELLA POLIZIA DI KIEV
Questo distinto e rassicurante signore si chiama Vadim Troyan, ha una lunga storia di militanza in varie organizzazioni neonaziste ed è noto alle cronache giudiziarie del suo paese per essere stato più volte in carcere imputato di omicidio, aggressione finalizzata all'odio razziale, furto e stupro.
Liberato durante i tumulti scoppiati in seguito alla cosiddetta "rivolta di EuroMajdan" è subito entrato a far parte del famigerato NaziBattaglione Azov, responsabile di ogni genere di atrocità e ferocia sulla popolazione civile. Grazie a questo meraviglioso curriculum il governo golpista e nazifascista ucraino, sostenuto dagli USA, dall'Unione Europea dal PD e da SEL, lo ha recentemente nominato CAPO DELLA POLIZIA della Regione di Kiev.
Vadim Troyan, deputy commander of the neo-nazi Azov Regiment and active member of the neo-nazi paramilitary organisation Patriot of Ukraine (the paramilitary wing of the SNA) has been appointed by Ukraine Minister of Interior Avakov as the head of the Kiev police. Avakov's adviser Anton Gerashchenko described the appointment as "truly revolutionary" and added that the "Idea is to appoint to senior positions of the police volunteers who came to it by their heart and soul in action!" (read neo-nazis). He added that he would be working closely with Andrey Biletsky, Azov Regiment commander and now elected member of parliament. (PICS of Vadim Troyan and two recent Patriots of Ukraine marches).
http://contropiano.org/internazionale/item/28111-tra-i-neonazisti-della-rada-ucraina-l-astro-nascente-andrej-biletskij
http://truth-out.org/speakout/item/28392-are-there-nazis-in-ukraine-a-visit-to-lviv
http://mai68.org/spip/spip.php?article6895
Les symboles SS revisités en Ukraine par les mercenaires de l'impérialisme occidental nazi (vidéo 42'') :
http://mai68.org/spip/spip.php?article7887
Ukraine - Comme Daech, les nazis de Kiev égorgent leurs victimes ! normal ils sont formés eux aussi par la CIA (vidéo 1'46) :
http://mai68.org/spip/spip.php?article8036
http://contropiano.org/internazionale/item/29790-ucraina-300-paracadutisti-usa-addestreranno-i-neonazisti-di-kiev
«Io, italiano che combatto come “foreign fighter” per l’Ucraina» (di Ilaria Morani, 12/2/2015)
Francesco F. [Fontana, notoriamente vicino a Casapound] è tornato da poco in Piemonte dalla famiglia. Ma nell’ultimo anno è stato a combattere contro i separatisti nell’Est: «Non amo la guerra, lo faccio per ideologia»...
http://www.corriere.it/esteri/15_febbraio_12/io-italiano-che-combatto-come-foreign-fighter-per-ucraina-93bcdefa-b2b0-11e4-9344-3454b8ac44ea.shtml
(fonte: LNR Today, 25.5.2015 - https://www.facebook.com/lnr.today/photos/a.1590764317856008.1073741826.1590747407857699/1594863534112753/?type=1&fref=nf )
Venerdi 22 maggio, è stato violato il database del battaglione punitivo "Azov", ai comandi di Kiev, da parte di volontari dell`InterBrigata del Sud Est.
Il documento contiene 47 pagine, intitolato: "Lista del personale del reggimento di pattuglia della polizia speciale "Azov" nella regione di Kiev, che desidera continuare il servizio sotto contratto con la Guardia Nazionale dell'Ucraina presso l`unità militare 3057 nella città di Mariupol."
Il file fornisce informazioni su 644 membri del battaglione.
Gli autori del documento riportano generalità, posizione, rango, data di nascita, numero di passaporto, e numero identificativo.
L`elenco risulta consultabile cliccando sul seguente link: http://lnr.today/AzovFull.pdf
Il Congresso Usa ha accettato emendamenti che proibiscono agli USA di addestrare combattenti del battaglione ucraino “Azov”... "E' occorso più di un anno perché il Congresso veda che questa divisione è fitta di veri nazisti che vanno in giro con emblemi delle SS e si comportano da boia sul territorio occupato"...
http://it.sputniknews.com/mondo/20150612/547939.html
Rep. John Conyers of Michigan, a veteran of the civil rights movement and longtime member of the Congressional Black Caucus, has introduced amendments to the 2015 Defense Appropriations Act to block the training of Ukraine’s fascist Azov Battalion and prevent the transfer of shoulder-fired anti-aircraft missiles, known by the acronym MANPADS, to Ukraine and Iraq. The amendments passed the House of Representatives on June 11...
Il regime ucraino, nato dalla spallata di piazza - Maidan - trasformatosi in golpe violento, fatica sempre di più a controllare i suoi cani...
http://contropiano.org/internazionale/item/31554-ucraina-la-rivolta-dei-battaglioni-neonazisti
oppure http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=121198&typeb=0&ucraina-la-rivolta-dei-battaglioni-neonazisti
Il noto fascista italiano Francesco Saverio Fontana, che ha affiancato i macellai di Pravy Sektor ed è tornato in Italia nell'impunità più completa, a Londra, insieme ad altri fascisti, cerca di impedire un presidio di solidarietà con le Repubbliche Popolari del Donbass. #donbass #donetsk #lugansk#pravysektor #naf #ukraine #russia #novorossija]
UK: *EXCLUSIVE* Far-right group disrupt Novorossiya protest outside Ukrainian embassy (Ruptly TV, 2 ago 2015)
Half a dozen people associated with the far-right Ukrainian grouping, the 'Misanthropic Division' disrupted a pro-Novorossiya protest outside the Ukrainian embassy in London, Sunday. A Misanthropic Division member, who called himself Francesca, said "the purpose of our counter-demonstration was to disrupt the pro-Novorossiya scum demonstration."
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=vQJpyK5zRxA
Meet the European Fighters Who Have Gone to War in Ukraine (August 25, 2015 - by Christopher Allen)
... While the [Azov] regiment was originally founded as a far-right paramilitary group by Andriy Biletsky, a current member of the Ukrainian parliament and founder of the Social National Assembly and Patriot of Ukraine groups (both also far-right), it has changed over time as this rag-tag paramilitary organization became a fully mechanized regiment closely affiliated with the Ukrainian government...
vice.com/read/european-british-fighters-in-ukraine-920
Come la UE e la NATO prendono parte alle operazioni di guerra nel Donbass (Sputnik, 23.08.2015)
... La cosa più importante che emerge è la constatazione effettiva della presenza di soldati e di uomini dei servizi segreti dei Paesi europei nelle unità paramilitari di volontari ucraini...
http://it.sputniknews.com/mondo/20150823/1015703.html
"Se hanno intenzione di demolire il monumento, che ci provino" ha annunciato il comandante del battaglione e membro del Parlamento Ucraino Andrey Beletsky, dopo aver schierato i propri uomini a sorvegliare giorno e notte la statua.
Durante l'occupazione di Mariupol sono state documentate innumerevoli violazioni dei diritti umani, torture ed esecuzioni che si sono riversate maggiormente sugli attivisti di sinistra, molti dei quali costretti alla fuga e che ora ingrossano le fila dei volontari novorussi.
VIDEO: www.youtube.com/watch?v=vhqiemmEjYY
http://contropiano.org/news/internazionale-news/2016/03/19/kiev-anziani-antifascisti-mettono-fuga-neonazisti-della-azov-076809
In decine di università europee la proiezione di un documentario sul battaglione Azov, un'operazione simpatia per presentare i nazisti ucraini come patrioti europei
5 unità paramilitari al sevizio dell’Esercito di Kiev, al loro interno almeno 250 foreign fighters provenienti dall’Europa. Se non saranno uccisi, prima o poi torneranno
Pensando a un foreign fighter viene in mente un giovane di sesso maschile, di età compresa tra i 19 e i 29 anni, probabilmente di origine mediorientale e musulmano, nonché associato ai preoccupanti avvenimenti in Siria e Iraq. Sì è questa l’immagine che viene in mente alla maggior parte della gente, e questo non è necessariamente sbagliato ma di certo non è una definizione accurata.
Affronta la questione Lewis Barton* sull’Huffingtonpost.uk ponendo però una domanda: “sono i combattenti del fondamentalismo islamico gli unici foreign fighters di cui l’Europa dovrebbe preoccuparsi?” La risposta per Barton è un netto “no”, e mette in guardia sulla minaccia che questi “combattenti” rappresentano per l’Europa una volta che rientreranno nei propri paesi, un pericolo sottovalutato e trascurato. Il conflitto in Ucraina, per fare un esempio, sta fornendo un terreno su cui l’addestramento di stranieri membri di gruppi di estrema destra avviene senza alcuna opposizione.
Uno dei gruppi più temuti è quello del Reggimento Azov, meglio noto come Battaglione Azov (in ucraino Батальйон A3OB), vero e proprio reparto paramilitare fondato da Andriy Biletsky, con compiti sia militari che di polizia, inquadrato nella Guardia Nazionale Ucraina e creato proprio per contrastare la guerriglia dei separatisti filo-Russia del Donbass. Oltre a contare nelle sue fila di volontari provenienti da partiti e movimenti legati all’estrema destra ucraina, questo gruppo neo-nazista vanta non meno di 250 foreign fighter provenienti da Svezia, Finlandia, paesi Baltici, Francia, Spagna e Italia, ma anche russi e canadesi, tutti volontari di chiara ispirazione nazi-fascista. Biletsky, anche membro del partito neo-nazista “Assemblea Nazional Sociale/Patrioti dell’Ucraina, ha adottato, per lo stendardo del suo esercito di mercenari, il Wolfsangel, icona nazista in uso dalle SS nella seconda guerra mondiale, mentre dallo sfondo emerge lo Schwarze Sonne, il sole nero.
“Ancora più preoccupante – secondo Barton – è la presenza di questo gruppo sui social network, con potenti materiali ideologici di estrema destra, indirizzi e numeri di telefono per contatti, tutto in lingua inglese per facilitare il processo di reclutamento e renderlo più accessibile ai potenziali foreign fighter che desiderano aderire”.
La comparsa di foreign fighters che combattono in Europa orientale non è però un fenomeno nuovo. Durante il conflitto russo-ceceno, nel 1995, ne confluirono molti nella regione. Allora perché, secondo Barton, questa volta dovremmo preoccuparci?
Il pericolo rappresentato dal ritorno in patria di un mercenario dall’Ucraina è probabilmente diverso da quello di un foreign fighters che rientra dalla Siria, ma un individuo con vedute radicali che è stato ben addestrato potrebbe commettere o contribuire ad un attentato.
Attualmente, e solo per fare un nome, Barton scrive che del Battaglione Azov fa parte un cittadino svedese, Mikael Skillt (nella foto), un cecchino preparatissimo con sette anni di esperienza nell’esercito svedese. I ribelli filo-russi hanno messo sulla sua testa una taglia di 7000 dollari per il pericolo che Skillt rappresenta, un uomo che si descrive come un “nazionalista etnico per la supremazia bianca”, con posizioni di estrema destra e un potenziale da renderlo pericolosissimo.
Un altro gruppo, delle cinque unità paramilitari ( Azova, Dnepr-1, Dnepr-1, Donbass, Aidar)
al servizio dell’Esercito ucraino, è il Battaglione Aidar, segnalato per aver commesso crimini di guerra: i media riportano abusi, rapimenti, detenzioni illegali, torture e decapitazioni.
“La brutalità del conflitto – si preoccupa Barton – potrebbe anche avere delle conseguenze sulla salute mentale del foreign fighter”. C’è la possibilità che il Ptsd (disturbo post traumatico da stress) possa colpire il mercenario di ritorno al suo paese. Una persona addestrata a commettere atroci violenze potrebbe, in particolari circostanze, tornare a commetterne”.
Ma c’è anche un’altra seria e possibile conseguenza da prendere in considerazione, quella dell’impatto e dell’influenza che il mercenario di ritorno dall’Ucraina può avere su altri simpatizzanti dell’estrema destra, oltre all’aver acquisito una preparazione logistico-militare che potrebbe condividere.
“E’ comprensibile che il problema del rientro di foreign fighters islamici abbia la precedenza, gli attacchi di Parigi hanno preso il centro della scena” scrive Barton. Il traffico dall’Europa verso Siria e Iraq è di certo superiore al flusso verso l’Ucraina. Tuttavia è sufficiente un solo “combattente” di ritorno ad organizzare un attentato devastante. In tal senso Barton ricorda gli attentati commessi in Norvegia da Anders Breivik, solitario estremista di destra xenofobo e antislamista che nel 2011, in due azioni coordinate (ad Oslo e sull’Isola di Utoya) causò la morte di 77 persone.
Barton invita quindi ad immaginare quali azioni potrebbe mettere in atto un mercenario addestratissimo al combattimento, con accesso e collegamenti per procurasi armi. Possiamo solo sperare che si presti più attenzione ai mercenari europei di estrema destra in azione in Ucraina, anche se il conflitto non sembra essere una priorità dei media mainstream, o almeno non in questo senso. “Ma – conclude Barton – finché ci sono organizzazioni disposte a sollevare la questione e a cercare di contrastare la narrativa di estrema destra, qualche speranza c’è”.
* Lewis Barton attualmente lavora per il gruppo di studio londinese per il Dialogo Strategico. Impegnato in FREE, libera iniziativa paneuropea di lotta all’estremismo di destra in Europa. Ha una laurea in War and Security Studies conseguita presso l’Università britannica di Hull.
Lo stesso giorno, Zakharcenko, mentre ricordava come il 90% della popolazione maschile della Repubblica di Donetsk abbia preso parte ai combattimenti nelle file della milizia, si è impegnato per il disarmo delle formazioni armate non riconosciute e il loro inquadramento nelle forze ufficiali. Questo, mentre la polizia militare di Donetsk liquidava un gruppo criminale dedito a rapine, estorsioni, sequestri di persona. La misura sul disarmo viene adottata per motivi di ordine pubblico, ma il provvedimento prelude a una strutturazione meno «spontanea» delle forze armate, in vista della formazione di un esercito unico della Novorossija.
Sul fronte opposto, quello dei battaglioni volontari ultranazionalisti e neonazisti ucraini, l’inglese Morning Star scriveva nei giorni scorsi che, «la peggior rinascita del fascismo in Europa avviene in Ucraina». Lo dimostrano le celebrazioni, ufficializzate dal governo, dell’anniversario del filo nazi Stepan Bandera. Lo testimonia soprattutto il fatto che oggi, «in nessun altro paese al mondo», come scrive il Morning Star, «persone che si dichiarano apertamente naziste controllano i servizi di sicurezza o occupano posizioni chiave nel Ministero degli interni o nel parlamento». È il caso del leader di Svoboda Tjagnibok e del suo pupillo Igor Miroshnishenko, classificato dal Centro Simon Wiesenthal al 5° posto tra i dieci peggiori antisemiti del mondo. È il caso del Ministro degli interni ed ex capo della Guardia nazionale Arsenij Avakov che, sostenendo il battaglione Azov, ha promosso il suo comandante Andrej Biletskij, capo della neonazista Patrioti d’Ucraina, al rango di tenente colonnello della polizia. È il caso del lancio del leader di Pravyj sektor Dmitrij Jarosh a consigliere del Capo si Stato maggiore. Ma cosa ne pensano gli ucraini? Secondo un sondaggio condotto dall’ucraino Korrespondent.net, alla domanda «Siete a favore dell’esistenza in Ucraina di battaglioni militari volontari?», il 10,6% ha risposto «Sì, sono eroi dell’Ucraina che combattono per il nostro paese»; il 22,5% «Sì, ma devono entrare ufficialmente a far parte del Ministero della difesa o di quello degli interni». Ma ben il 45% ha detto «No, sono eserciti degli oligarchi, non controllati dallo Stato» e il 21,9% «No, ai volontari si sono aggregati elementi criminali». E c’è ancora, anche in Italia, chi si entusiasma per l’alone leggendario che circonderebbe quei «volontari».
pubblicato il 26.06.15
Ecco la foto che lo dimostra.
Fabio Massimo Castaldo, Portavoce del Movimento 5 Stelle, sembra essere l'unico indignato, insieme ai suoi compagni, di alcune rappresentazioni che da qualche giorno "decorano" i corridoi del Parlamento europeo...
(Message over 64 KB, truncated)
http://contropiano.org/documenti/2016/06/26/sulla-parola-dordine-degli-stati-uniti-deuropa-080928
The historic Brexit vote marks a victory of the working people over the capitalist elites who have used the European Union as a means of extending their exploitation of them to the limits, and which now, along with its imperial rival and overlord, the United States, is arming and preparing for a world war with Russia...
Together with his French counterpart, the German foreign minister has announced the EU's transformation to become a "political union" and its resolute militarization for global military operations. In a joint position paper, Frank-Walter Steinmeier (SPD) and Jean-Marc Ayrault (PS) are calling for the EU's comprehensive military buildup, based on a division of labor, to enable future global military operations. Following the Brexit, the EU should, step-by-step, become an "independent" and "global" actor. All forces must be mobilized and all "of the EU's political instruments" must be consolidated into an "integrated" EU foreign and military policy. Steinmeier and Ayrault are therefore pushing for a "European Security Compact," which calls for maintaining "employable high-readiness forces" and establishing "standing maritime forces." The European Council should meet once a year as "European Security Council." Before this paper was made public, Germany's foreign minister and chancellor had made comments also promoting a German global policy and massive rearmament, possibly also with EU-support...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58954
ORIG.: DIE EUROPÄISCHE KRIEGSUNION (GFP 2016/06/28)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59398
Il Partito Comunista di Irlanda esprime la sua solidarietà e accoglie con favore la decisione dell'elettorato britannico, con i lavoratori che hanno giocato un ruolo decisivo nel voto per lasciare l'Unione Europea... I lavoratori della Gran Bretagna hanno inviato il sonoro messaggio a Londra e Bruxelles che ne hanno abbastanza del bullismo, abbastanza dell'austerità permanente, abbastanza del fatto che gli interessi delle grandi imprese siano posti al di sopra di quelli del popolo. E' anche un significativo rifiuto delle economie da camicia di forza dell'UE. La strategia politica ed economica dell'UE è un affronto alla democrazia e alla capacità dei popoli di decidere democraticamente in merito alle priorità economiche e sociali dei loro paesi e della possibile direzione alternativa...
... BREXIT will doubtless deepen the concept of EU system based on the deprivation of authorities of national states and concentration of the authorities within the bureaucratic Brussels center which is without meaningful control. EU region has entered a long period of political instability and uncertainty. Fleeing of corporate capital from EU appears as inevitable process with all consequences for development, socio-economic aggravation and political turmoil. After illegal secession of Kosovo and Metohija in which, paradoxical, Great Britain together with USA played major role, separatism in Great Britain and the whole of Europe has got new encouragement...
Berlin is applying intense pressure in the aftermath of the Brexit, to reorganize the EU. Under the slogan, "flexible Union," initial steps are being taken to establish a "core Europe." This would mean an EU, led by a small, tight-knit core of countries, with the rest of the EU member countries being subordinated to second-class status. At the same time, the President of the European Parliament and Germany's Minister of the Economy (both SPD) are calling for the communitarization of the EU's foreign policy, reinforcement of its external borders, the enhancement of domestic repression and the creation of a "European FBI." The German chancellor has invited France's president and Italy's prime minister to Berlin on Monday to stipulate in advance, measures to be taken at the EU-summit on Tuesday. German media commentators are speaking in terms of the EU's "new directorate" under Berlin's leadership. At the same time, Berlin is intensifying pressure on London. The chair of the Bundestag's EU Commission predicts a new Scottish referendum on secession and calls for Scotland's rapid integration into the EU. German politicians in the European Parliament are exerting pressure for rapidly implementing the Brexit and reorganizing the EU. Chancellor Merkel has reiterated her veiled threat that "reconciliation and peace" in Europe are "anything but self-evident," should European countries choose to no longer be integrated in the EU...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58953)
ORIG.: FLEXIBLE UNION MIT EUROPÄISCHEM FBI (GFP 27.06.2016)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59397
... Dall'eurocomunismo in poi l'accettazione dell'orizzonte comune europeo ha modificato una visione internazionalista nell'accettazione dell'Europa unita e delle sue istituzioni, dei suoi meccanismi, come terreno di azione nella ricerca della modifica riformista della politica europea. Un errore storico enorme...
http://www.senzatregua.it/la-lotta-del-nostro-tempo/
oppure http://www.resistenze.org/sito/os/ep/osepgf24-018110.htm
The British people's vote yesterday to take their country out of the EU is shaking up the EU, and Berlin's plans to use the EU for its own hegemonic policies. With a 72 percent turnout, 52 percent of the British voters opted to wave good-bye to the EU. This vote has a major impact on Berlin, not only because Europe's second largest economy - after Germany's - and a prominent military power will be leaving the EU and therefore no longer be available for German hegemonic policies imposed via the EU. It also can lead to a domino effect. Calls for referendums are being raised in other EU member countries. In several member countries, the EU's growing unpopularity is reinforcing centrifugal forces. The Swedish foreign minister has explicitly warned of a "spill-over effect" that could lead to a Swedish EU exit. In the German media, demands are being raised to simply ignore the referendum and let the British parliament vote in favor of remaining in the EU. Berlin has already begun reinforcing its national positions - independent of the EU...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58952
ORIG.: DER ERSTE AUSTRITT (GFP 2016/06/24)
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59396
Dagli Usa a Berlino. Cambia la leadership del capitalismo multinazionale?
La leadership del capitalismo del dopo Trump potrebbe parlare tedesco. Sono in molti oggi a scrutare dietro e intorno la visita di congedo di Barak Obama in Germania. La visita avviene, tra l'altro, nei giorni in cui la cancelliera Merkel ha fatto sapere di volersi ricandidare al governo. Osservatori acuti come Danilo Taino sul Corriere della Sera non nascondono affatto l'impressione che con la visita di Obama "il mantello di difensore della libertà e dei valori occidentali passerà alla leader tedesca". Insomma un cambiamento epocale non indifferente, per l'Europa sicuramente ma anche per le relazioni internazionali nel loro complesso.
"Trump costringe l'Unione Europea a guardarsi nello specchio", commenta Adriana Cerretelli sul Sole 24 Ore. Un'assunzione di responsabilità nella leadership dell'occidente che pone la Germania al centro, ma trascina con sè l'intera Unione Europea.
A conferma di questo possibile passaggio di testimone dagli Usa "trumpizzati" alla Germania dominus sull'Unione Europea, c'è la notizia di una sorta di supervertice a Berlino in occasione della visita di Obama. Sono infatti stati invitati Hollande, Renzi, Rajoi, e anche Theresa May, per la Gran Bretagna del dopo Brexit. Insomma le principali potenze europee converranno nella capitale tedesca e non certo per una commovente cena di commiato con Obama.
E' ormai evidente da anni come la competizione globale prima, e il picco di crisi del 2007 poi, abbiano accentuato le contraddizioni dentro le borghesie imperiali. Uniti come mai contro i lavoratori, i vari segmenti delle classi dominanti sono stati squassati e ridefiniti piuttosto bruscamente. Alcuni sono andati giù, perdendo posizioni e peso, perchè troppo legati a mercati interni depressi; altri invece hanno aumentato il loro peso proprio perchè più internazionalizzati, dunque perfettamente inseriti nella dimensione globale della competizione e degli apparati creati per gestirla.
Questo scontro è stato ben visibile nelle accelerazioni impresse dentro l'Unione Europea (di cui l'adozione l'euro è stato un fattore decisivo), che ha lasciato morti e feriti non solo tra i lavoratori e le classi popolari. E' evidente che una parte dei sentimenti antieuropeisti – come emerso con la Brexit – rappresentino anche questo tipo di contraddizioni.
Ma con l'elezione di Trump, lo scontro tra i segmenti del capitalismo più multinazionalizzati e quelli legati alla crescita o depressione dei mercati interni, si è fatta più detonante, soprattutto perchè ha avuto l'epicentro negli Stati Uniti, conferendogli così un riflesso internazionale di enormi proprozioni.
Lo stallo negli Usa indebolisce la leadership globale esercitata fino ad oggi e richiede che qualcun altro provi a prendere in mano questa fase di incertezza, di evidente transizione di fase storica.
Le ripercussioni erano già visibili neanche troppo sottotraccia nei mesi scorsi. All'indomani della Brexit britannica, l'Unione Europea aveva tolto il freno a mano e proceduto rapidamente nella definizione di un progetto comune in materia politico/militare. Su questo terreno occorre sottolineare che entro dicembre 2016 verrà definito il piano di attuazione dell'Eugs, ovvero la Strategia Globale dell'Unione Europea presentato a giugno da Lady Pesc, Federica Mogherini, in coordinamento con i quartieri generali di Bruxelles. Contestualmente si riunirà il coordinamento tra la Nato e il Seae ossia il Servizio Europea per l'Azione Esterna.
Inutile dire che su questa accelerazione nella definizione delle ambizioni e delle responsabilità globali dell'Unione Europea, un ruolo centrale lo avrà la Germania. Anche sul piano militare e strategico. Lo scorso 13 luglio è stato pubblicato il nuovo "Libro Bianco" della Bundeswehr (la Difesa tedesca). Questa edizione ha aggiunto alla politica mondiale tedesca ulteriori e più ambiziosi obiettivi rispetto a qualsiasi altro documento scritto in precedenza.
"L'orizzonte della politica di sicurezza tedesca è globale", è scritto esplicitamente nel documento, che annuncia al mondo: "Berlino, in considerazione della sua forza economica, politica e militare" intende contribuire a "plasmare attivamente il nuovo ordine mondiale". La Repubblica Federale è pronta non solo "a presentarsi nel dibattito internazionale come una forza decisiva e pragmatica", ma anche ad "assumere la leadership nella politica internazionale". Le ambizioni della politica di Berlino non si riferiscono solamente alle rotte commerciali globali su acqua, terra o in aria, ma anche "alla cibernetica, all'informazione e a allo spazio".
Un articolo scritto a quattro mani da due responsabili della Difesa tedesca, [commentato] su German Foreign Policy, ritiene che le ambizioni politiche espresse nel “Libro Bianco” sono ormai di carattere globale e in futuro dovranno essere messe in pratica e riempite di dettagli. Secondo i due dirigenti tedeschi anche l’UE si trova davanti ad una nuova fase di militarizzazione: sotto la guida tedesca, ormai apertamente proclamata, diversi capi di stato e lo stesso commissario europeo Juncker si sono pronunciati a favore della creazione di un esercito europeo.
Ormai dobbiamo dircelo con franchezza: non c'è ambizione di leadership globale senza gli strumenti per attuarla. L'aria che si respira in Europa e che spira da Berlino è questa. Prima se ne diventa consapevoli e meglio è. Ragione in più per cercare di mettersi di traverso al consolidamento del polo imperialista europeo e dei suoi apparati.
Rompere e uscire dall'Unione Europea non è un atto di egoismo nazionalista (come nei vaneggiamenti fascioleghisti), ma è un tentativo concreto di inceppare una macchina pericolosa per le popolazioni europee e per l'umanità.
16 novembre 2016
The German Bundeswehr's new "White Paper" is conceived as just a milestone in the ongoing development of German global policy and its instruments, according to an article published by Germany's leading foreign policy periodical. According to the article's two authors, who had been in charge of elaborating the "White Paper" for the German Defense Ministry, the White Paper's explicit claim to shape global policy and policy for outer space must be implemented and "brought to life" in the near future. While the German government is initiating new projects for upgrading military and "civil defense" measures, the EU is boosting its militarization: A growing number of government leaders of EU member states are supporting the creation of an EU army under openly proclaimed German leadership. According to a leading German daily, the balance sheet of recent German military involvements is "not exactly positive," but this should not discourage future military interventions. One should, however, not expect too much and harbor "illusions about rapid successes."...
http://www.german-foreign-policy.com/en/fulltext/58966
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59430
Verso la ‘difesa comune’. L’imperialismo europeo affila le unghie
Viviamo tempi di notevole accelerazione sul fronte degli equilibri internazionali, di cambiamenti repentini sull’onda di processi che hanno incubato per decenni, di decisioni più o meno irrevocabili. E’ il caso dell’integrazione dell’Unione Europea anche a livello militare, un progetto vecchio quanto la stessa Comunità Economica Europea e lungamente rimasto nei cassetti di qualche burocrate.
Sembra però che, dopo numerosi tentennamenti e rinvii ma anche qualche passo in avanti – perché negli ultimi anni, in realtà, molto è stato fatto in vista della creazione di una soggettività coordinata continentale anche sul fronte militare – l’acuirsi della competizione internazionale tra blocchi geopolitici e il declino della superpotenza statunitense stiano trasformando il fumoso progetto in una realtà concreta.
Difficile dire quali saranno i tempi di concretizzazione di quella che eufemisticamente i tecnocrati e gli euro burocrati chiamano ‘difesa comune’; ma a leggere quanto affermano e decidono i capofila dell’establishment dell’Unione Europea pare proprio che stavolta si stia facendo sul serio.
In effetti i passi concreti decisi dalle riunioni dei ministri degli Esteri e della Difesa tenutesi a Bratislava nel settembre scorso e direttamente a Bruxelles pochi giorni fa appaiono più che significativi. L’Unione Europea viaggia speditamente verso la costituzione di un suo esercito, di un suo meccanismo di gestione separato rispetto a quello dell’Alleanza Atlantica, di un comune quadro di intervento nelle crisi internazionali in difesa dei propri obiettivi egemonici e dei propri interessi.
Nel Consiglio Europeo degli Affari Esteri del 14 novembre scorso il consenso nei confronti delle proposte di Federica Mogherini e dei governi che recentemente hanno deciso di accelerare il passo sulla necessità di una indipendenza militare dagli Stati Uniti è stato ampio, anche più del previsto.
Fino ad ora alcuni governi dell’Europa Orientale avevano puntato i piedi contro lo sviluppo di una capacità militare europea, considerata perniciosa per la sovranità dei singoli governi sugli eserciti nazionali e in contrasto con il quasi totale controllo esercitato finora dagli Stati Uniti direttamente o attraverso la Nato. Ma la vittoria della Brexit nel referendum britannico di inizio estate ha sottratto a Londra – da sempre capofila del ‘no’ all’esercito europeo in nome della solidarietà transatlantica – il notevole potere di interdizione esercitato finora. La recente sconfitta di Hillary Clinton indebolisce inoltre la posizione e gli argomenti di quei paesi che vorrebbero continuare ad affidare il capitolo difesa ad una amministrazione statunitense in pectore che però lancia bordate contro la stessa Nato e minaccia di abbandonare a sé stessa l’ingrata e tirchia Unione Europea.
E quindi nonostante la contrarietà dei rappresentanti britannici – con un piede dentro ed un piede fuori in attesa di capire se e quando il voto popolare sulla Brexit verrà concretizzato – e i mugugni di quelli di alcuni paesi dell’Europa Orientale, i 56 ministri degli Esteri e della Difesa dei paesi membri dell’Ue hanno dato il proprio via libera alla “Global Strategy on Foreign and Security Policy”, il progetto presentato a giugno dall’Alto Rappresentante Federica Mogherini.
Si tratta, dicevamo, di passi importanti, anche se i promotori dell’accelerazione sul fronte della creazione dell’esercito e di un complesso militare-industriale europei si sono sforzati di evitare l’uso di categorie ed etichette che possano eccessivamente allarmare i governi e i settori critici.
Al di là delle denominazioni soft e degli eufemismi abilmente impiegati, il piano prevede l’implementazione di una politica militare europea unica e integrata, mirante a fronteggiare crisi esterne, ad assistere eventuali partner nello sviluppo delle loro capacità di difesa, a “proteggere” l’Unione Europea. Come si vede la proiezione esterna e le ambizioni egemoniche dell’operazione sono più che evidenti, a smentire l’utilizzo dell’assai più rassicurante termine “difesa europea”.
Il documento licenziato a Bruxelles infatti elenca una lunga serie di tipologie di interventi militari all’esterno dei confini dell’Unione: dalle operazioni in situazioni definite ad alto rischio in territori circostanti l’Unione Europea, a quelle di ‘stabilizzazione’ a quelle di ‘reazione rapida’, a quelle di sorveglianza e pattugliamento dei confini e dei mari, alle missioni di addestramento di forze militari di altri paesi ecc. Inoltre nel novero delle operazioni che l’Ue si incarica di intraprendere all’esterno dei propri confini vengono incluse quelle svolte da un certo numero di “corpi civili”, ovviamente sempre sotto il controllo dei meccanismi di gestione unitaria del comparto militare (del resto già ampiamente rodati nella gestione dell’interventismo militare europeo nei Balcani negli ultimi decenni).
Il documento evita accuratamente di parlare di ‘esercito europeo’, ma pone comunque l’accento sulla necessità di implementare e utilizzare i cosiddetti “battlegroups”, delle unità di intervento rapido formati da contingenti militari provenienti da vari paesi del continente che rispondano ad un’unica catena di comando svincolata dai singoli paesi. Infatti il piano prevede la formazione di una struttura di coordinamento europeo, un vero e proprio Quartier Generale basato a Bruxelles, incaricato di gestire un numero di missioni, operazioni ed incombenze che si annuncia in rapida crescita. L’organismo, composto di due catene di comando che agiranno di comune intesa – una pienamente militare e l’altra civile – dovrà rispondere direttamente al Comitato Politico e di Sicurezza dell’Unione Europea; non si tratta ancora dello Stato Maggiore Unificato Europeo che Francia, Germania, Italia, Spagna ed altri paesi invocano da tempo, ma poco ci manca.
Il piano europeo afferma che la Nato resta l’organismo incaricato di assicurare la difesa collettiva di tutto gli stati membri, ma che sul fronte della difesa dei cittadini da eventuali minacce esterne – terrorismo, attacchi informatici ed altro – e su quello della protezione dei confini contro l’immigrazione irregolare, la palla passa a organismi comunitari ad hoc. Di qui la conferma della creazione di un’agenzia comune per il controllo delle frontiere e dei flussi migratori e di una Guardia di Frontiera e Costiera continentali.
Per bypassare le resistenze di alcuni paesi e accelerare l’integrazione militare continentale, il piano approvato il 14 novembre, anche in questo caso su iniziativa dei paesi più importanti, prevede l’utilizzo della “Cooperazione strutturata permanente” (Pesco) prevista dal Trattato di Lisbona. Per evitare di attendere che tutti i paesi aderenti all’Ue siano e pronti ad intraprendere lo storico passo, ci si affida ad una cooperazione maggiore tra i paesi immediatamente disponibili nel campo della ricerca militare e tecnologica, dello sviluppo, della produzione e dell’ammodernamento di piattaforme e sistemi militari necessari a consentire all’esercito europeo di svolgere i compiti fissati dal documento approvato. Si sancisce di fatto anche in campo militare – così come già avvenuto in passato sul fronte della moneta unica – la strutturazione di un’Europa a due velocità, con la creazione di due diversi livelli di integrazione. Ovviamente prevedendo che i paesi ‘più lenti’ e ‘meno convinti’ prima o poi dovranno necessariamente adeguarsi al grado di integrazione maggiore i cui tempi e modi verranno dettati dai paesi del “nucleo duro” dell’Unione, cioè Francia e Germania. Un capitolo, questo, che ovviamente riguarda anche gli investimenti nell’industria militare e nel complesso militare-industriale europeo, senza il quale è difficile pensare che il progetto di un esercito continentale indipendente nei confronti di Washington e della Nato possa avere una qualche chance. A coordinare il tutto dovrebbero essere organismi come l’Agenzia di Difesa Europea e il Comitato Militare Europeo, con l’attribuzione anche alla Commissione Europea nella sua interezza e ai singoli commissari di un maggiore potere di indirizzo ed intervento in campo militare oltre che nell’orientamento della spesa e degli investimenti nel settore ‘difesa’. Inoltre il piano licenziato a Bruxelles dal Consiglio Europeo sancisce anche l’inserimento di un capitolo, nel bilancio settennale dell’Ue, dedicato alla spesa militare e alla ricerca tecnologica, oltre che la possibilità per la Banca Europea degli Investimenti di finanziare il complesso militare-industriale europeo.
Come si vede si è ampiamente superato il piano della speculazione politica e dei buoni propositi. Le ambizioni imperialiste ed egemoniche che la borghesia transnazionale europea da tempo coltiva richiedono la rapida realizzazione di strumenti e di meccanismi in grado di difenderle ed imporle nei confronti degli avversari ma anche degli alleati di un tempo, ormai di fatto dei competitori su uno scacchiere globale in cui gli attori dello scontro sono sempre più numerosi e determinati.
Qualche giorno fa, proprio a commento e a sostegno dell’importante passaggio realizzato a Bruxelles, la Ministra della Difesa italiana, Roberta Pinotti, aveva affermato che è ormai “giunto il tempo che l’Europa assuma maggiori responsabilità comuni e una propria capacità nel settore della Difesa”, indipendentemente da quello che farà il futuro presidente degli Stati Uniti Donald Trump. L'Ue dovrebbe "spendere di più e soprattutto spendere meglio. Negli ultimi 10 anni sono stati fatti dei tagli notevoli, senza precedenti, al bilancio della difesa: si sono tagliati a volte anche gli stessi assetti" ha aggiunto la Ministra Pinotti, aggiungendo che "i paesi che hanno ridimensionato (la loro spesa per la difesa, ndr), lo hanno fatto in una prospettiva esclusivamente nazionale". "In Italia, comunque – si è vantata la Ministra della Guerra del governo Renzi -, non si sta più tagliando: c'è una stabilizzazione e anche una ripresa della consapevolezza dell'importanza di investire nella difesa. Ciò detto, riuscire a integrare le nostre risorse nelle eccellenze necessarie per il futuro, che sono molto costose, credo che ci permetterebbe di spendere molto meglio e in modo molto più efficace", ha concluso il ministro.
Alle esplicite dichiarazioni dell’esponente del governo italiano fanno seguite quelle, ancora più nette e di valore strategico, contenute in un intervento del dirigente liberale belga ed europeo Guy Verhofstadt, pubblicato questa mattina sul quotidiano di Confindustria. Senza peli sulla lingua e nonostante alcuni giustificazionismi di ordine ideologico, il rappresentante dell’establishment europeo dichiara apertamente quali devono essere gli obiettivi di una politica militare comune europea che invita a rilanciare con urgenza, rivendicando esplicitamente le pretese egemoniche di Bruxelles su quello che viene considerato il proprio ‘cortile di casa’ – dal Medio Oriente all’Ucraina – in contrapposizione tanto alla Russia quanto agli Stati Uniti. Quella del liberale belga è una dichiarazione programmatica delle ambizioni e delle mire imperialiste dell’Unione Europea che ha ben poco da invidiare a quelle declamate dai neocon statunitensi nei decenni scorsi.
Ovviamente Verhofstadt addebita a Trump la responsabilità di abbandonare l'Ue a sè stessa dal punto di vista militare obbligandola a compiere un passo – l'indipendenza militare – troppe volte rimandato. Ma ovviamente la verità è che Trump potrebbe essere il primo presidente degli Stati Uniti costretto a palesare una inimicizia tra due ex alleati, Usa e Ue, che nel tempo si sono allontanati in virtù proprio della tendenziale inconciliabilità dei rispettivi interessi e della competizione sulle stesse aree di influenza (i riferimenti al Ttip da una parte e alle offese di Victoria Nuland sono nell'intervento di Verhofstadt assai indicative).
Continuare a denunciare e a contrastare il solo imperialismo di Washington, come si ostinano a fare ancora alcune aree della sinistra radicale e non, a questo punto rischia di configurarsi come un oggettivo e irresponsabile sostegno nei confronti delle ambizioni sempre più concrete dell'imperialismo europeo.
Marco Santopadre
*** *** ***
Perché non è più rinviabile una Difesa comune
di Guy Verhofstadt (Il Sole 24 Ore del 18 novembre 2016)
Donald Trump è stato eletto presidente degli Stati Uniti, un evento che celebra il trionfo del nativismo sull’internazionalismo. Nel confronto tra società aperte e chiuse, le seconde escono palesemente vincitrici, mentre la democrazia liberale si appresta a diventare un movimento di resistenza.
Con Trump alla Casa Bianca, gli Usa diventeranno l’ossessione di se stessi. Ormai si può affermare con certezza che il Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti tra gli Stati Uniti e l’Unione europea è destinato al fallimento. Ma la presidenza Trump avrà un impatto negativo sull’Europa per molti altri aspetti. In gioco adesso c’è l’integrità territoriale dell'Ue stessa.
Trump ha detto senza mezzi termini che le sue priorità in politica estera non includono la sicurezza europea. Egli, inoltre, non riconosce la necessità strategica della Nato e ha dimostrato qualche interesse per le relazioni transatlantiche solo alludendo a dei conti in sospeso. Una presidenza Trump determinerà un cambiamento geopolitico di portata epica: per la prima volta dal 1941, l’Europa non potrà contare sull’ombrello difensivo americano e si ritroverà da sola.
L’Europa si è fin troppo crogiolata in un’esistenza facile. Durante il secolo scorso, le relazioni transatlantiche hanno tacitamente obbedito a una dinamica perversa, in base alla quale quanto più gli Usa erano attivi, tanto più l’Europa sonnecchiava. Quando gli Americani sono intervenuti all’estero, come nel caso dell’Iraq, l’Europa ha risposto con pompose prediche sull’ingerenza imperialista. E quando gli americani non sono riusciti a intervenire, o l’hanno fatto in ritardo o in modo inefficace, come in Siria e Libia, gli europei hanno invocato più leadership americana.
Quell’epoca è ormai finita. Trump sa che l’Ue ha i fondi, la tecnologia e le competenze necessarie per essere una potenza globale al pari degli Usa, e non è un suo problema che le manchi la volontà politica di sfruttare appieno il proprio potenziale.
Per troppo tempo noi europei abbiamo dato per scontato che è più economico e sicuro lasciare che gli Stati Uniti ci tolgano le castagne dal fuoco, anche quando i problemi sono in casa nostra. Con l’elezione di Trump (e considerato il discutibile retaggio dell’America in politica estera), dobbiamo abbandonare questa convinzione.
L’Ue dovrebbe interpretare l’elezione di Trump come una chiamata a riprendere in mano le redini del proprio destino. Conflitti quali la sanguinosa guerra civile in Siria e l’annessione della Crimea o l’intervento nell’Ucraina orientale da parte della Russia hanno un impatto diretto sulla sicurezza, le economie e le società degli stati membri dell’Ue. Eppure, finora sono stati i russi e gli americani, anziché gli europei, a determinare il destino dell’Ucraina, così come quello di altre zone di confine europee. L’Ue, pertanto, ha abdicato al controllo ultimo della propria sicurezza, rapporti commerciali e flussi migratori.
Nel 2014 è stata intercettata e postata sul web un’eloquente conversazione tra il vicesegretario di Stato per gli affari europei ed eurasiatici Victoria Nuland e l’ex ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt. Parlando della risposta Usa in Ucraina – dopo che l’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych era fuggito in Russia – Nuland dice, «L’Ue? Si fotta». Questo è un atteggiamento che l’Europa ha consentito, e se è già grave che un funzionario dell’amministrazione Obama abbia espresso un pensiero simile, si può solo immaginare cosa succederà con Trump, che potrebbe non prendersi neppure la briga di nominare un funzionario per gli affari europei ed eurasiatici.
Ecco perché l’Ue non può più rimandare la creazione di una propria Comunità europea di difesa e lo sviluppo di una propria strategia di sicurezza. Il primo intervento dovrebbe puntare a snellire ed espandere i rapporti bilaterali e regionali, non da ultimo con e tra i paesi baltici e scandinavi, nonché tra Belgio e Paesi Bassi, e Germania e Francia. Tutte queste relazioni eterogenee vanno riunite sotto un unico comando europeo, finanziato da fondi comuni e con un sistema di approvvigionamento condiviso d
(Message over 64 KB, truncated)
Pagati per scendere in piazza. Gli annunci sul web, "vi diamo 15 dollari all'ora per protestare contro Trump"
Seattle, 9 novembre 2016, 24 ore dopo l'elezione di Donald Trump. Leggiamo: "Combatti l'Agenda Trump! Assumiamo attivisti a tempo pieno. Washington Can! È la più radicata associazione politica no-profit del nostro stato. Da oltre 35 anni ci battiamo a livello locale e nazionale su tematiche quali le questioni razziali, il sociale, la sanità, i diritti degli immigrati, l'equità fiscale. Siamo alla ricerca di persone motivate, che sia per un part-time o a tempo pieno. Offriamo dei posti fissi e abbiamo diverse posizioni di lavoro. Offriamo assistenza medica, ferie pagate, giorni di malattia retribuiti, aspettativa. Viaggi. La paga media varia tra i 15 e i 20 dollari l'ora".
Come facilmente si intende, trattasi di un annuncio di lavoro, anche se non è chiaro di che tipo. Piuttosto chiara è l'associazione promotrice: Washington CAN! è l'acronimo di Washington Community Action Network, una piattaforma molto vicina alla sinistra borghese statunitense. Il messaggio conclude con i recapiti del caso: "Se sei disponibile full time chiama Sol, 206-805-668. Per il part time chiama Nathan, 206-805-6678".
Philadelphia, annuncio più breve ma dello stesso tenore. Data: 5 novembre 2016. Tre giorni prima dell'elezione di Donald Trump. Leggiamo di nuovo: "Stop Trump. Assumiamo subito! Chiama oggi e inizierai domani. Paghiamo dai 15 ai 18 dollari all'ora + bonus + straordinari e garantiamo fino a 77 ore alla settimana. Rimborso benzina, turni serali e di mattina. Non è richiesta alcuna esperienza pregressa, tempo pieno o part time, posizioni per lavorare il weeekend. No raccolta fondi! Nessuna commissione! Chiama 267-606-5147".
Pittsburgh, sempre 5 novembre 2016. Medesimo annuncio, perfettamente identico a quello di Philadelphia. Cambia il numero di telefono da contattare: "Chiama il 412-417-7632". Il titolo è accattivante, si promettono 1.500 dollari a settimana (che corrispondono a oltre 5.500 euro al mese). Siamo al terzo, nel giro di una decina di giorni a cavallo con l'elezione del tycoon alla Casa Bianca. Cosa hanno in comune queste tre offerte? Primo: fermare Trump; secondo: la paga oraria (molto buona); terzo: il sito web dove sono pubblicate, vale a dire Craigslist, un database molto popolare negli Stati Uniti che ospita annunci dedicati al lavoro, eventi, acquisti, incontri.
Per mesi sono circolate voci in rete sulle manifestazioni di protesta pilotate contro Trump. Nei giorni scorsi è emerso il ruolo di MoveOn dietro la gran parte delle contestazioni sollevate a poche ore dal verdetto elettorale. Parliamo di un'altra piattaforma, che si definisce progressista e che ospita numerose petizioni sul modello di Change.org, fondata come risposta all'impeachment del presidente Bill Clinton, di area "democratica" e finanziata con decine di milioni di dollari da George Soros.
Non a caso proprio il miliardario filantropo e diversi paperoni liberal che hanno inondato con altri milioni di dollari la campagna elettorale di Hillary Clinton si riuniranno da qui a breve in una tre giorni a porte chiuse per valutare le strade con cui combattere Donald Trump. L'incontro è sponsorizzato dal club dei finanziatori Democracy Alliance e include la partecipazione di alcuni politici di spicco, da Nancy Pelosi alla senatrice Elizabeth Warren.
È impossibile affermare con certezza - come accusato anche dallo staff di Trump in queste ore - che da Portland all'Oregon, passando per Los Angeles, Denver, Minneapolis, Baltimora, Dallas e Oakland, in California, ogni singolo raduno sia stato messo in piedi come se fosse una grande fiction hollywoodiana. Ma il sospetto c'è, così com'è assai probabile che i tre annunci di cui sopra siano orientati a reclutare manifestanti per sovvertire l'ordine, democratico, degli eventi.
A tal proposito, di testimonianze ce ne sono state eccome. La più scioccante è stata quella di un uomo di nome Paul Horner, che ha confessato all'Associated Press di essere stato pagato ben 3.500 dollari per prendere parte a una contestazione anti-Trump in marzo, a Fountain Hills, Arizona.
Paul, 37 anni, ha spiegato di essere stato ingaggiato dopo aver risposto ad un annuncio su Craigslist. "Al momento del colloquio mi dissero che avevano bisogno di attori per un evento politico. Mi hanno fatto una breve intervista e ho ottenuto la parte. Non so chi fossero queste persone, la mia ipotesi è che facessero parte della campagna Clinton. Il gruppo si faceva chiamare "Le donne sono il futuro". Quando mi hanno assunto mi hanno detto che se qualcuno mi avesse fatto domande avrei dovuto iniziare a parlare di quanto sia bello e bravo Bernie Sanders".
Ma non è finita: "Quando sono arrivato alla manifestazione mi sono accorto di essere circondato da persone che avevo incontrato al colloquio. Ho parlato con alcuni di loro e ho capito che i latini li avevano pagati 500 dollari, 600 i musulmani, 750 gli afro-americani. Donne e bambini sono stati pagati la metà rispetto agli uomini, mentre i clandestini hanno preso 300 dollari. Penso di essere stato pagato più degli altri manifestanti perché ero bianco e avevo preso lezioni di lotta e boxe qualche anno prima".
Whistleblower Julian Assange has given one of his most incendiary interviews ever in a John Pilger Special, courtesy of Dartmouth Films, in which he summarizes what can be gleaned from the tens of thousands of Clinton emails released by WikiLeaks this year.
READ TRANSCRIPT: http://on.rt.com/7ty5
Un passo dell'intervista che Julian Assange ha concesso al giornalista australiano John Pilger: l'ISIS è stato pagato dai governi dell'Arabia Saudita e del Qatar, gli stessi che hanno sempre finanziato la Fondazione Clinton. L'intervista completa è qui: https://www.youtube.com/watch?v=_sbT3_9dJY4
La sconfitta della Clinton è anzitutto la sconfitta di Obama che, sceso in campo a suo fianco, vede bocciata la propria presidenza. Conquistata, nella campagna elettorale del 2008, con la promessa che avrebbe sostenuto non solo Wall Street ma anche «Main Street», ossia il cittadino medio. Da allora la middle class ha visto peggiorare la propria condizione, il tasso di povertà è aumentato, mentre i ricchi sono divenuti sempre più ricchi. Ora, presentandosi come paladino della middle class, conquista la presidenza Donald Trump, l’outsider miliardario.
Che cosa cambia nella politica estera degli Stati uniti con il cambio di guardia alla Casa Bianca? Certamente non il fondamentale obiettivo strategico di rimanere la potenza globale dominante. Posizione che vacilla sempre più. Gli Usa stanno perdendo terreno sul piano economico e anche politico rispetto alla Cina, alla Russia e ad altri «paesi emergenti». Per questo gettano la spada sul piatto della bilancia. Da qui la serie di guerre in cui Hillary Clinton ha svolto un ruolo da protagonista.
Come risulta dalla sua biografia autorizzata, fu lei che in veste di first lady convinse il consorte presidente a demolire la Jugoslavia con la guerra, iniziando la serie degli «interventi umanitari» contro «dittatori» accusati di «genocidio». Come risulta dalle sue mail, fu lei che in veste di segretaria di stato convinse il presidente Obama a demolire la Libia con la guerra e a iniziare la stessa operazione contro la Siria. Fu lei a promuovere la destabilizzazione interna del Venezuela e del Brasile e il «Pivot to Asia» statunitense in funzione anticinese. Ed è sempre stata lei, tramite anche la Fondazione Clinton, a preparare in Ucraina il terreno per il putsch di Piazza Maidan che ha dato il via alla escalation Usa/Nato contro la Russia.
Dato che tutto questo non ha impedito il relativo declino della potenza statunitense, spetta all’amministrazione Trump correggere il tiro mirando allo stesso obiettivo. Irrealistica è l’ipotesi che intenda abbandonare il sistema di alleanze incentrato sulla Nato sotto comando Usa: sicuramente però batterà i pugni sul tavolo per ottenere dagli alleati un maggiore impegno soprattutto in termini di spesa militare.
Trump potrebbe ricercare un accordo con la Russia, anche con l’intento di dividerla dalla Cina verso la quale annuncia misure economiche, accompagnate da un ulteriore rafforzamento della presenza militare Usa nella regione Asia-Pacifico.
Tali decisioni, che porteranno sicuramente ad altre guerre, non dipendono dal temperamento bellicoso di Donald Trump, ma dai centri di potere dove si trova il quadro di comando da cui dipende la stessa Casa Bianca. Sono i colossali gruppi finanziari che dominano l’economia (solo il valore azionario delle società quotate a Wall Street supera quello dell’intero reddito nazionale degli Stati uniti). Sono le multinazionali, le cui dimensioni economiche superano quelle di interi stati, che delocalizzano le produzioni nei paesi che offrono forza lavoro a basso costo, provocando all’interno chiusura di fabbriche e disoccupazione (da qui il peggioramento delle condizioni della middle class statunitense). Sono i giganti dell’industria bellica che guadagnano con le guerre.
È il capitalismo del 21° secolo, di cui gli Usa sono la massima espressione, che crea una crescente polarizzazione tra ricchezza e povertà. L’1% della popolazione mondiale possiede più del restante 99%.
Alla classe dei superricchi appartiene il neopresidente Trump, al quale il premier Renzi, in veste di Arlecchino servitore di due padroni, ha già giurato fedeltà dopo averla giurata al presidente Obama.
USA : Welcome to the Trump show
- 15 Nov 2016
The rise to power of the “real Donald Trump” has been met with fear and horror by most observers. Beyond his firebrand discourse against the elites and a campaign centered around awakening a national feeling with the slogan “Make America Great Again”, what will his policies mean for the 99% ? In order to separate truth from fiction in his programme, we have interviewed John Catalinotto, editor of the journal Workers World and keen observer of American politics.
Donald Trump will be the next president of the United States. How would you define him ?
Europeans could think of Donald Trump as a combination of the worst characteristics of Silvio Berlusconi and Marine Le Pen. He is personally rich, egotistic and arrogant. He’s taking an executive office to manage the biggest state budget and the most destructive military machine in the world. Plenty of other capitalist politicians, Republicans and Democrats, including Hillary Clinton, also support reactionary and pro-war politics, which are dangerous for the world. What’s different is that Donald Trump openly gives voice and a platform for anti-Muslim, anti-immigrant, racist and anti-women rhetoric and thus his victory promotes a mobilization of the most bigoted segments of U.S. society.
Comparing to the policies of the Obama administration, what could change for working class, afro american, latin american as well as for immigrant people?
In the United States, the working class consists of many people of Indigenous, African-American, Latin-American, east and west Asian and Pacific Island heritage, including many immigrants. The workers are men and women; they are LGBTQ. They are employed and unemployed. A large minority of workers are men of European heritage.
I would expect that Trump in the White House and the Republicans controlling both houses of Congress will mean an open attack on all workers, on their unions, on their social benefits. Something like what happened in Argentina when Macri replaced Cristina Kirchner. Something like what happened in the states of Wisconsin and also North Carolina when “Tea Party” Republicans became governors. It’s not that Clinton or even Obama promote workers’ rights, but they did not open a direct attack on these rights.
Obama deported 1-2 million undocumented workers. Trump says he will even more actively deport undocumented immigrants and his election has spread fear in the immigrant community. Trump has spoken out in support of aggressive police tactics, so we can expect Trump’s election to make the cops even more arrogant and aggressive in the Black communities. Trump vilifies Muslims and the worst racists are assaulting Muslims.
But his election has another side. Sophisticated politicians like Obama and even Clinton hide the utter decay of U.S. imperialism. Trump’s election exposes the rot. He is already recruiting his governing “team” from the cesspool of U.S. politics and media. It has aroused not only fear but rage. Tens of thousands of people have come into the streets, many who never demonstrated before in their lives. They now know they cannot remain neutral. They have been propelled to take a stand. Some feel personally under attack by a Trump presidency. Some feel solidarity with groups that are the direct targets and will join organizations that defend them. Whatever the initial spark, once they are in motion their lives can change. It is our job, as revolutionaries, to give direction to that change.
How was the mainstream media coverage of Trump’s campaign ? Is Trump the tree that hides the forest?
There are different wings of what I would call the corporate media. There is an establishment media: Wall Street Journal, New York Times, Washington Post, Los Angeles Times, the broadcast TV news and CNN and MSNBC. There is a large ultra-right wing media: Fox News, Murdoch’s newspapers, radio talk shows.
In the beginning of Trump’s campaign he got enormous free publicity from both wings of the corporate media. This was partly driven by Trump’s position as a bizarre billionaire celebrity. Covering him made profits for the media. Plus it injected a good dose of reactionary ideology into the campaign. It created a reactionary “populist” alternative to Bernie Sanders’ campaign.
Regarding what comes next, one thing for sure is that Trump is incapable of “bringing jobs back to the U.S.” by renegotiating or breaking trade pacts. The industrial jobs are gone less because of globalization than because of the inexorable technological advance of capitalist industry. The economic crisis will deepen. Capitalism is at a dead end. The left must find a way to defend the most oppressed sectors of the working class – more than that, it is these sectors that will provide leadership – and unite the whole class first against the reactionary Trump policies and then against the whole rotten capitalist system.
What can we expect from his foreign policy?
Actually the decline of U.S. imperialism pushes the government toward adventurous wars no matter who the president is. Obama campaigned to end wars, but has intervened in at least seven countries with military forces and many more through subversion. Hillary Clinton is a pro-Pentagon warmonger. Trump is more erratic, a loose cannon, even though he claims to be ready to negotiate with Russia. He also says he wants to break the deal with Iran and with Cuba. And impose tariffs on China. We must be ready to oppose all new wars.
So you believe he will just follow the same course?
Both Trump and Clinton, both the establishment Republicans and the establishment Democrats and even the Bernie Sanders wing serve the interests of U.S. imperialism. Imperialism is not a policy of a group of politicians. It is an economic system that means the domination of finance capital. The current failure of this system to generate profits by relatively peaceful measure means that whoever is at the helm of U.S. imperialism has enormous pressures driving them toward war.
Everyone who is aware of the events of the last decade knows that Hillary Clinton supported all the wars: against Afghanistan, Iraq, Libya, Syria, the subversion against Venezuela and other progressive nationalist governments in Latin America. If they follow closely, they know that even though Obama came into office with plans to end the U.S. interventions in Afghanistan and Iraq, the Pentagon pushed him to first increase troops in Afghanistan and that the U.S. has now begun to reintroduce troops into Iraq. In Syria a temporary agreement between the U.S. and Russia was almost immediately sabotaged by a military attack that had the support of elements of the U.S. state apparatus, certainly of the Pentagon.
Trump has never been involved in U.S. foreign policy decisions so he has no track record. What he said during the election campaign was aimed at what he believed would help his chances for elections. It may have little to no relation to what he actually does in office. Sometimes what he says in the beginning of one sentence is contradicted by what he says at the end of the sentence. He said the U.S. will recognize Jerusalem as capital of Israel, that he will break the deal with Iran and with Cuba. He also said he would follow a more open policy of negotiations with Russia. I doubt any serious government has confidence in his words of peace. We in the small pro-communist movement here certainly have no confidence he will wage a less aggressive policy. We need to build a movement here that can fight both U.S. imperialism abroad and his reactionary policies at home.
And how should this movement emerge?
There is a certain amount of confusion in the anti-imperialist movement in Europe about Trump’s role. One can understand the Schadenfreude about Clinton’s defeat. They all know how aggressive Clinton is. They may have given up on the U.S. working class. But we in the United States need to develop a movement against U.S. wars. We can only do it if the most oppressed sectors of the U.S. working class not only join in but lead this struggle. Those abroad who gloat over Trump’s victory alienate the immigrants, the Black population, the activist women, the LGBTQ people, the Muslims, all who fear a Trump presidency or better, are moved to rage against a president who is “not their president.”
The only positive thing that came out of this disgusting 18-month-long bourgeois election is that thousands of people have been demonstrating day after day since the election against the new president. Some may be for Hillary Clinton for some misguided reasons, but mainly those in the streets are against Trump and all he stands for. They are not in the streets because he says he’ll negotiate with Russia. Those here who want to fight imperialist war have to be in the streets with all these people. They are frightened, they are angry, they are going through a change, they are reexamining all their ideas. We have to be with them to try to win them to fight not only Trump’s racism, sexism and xenophobia but all imperialist war.
John Catalinotto has been active in anti-imperialist politics since the October Missile Crisis in 1962. Since 1982, he has been managing editor of Workers World, the last pro-communist newspaper still published weekly in print in the USA. He was a co-organizer of the Yugoslavia War Crimes Tribunal in New York in June 2000 and the Iraq War Crimes Tribunal in New York in 2004, both with the International Action Center, a U.S.-based organization founded by Human Rights activist Ramsey Clark. He has edited and contributed to two books, Metal of Dishonor about depleted uranium and Hidden Agenda: the U.S.-NATO Takeover of Yugoslavia. He has an upcoming book, Turn the Guns Around: Mutinies, Soldier Revolts and Revolutions.
Alex Anfruns is a lecturer, journalist and editor-in-chief of independent media outlet Investig’Action in Brussels. In 2007 he helped direct the documentary “Palestina, la verdad asediada. Voces por la paz” (available with catalan, spanish, english and arabic subtitles). Between 2009 and 2014 he made several trips to Egypt and the occupied Palestinian territories. He has edited the monthly Journal de Notre Amérique since 2015.
Source: Investig’Action
This article is also available in : French
Il serait l’un des principaux organisateurs de la tentative de « coup d’État » ratée du 16 octobre dernier. Le ressortissant serbe Aleksandar Sinđelić est détenu depuis le 1er novembre à la prison de Spuž, au Monténégro. L’homme est également recherché par la justice ukrainienne, car il aurait combattu aux côtés des forces pro-russes dans ce pays...
Un putsch raté le soir des législatives ? L’ancien chef de la gendarmerie serbe, Bratislav Dikić, arrêté au Monténégro le 16 octobre avec dix-neuf individus, dénonce un coup monté. Les preuves contre lui ont été fabriquées de toutes pièces, affirme-t-il. Belgrade assure ne rien savoir. Mais d’autres personnes, soupçonnées de fomenter un coup d’État au Monténégro, ont depuis été interpelées en Serbie, a déclaré le Premier ministre serbe Vučić...
Sezona 2 | Epizoda 1. Gosti: Adam Šukalo, Čedomir Antić, Darko Trifunović, Srđan Perišić
Tema: Šta se, zapravo, desilo na izborima u Crnoj Gori i šta se dešava u regionu?
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=oP0EdjFoMdQ
Emisija „Globalno sa Borisom Malagurskim“ bavi se svetskim temama iz domaće perspektive i domaćim temama iz svetske perspektive, kroz diskusiju sa relevantnim stručnjacima iz našeg regiona, kao i intervjue sa stranim ekspertima širom sveta.
Facebook: http://www.facebook.com/malagurski
Podržite novi film Borisa Malagurskog: http://www.WeightOfChains.ca/3/
Dimanche, le DPS de l’indéboulonnable Milo Đukanović a remporté un succès étriqué lors des législatives, nouvelle preuve de son essouflement après un quart de siècle de pouvoir ininterrompu. L’opposition dénonce de nombreuses irrégularités et une obscure « tentative de coup d’État » serbe orchestrée par le pouvoir pour mieux remobiliser ses troupes. Si le gospodar reste encore maître de la situation, le Monténégro est-il à la veille d’un chamboulement politique ?...
VIDEO: https://youtu.be/synEBPGUKI4?t=5m18s
Les partis d’opposition s’allient pour dénoncer les fraudes et les irrégularités lors des élections législatives du 16 octobre. Ils dénoncent surtout l’instrumentalisation par le DPS de l’arrestation de 20 serbes soupçonnés d’avoir fomenté un coup d’État. Explications.
Anche questa volta si è parlato di come il potere di Đukanović fosse più debole che mai. Ma si fatica ancora a vedere, anche in futuro, un Montenegro senza di lui.
... Il premier serbo Vučić opportunamente commenta: "A me che tutto questo succeda proprio il giorno delle elezioni pare molto strano, ma è meglio che sto zitto"...
Većina krivičnih prijava se odnosi na kupovinu ličnih karata, pritiske i predizborna potkupljivanja birača.
Pozivamo Specijalnog tužioca da obavijesti javnost o rezultatima postupanja tužilaštva i policije po krivičnim prijavama podnešenim u toku izbornog dana.
MANS se zahvaljuje na ukazanom povjerenju svim građanima koji su nas tokom izbornog dana kontaktirali tražeći pomoć u ostvarivanju biračkog prava, ali i ukazivali i prijavljivali izborne zloupotrebe i krivična djela.
Montenegro: nuovo premier, solito governo
Đukanović non sarà più premier. Al suo posto il fedelissimo - ex capo dei servizi segreti - Duško Marković. I retroscena della recente tornata elettorale
Dopo aver ottenuto il 41% dei voti alle politiche dello scorso 16 ottobre, il Partito democratico socialista (DPS), che governa il Montenegro ininterrottamente dal 1991, ha nominato a guida del nuovo governo Duško Marković, ex capo dei servizi segreti, da decenni noto come uno dei principali uomini di fiducia del premier uscente, Milo Đukanović.
Per la terza volta da quando è al potere, Đukanović ha annunciato quindi il suo ritiro, sempre però con il vantaggio di essere lui stesso - dalla posizione di capo del partito - a nominare il proprio successore, mantenendo una forte influenza pur non governando direttamente. Non sorprende quindi che anche questa volta a rimpiazzarlo sia stato scelto un suo fedelissimo.
All’Ue e alla Nato quest’ultima mossa da scacchi di Đukanović fa comodo, in quanto toglie di mezzo, almeno in apparenza, uno scomodo e controverso leader che governa da quasi tre decenni un paese prossimo all’adesione. Per Đukanović, significa il lusso di poter mantenere le redini del potere, pur ritirandosi (o come sospettano alcuni, prendendosi una pausa) dall’incarico del quale si diceva stanco già dieci anni fa.
Elezioni "calme e ordinate"
Bruxelles è sembrato avere fretta nel definire le elezioni del 16 ottobre come ‘calme e ordinate’, svolte in un ambiente “competitivo”. Una valutazione in dissonanza con il (presunto?) tentato colpo di stato e la decisione del governo di bloccare Whatsapp e Viber il giorno delle elezioni.
Per Daliborka Uljarević, direttrice del Centro per la transizione democratica, CDT, le elezioni si sono svolte, “a dir poco, in un clima di tensione”, mentre le numerose irregolarità hanno “messo in seria discussione la legalità e la legittimità della giornata elettorale”.
Due settimane prima delle elezioni il ministro degli Interni Goran Danilović - rappresentante dell’opposizione nel governo Đukanović, rimpastato con lo scopo di garantire un maggiore controllo del processo elettorale - ha rifiutato di firmare il registro elettorale per via di decine di migliaia di nominativi ritenuti irregolari, senza però riuscire a bloccare le elezioni in attesa della soluzione delle irregolarità. Alcune ong, tra cui MANS, hanno parlato persino di 120 mila nomi irregolari sui 590 mila aventi diritto al voto in Montenegro: quasi un quinto. Mentre il Fronte democratico (DF), la maggior forza di opposizione, ha parlato di almeno 80 mila nomi falsi (morti, espatriati, ecc). Inoltre, numerose sono state le accuse di irregolarità durante la giornata elettorale (più di cento denunce presentate solo da MANS) e numerosi gli episodi di compravendita dei voti con tanto di prove riportate dai media locali.
Ma due episodi hanno particolarmente dato alla giornata elettorale un’aria da regime tutt'altro che libero e sicuro: il tentato colpo di stato e la decisione del governo di sospendere Whatsapp e Viber fino alla chiusura dei seggi.
Mentre i cittadini si recavano alle urne, le autorità annunciavano di aver arrestato 20 uomini di nazionalità serba con l’accusa di aver programmato di aggredire la polizia davanti al Parlamento e annunciare la vittoria di un partito, non meglio precisando quale, di loro scelta. Tra gli arrestati, l’ex capo della gendarmeria serba in pensione, Bratislav Dikić.
Molti, compresa la Uljarević di CDT, hanno descritto questo evento come “cinematografico” per via della tempistica e delle modalità con cui l’evento si è sviluppato, in contemporanea con la tornata elettorale. Mentre Đukanović insinuava il coinvolgimento delle forze vicine alla Russia, per l’opposizione si trattava di una messa in scena da parte di Đukanović stesso, che avrebbe potuto usarlo nel caso di sconfitta elettorale per annullare le elezioni e inasprire il suo controllo sul paese.
Intanto, anche il premier serbo Aleksandar Vučić ha annunciato lo scorso lunedì che le autorità di Belgrado hanno arrestato diverse persone con l’accusa di aver pedinato Đukanović programmando attività illegali in Montenegro, sottolineando l’assenza di collegamenti degli arrestati con il governo serbo.
Per Uljarević si è trattato di “un evento che ha disturbato i cittadini, mentre le istituzioni, fornendo informazioni selettive e agendo con modalità insolite, hanno innalzato la tensione durante la giornata elettorale aprendo la questione della legittimità o meno delle elezioni”.
Il blocco di Whatsapp e Viber
Il giorno delle elezioni, dalle 17 alle 19.30 Whatsapp e Viber non erano disponibili in Montenegro. L’ente competente, l’Agenzia per le comunicazioni elettroniche, si è giustificata annunciando che è stata una decisione mirata “a proteggere i cittadini” da un’inondazione di messaggi di contenuto politico. Una decisione del tutto legale e in linea con gli standard internazionali, hanno precisato.
Per Uljarević con questa decisione l’Agenzia si è messa “al servizio del partito di Đukanović”.
“L’agenzia è giunta a questa decisione per proteggere il DPS, contro il quale erano partiti numerosi messaggi. Questo tipo di limitazione dei mezzi di comunicazione contrario alla volontà degli utenti rappresenta una chiara violazione degli standard democratici”, ha osservato l’analista.
In effetti, come precisato dalla stessa Agenzia, si è trattato di messaggi anti-Đukanović, e in particolare di un messaggio in cui si invitavano i cittadini a votare, e si facevano riferimenti a episodi di compravendita di voti. Così recita il messaggio:
“Il Partito democratico socialista (DPS) sta organizzando i bosgnacchi e gli albanesi e l’intera diaspora e paga 250 a voto. Zijad Škrijelj, residente in Francia, ha detto al quotidiano Vijesti che è stato invitato da Izet Škrijelj, membro del consiglio comunale a guida DPS a Petnjica, promettendogli 250 euro per le spese di viaggio. Questo sta accadendo in tutto il Montenegro tra i bosgnacchi e gli albanesi. Non permettete al DPS di rubare altre elezioni - andate a votare!!!”
“In questo contesto, è difficile aspettarsi che il Montenegro possa ottenere un governo stabile e credibile solo col DPS e i suoi partner tradizionali, ed anche che un governo del genere sia capace di portare a termine le riforme e le sfide richieste dal processo di adesione all’Ue e alla Nato, con un consenso adeguato da parte dei cittadini”, ha concluso la Uljarević, sottolineando che “è riduttivo dire che che la scelta tra DPS e l’opposizione era una semplice opzione pro-Ue o pro-Russia”, dato che oltre all’euroscettica e pro-russa coalizione DF (20% di voti) tra le forze dell'opposizione vi era tutta una serie di piccoli partiti pro-europei che non hanno ottenuto risultati soddisfacenti pur essendo entrati in Parlamento.
La riforma, la guerra e il “rischio Stranamore”
Зашто упућивање хрватске јединице на границу Русије изазива еуфорију и одушевљење код већине Хрвата? ...
Après avoir longtemps eu recours à des bataillons d’irréguliers pour mener la guerre dans l’Est du pays, Kiev vient d’interdire l’entrée sur son territoire aux volontaires croates du bataillon Azov. Une reprise en main des forces de sécurité ukrainiennes qui s’effectue sous la pression des Occidentaux...
http://www.courrierdesbalkans.fr/le-fil-de-l-info/retour-des-engages-volontaires-croates-en-ukraine.html
Izgleda da su ukrajinske vlasti počele 'čistiti' svoje oružane formacije od stranih boraca od kojih je najveći dio pristigao iz raznih europskih krajnje desničarskih grupa i pokreta...
Scritto da Grey Carter
La ministra croata degli affari esteri ed europei Vesna Pusic ha confermato che mercenari croati combattono in Ucraina, ma, come dice lei, 'solo all'interno dell'esercito regolare dell'Ucraina.'
"Sono al corrente del fatto che ci sono soldati croati in Ucraina, all’interno dell'esercito ucraino", ha detto Pusic in risposta alle domande dei giornalisti prima della riunione del governo, ha riferito ieri l’agenzia Tanjug.
"Tutto ciò è gestito dall'Agenzia di Sicurezza e di Intelligence, e non ha alcun collegamento con le unità paramilitari, e noi siamo in contatto permanente con l'agenzia", ha detto la Pusic.
Ha sottolineato che i croati stanno combattendo dalla parte ucraina (Kiev), e solo come parte del regolare esercito ucraino, ma non ha specificato quanti mercenari combattano all’interno delle formazioni neonaziste della Giunta ucraina. Allo stesso tempo, i media croati hanno scritto che decine di croati si sono uniti al famigerato battaglione Azov, un gruppo paramilitare di volontari con sede a Mariupol. Questa unità è sotto il comando del Ministero degli Interni ucraino ed è collegato all’estrema destra. La metà dei mercenari del battaglione Azov sono stranieri, riferisce la HINA.
Si tratta chiaramente di una storia che si ripete, dal momento che in entrambe le guerre mondiali il meschino vicino dei serbi, contribuì prima alle spedizioni austroungarico, e poi a quelle della Germania nazista nell’est Europa.
Il giorno dell'invasione tedesca dell'Unione Sovietica, 22 giugno 1941, il "Poglavnik" (duce) dello Stato indipendente di Croazia, Ante Pavelic, incontrò la leadership militare e civile della Croazia per decidere quale sarebbe stato il modo migliore per sostenere il loro alleato tedesco. Tutti erano fortemente a favore dell'attacco tedesco, vedendo l'invasione come una battaglia tra le forze progredite dell'Europa contro le forze comuniste dell’Oriente. Tutti i presenti hanno convenuto che la Croazia dovrebbe partecipare all'invasione a fianco della Germania. A tal fine è stato contattato il rappresentante militare tedesco in Croazia, Edmund Glaise von Horstenau.
Von Horstenau suggerì che Pavelic preparasse una lettera a Adolf Hitler, per offrirgli la partecipazione di truppe croate sul fronte orientale. Pavelic preparò questa lettera il giorno successivo, il 23 giugno 1941. Nella sua lettera, Pavelic spiegava a Hitler il desiderio del popolo croato di unirsi alla battaglia di "ogni nazione amante della libertà contro il comunismo". Pavelic auspicò che le forze di terra, di mare e di aria, fossero impegnate "il più presto possibile" per combattere a fianco della Germania. Hitler rispose alla lettera di Pavelic il 1 ° luglio 1941, accettando l'offerta croata e ringraziando per il loro servizio. Hitler era del parere che le forze di terra potevano essere inviate rapidamente, mentre le forze aeree e navali avrebbero avuto bisogno di un tempo più lungo per essere adeguatamente addestrate e attrezzate. Il 2 luglio 1941, Pavelic ordinò che fossero chiamati volontari da tutti i corpi delle Forze Armate della Croazia per aderire alla guerra nell’est.
Il contingente di terra delle previste formazioni croate fu il primo a venir formato. I croati speravano di arrivare a un totale di 3.900 volontari, in modo da formare una unità del reggimento, ma al 15 luglio 1941, 9.000 uomini si erano già offerti per andare volontari! Visto l’alto numero di adesioni, furono considerevolmente resi più severi criteri per l'accettazione. Quando infine fu organizzato il reggimento, il 16 luglio 1941, gli fu dato il nome Verstärken Kroatischen Infanterie-Regiment 369, ovvero 369 Reggimento Croato Rafforzato di Fanteria.
Il Reggimento aveva 3.895 tra ufficiali, sottufficiali e soldati. Come parte della Wehrmacht gli uomini del gruppo dovevano indossare uniformi tedesche e utilizzare le insegne militari tedesche.
Il Reggimento era composto da 3 battaglioni di fanteria, una compagnia di mitragliatori, una compagnia anticarro, una di artiglieria e una di vettovagliamento.
Il Reggimento era stato definito "rafforzato" a causa delle artiglierie annesse, che non erano normalmente affidate ad una unità di reggimento di quelle dimensioni. Il comandante del reggimento era il colonnello Ivan Markulj.
Nello stesso tempo fu inoltre organizzato un battaglione di sostegno per il Reggimento. Aveva la sua base nella città di Stokerau in Austria, la sua funzione principale era quella di preparare le sostituzioni per i combattimenti del Reggimento che combattevano al fronte. Il reggimento fu trasportato a Döllersheim in Germania, dove fu equipaggiato e gli uomini fecero il loro giuramento al Fuhrer, al Poglavnik, alla Germania e alla Croazia. Ci furono poi tre settimane di addestramento, dopo di che il Reggimento fu trasferito in treno attraverso l'Ungheria a Dongena, in Bessarabia.
Da lì il reggimento partì con una marcia forzata di 750 km attraverso l'Ucraina per raggiungere le linee del fronte. La marcia durò 35 giorni, con un solo giorno di riposo. Dopo 35 giorni di marcia fu raggiunta la destinazione d Budniskaja in Ucraina e al reggimento fu concessa una settimana di riposo.
Durante la marcia forzata, 187 membri del Reggimento furono rimandati in Croazia per vari motivi di salute e due soldati furono giustiziati per aver lasciato le loro postazioni di guardia. A Budniskaja, un gruppo di esperti addestratori tedeschi raggiunse il reggimento per completare la sua formazione e introdurli sulla linea del fronte.I 9 Ottobre 1941, il Reggimento 369 fu assegnato alla divisione 100.Jäger. Il 13 ottobre, il reggimento partecipò alla sua prima battaglia a est del fiume Dnjeper. Da qui in poi si combatté intorno ai villaggi e le città di Petrusani, Kremencuga, Poltava, Saroki, Balti, Pervomajsk, Kirovgrad, Petropavlovsk, Taranovka, Grisin, Stalino, Vasiljevka, Aleksandrovka, Ivanovka, e Garbatovo. Quello che i documenti rivelano è che nel mese di luglio 1942, mentre il reggimento ha combatteva verso nord-est, e poi si spostava a sud-est lungo il fiume Don, i croati subirono pesanti perdite nelle battaglie intorno alla fattoria collettiva (kolhoz) nota come "Proljet Kultura" vicino alla città di Selivanova. Il 24 settembre del 1942, Ante Pavelic fece una visita al Reggimento e premiò con decorazioni vari uomini dell'unità.
Infine, il 26 settembre 1942, il reggimento ricevette l'ordine di spostarsi. Dopo una marcia di 14 ore, il reggimento arrivò nella periferia fatale di Stalingrado.
Il Reggimento 369 divenne così l'unica unità di non-tedeschi a partecipare all’attacco a Stalingrado. 'Questo è stato effettivamente considerato come un grande onore' - un premio per le sue battaglie dure e per gli ottimi successi fino a quel momento.
Gli uomini del Reggimento parteciparono all'aggressione, al tentativo di invadere ed occupare Stalingrado. Una tipica giornata di lotta a Stalingrado per gli uomini del Reggimento è stata descritta così dal loro Comandante nazista, tenente Bucar: "... Quando siamo entrati a Stalingrado, era distrutta e in fiamme. Ci siamo rifugiati in trincee e bunker, mentre il nemico ci colpiva con l’artiglieria, i razzi Katiusha, e con gli aerei. Ho avuto la fortuna di non perdere nessun uomo, ma il secondo plotone ha avuto un morto e 5 feriti, e il Terzo Plotone 13 morti e vari feriti. Intorno alle 06:00, gli aerei Stuka tedeschi hanno bombardato la zona davanti a noi, ed è stato ordinato un attacco verso la parte settentrionale della città. La missione del mio plotone era quella , in congiunzione con una unità tedesca, di “ripulire” la stazione merci, e quindi la diga della ferrovia, e raggiungere il fiume Volga. La notte giunse sotto un costante bombardamento. Non ho perso neanche un uomo, ma la nostra unità di trasporto è stata colpita gravemente, e ho perso 10 uomini, 40 cavalli e un camion con attrezzature munizioni ...
"Al 13 ottobre il Reggimento 369 era ridotto a soli 983 uomini, compresi tutti i rinforzi arrivati da Stokerau. Sempre in questo giorno, il Reggimento avanzò di ulteriori 800 metri nel settore settentrionale di Stalingrado.
Il 16 ottobre 1942, il colonnello-generale Sanne decorò il sergente croato Dragutin Podobnik con la Croce di Ferro di prima classe per estremo eroismo durante la presa della fabbrica Ottobre Rosso il 30 settembre. Il colonnello Pavicic viene decorato con questa medaglia per il suo eccellente comando del Reggimento. Il 6 novembre, i resti del gruppo croato vengono congiunti al 212 ° reggimento di fanteria della Germania nazista.
E, infine, furono sconfitte le forze naziste: "All’arrivo di dicembre, i pochi soldati croati superstiti sono congelati, affamati e vi è una generale mancanza di munizioni e armi. Il comandante, colonnello Pavicic, vive in un suo mondo, scrivendo irrilevanti ordini giornalieri per le truppe e le unità che non esistono più. Il 17 dicembre, il fiume Volga gelò permettendo ai sovietici di aprire un altro fronte su quel lato della cittàl.”
Nel giorno di Natale del 1942, il tenente Korobkin scrisse:
(...) "Oggi, 25 dicembre, 1942, intorno a mezzogiorno, il nemico (i russi) ha attaccato ... I nostri difensori sono sotto costante fuoco dalla 'casa bianca piccola' attraverso l’edificio numero 2. Un cannone nemico ha distrutto la nostra mitragliatrice. Contemporaneamente a questo attacco al nostro fianco sinistro, il nemico ha attaccato il fianco destro. (...) Nel reggimento sono orgogliosi di avere guerrieri come noi croati in mezzo a loro. I sergenti Ante Martinovic e Franjo Filcic sono stati uccisi in questo contrattacco, 12 uomini sono feriti. "
Il 16 gennaio 1943 i sovietici lanciarono un attacco da tre lati alle postazioni croate,.che si ritirarono indietro di parecchie strade e un gruppo guidato dal tenente Fiember rimase tagliato fuori. Sotto attacco pesante, questo gruppo di collaboratori nazisti a corto di munizioni fu successivamente distrutto. “Il comando tedesco ha ordinato che gli ultimi croati sopravvissuti fossero portati via dalla prima linea e impiegati nello scavare le fortificazioni intorno alla ex Accademia Sovietica d’Aviazione, che sarebbe servita come ultima linea di difesa dell’unità. "
Il 2 febbraio 1943, Stalingrado era libera.
La 369 divisione di fanteria (croata) -
A metà del 1941, visto il successo dei soldati croati sul fronte orientale, e cominciando ad aver bisogno di tutti gli uomini possibili per la guerra in corso, l'esercito tedesco decise di formare una divisione legionaria croata. Il piano era di inviare questa divisione a combattere in Russia.
Gli uomini furono organizzati in due Reggimenti di fanteria-granatieri, il 369 e il 370 reggimento croato. Ognuno era formato da tre battaglioni di fanteria e una compagnia di mortai. Un reggimento di artiglieria, il 369 Reggimento di Artiglieria Croato, formato a sua volta di due battaglioni leggeri di tre batterie e un battaglione pesante di 2 batterie ciascuna, fu anche costituito insieme a varie unità di supporto: un battaglione ingegneri, un battaglione segnali, una truppa di vettovagliamento, una compagnia di manutenzione , tre compagnie di gestione, una compagnia medica, una veterinaria, e un distaccamento di polizia militare. La divisione ricevette il nome di "369 divisione di fanteria croata", ma fu chiamata dai suoi membri “Divisione Diavolo", "Vrazja".
Il nome "Vrazja" risale a una divisione croata (la 42 °) dell'esercito austro-ungarico nella prima guerra mondiale, nota per i crimini commessi in Macva, Serbia, dove massacrarono vecchi, donne e bambini. L’avvocato svizzero Archibal Reiss era sconvolto da ciò che vide in Serbia, una brutalità e bestialità inimmaginabili per una persona sana di mente, come testimonia nei suoi rapporti.)
I tedeschi, d'altra parte, preferirono chiamare la divisione "Schachbrett" o "Scacchiera" , riferendosi al distintivo dei croati. La Divisione indossava uniformi e insegne tedesche, e solo il distintivo croato per identificarla come unità di volontari croati. A differenza del primo Reggimento 369, la nuova Divisione 369 portava il suo distintivo sulla manica destra. Si noti che, dopo che il primo Reggimento 369 era statodistrutto a Stalingrado, la nuova divisione aveva intitolato uno dei suoi reggimenti "369" per 'onorare' i loro compagni caduti sul fronte orientale.
Nel gennaio 1943 fu deciso che la situazione in Croazia stava diventando critica a causa delle forze antifasciste della Serbia e del Montenegro, quindi la divisione fu inviata nei Balcani. Al suo arrivo in Croazia, la divisione nazista aveva circa 14.000 uomini nella sua prima operazione nel nord della Bosnia, che fu chiamata "Weiss" (bianco). Questa battaglia è a volte indicata come la Battaglia della Neretva. Gli antifascisti sfuggirono alla trappola pianificata sul fiume Neretva, così i croati non riuscirono a distruggerli. A novembre, la situazione militare in Croazia era diventata critica per l'Asse.
La 373 Divisione di Fanteria Croata.
Il 6 gennaio 1943, l'esercito tedesco formava una seconda divisione tedesco-croata a Döllersheim (Germania), per utilizzarla in Croazia contro i Serbi e contro i partigiani.. Fu chiamata 373 Divisione di Fanteria Croata. La divisione fu soprannominata "Tigar" (Tiger) dai suoi uomini. Il comandante era il tenente generale tedesco Emil Zellner. La maggior parte degli ufficiali era tedesca, così come un gran numero di NCO, le.uniformi e le insegne erano tedesche, con il distintivo croato nazista sulla destra. La divisione fu organizzata in 2 Reggimenti di Granatieri-Fanteria, il 383 e il 384, un reggimento di artiglieria - il 373, e varie unità di supporto. La compagnia di vettovagliamento era fornita di cavalli.
Alla Divisione 373 fu assegnato uno spazio di operazioni che andava da Karlovac a est fino a Sarajevo a ovest, e dalla costa adriatica della Croazia nel sud fino al fiume Sava nel nord. La maggior parte delle «attività» erano a Banja Luka – nell’area Bihac. Nel maggio del 1944, la 373 partecipò all’Operazione "Rosselsprung" (Movimento del cavaliere), che era il tentativo di catturare il leader partigiano comunista Tito. Nell'autunno del 1944, la Divisione inglobò la 2 ° brigata Jager dell'esercito croato e il suo 3 ° Reggimento (385a croato Reggimento di Fanteria).
Il 6 dicembre 1944, la 373 partecipò ai massacri in zona Knin, dove fu pesantemente sconfitta. I sopravvissuti si ritirarono a nord-ovest verso Bihac. Nel gennaio del 1945, i resti della Divisione stavano combattendo nella zona di Bihac come parte del XV Corpo di Montagna tedesco.
Le battaglie continuarono con la Divisione che si spostava nella regione di Kostajnica a fine aprile del 1945.
I sopravvissuti si arresero ai partigiani ad ovest di Sisak nel maggio del 1945, e si unirono in massa alla resistenza partigiana.
La 392 Divisione di Fanteria Croata.
Il 17 Agosto 1943, l'esercito tedesco formò l'ultima delle divisioni tedesche-croato. Come il 373o prima di essa, la 392 è stata fondata a Döllersheim (Germania) per essere utilizzata in Croazia. Chiamata 392 divisione di fanteria (croata), la divisione fu soprannominata "Plava" (blu) dai suoi uomini. Il comandante era il tenente generale tedesco Hans Mickl. La maggior parte degli ufficiali era tedesca, così come lo erano un gran numero di NCO. Uniformi e insegne erano tedesche, con il distintivo croato sulla manica destra.
La Divisione fu organizzata in 2 Reggimenti di Granatieri-Fanteria - il 364 ° ed il 365 ° , un reggimento di artiglieria - il 392 Reggimento di Artiglieria Croato (2 battaglioni con 3 batterie leggere ciascuno), e unità di supporto Alla 392 Divisione fu assegnato uno spazio di operazioni che andava dalla Slovenia meridionale, lungo la costa adriatica croata, alla città di Knin. La divisione ha combattuto per lo più nella zona costiera settentrionale della Croazia, con le sue isole. Essa ha inoltre partecipato al tentativo di costruire un’area etnicamente pulita intorno alla Otocac – zona di Bihac, nel mese di gennaio, 1945. Durante un pesante attacco serbo, la 392 si ritirò verso ovest.
Il 24 aprile 1945 i nazisti croati della 392 si arresero ai partigiani. In seguito furono riabilitati dal croato Tito.
Quando il 'poglavnik' Ante Pavelic fece un appello ai volontari croati per andare sul fronte orientale (2 Luglio 1941), fu organizzata velocemente una unità di aviazione. -
Il colonnello Ivan Mrak fu nominato comandante della Legione. La Legione stessa fu trasformata in uno Squadrone di Combattimento (comandato dal Lt.Colonello Franjo Dzal) e uno Squadrone di Bombardieri (comandato dal Lt.Colonello Vjekoslav Vicevic). Lo Squadrone di Combattimento era ulteriormente suddiviso in 2 ali, come lo squadrone di Bombardamento. La Legione Aerea partì dalla Croazia per il periodo di formazione in Germania il 15 luglio 1941.
Lo Squadrone di Combattimento: un'ala dello Squadrone di Combattimento fu inviata nella zona di Furth, in Germania, per la formazione, l'altra ad Herzogen Aurah Airfield, nelle vicinanze. La formazione è iniziata il 19 luglio 1941, sulla Arado 96 e gli aerei Me D, e durò fino alla fine del mese di settembre 1941, da quel momento i legionari erano pronti per il fronte orientale e gli furono assegnati gli aerei da combattimento Messerschmitt Bf109.
Durante il corso della loro formazione, gli uomini erano stati abbigliati con le uniformi della Luftwaffe e con il distintivo croato dell’ Airforce Legione sulla destra del petto. Lo Squadrone ricevette il titolo ufficiale di 15’ (Kroatische) / JG 52 ', ed arrivò al suo primo campo di volo sul fronte orientale il 6 ottobre 1941, nei pressi di Poltava. Il 9 ottobre 1941, lo squadrone fece la sua prima azione nel settore di Ahtijevka-Krasnograd. Lo squadrone fu trasferito alla fine del mese di ottobre 1941 a Taganrog, e rimase in questa zona fino al 1 Dicembre 1941.
Il primo attacco di un pilota croato si verificò in questo periodo di tempo e lo attuò il capitano Ferenčina, il secondo fu attuato dal Lt.Colonel Dzal.
"Il 1 ° dicembre 1941, lo squadrone croato fu trasferito a Marinpol. Gli attacchi furono effettuati su colonne corazzate sovietiche intorno a Pokorovskoje, Matvejeva, Kurgan, Jeiska e Uspenskoje, e sulla linea ferroviaria Marinpol-Stalino. Inoltre, lo squadrone scortava i bombardieri tedeschi nelle loro missioni. "
Nel mese di aprile 1942, lo squadrone volò in missioni di scorta per i bombardieri Stuka, e protesse il campo d'aviazione Marinpol, e mitragliò le truppe sovietiche nella zona del Mar d'Azov. Più di nove aerei sovietici furono abbattuti in questo periodo. "Nel mese di maggio, lo squadrone fu trasferito prima in Crimea, e poco dopo nella regione di Artemovka-Konstantinovka.
Da questa base di operazione, lo squadrone volò in missioni di scorta per i bombardieri che attaccarono Sebastopoli e pattugliò la zona del Mar d'Azov. Altri quattro aerei sovietici furono abbattuti, e una motovedetta sovietica fu affondata. Dalla fine di maggio, fino al 21 giugno 1942 (la data del 1000’ volo dello Squadrone), più di 21 aerei sovietici furono abbattuti. Da questa data fino alla fine del mese di luglio 1942, furono abbattuti più di 69 aerei. Nel luglio 1944 lo squadrone fu trasferito in Croazia per combattere la crescente resistenza antifascista serba. I suoi membri parteciparono al genocidio di serbi, rom ed ebrei.
"A questo punto, lo squadrone aveva effettuato 283 attacchi, aveva 14 piloti con la qualifica Ace, e 4 piloti (Culinovic, Galic, Milkovic e Kauzlaric) che era stato decorato con la EKI e EKII."
Lo Squadrone Bombardieri: ufficialmente designato 15’ (Kroatische) / KG 53 ', lo squadrone fu dotato di aerei Dornier Do 17. Atrrivò sul fronte orientale il 25 ottobre 1941, dopo l'addestramento alla Grosse Kampfflieger Schule 3, a Greifswald, Germania. La loro prima area di operazioni fu vicino a Vitebsk.
Le restanti operazioni dello Squadrone di Bombardieri furono nel settore settentrionale del fronte orientale, compreso il bombardamento di Leningrado e Mosca. Il 9 novembre 1941, lo squadrone ricevette le congratulazioni del Fieldmarshall Kesselring per le sue azioni.
Dopo aver attuato 1247 sortite sul fronte orientale, lo squadrone fu sciolto nel dicembre del 1942, e integrato nelle Forze aeree croate per combattere contro i partigiani antifascisti.
Subito dopo l’appello di Pavelic ai volontari croati per combattere sul fronte orientale, fatto il 2 luglio 1941, un numero consistente di ufficiali della marina e di uomini si fece avanti per formare la Brigata Navale Croata. Questa Brigata aveva in tutto 343 membri, di cui 23 erano ufficiali, 220 sottufficiali e 100 marinai. Poco dopo la formazione, la Brigata ricevette il titolo di "Legione Navale Croata" (Hrvatska Pomorska Legija), ed entrò a far parte della marina tedesca (Kriegsmarine ). Il primo comandante di fregata fu il capitano Andro Vrkljan. In seguito fu sostituito dal capitano di corazzata Stjepan Rumenovic. La Legione Navale fu inviata per la formazione da un altro alleato dei tedeschi, la Bulgaria, a Varna, sul Mar Nero. Al suo arrivo a Varna il 17 luglio 1941, i Legionari croati ricevettero le loro uniformi e iniziarono l’addestramento su cacciamine e sommergibili tedeschi, in quanto dovevano essere i futuri equipaggi di queste navi nel Mar Nero. La formazione in questo periodo, al di là della formazione navale necessaria , consisteva nell’addestramento della fanteria, nello studio dei segnali, nel canottaggio, e nell'insegnamento della lingua tedesca. L’ammiraglio tedesco Schuster è stato uno dei dignitari che ha fatto visita ai legionari croati durante la loro formazione in Bulgaria. L’addestramento fu completato il 22 settembre 1941, e lo stesso giorno la Legione partì per l'Unione Sovietica, dove arrivarò il 30 settembre 1941. La denominazione ufficiale militare per la Legione era 23.Minesuch-Flottiglia, o 23 Sminare Flotilla. Alla fine del settembre 1941, la Legione era di stanza a Geniscek. In quel momento solo la Legione Croata, una squadra di cavalieri rumeni e una piccola guarnigione tedesca rimanevano in città. "E 'interessante notare che, durante il loro turno di servizio in Crimea, Mar d'Azov e Mar Nero, i croati riuscirono a reclutare nei loro ranghi diversi ex marinai russi di nazionalità ucraina. "
Una batteria di artiglieria costiera croata fu aggiunta alla Legione durante l'estate del 1943.
I Legionari croati indossavano uniformi Kriegsmarine regolari, con solo lo scudo rosso-bianco a scacchiera della Croazia sul braccio sinistro per distinguerli. L'artiglieria costiera indossava l’uniforme grigia tedesca con lo scudo sul braccio.
La Legione croata (italiano-croata) – Nel luglio 1941, il generale italiano Antonio Oxilio chiese un incontro con il croato Ante Pavelic. Durante l’incontro, il Generale Oxilio si presentò a Pavelic con una lettera dell’alto comando italiano, chiedendo che si costituisse una legione croata, anche simbolica, per il servizio nell'esercito italiano, sul fronte orientale.
Pertanto, il 26 luglio 1941, il comando dell'esercito croato diede l’ordine, e la "Legione croata" (Laki Prijevozni Zdrug) fu costituita. La maggior parte delle truppe venne da un battaglione di volontari utilizzati come rinforzi per il Reggimento 369i in Russia. La Brigata era costituita da 1100 soldati, 70 sottufficiali e 45 ufficiali (in totale1.215 ), suddivisa in 3 compagnie di fanteria,
1 Compagnia di mitraglieri, 1 Compagnia di mortai e 1 Batteria di artiglieria. Il comandante era il tenente colonnello Egon Zitnik (un croato). La prima base della Brigata fu nella città di Varazdin, in Croazia, dove furono addestrati, e dove attesero che gli italiani organizzassero la spedizione. La Brigata operò nel Kordun, a Banija e Bosanska Krajina, dove partecipò alle esecuzioni di abitanti serbi ortodossi di queste regioni, ( "che combattevano contro il nuovo Stato croato.")
Isječak preuzet iz serijala "Jugoslavija u ratu 1941—1945." To je dokumentarni serijal Radio-televizije Srbije snimljen u periodu 1991—1992, koji se bavio ratnim i političkim dešavanjima na prostoru Jugoslavije tokom Drugog svjetskog rata. Dokumentarni serijal obuhvata 26 epizoda podijeljenih u četri ciklusa i jednu specijalnu epizodu.
Il 17 dicembre 1941 gli italiani finalmente ordinarono alla Brigata di spostarsi in Italia dove fu completato il loro equipaggiamento di armi e trasporti. Seguirono 3 mesi di addestramento intenso. Alla fine del programma di formazione, i Legionari furono visitati dal generale Ugo Cavallerio della sede italiana del personale, e dal Ministro della Difesa della Croazia, Slavko Kvaternik. A questa cerimonia fu presentata la bandiera della Brigata, e gli uomini prestarono giuramento all’ Italia, alla Croazia, al Duce, al re italiano, ed al Poglavnik. La Brigata arrivò sul fronte orientale il 16 aprile 1942, vicino alla città di Harcjusk. Qui si unirono alla 3’ divisione italiana "Principe Amedeo Duca D'Aosta", e ricevettero il resto delle loro attrezzature e dei mezzi di trasporto (44 autocarri, 3 automobili e 6 motocicli ). L'11 maggio, vicino alla città di Pervomajska, questi fascisti combatterono la loro prima battaglia, a fianco delle camicie nere dell’unità 63a "Tagliamento".
La Brigata, nel corso dei 10 mesi seguenti, combatterà intorno alle città di Stokovo, Greko-Timofejevka e Veseli-Nikitovo.
Il 28 luglio 1942, la Brigata attraversò il fiume Donjec a Lubanskoje.
Il 19 dicembre 1942, la Brigata teneva le colline 210 e 168 nei pressi di Hracin. Dopo brutali massacri furono circondati nel corso di un massiccio attacco sovietico.
Non ci furono sopravvissuti, l’unità fu completamente distrutta.
Dunque non è una sorpresa che i croati si siano schierati con i neonazisti Hunta in Ucraina. Questo è nelle loro tradizioni e sembra che ne siano orgogliosi. L’ironia della cosa sta nel fatto che essi, la cui secessione ha seppellito la Jugoslavia ed è stata la scintilla della guerra civile, ora lottino contro la secessione delle zone russe dell'Ucraina.
Inoltre, la vera natura nazista della giunta di Kiev è rivelata da un altro esempio: Hanno creato il loro inno di guerra, la canzone nazista di Tompson, noto croato neo ustascia 'musicista':
Fonti: http://pollitika.com/rat-u-ukrajini-istina-koja-se-skriva-rat-i-vojne-operacije-2dio
http://www.pravda.rs/2015/02/11/vesna-pusic-hrvati-u-ukrajini-ratuju-u-sklopu-regularne-vojske/
12 Febbraio 2015 - da therebemustjustice
Traduzione di Sonia S. per civg.it
“NA MORE CON AMORE”
Resoconto dell'iniziativa - Quarta Edizione, anno 2016
Ciao a tutti,
lo scorso mese di settembre si è conclusa la quarta edizione di “nA More con AMore” e, come sempre, sebbene con un po’ di ritardo dovuto agli impegni quotidiani non proprio volontari, vi partecipiamo di un breve resoconto dell’iniziativa estiva svolta a Santa Severa, con gli studenti della scuola “Sveti Sava” di Jasenovik, provenienti dai villaggi dell’area di Novo Brdo, nel territorio del Kosovo.
Dal 29 agosto al 6 settembre siamo stati in lieta compagnia di 10 cari ospiti, Aleksandra, Ivana, Nevena, Dušan, Andjela, Saša, di nuovo Ivana, Miloš, Valentina e Sunčica. Nomi che proviamo a rendere meglio pronunciabili ai lettori italiani, con questa trascrizione: Alecsandra, Ivana, Nevena, Duscian, Angela, Sascia, Milosch, Valentina e Sunciza.
Cosa abbiamo fatto? Sebbene l’attività principale del soggiorno del gruppo sia stata quella balneare e ricreativa, sulla spiaggia e nel mare di Santa Severa, anche in questa edizione abbiamo svolto un programma piuttosto variegato.
Sorpresi da un acquazzone stagionale, durante la visita al bellissimo percorso naturalistico delle cascate di Diosilla nel Braccianese, sotto la guida della dolcissima Irene, ci siamo consolati e rifocillati con uno squisito pic-nic consumato in una grotta, preparato ed offerto dalla cheffissima Annamaria. Ma la meraviglia della vista che si è spalanca ai nostri occhi, a valle del sentiero, dell’antico abitato rudere della città di Monterano, lambito da uno scorcio di sole, ha asciugato velocemente abiti, capelli e cuori. Ne è valsa veramente la pena ed i bambini si sono divertiti molto. Non da meno è stata la istruttiva e simpatica visita presso la società cooperativa Agricoltura Nuova, sulla Via Pontina, un’operosa attività produttiva laziale, dove i bambini hanno potuto visitare la fattoria, i suoi animali, i laboratori di produzione propria, il caseificio ed il forno, accompagnati stavolta dal grande e grosso Fabrizio e dal nostro amico Enzo, fondatore della comunità di Colle Parnaso di Roma. Un copioso e delizioso pranzo rustico è stato offerto dalla mensa dell’azienda a tutto il gruppo, ma il loro succo di mela con i biscottini artigianali è stato indubbiamente lo spuntino più gradito della giornata, calda estiva, proseguita poi nel pomeriggio con un passaggio nella Roma antica e barocca, per qualche scatto davvero irrinunciabile.
Anche questa edizione dell’iniziativa è stata realizzata in collaborazione con le associazioni Jugocoord Onlus e Non bombe ma solo caramelle Onlus e con la Scuola Primaria “Sveti Sava”.
Le spese sostenute, per un totale di 2.646,30 euro, hanno riguardato: biglietti aereo, assicurazione per infortunio e responsabilità civile, visti per l’Italia, servizio stabilimento spiaggia in Santa Severa, trasporto per e da Belgrado, trasporti per visita in Roma, affitto attrezzature per il concerto al castello, vitto (solo quota parte). La comunità di Santa Severa ed i suoi esercenti ci hanno sostenuto, per ridurre al minimo le spese, e noi siamo contenti di poterlo ribadire.
Per aver contribuito a sostenere economicamente l’iniziativa ringraziamo, per le sottoscrizioni:
Vincenza Ferrara e Sara, Associazione Orme, Stefano Peciarolo, Zivkica Nedanovska Stankovski, Alberto Tarozzi, Marcella Simonelli, Samantha Mengarelli, MM Agreement, Biosolidale, Zastava Brescia
per l’alloggio, per alcuni trasferimenti, per i costi del vitto, per l’interprete, per la guida turistica e per le visite culturali a Monterano (Bracciano) e Società Cooperativa Agricoltura Nuova, per l’evento de “I Beatles a Roma”:
Augusto Mengarelli, Daniela Tiraboschi, Marzia Casale, Sandro Corciolini, Valerio Sallustio, Stefano Mattozzi, Samantha Mengarelli, Fabrizio Scandone, Dejana Perunicić, Suncica Vuković, Paolo Gentilini, Enzo Del Poggetto, Annamaria Cappelli, Irene Amore, I Beatles a Roma, la Pro Loco di Santa Severa, Museo della Navigazione Antica del Castello, Coopculture, Agricoltura Nuova, l'Alimentari panificio Fracassa Galli & C. snc, lo stabilimento Lido, il panificio Vapoforno.
I fondi raccolti, insieme al 5X1000 del 2012 di Jugocoord onlus utilizzato per questa iniziativa, ci lasciano un residuo di 487,78 euro, che accantoneremo per le iniziative in favore dei Comuni terremotati.
Ringraziamo Valentina Ristić, insegnante della Scuola di Jasenovik, Milos Ristić, per la disponibilità, per la cura e l’attenzione verso i bambini, gli spazi condivisi e tutti noi. Apprezziamo inoltre la loro rinuncia al rimborso spese per i loro documenti di viaggio e per il trasporto da Jasenovik a Belgrado, quale contributo all’iniziativa. E grazie alla nostra giovane interprete, Suncica Vuković. Li salutiamo tutti e li ringraziamo.
Confidando nella possibilità di realizzare una prossima edizione di “nA More con AMore”, invitiamo chi vuole a visionare racconti e fotografie [ https://www.cnj.it/INIZIATIVE/NaMoreConAmore.htm#2016 ]. Buona lettura ed un saluto a tutti.
A Fiore ed Anna Maria
Certe case vivono e vivranno sempre il loro buon tempo, piene ed appagate delle voci e dei passi che le hanno attraversate…. (da: nA More con AMore, prima edizione)
A cura di Samantha Mengarelli
Foto scattate da: Samantha Mengarelli, Valentina Ristić, Suncica Vuković, Miloš Ristić.