Informazione


A Santa Severa (Roma) il 4 settembre... musica per NA MORE CON AMORE!

Ciao a tutti, 
i bambini dell'edizione 2016 di nA More con AMore stanno per arrivare. 
Atterreranno all'aeroporto di Roma Fiumicino il prossimo 29 agosto, con trasferimento poi a Santa Severa con mezzi volontari. 
Abbiamo sviluppato un calendario delle attività, che cerchiamo di variegare ogni anno, con bambini diversi della scuola. 
A Santa Severa verrà svolta attività balneare e ricreativa con visita dei siti culturali locali dell'area del Castello ed i suoi musei, tutti a portata di spiaggia... 
Saranno effettuate inoltre due gite fuori porta ed un evento dedicato:
MERCOLEDI' 31 agosto: visita presso Monterano e le cascate di Diosilla, nel Braccianese, con pic-nic;
VENERDI' 2 settembre: in mattinata trasferta presso una società cooperativa agricola integrata sulla Via Pontina, dove i bambini potranno visitare e partecipare ad alcune attività della fattoria didattica, con pranzo offerto sul posto. Nel pomeriggio faremo una breve passeggiata per i luoghi più noti della Roma Antica.
DOMENICA 4 settembre: per contribuire al finanziamento dell'iniziativa abbiamo messo in cantiere lo spettacolo musicale a sottoscrizione di cui trovate l'annuncio di seguito.

Abbiamo infatti ancora bisogno di un po' di supporto economico per coprire le spese di viaggio. Precisamente è di 1.697,58 euro la spesa per il volo aereo del gruppo con AirSerbia. Al momento con le sottoscrizioni non abbiamo raggiunto ancora il migliaio di euro. Chi volesse contribuire con un semplice versamento in denaro, può ancora farlo, versando a:
CONTO BANCOPOSTA n° 88411681; Intestato a JUGOCOORD ONLUS, ROMA
IBAN IT 40 U 07601 03200 000088411681
Causale “NA MORE CON AMORE 2016”
Per qualsiasi informazione in più sull'iniziativa o chiarimenti sulle modalità di sottoscrizione: 
Samantha Mengarelli, e-mail namoreconamore @ gmail.com
Grazie!

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Santa Severa (Roma), 4 settembre 2016
... nella magica cornice del CASTELLO DI SANTA SEVERA ...

nell’ambito della rassegna NOTE IN BLU, in collaborazione con Coopculture, Museo del Mare e della navigazione Antica e Pro Loco 
(info: http://www.museosantasevera.it/it/note-blu-fascino-mediterraneo/beatlesaroma @ gmail.com, Coopculture tel 063996799)

I BEATLES A ROMA BAND PRESENTANO

A Fabulous Beatles Night

Spettacolo di musica dal vivo in favore dell’iniziativa “nA More con AMore” per bambini serbo-kosovari ospiti presso Santa Severa dal 29 agosto al 6 settembre 2016, organizzata dalle associazioni Jugocoord Onlus (jugocoord @ tiscali.it) e Non bombe ma solo caramelle Onlus.

Ingresso libero a sottoscrizione volontaria per l’iniziativa. I fondi raccolti, eventualmente eccedenti le spese di ospitalità sostenute, saranno devoluti in favore di un progetto di ricostruzione del patrimonio storico dei paesi colpiti dal terremoto nel Centro-Italia.

I Beatles a Roma sono un gruppo di autori, intrattenitori e musicisti che da anni omaggiano i Beatles con spettacoli teatrali, live show e concerti ottenendo un grande successo di pubblico e critica. Fondati nel 2010 da Simone Mariani, Martino Pirella, Luigi Abramo e Lorenzo Mazze’ negli anni si sono arricchiti con il contributo di musicisti ed attori. Nella formula concerto saranno presenti, nella magica cornice del Castello di Santa Severa, con Francesco Cavalluzzo e Francesco Pradella, elementi fondamentali del gruppo. I Beatles a Roma propongono uno show che attraversa tutta la discografia dei Beatles eseguendo sia i capolavori conosciuti che le gemme nascoste degli storici Fab Four. 
Ingresso gratuito ad esaurimento disponibilità
Prenotazione consigliata € 2,00 a persona
Inoltre a seguire: Degustazioni di vini del territorio
Info e prenotazioni: tel / 06.3996.7999

ALTRE INFO SULLA INIZIATIVA "NA MORE CON AMORE": https://www.cnj.it/INIZIATIVE/NaMoreConAmore.htm



(english / italiano)

Una delle tante ignominie del "Tribunale ad hoc" dell’Aja

1) Verità e giustizia per Slobodan Milosevic (di Michele Franco, Rete dei Comunisti)
2) Il Tribunale dell’Aja, dopo averlo ucciso in carcere, scagiona il Presidente jugoslavo e serbo (di Enrico Vigna, Civg.it)


Also worth listening: Christopher Black commenting on Jugoslavia and Milošević (Radio Sputnik, Loud&Clear 19.8.2016 -- at third and last section, starting 33')
... Joe Biden visited Serbia this week where he was greeted by crowds of protesters. Now activists will erect a monument to the victims of the NATO bombing of Novi Sad. [Brian] Becker is joined by human rights attorney Christopher Black to talk about the legacy of the U.S. bombing of Yugoslavia and what comes next in the U.S.-Serbia relationship...

...and reading: The ICTY Karadzic "Sentence": http://www.icty.org/x/cases/karadzic/tjug/en/160324_judgement.pdf


=== 1 ===


12/08/2016

Verità e giustizia per Slobodan Milosevic. Le ignominie del Tribunale Internazionale dell’Aja e della democrazia imperialista

di Michele Franco, Rete dei Comunisti

Apparentemente sembra una di quelle classiche notizie di mezza estate che servono per riempire lo spazio dei giornali e dei notiziari. Invece la notizia – che “stranamente” solo ora trova un po’ di spazio sui media – è un fatto di rilevante importanza.
 
L’ex Presidente della Serbia, Slobodan Milosevic, è stato scagionato dalla Corte Penale Internazionale per i cosiddetti crimini di guerra per le varie fasi delle guerre balcaniche degli anni ’90. Una decisione che ribalta completamente un allucinante castello accusatorio che per alcuni anni ha tenuto banco nel dibattito politico internazionale. Eppure Slobodan Milosevic è stato lasciato morire in carcere – nel marzo del 2006 – dopo cinque anni di detenzione, senza poter usufruire di nessun beneficio, in una asettica cella del “democratico” tribunale dell’Aja in Olanda alla stregua di un volgare ed efferato criminale. Una sorte che – a dimostrazione che la storia la scrivono i vincitori – che non fu replicata ed uguale per i presidenti di Croazia e Bosnia i quali – almeno formalmente – venivano ritenuti corresponsabili delle presunte malefatte di Milosevic mentre, in realtà, erano le teste d’ariete dell’aggressione della Federazione Jugoslava. Questa “riabilitazione postuma” di Milosevic pur all’interno di un dispositivo giuridico e di una evidente falsificazione storica dei fatti che condanna, a pene pesantissime e discutibilissime, altri protagonisti della complessa vicenda Jugoslavia è una ulteriore prova - un altro tassello - che svela, inequivocabilmente, come la distruzione di quel paese fu pianificata scientificamente dalle potenze occidentali e dal Vaticano fino ai suoi esiti finali che prevedevano, fin dall’inizio, l’eliminazione del Presidente Milosevic descritto – dalla comunicazione deviante del capitale a scala globale – come l’incarnazione personificata del male assoluto. Non è un caso – poi – che altri oppositori al generale rullo compressore imperialista acceleratosi dopo il 1989 - da Saddam Hussein a Gheddafi - hanno conosciuto la morte fisica, senza neanche lo straccio di un processo, anche sulla scorta della sostanziale impunità che gli aggressori occidentali hanno usufruito prima, durante e dopo le ripetute aggressioni consumate contro i popoli della Jugoslavia. Ora, dopo anni, questa notizia non suscita più l’indignazione e lo sdegno di cui necessiterebbe una sentenza di tale portata storica. Gli ultimi 20 anni sono stati un periodo di grande sconvolgimento internazionale dove l’accentuarsi della competizione globale tra potenze e il suo combinato disposto con la vigenza di una crisi strutturale del capitale ha provocato e continua a suscitare guerre d’aggressione, distruzione di entità statuali, movimenti migratori e inenarrabili sofferenze. Un arco storico in cui è cresciuto l’interventismo bellico imperialista spesso camuffato o dalle insegne dell’ONU o da motivazioni “umanitarie”. Una nuova fase di militarismo imperialista che si alimenta di una propaganda distorta che tende alla persuasione delle coscienze, all’intruppamento reazionario dei settori sociali verso il proprio capitalismo di riferimento ed alla passivizzazione/narcotizzazione delle masse. Da comunisti abbiamo difeso, più volte, la Jugoslavia mentre veniva attaccata militarmente dagli USA e da altri paesi europei. Mai dimenticheremo l’infamia di Massimo D’Alema alla guida di quel governo che mandò i Tornado italiani sui cieli di Belgrado e della Jugoslavia a fare stragi di civili. Nel contempo abbiamo criticato Milosevic per la sua difesa incoerente dell’unità e della fratellanza dei popoli Jugoslavi attesta attorno alla “centralità dei serbi” e non invece - come il Presidente Tito magistralmente era stato capace di fare - a scala “pan/Jugoslava” in un possibile e corretto equilibrio politico e sociale tra le varie “repubbliche” che componevano quella Federazione nata da una vera guerra di popolo contro l’occupazione nazista e fascista. Una incoerenza, quella di Milosevic e del Partito Socialista Serbo, nutrita, tra l’altro, da primi cedimenti sul versante economico verso il liberismo capitalista e le ricette del Fondo Monetario Internazionale foriera di disastri. Una autentica deriva che aprì la strada all’opera di manomissione economica, diplomatica e militare dell’Occidente che - subito dopo la morte di Tito e i fatti del 1989/1991 - conobbe un nuovo slancio antisociale in Jugoslavia come altrove. La notizia - venuta alla luce in questi giorni anche se la sentenza risale al 24 marzo scorso - ci ha offerto la possibilità di ricordare il vero e proprio omicidio di Slobodan Milosevic e di richiamare, ancora una volta, l’attenzione e la critica attiva verso la cosiddetta neutralità del diritto internazionale e delle sue “istituzioni democratiche” tra cui il famigerato Tribunale Internazionale dell’ Aja. Una attenzione ed una critica da rendere – anche alla luce dell’inasprirsi delle contraddizioni sul piano generale e dei venti di guerra che spirano minacciosi – prassi agente per attrezzare, anche sul terreno dei contenuti politici, il lavoro di ricostruzione e di riqualificazione del movimento No War.

Michele Franco, Rete dei Comunisti


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Milosevic: il Tribunale dell’Aja, dopo averlo ucciso in carcere, scagiona il Presidente jugoslavo e serbo da ogni accusa, circa crimini di guerra in Bosnia nel 1992/1995!

Scritto da Enrico Vigna, agosto 2016

Il Tribunale Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY) dell'Aia ha stabilito alla fine, che il Presidente jugoslavo e serbo Slobodan Milosevic, non era stato responsabile per i crimini di guerra commessi durante la guerra in Bosnia nel 1992-1995.

Con una sentenza conclusiva, la Camera di primo grado del TPI dell’Aja ha unanimemente sentenziato che Slobodan Milosevic non era parte di una "impresa criminale congiunta" per perseguitare musulmani e croati durante la guerra in Bosnia.

Il giudizio del 24 marzo 2016 afferma che "la Camera ha stabilito che non vi erano prove sufficienti presentate in questo caso, per stabilire che Slobodan Milosevic fosse parte di un progetto per scacciare i musulmani bosniaci e i croati bosniaci dal territorio serbo-bosniaco…”.

I giudici hanno sottolineato che Slobodan Milosevic e Radovan Karadzic avessero all’inizio della guerra, operato per la conservazione della Jugoslavia e che Milosevic era sempre schierato su questa posizione. La Camera del TPI ha stabilito che “… Slobodan Milosevic ha sempre perseguito questo obiettivo ed era contro la secessione della Bosnia-Erzegovina… ".

La Camera ha rilevato che "…la auto proclamazione di sovranità da parte dell'Assemblea della BiH in assenza dei delegati serbo-bosniaci il 15 ottobre 1991, fece precipitare la situazione…", e che Milosevic aveva una posizione cauta circa la costituzione della Republika Srpska come risposta. 
La sentenza afferma che nelle comunicazioni intercettate con Radovan Karadzic, "…Milosevic era dubbioso se fosse stato saggio usare ‘un atto illegittimo in risposta ad un altro atto illegittimo’ e messo in discussione la legittimità di formare un'Assemblea serbo bosniaco..."

I giudici hanno anche scoperto che "…Slobodan Milosevic aveva espresso le sue riserve su come un'Assemblea serbo-bosniaco potesse escludere i musulmani che erano 'per la Jugoslavia'..."

Il giudizio osserva che in incontri con i serbi e funzionari serbo bosniaci "…Slobodan Milosevic aveva dichiarato che “ …i membri di altre nazioni ed etnie dovevano essere protetti e che l’' interesse nazionale dei serbi non era la discriminazione...".
Inoltre è provato che  "…Milosevic aveva sempre ribadito che qualsiasi atto criminale doveva essere combattuto con decisione...".

La Camera di primo grado ha osservato che "…in riunioni private, Milosevic era estremamente arrabbiato con la leadership serbo-bosniaca che voleva respingere il piano Vance-Owen...". E’ stato anche determinato che "…Milosevic ha cercato di ragionare con i serbi bosniaci dicendo che capiva le loro preoccupazioni e ragioni, ma che la cosa  più importante era porre fine alla guerra…e incoraggiava per un accordo politico… ".

Nel corso di una riunione del Consiglio Supremo di Difesa, Milosevic aveva sottolineato che i leader serbo bosniaci, non avevano il diritto di chiedere più di metà del territorio in Bosnia-Erzegovina, affermando che “…non si deve avere più di ciò che ci appartiene. Poiché, rappresentiamo un terzo della popolazione. [...] Noi non abbiamo diritto a oltre la metà del territorio e non si deve strappare via qualcosa che appartiene a qualcun altro! [...] Come si può immaginare che due terzi della popolazione possano essere stipati nel 30% del territorio, mentre il 50% è troppo poco per voi ?! E' umano, è giusto ?!'… ".

In altri incontri con i funzionari serbi e serbo-bosniaci, la sentenza osserva che Milosevic  aveva ripetutamente dichiarato che bisognava porre fine alla guerra e che il più grande errore dei serbo bosniaci era quello di “… cercare una completa sconfitta dei musulmani bosniaci… mentre era necessario ricercare e accettare proposte di pace… ".

“…Vistosamente in silenzio dal marzo 2016, giorno del verdetto dell’Aia, sono il New York Times, il Washington Post, il Los Angeles Times, la CNN e il Times di Londra per citarne solo alcuni, dei giornali partigiani della “democrazia e della giustizia” che hanno partecipato alle campagne contro   Slobodan Milosevic e al suo diritto a una "giustizia secondo la legge", come inciso sopra l’ingresso della Corte Suprema degli Stati Uniti.

Dove sono le voci di Christiane Amanpour della CNN, Roy Gutman e John Burns, che hanno ricevuto un Pulitzer per le loro menzogne ​​e inganni in Bosnia? Dove è Nicholas Burns e il marito della Amanpour James Rubin, che regolarmente sulla CNN vomitavano menzogne contro Milosevic  per 8 anni? Dove è Carla Del Ponte, quando c’è bisogno di lei? Dove è Joan Phillips e Charles Lane che hanno avanzato nella loro carriera, con il loro lavoro di propaganda e falsità?

Dove è James Harf  PR della Ruder / Finn, che ha incassato milioni di dollari promuovendo menzogne e immaginazioni per i governi croati e bosniaci musulmani? Dov'è Chris Hedges, Charlene Hunter Galt, ciarlatani dei media come Maggie O'Kane della stampa britannica ... 

Dove è Tom Post
 che ha scritto l'articolo infame di prima pagina su Newsweek, circa "50.000 stupri di donne musulmane bosniache"? Dove è Sylvia Poggioli che abilmente ha scritto un saggio di disinformazione nella Relazione Neiman ad Harvard? Dove è John Pomfret del Washington Post che ha sostenuto di aver visto "4.000 uomini e ragazzi di Srebrenica che si erano salvati a Tuzla"?
Dove è David Rohde i cui libri e articoli hanno demonizzato il popolo serbo con grande astuzia? E dove è Carol Williams del Los Angeles Times che ha scritto in un anno il giornalismo più odioso, anti-ortodosso e intriso di dogmatismo cattolico, di quanto la maggior parte dei giornalisti potrebbero fare in un decennio?
E, infine, dove sono creature come Minna Schrag, terza procuratrice americana che è stata in prestito al Tribunale dell'Aja, da uno studio legale di New York, e che ha detto agli studiosi di diritto internazionale che: "…E 'stata una nuova esperienza che deve essere un precedente, di poter decidere prima sulle regole delle prove ed alla procedura, di decisioni prese in conversazioni improvvisate nei corridoi del Tribunale Penale per la Jugoslavia.. "?

Se i media e il sistema giuridico sono questi, corrotti e disonesti, i serbi devono correre ai ripari dalla verità, e hanno diritto di poter disprezzare un mondo…che deliberatamente ha manipolato i fatti per demonizzare il popolo serbo con una colpa collettiva, non visto in Europa dal tempo di Hitler, questi sono mostri che hanno fatto della parola "serba" sinonimo di male, un processo inumano in uso ancora oggi…
Che possano marcire all'inferno per questa orribile farsa legale, la Madeleine Albright, il direttore di scena, che  dovrebbe essere in piedi sul banco degli imputati all'Aja, insieme con il generale Wesley Clark e William Jefferson Clinton….”…
Si chiede su beoforum, W. Dorich

“ …Non sono qui davanti ad un Tribunale illegittimo e illegale, che non riconosco, per difendere Slobodan Milosevic, ma solo per difendere la Jugoslavia e la dignità del popolo serbo, e con essi la verità e la giustizia dei popoli, contro l’arroganza e l’arbitrio dei potenti della terra, che hanno devastato e distrutto il mio paese, e umiliato il mio popolo…”.

Slobodan Milosevic, prima di morire ha dovuto trascorrere gli ultimi cinque anni della sua vita in carcere, difendendo caparbiamente se stesso e la Serbia dalle false accuse di crimini di guerra nel corso di una guerra, che ora rivelano, stava cercando di fermare. Le accuse più gravi che Milosevic ha dovuto affrontare, tra cui l'accusa di genocidio, erano tutte in relazione alla Bosnia. Ora, dieci anni dopo la sua morte, il TPI dell’Aja ha ammesso che non era colpevole.

Il 30 ottobre 2005 lo stesso Milosevic aveva osservato con grande realismo: “…se questo Tribunale per quanto illegale, riesce anche a ignorare le falsità clamorose contenute negli atti di incriminazione… tanto vale che leggiate la sentenza contro di me, la sentenza che siete stati istruiti ad emettere… Se la Corte non si rende conto dell’assurdità del rinvio a giudizio letto ieri in aula, dove si sostiene che la Jugoslavia non è stata vittima di un attacco della NATO, ma ha aggredito sé stessa, è consigliabile risparmiare tempo e passare direttamente alla sentenza. Leggetela e non mi annoiate…”.

Il TPI ha cercato di non pubblicizzare il fatto che Milosevic era stato giudicato estraneo a crimini di guerra ed alla loro pianificazione. Il Tribunale confidava che le 1.303 pagine riguardanti il presidente jugoslavo e serbo, sepolte tra le 2.590 pagine del verdetto Karadzic, sarebbero rimaste ignorate. Infatti è stato solo grazie a siti serbi e russi, e ad una delle poche eccezioni in occidente, rappresentata dal sito del giornale inglese The Guardian, che questa notizia si è diffusa a livello internazionale.
Occorre ricordare che Slobodan Milosevic è morto per un attacco di cuore appena due settimane dopo che il Tribunale gli aveva negato la sua richiesta di sottoporsi ad un intervento chirurgico al cuore in Russia. E’ stato trovato morto nella sua cella, meno di 72 ore dopo che il suo avvocato aveva consegnato una lettera al Ministero degli Esteri russo in cui denunciava il timore di essere stato avvelenato.
Il rapporto ufficiale del Tribunale sulla motivazione circa la morte, ha confermato che " nel campione di sangue prelevato da Milosevic il 12 gennaio 2006, era stato trovato del Rifamicin (un farmaco non prescritto per le sue cure), e che per intoppi burocratici non era stato comunicato a Milosevic fino al 3 marzo 2006. La presenza di Rifamicin nel sangue di Milosevic avrebbe contrastato il farmaco per l’alta pressione del sangue che egli stava prendendo, aumentando così il rischio di attacco di cuore che alla fine l'ha ucciso.

Il TPI non ha mai effettuato alcuna indagine adeguata ed indipendente, sulle reali cause della morte del presidente Milosevic, i risultati delle indagini interne svolte dal tribunale stesso, sono state bocciate con una riserva della Russia nel Consiglio di sicurezza dell'ONU, basata su una serie di accertamenti medici, dove è chiaro che al Presidente Milosevic è stato rifiutato un trattamento adeguato, quando a causa della sua malattia, la sua vita era gravemente a rischio, e quindi, che il Tribunale abbia commesso almeno un omicidio giudiziario.

Molti esperti e studiosi internazionali hanno denunciato tutto questo, come un disegno che potenti interessi geopolitici preferivano non far arrivare vivo Milosevic alla fine del suo processo, con la possibilità che finisse assolto e le loro criminali menzogne ​​rivelate.                                                                                    Intercettazioni prese al Dipartimento di Stato USA svelate da Wikileaks, confermano che il Tribunale dell’Aja ha discusso lo stato di salute di Milosevic e le sue cartelle cliniche, con il personale dell'ambasciata degli Stati Uniti all'Aia senza informare nessuno. Perché?

E ORA? Tralasciando alle loro miserie morali e professionali i disinformatori di professione al servizio dei potenti e delle logiche imperialiste occidentali…., cosa faranno  i disinformatori sempre opportunamente schierati in linea con il “politicamente corretto” e i disinformatori in buona fede, solo perché “ignoranti”, cioè ignoravano atti e fatti ma sentenziavano e aizzavano contro “Hitler Milosevic”, il “ macellaio dei balcani”, il “criminale genocida”, demonizzandolo come un mostro, diffondendo falsità, menzogne, infamità. Migliaia di giornalisti, politici, esponenti di ONG falsamente umanitarie, pacifinti e utili idioti. 

Tutti costoro che sui media sono stati giudici, giuria e boia di Slobodan Milosevic ORA, CHIEDERANNO SCUSA? Avranno un sussulto etico morale e di coscienza? Abbasseranno il capo e con onestà intellettuale renderanno onore alle centinaia di migliaia di vittime della guerra di Bosnia, si indigneranno per essere stati usati dalla propaganda mediatica di guerra, contribuendo informativamente e oggettivamente alle tragedie e al dolore subito dai popoli di bosniaci e per tutto lo spargimento di sangue in Bosnia? E al popolo serbo e jugoslavo, che, come conseguenza ha subito un criminale embargo e sanzioni durate anni, che hanno immiserito e devastato socialmente e umanamente la propria gente?  Staremo a vedere.

Egli è morto lontano dalla sua terra, dal suo paese, dai suoi affetti più cari, dal suo popolo, che solo fino a poche ore prima, aveva ancora fermamente e orgogliosamente difeso dalle menzogne e falsità dei padroni del mondo.

Egli resterà come un simbolo storico del suo popolo, un simbolo di difesa della libertà, della verità, della giustizia, del socialismo serbo e jugoslavo; di difesa dell’indipendenza e dignità nazionali, della resistenza dei popoli all’arroganza e al nuovo fascismo dell’imperialismo.

Un simbolo di onore e dignità, di cui ogni serbo e ogni jugoslavo di oggi e delle future generazioni potrà sempre esserne fiero, potendo guardare chiunque negli occhi con orgoglio, e a testa alta di fronte al mondo ed alla storia.

Cercavano e avrebbero voluto un uomo implorante, supino, arreso e vinto, avrebbero voluto un mercante pronto a barattare la propria vita e la propria storia per una manciata di dollari o euro, o un brandello di futuro. Ma si sono trovati davanti un gigante, un patriota e un combattente fiero e in piedi di fronte a loro, che li ha fronteggiati senza tregua e timori, …e hanno perso, loro.

“…Io sono il vincitore morale!  – ha detto Milosevic all’Aia il 30 ottobre 2001. Io sono fiero di ogni cosa da me fatta, perché sempre fatta per il mio popolo ed il mio paese, ed in modo onesto. Io ho solo esercitato il diritto di ogni cittadino a difendere il proprio paese, e questo è il vero motivo per cui mi hanno illegalmente arrestato. Se voi state cercando dei criminali di guerra l’indirizzo non è qui a Scheveningen (il carcere olandese dov’era detenuto, Ndt) ma al Quartier Generale della Nato e nelle capitali occidentali, dove è stata pianificata la distruzione del mio paese, la Jugoslavia, e del mio popolo…. Noi non abbiamo attaccato o aggredito nessuno, ma ci hanno costretto a combattere a casa nostra, per difendere il nostro paese e la nostra terra… 

Questo abbiamo fatto e lo rifaremmo perché questa non è un’infamia ma un onore per qualsiasi popolo e uomo…”. ( Slobodan Milosevic  30/08/2001 )


A cura di Enrico Vigna, portavoce del Forum Belgrado Italia – Agosto 2016





CHI FA IL LAVAGGIO DEL CERVELLO A CHI


La notizia che segue è apparsa veramente, sul principale quotidiano italiano, quello che una volta ospitava gli articoli di Pier Paolo Pasolini.

Sullo stesso tema si veda anche: Vladimir Putin Horror Show


Il braccio destro di Putin e l’ordigno segreto per manipolare le menti 

Si parla di una specie di computer collegato ai sensori che registrano tutto. Da tempo il presidente e i suoi vogliono non solo conoscere ma anche indirizzare fatti e opinioni

di Fabrizio Dragosei, sul Corriere della Sera del 19 agosto 2016

MOSCA  - Capire cosa pensano gli elettori e quali sono i loro desideri è molto importante per tutti i governi che, infatti, ricorrono sistematicamente a specialisti dei sondaggi d’opinione. In Russia sembra però che ci si stia spingendo oltre: conoscere quello che sentono nel profondo delle loro coscienze i cittadini per poi condizionarli. In sostanza: non adeguare l’azione di governo alla volontà del popolo, ma fare il contrario, convincendo la gente che ciò che viene deciso in alto è esattamente quello che loro vogliono.
Finora questo risultato è stato ricercato con strumenti tradizionali, come il controllo dei mezzi d’informazione classici (tv, giornali, radio) e delle organizzazioni sociali. Ora, con la nomina del nuovo capo dell’Amministrazione del Cremlino, sorge il dubbio che si stiano percorrendo strade inesplorate. Il quasi sconosciuto Anton Vayno avrebbe infatti teorizzato la creazione di uno strumento particolare chiamato Nooskop per conoscere fin nel loro profondo le coscienze. E, forse, per indirizzarle come si vuole.Persone che hanno lavorato in passato con Vayno parlano addirittura di un «meccanismo», di una specie di computer collegato a sensori di diverso tipo che registrano tutto quello che è successo nel tempo e nello spazio, fino alle transazioni delle carte di credito e agli scambi di ogni genere tra persone. Il professor Viktor Sarayev, che ha scritto testi scientifici assieme a Vayno, ha detto alla Bbc che il Nooskop è un’invenzione di portata addirittura simile a quella del telescopio.
Ricerche per riuscire a conoscere tutto il conoscibile sull’attività umana in un dato paese o sull’intero pianeta esistono già, come ad esempio il Living Earth Simulator. Ma da tempo Vladimir Putin e i suoi vogliono non solo conoscere ma anche indirizzare.Dopo aver subìto moti di piazza dei contestatori negli anni passati, l’Amministrazione russa è corsa ai ripari. Gli oppositori sono stati messi in condizione di non nuocere, con arresti, denunce e altri sistemi meno ortodossi. Le leggi sulle dimostrazioni di piazza hanno subito modifiche. Poi c’è stata l’azione sui mezzi d’informazione, quasi tutti messi sotto controllo con il ricorso a personaggi come Dmitrij Kiselyov capo del sistema di informazione del Cremlino il quale sostiene, secondo la Bbc, che l’epoca del «giornalismo neutrale» sia tramontata.
La tv satellitare di regime RT forma le coscienze degli ascoltatori di lingua inglese sparsi per l’intero pianeta. Le Tv nazionali si occupano degli elettori russi. Gli Spin Doctors del Cremlino monitorano in ogni momento l’opinione pubblica. Le tv poi iniziano a “martellare” i telespettatori a seconda delle necessità.Certo il Nooskop di Vayno potrebbe fare ancora di più se esistesse veramente (e molti specialisti ne dubitano). In fin dei conti non sarebbe altro che un ulteriore tassello di quella «guerra asimmetrica» che la Russia teorizza da tempo.




Defamation and Murder of Slobodan Milosevic

1) The ICTY Karadzic Judgement and Milosevic: Victims of “Fascist Justice” – by Christopher Black
2) FLASHBACK: The Murder of Slobodan Milosevic – by Peter Robert North (2006)


Also to read / Sullo stesso tema segnaliamo anche:

ARCHIVIO MILOSEVIC. Le pagine dedicate sul nostro sito:
https://www.cnj.it/MILOS/index.htm
in particolare: L'ASSASSINIO IN CARCERE. 2011: Le rivelazioni Wikileaks
https://www.cnj.it/MILOS/morte.htm#wikileaks

ICTY Exonerates Slobodan Milosevic for War Crimes (rassegna JUGOINFO del 28.7.2016)
1) Hague Tribunal Exonerates Slobodan Milosevic for Bosnia War Crimes Ten Years Too Late (by Andy Wilcoxson)
2) Момир Булатовић: ВЕЛИЧИНА СЛОБОДАНА МИЛОШЕВИЋА
3) Madeleine Albright's Criminal Enterprise (by William Dorich)

Milosevic innocente (rassegna JUGOINFO 12.8.2016)
1) Milosevic innocenté par le tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie (Initiative Communiste)
2) Telesur : Milosevic innocenté par le tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie: les médias silencieux (Telesur)
3) Milosevic exonerated, as the NATO war machine moves on (Neil Clark)
4) Milosevic Exoneration: Radio Free Europe's Clumsy Attempt at Damage Control (Andy Wilcoxson)

MILOSEVIC AND THE DESTRUCTION OF YUGOSLAVIA. UNPLEASANT TRUTHS NO ONE WANTS TO KNOW
by Giulietto Chiesa, Global Research, August 13, 2016 / Defend Democracy Press 12 August 2014
ORIG.: Milosevic scagionato dal Tribunale penale internazionale per Jugoslavia. E nessuno lo dice (di Giulietto Chiesa, 9 agosto 2016)
http://it.sputniknews.com/opinioni/20160809/3246721/yugoslavia-milosevic-tribunale-penale-internazionale.html
oppure http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=126353&typeb=0
oppure in VIDEO: Il Punto di Giulietto Chiesa: il Tribunale dell’Aja scagiona Milosevic (PandoraTV, 9.8.2016)
Il Tribunale dell’Aja scagiona Milosevic. Ma nessuno lo sta dicendo! E nessuno pagherà per il misfatto...
http://www.pandoratv.it/?p=10499
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=6myryvlbuiY

OSSERVIAMO PIETOSO SILENZIO SU FIDEL - ROMPIAMO L'INFAME SILENZIO SU SLOBO
di Fulvio Grimaldi, 16 agosto 2016


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The ICTY Karadzic Judgement and Milosevic: Victims of “Fascist Justice”


By Christopher Black
Global Research, August 12, 2016

A recent report by Andy Wilcoxson, who has been following the trials at the ICTY, states that the judgement in the Dr. Karadzic case, issued in March of this year, “exonerated” or cleared President Milosevic of the allegations made against him by the prosecution at the ICTY. However, the judgement contains other findings by these judges that muddy the waters and remind us that though they did accept certain favourable facts regarding Milosevic, their purpose was not to “clear” Milosevic but to convict Karadzic and so they used legitimate disagreements on strategy and tactics between Milosevic and Karadzic to diminish the role of Milosevic in this case and exaggerate the role of and belligerency of Karadzic. 

The report by Wilcoxson quotes the following from the judgement;

the Chamber is not satisfied that there was sufficient evidence presented in this case to find that Slobodan Milosevic agreed with the common plan” to permanently remove Bosnian Muslims and Bosnian Croats from Bosnian Serb claimed territory.

And that,

 the relationship between Milosevic and the Accused had deteriorated beginning in 1992; by 1994, they no longer agreed on a course of action to be taken. Furthermore, beginning as early as March 1992, there was apparent discord between the Accused and Milosevic in meetings with international representatives, during which Milosevic and other Serbian leaders openly criticised Bosnian Serb leaders of committing ‘crimes against humanity’ and ‘ethnic cleansing’ and the war for their own purposes.

And that,

from 1990 and into mid-1991, the political objective of the Accused and the Bosnian Serb leadership was to preserve Yugoslavia and to prevent the separation or independence of BiH, which would result in a separation of Bosnian Serbs from Serbia; the Chamber notes that Slobodan Milosevic endorsed this objective and spoke against the independence of BiH.

And,

The Chamber found that “the declaration of sovereignty by the SRBiH Assembly in the absence of the Bosnian Serb delegates on 15 October 1991, escalated the situation,but that Milosevic was not on board with the establishment of Republika Srpska in response. The judgment also says that “Slobodan Milosevic was attempting to take a more cautious approach.

And,

The judgment states that in intercepted communications with Radovan Karadzic,

“Milosevic questioned whether it was wise to use ‘an illegitimate act in response to another illegitimate act’ and questioned the legality of forming a Bosnian Serb Assembly.” The judges also found that “Slobodan Milosevic expressed his reservations about how a Bosnian Serb Assembly could exclude the Muslims who were ‘for Yugoslavia’.”

And that,

“Slobodan Milosevic stated that ‘[a]ll members of other nations and ethnicities must be protected’ and that ‘[t]he national interest of the Serbs is not discrimination’.” Also that “Milosevic further declared that crime needed to be fought decisively.”

And,

The trial chamber notes that “In private meetings, Milosevic was extremely angry at the Bosnian Serb leadership for rejecting the Vance-Owen Plan and he cursed the Accused.” They also found that “Milosevic tried to reason with the Bosnian Serbs saying that he understood their concerns, but that it was most important to end the war.”

and that,

 Milosevic also questioned whether the world would accept that the Bosnian Serbs who represented only one third of the population of BiH would get more than 50% of the territory and he encouraged a political agreement.

And that at a meeting of the Supreme Defense Council the judgment says that “Milosevic told the Bosnian Serb leadership that they were not entitled to have more than half the territory in BiH, stating that: ‘there is no way that more than that could belong to us! Because, we represent one third of the population. […] We are not entitled to in excess of half of the territory – you must not snatch away something that belongs to someone else! […] How can you imagine two thirds of the population being crammed into 30% of the territory, while 50% is too little for you?! Is it humane, is it fair?!’”

In other meetings with Serb and Bosnian Serb officials, the judgment notes that Milosevic,

“declared that the war must end and that the Bosnian Serbs’ biggest mistake was to want a complete defeat of the Bosnian Muslims.” Because of the rift between Milosevic and the Bosnian-Serbs, the judges note that, “the FRY reduced its support for the RS and encouraged the Bosnian Serbs to accept peace proposals.”

This is indeed what is contained in a few paragraphs in the 2,590 page “judgement” against Karadzic and these statements do reflect some of what President Milosevic presented in his defence at his show trial and what was in news accounts of the period. They are important to bring to the attention of the public once again and we must thank Mr. Wilcoxson for making this available to the public.

But the judges also state, at Paragraph 2644 that though “In May 1991, Slobodan Milosević told the Accused that his position should be that they were against the secession and wanted BiH to remain in Yugoslavia, to which the Accused agreed, in another conversation in July 1991, Milosević told the Accused that their objective was to “have disintegration in [...] line with our inclinations” and that they “should take radical steps and speed the things up”.

At paragraph 2645 they continue,

“In other conversations, Slobodan Milosević told the Accused that the Serbs would not be divided into many states, and that this “should be the basic premise for your thinking”

At paragraph 2689 they state, “Despite these words of caution, Slobodan Milosević, in meetings with international representatives, did not accept the independence of BiH and spoke of the desire of all Serbian people to live together.”

At paragraph, 2691, they state,

“In December 1991, Milosević told the Accused that he should not give in to Izetbegović and that they had to stick to their line and that If they want to fight, we’ll fight” given that the Serbs were stronger.”

So the ICTY Judges were very sure to make it clear that both Milosevic and Karadzic were on the same page generally in seeking a “Greater Serbia,” a thread running throughout the Prosecution case against Milosevic in his case. Milosevic denied it in his trial since it was nothing but NATO propaganda.

Both Karadzic and Milosevic wanted to preserve the Federal Republic of Yugoslavia as much as possible. That was their goal, not to create a Greater Serbia by ethnically cleansing non-Serb areas in the republics which had split off from the Federal Republic. But that is the mantra still chanted in the Karadzic case and the thesis of the prosecution case is that this alleged desire to create a Greater Serbia, was a “joint criminal enterprise” and, that from this ambition, all the crimes they allege against them were the consequence.

I will not go deeply into the concept of “joint criminal enterprise since it is a concept unknown to law anywhere in the world and is an invention by the prosecution of the ICTY and its American controlled staff, who crafted this idea from the RICOH anti-racketeering laws of the 1930’s in the USA used to target Al Capone. Essentially, being found a part of a “joint criminal enterprise” means that the proof of intent to commit a crime is not required, undermining the entire basis of western justice that there can be no crime without intent to commit one. Once one is found to be a member of such an “enterprise” lack of intent will not save you. It is the epitome of guilt by association. But it is important for the ICTY since without it the conviction of Karadzic would be impossible.

That there were differences of opinion between the two men and their governments on whether to form a Serb republic inside Bosnia, what form it should take and when it should be done and how it should be protected is hardly surprising. But it is clear that these judges did not consider their judgement to have cleared Milosevic of the central allegation made against him in his trial of wanting to create a Greater Serbia when seen in light of the other paragraphs in the judgement in which, as we see, they allege that Milosevic supported this ambition and supports fighting the government of Izetbegovic.

But what are we dealing with here? We are dealing with judges of the very tribunal that falsely imprisoned Milosevic, fabricated charges against him and his government, and ended up killing him. Milosevic does not need “exonerating” or “absolving” for no case was ever made out against him and he was never convicted of anything.

I have trouble accepting any finding of this illegal and fascist tribunal as “clearing” a man who was guilty only of defending his country against a NATO attack and who was then put through the humiliation of having to respond to the worst types of NATO propaganda dressed up as an indictment. That he did so with courage, tenacity and intelligence was plain for all to see who watched the trial progress. That is the reason that “trial of the century” suddenly went dark one day and public was cut off from seeing what was happening day by day during that long ordeal.

So, the facts brought to our attention by Mr. Wilcoxson are worthy of our attention so long as we recognize that the judgement in which they are contained is another piece of the propaganda against the Serbs designed to humiliate them in the eyes of the world and to humiliate their leadership.

I was not able to observe any of the Karadzic trial and so, from time to time, followed news reports, and reports of contacts who were involved in some way in the case. So, I am not able to comment on all the factual findings of the trial judges set on in their long judgement in which they condemn Karadzic and his government in page after page after tedious page. Those who are aware of the real history of events will realize that every paragraph of condemnation is nothing more nor less than the same NATO propaganda put out during the conflict but made to look like a judgement. For it is not a judgement.

A true judgement in a criminal trial should contain the evidence presented by the prosecution, the evidence presented by the defence, the arguments of both sides about the evidence and should contain references to witness testimony both as they testified in chief and in cross-examination. Then there must be a reasoned decision by the judges on the merits of each party’s case and their reasoned conclusions. But you will be hard pressed to find a trace of any of the defence evidence in this document. I could find none except for a few references in a hand full of paragraphs and some footnotes in both of which testimony of a defence witness was briefly referred to in order to dismiss it and to dismiss it because it did not support the prosecution version of events.

Even more shocking is that there is no citation of verbal testimony, that is, witness testimony, to be found anywhere in the judgement. Instead there are references to “experts”, always Americans, connected to the CIA or State Department, who set out their version of history which the judges accept without question. There is no reference to any defence experts, and very little reference to any defence facts or argument at all. Consequently, there are no reasoned conclusions from the judges as to why they decided to accept the prosecution evidence but not the defence evidence. From reading this one would think no defence was presented, other than a token one. That is not a judgement.

But there is something even more troubling about this “judgement.” It is not possible to make out if there were witnesses who testified in person because there are few references to any. Instead there are countless references to documents of various kinds and “witness statements.”

This is an important factor in these trials because the witness statements referred to are statements made, or are alleged to have been made, by alleged witnesses, to investigators and lawyers working for the prosecution. We know from other trials that in fact these statements are often drafted by prosecution lawyers, as well as investigators, and then presented to the “witnesses” to learn by rote. We know also that the “witnesses” often came to the attention of the prosecution by routes that indicate the witnesses were presenting fabricated testimony and were recruited for that purpose.

At the Rwanda tribunal, we made a point in our trial of aggressively cross-examining these “witnesses” and they invariably fell apart on the stand, since they could not remember the scripts assigned to them. We further made a point of asking the “witnesses” how they came to meet with prosecution staff and how the interviews were conducted and how these statements were created. The results were an embarrassment to the prosecution as it became clear they had colluded with investigators to manipulate, pressure and influence “witnesses” and that they were complicit in inventing testimony.

Further, it is important for anyone reading this “judgement” to be able to refer to the pages in the transcripts at which the witnesses testified, what they testified to, and what they said in cross-examination, because a statement is not testimony. It is just a statement.

A statement cannot be used as evidence. That requires the witness to get in the box and to state what they observed. Then they can be questioned as to the reliability as observers, their bias if any, their credibility and so on. But in this case we see only references to “witness statements”. This indicates that the judges based their “judgement” not on the testimony of the witnesses (if they were called to testify) but on their written statements, prepared by the prosecution, and without facing any cross examination by the defence.

It is not clear at all from this judgement that any of the witnesses referred to in the statements actually testified or not, If they did then their testimony should be cited, not their statements. The only valid purpose the statements have is to notify the prosecutor of what a witness is likely to say in the trial, and to disclose to the defence so they can prepare their case and then use the statements in the trial to cross examine the witness by comparing the prior statement with their testimony in the box.

The formula is a simple one. The prosecution witness gets in the box, is asked to state what he observed about an event and then the defence questions the witness,

 Mr. Witness, in your statement dated x date you said this, but today you said that. …Let’s explore the discrepancy.

That’s how it I supposed to go. But where is it in this case? It is nowhere to be found.

Since I was not at the trial to observe I have no idea if these witnesses testified or not. If they did not and the prosecution simply filed one written statement after another before the judges why was that allowed to happen? If they testified, then why are there so few references to the trial transcripts? How can any researcher, any academic, any one analyse this case without that? How can Karadzic even file an appeal argument without the transcript references the judges had to use? Of course, that very fact gives him a ground for appeal, that the judgement is not a reasoned one as is required by law.

To sum up the situation, we have a document before us called a “judgement” in which certain positive things are said about President Milosevic. All well and good. But taken in its entirety it is a hatchet job on Dr. Karadzic, a NATO propaganda tract made out to be a legal judgement.

It contains within it no sense of the defence case or what the facts presented by the defence were or if any were even presented, what the defence arguments were on the facts, nor their legal arguments. But most importantly we have no idea what the testimony was of most of the prosecution witnesses and no idea what the testimony was of defence witnesses. It is as if there was no trial, and the judges just sat in a room sifting through prosecution documents writing the judgement as they went. We must suppose that this is not far from the truth.

And while the paragraphs referring to Milosevic may give some small consolation to us for his kidnapping and forced transportation to the Hague and forced trial it is a nightmare for Dr. Karadzic, who was forced to undergo the same ordeal and ended up with a “judgement” that is not worth the paper it’s written on and which pretends to condemn him while protecting the NATO powers from responsibility for their crimes.

The original source of this article is Global Research
Copyright © Christopher Black, Global Research, 2016


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The Murder of Slobodan Milosevic

By Peter Robert North
Global Research, August 02, 2016
a-place-to-stand.blogspot.com/ 1 June 2006

This article was published ten years ago following the assassination of president Milosevic. The ICTY, which has declared his innocence, was complicit in his assassination ordered by US-NATO. 

Based on the evidence provided by the ICTY themselves (some of it clearly inadvertant as a result of their clumsy coverup in the immediate aftermath of his death) i.e., public statements from ICTY officials (doctors/toxicologists) that they performed blood tests on January 12 which revealed the presence of the Leprosy drug ‘Rifampicine’ in Milosevic’s blood but kept it secret from Milosevic,his doctors,lawyers and the entire world for TWO MONTHS until March 7, is clear evidence of foul play on the part of officials in the ICTY.

The fact that the ICTY had to change their story repeatedly resulting in numerous self- contradictory and inconsistent statements also points to a clear coverup.

For example, once the Dutch NOS TV station revealed certain facts soon after Milosevic’s death – especially that Milosevic had a blood test on January 12 – which the ICTY doctors themselves admitted was performed in order to find out why Milosevic’s heart medication wasn’t working – and yet failed to tell anyone in the world including Milosevic himself until March 7 – and yet he dies three short days after writing a letter to the Russian embassy complaining of being poisoned.

The constantly changing stories by ICTY officials – all contradictory of one another – given for his death were also highly suspicious.

They first said it was “natural causes”, then said “possibly suicide”, then they said he took the “wrong medicine” – without explaining how he could have possibly taken the medicine without them knowing – since he was always closely watched and was ONLY given medicine by the prison dispensary in the presence of armed guards.

Then they changed their story yet again by claiming that he must have been “poisoning himself in secret” in a “complex plot to escape to Russia” – even though this necessitated the involvement of his lawyers,doctors, the Russian government and even the ICTY ITSELF (since it was known Milosevic was under strict 24/7 Video surveillance & ALL medicine as indicated previously had to be taken from the prison dispensary in the presence of armed prison guards then how on earth could he be “poisoning himself” in secret?!)

The “poisoning himself in secret” story just didn’t make any sense; realizing the absurdity, the ICTY offials simply changed their story yet again and LIED by making the ludicrous claim that he WASN’T monitored 24/7 and that “alcohol and other drugs” were being “smuggled in” to the prison for months before his death!!

But since this necessitated knowing involvement on the part of ICTY officials/guards, they had to change their story yet again by claiming that though the prison guards knew about this alleged smuggling of alcohol and drugs for months,somehow,because of sheer “incompetence”, nothing was done about it by the higher ups (i.e the judges/prosecutors) and Milosevic was happily able to poison himself for months on end (and presumably also get drunk)!

The fact that soon after Milosevic’s death the Dutch NOS TV station revealed that the ICTY ADMITTED that they KNEW about the presence of the Leprosy drug in his blood since January 12 – but supposedly did nothing about it for two entire months really threw a spanner in the works. This is where the cover up simply fell apart and blew a massive hole in the ICTY’s initial “we didn’t know he was poisoning himself so couldn’t do anything about it” story.

Someone INSIDE the ICTY had to administering the Leprosy drug to Milosevic covertly without his knowledge and that was clearly revealed in the complaint letter that Milosevic wrote to the Russian embassy on March 8 after he received the blood test report -the day before – on March 7 -TWO MONTHS late.

Since in this letter Milosevic makes clear that the ICTY has repeatedly refused to let him go to Russia for heart surgery (even as late as his last appeal of February 24,2006 his request for medical treatment was denied)Milosevic pointed out that Russian specialists would quickly detect the Leprosy drug in a routine blood test – and thus clearly PROVE his poisoning by the ICTY – is it any surprise that the letter doesn’t get delivered until AFTER his death?

Then they changed their story yet again and said that Milosevic WASN’T poisoned because they found no PRESCRIBED drugs in “toxic concentrations”. How cute. Meaning he wasn’t poisoned by the medicines he was SUPPOSED to be taking.

Even though ICTY officials admit that the Leprosy drug, ‘Rifampicine’, is an UNPRESCRIBED drug which apart from interfering with (i.e., blocking) heart medication – in effect acting as a POISON – it also quickly dissipates from the body leaving no trace of its presence (which they themselves admit) they still had the audacity to attempt to mislead the public by twisting the facts to make it sound as if he just simply wasn’t poisoned in any way at all.

The fact that the ICTY blood test report of January 12 did not get delivered to Milosevic until March 7 – two months late – causing him to write his very concerned letter on March 8, outlining his grave fears about being poisoned, and the fact that his MArch 8 lettr did not get delivered to the Russian embassy until well AFTER Milosevic’s death speaks volumes about who the only murderer could possibly be: NATO.

Since NATO have on numerous occasions publically admitted that they own – and ipso facto – control the ICTY, it can also be proved by the fact that Clinton’s former “peace envoy”, Richard Holbrooke was even able to intervene recently directly with the president of the ICTY on behalf of an ICTY-indicted KLA mass murderer, Mr.Ramush Haradinaj, to have Mr. Haradinaj released from The Hague prison without him having to even face trial – let alone be convicted for his crimes – also speaks volumes about what kind of “court” the ICTY truly is.

The original source of this article is a-place-to-stand.blogspot.com/




(hrvatskosrpski / français / italiano)

La nuova decrepita Croazia

1) REPUBLIKA HRVATSKA – OD SOCIJALIZMA I SAMOUPRAVLJANJA DO NEOLIBERALIZMA (Pavle Vukčević)
2) НА ИСТОК ИДЕ САТНИЈА (ЉУБАН КАРАН Sull'invio di truppe croate al confine della Russia, deciso al summit NATO di Varsavia...)
3) CONTINUA LA POLEMICA SULLE INSEGNE IN CIRILLICO A VUKOVAR / Stožer za obranu hrvatskog Vukovara: NE arapskim brojevima!


=== 1 ===

http://www.nasa-jugoslavija.org/Republika%20Hrvatska%20-%20od%20socijalizma%20i%20samoupravljanja%20do%20neoliberalizma.pdf

REPUBLIKA HRVATSKA
OD SOCIJALIZMA I SAMOUPRAVLJANJA DO NEOLIBERALIZMA

Umjesto uvoda – neka brojke govore:


Država: Socijalistička Republika Hrvatska  Republika Hrvatska u neoliberalizmu

Broj stanovnika 4 784 265 (1991.g.) 4 284 889 (2011.g.)

Ukupan dug 4 milijarde $ 57 milijardi €

BDP po glavi stanovnika 6 540 $ (1990.g.) 10 561 $ (2014.g.)

Udio prosjećne mirovine u prosjećnoj plaći 75,3 % 39 %

Omjer broja radnika i broja umirovljenika 2,83 / 1 1,13 / 1

Noćenja u turizmu 68,1 milijuna (1987.g.) 66,1 milijuna (2014.g.)

Domaći gosti 33 % 8%

Broj radničkih odmarališta 634 (76 000 kreveta) 0 (0 kreveta)

Broj pripadnika milicije / policije 9 000 20 000

Broj rođenih 55 409 (1990.g.) 39 000 (2014.g.)


REPUBLIKA HRVATSKA U SOCIJALIZMU I SAMOUPRAVLJANJU

Jugoslovensko društvo je po svom socijalnom i nacionalnom sastavu veoma složeno, što ga s obzirom na strukturu interesa čini heterogenim. U njemu postoji mnoštvo raznovrsnih, proturječnih i klasnih interesa i u tom mnoštvu sastavni dio jugoslovenskog društva svoje mjesto ima i SR Hrvatska. Historijska je istina da je samoupravljanje naslijedilo bezbroj različitih, naročito isključivih, klasnih interesa od klasnog kapitalističkog društva, kao i od vremena revolucionarnog etatizma. Prevazilazeći naslijeđene klasične razlike, socijalne i nacionalne protivrječnosti i sukobe samoupravljanje stalno produkuje i umnožava vlastite protivrječnosti, koje je trebalo demokratskim metodama razrješavati, usklađivati i usmjeravati. Stoga politički sistem Jugoslavije (a time i Hrvatske) nije mogao počivati na fiktivnoj pretpostavci o jedinstvu interesa. To je veoma složen i u mnogo čemu proturječan socijalni i politički sistem u kojem postoje, formiraju se i djeluju različite interesne grupe (socijalne, funkcionalne, ideološke, vjerske i druge). Te su grupe, kako međusobno, tako i unutar sebe, izdiferencirane i tako politički i socijalni život čine veoma složenim. U takvom socijalnom kontekstu različitih, suprotnih, a odatle i konfliktnih interesa, sukobi interesa i njihovo transponiranje u sferu politike ne mogu se nikako označiti kao devijantno ponašanje ili stanje, već kao zakonitost političkog sistema Jugoslavije, njegov konstitutivni element.

Bez obzira na društvenu intenciju integracije u SR Hrvatskoj, a time i u Jugoslaviji, evidentni su latentni i otvoreni sukobi interesa kao proizvod društvenih odnosa, jer socijalističko samoupravno društvo nije nikakav homogeni blok, nego složeni organizam sastavljen od dijelova koji imaju svijest o svojoj posebnosti i svoje uže interese – socijalističko samoupravno hrvatsko društvo nije nikakvo idealno društvo u kojem postoji opšti sklad interesa, što znači da ne isčezavaju sukobi interesa, ali se bitno mijenja način usklađivanja i to u osnovi – usklađivanje se vrši bez nužne intervencije sile, odnosno politike.

U SR Hrvatskoj je bilo neophodno potrebno obezbjediti osnovne postavke za funkcionisanje i realni utjecaj interesa i njihovu realnu funkcionalnost. Ovdje nekoliko karakteristika:
a) socijalističko društvo mora biti realni i u sebi usklađeni sistem sposoban da se brani od sopstvenih, nasljeđenih i suprotnih deformacija i stihijnosti;
b) svi autonomni oblici organizovanja (SOUR, RO i OOUR) i interesno stvorene integracije, cjeline, podsistemi i cjeli sistemi su neodvojivi od opštih socijalističkih ciljeva;
c) socijalistički politički sistem mora biti zasnovan na usklađivanju i sintezi opštih i pojedinačnih interesa, s tim da sinteza nije nikakav mehanički zbir pojedinačnih, a još manje kompromis provincijskih, nacionalističkih ili sebičnošću obojenih zahtjeva i zabluda;
d) postojanje i razvijanje sistema stalnih vrijednosti, solidarističkih odnosa među grupama i ljudima i antiutilitarne psihologije oslobođene kulta rentabilnosti i snalažljivosti.

Razvitak socijalističke demokracije u R Hrvatskoj ide uporedo sa stvaranjem mogućnosti i potreba da se osnivaju i afirmišu one interesne grupe koje djeluju kao samostalni, ali i sastavni dio jedinstvenog i usklađenog društveno-političkog sistema i demokratskog procesa. Socijalistička demokracija se razvija i jača samo da ograniči djelatnost i otkrije suprotne stavove i aktivnosti pojedinih interesnih grupa koje kao grupe za pritisak u sebičnom i partikularističkom smislu ne mogu biti sastavni dio socijalističke demokratske zajednice i njenog ustavnog poretka.

Afirmacija pluralizma nacionalnih interesa u Jugoslaviji – položaj SR Hrvatske

Veliki značaj u životu jednog naroda ima njegovo osjećanje da je u svojoj stvaralačkoj afirmaciji ne samo slobodan, već i da samostalno raspolaže uvjetima i sredstvima za takvu afirmaciju koje je sam sposoban stvarati, a to znači i da pored političke i kulturne samostalnosti raspolaže viškom svog društvenog rada i slobodno upravlja cjelokupnom društvenom reprodukcijom – što SR Hrvatska uspijeva u cjelini ostavarivati.

Jedinstvo naroda i narodnosti Jugoslavije nije građeno samo na nekoj goloj ekonomskoj i političkoj računici; njih povezuje dobar dio zajedničke povijesti, duboki osjećaj sudbinske povezanosti, etničke bliskosti većine njih i prije svega zajednička svijest koju je izgradila socijalistička revolucija i zajednička borba za demokratsko socijalističko samoupravno društvo. Mnogonacionalnost i afirmacija pluralizma nacionalnih interesa nije nikakav hendikep ili nesreća Jugoslavije; naprotiv, to je snažan progresivan faktor demokratizacije samoupravnog razvoja. U socijalističkoj samoupravnoj zajednici (kakva je Jugoslavija i u njoj Hrvatska) evidentne nesuglasice se obično ispoljavaju kroz međunacionalne protivrječnosti. Produbljavanjem samoupravljanja, jačanjem delegatskog sistema, razvijanjem humanih odnosa među ljudima, narodima i narodnostima – na osnovama pune ravnopravnosti – stvaraju se pretpostavke za razrješavanje društvenih, a time i međunacionalnih protivrječnosti u pravcu društvenog progresa.

Nacionalni interes je veoma složen i raznovrstan društveni fenomen, ima mnogobrojne aspekte, komponente i vidove svoga ispoljavanja i društvenog afirmiranja – ovdje samo neki od njih:
a) pluralizam ekonomskih nacionalnih interesa;
b) pluralizam nacionalnih intersa u političko-pravnoj sferi;

c) pluralizam nacionalnih interesa u kulturnoj sferi i afirmaciji ravnopravnosti jezika.

U uvjetima suvremenih socijalističkih ekonomskih odnosa koji se zasnivaju na raspodjeli prema radu i sve snažnije se ispoljavaju kao društveno samoupravljanje radnog čovjeka, polazna tačka ekonomske samostalnosti naroda može biti samo u primjeni tog istog principa raspodjele prema radu i u međunacionalnim ekonomskim odnosima. Uzajamni odnosi među narodima u Jugoslaviji zavisili su od toga koliko je svako od njih razvio proizvodne snage, raspodjelu prema radu i unutrašnje tržište. Svi narodi i narodnosti imaju svoje interese i svoja prava da se razvijaju u skladu s rezultatima svoga rada i da nikakve druge snage (birokratizam, tehnokratizam, oblici nacionalizma) van njih ne mogu raspolagati plodovima rada. Nacija se u ostvarivanju svojih interesa naslanja na bazične društvene procese, a ne na njihovu nadgradnju. Baza nacije postaje samoupravljanje, jer je samoupravni sistem na taj način dao sasvim novu demokratsku sadržinu naciji i republikama – međunacionalnim odnosima. Kroz prevladavanje sopstvenog osamostaljivanja nacija se, kao oblik jugoslovenske zajednice, vraća svom radnom mjestu – radu – a nacija postaje prirodnija zajednica.

Nova obilježja nacije u samoupravnom društvu razvijaju se kroz prevladavanje posredničke uloge nacije (njenog interesa) između (njene) ekonomske osnove, konkretnog načina podruštvljavanja proizvodnje i totaliteta društva te kroz osamostaljivanje nacije kao oblika zajednice. Svako nasilno prelivanje nacionalnog proizvoda, bilo na osnovi ekonomske snage ili političke prinude, bezuvjetno mora izazivati međunacionalne konflikte, jer se neposredno napadaju interesi nacije.

Realnost društvenog bića nacionalnih interesa u Jugoslaviji protkana je i osamostaljujućim i udružujućim tendencijama na socijalističkoj samoupravnoj osnovi, ali i jakim dezintegracionim i monopolističkim tendencijama na etatističko-tehnokratskoj i građanskoj osnovi. U odnosu na to koliko je udruživanje rada njihovo oružje zavisi domet, stupanj i brzina prevladavanja udružujućih nad dezintegracionim i osamostaljujućih nad centralističkim tendencijama. Otuda bi bile konzervativne i antihistorijske one posebne razvojne strategije koje ne bi, u mjeri koja je suglasna istorijskim interesima svakog ponaosob, uvažavale istorijske interese svih zajedno unutar Jugoslavije.

Pluralizam nacionalnih interesa u politički-pravnoj sferi

U toku revolucije narodi i narodnosti Jugoslavije su ostvarivali svoj nacionalni suverenitet, ravnopravnost i afirmaciju konstituirajući se (nacije) kao političko pravna posebnost izražena u narodnoj republici, a zajedništvo im je oličeno u federaciji. Suština nacionalnih interesa u političko-pravnoj sferi bila je uspostavljanje i razvijanje nacionalnih odnosa u duhu pune ravnopravnosti, nezavisno od toga kolika je veličina naroda ili narodnosti, kakva je ekonomska moć naroda ili narodnosti, bez obzira na veličinu teritorijalnog prostranstva na kojima su egzistirali. Neosporno je da je vitalni interes naroda i narodnosti Jugoslavije da se međusobni odnosi razvijaju bez ikakvih:

a) privilegija;
b) diskriminacije;
c) hegemonizma i
d) nacionalne supermacije.

Sredinom i potkraj pedesetih godina u javnom političkom životu gotovo je prestala rasprava o problemima međunacionalnih odnosa u Jugoslaviji. Upravo u tom istom vremenu dolazi do oživljavanja unitarističko-centralističkih tendencija u kojima dominira borba protiv nacionalnog faktora u društvenom razvoju, a položaj republika se svodi na puku formu i administrativno-teritorijalnu stepenicu centralističkog društvenog sistema. Posljedice birokratsko-centralističkih tendencija počele su se naročito osjećati u odnosima prema nacionalnim manjinama:
- nepovjerenje prema pripadnicima nacionalnih manjina;
- potiskivanje njihovih pripadnika s odgovornih političkih funkcija;
- proturanje teze da je za budućnost nacionalnih manjina bolje da se što više koriste srpskohrvatskim jezikom, jer im olakšava napredovanje itd.
SKJ zauzima energičan i odlučujući stav: „Nacionalne manjine se tretiraju kao potpuno ravnopravni faktor sa svim drugim jugoslovenskim narodima. Svoja suverena prava prema Ustavu SFRJ od 1963. godine ostvaruju u federaciji kada je to u zajedničkom interesu, a u svim ostalim odnosima u socijalističkim republikama.“

U cilju otklanjanjanja protivrječnosti na relaciji međunacionalnih odnosa, a sa stanovišta afirmacije pluralizma nacionalnih interesa u političko-pravnoj sferi, u Ustavu SFRJ je konstatirano da se federacija ne izgrađuje po nekim statističkim državno-pravnim formulama, nego kao specifična socijalistička, kako kao država tako i samopravna zajednica, koja u prvom redu mora odgovarati potrebama, uvjetima i perspektivama socijalističkog i samoupravnog razvoja svakog naroda, a u okviru zajedničkih i političkih interesa i potreba naroda i narodnosti Jugoslavije. Bitno obilježje Ustava čine principi prema kojima se suverena prava ostvaruju u republikama, odnosno pokrajinama, a u federaciji samo ona suverena prava koja su Ustavom izričito utvrđena i to na osnovu suglasnosti svih republika i autonomnih pokrajina.

Pluralizam nacionalnih interesa u kulturnoj sferi i afirmacija ravnopravnosti jezika

Slobodan razvoj kulturnog života, stvaralaštvo i obrazovanje radnih ljudi, naroda i narodnosti Jugoslavije ne vodi zatvaranju u nacionalne okvire, već oslobođenju prirodnih težnji svih naroda i narodnosti da se povezuju i uzajamno obogaćuju međusobnim uticajem. Ravnomjerni kulturni razvoj svake pojedine nacije predstavlja značajan uvjet daljnjeg razvoja, zbližavanja, ujedinjavanja i ispomaganja naroda i narodnosti. To je pretpostavka spoznaje druge kulture kada se sama obogaćuje vrijednostima drugih kultura, a uvijek stagnira kada se zatvara u sebe. Kulturne vrijednosti svake pojedine nacije i narodnosti imat će pravu veličinu ako isti odnos razumijevanja i poštovanja svako od njih pokazuje prema tekovinama kulture drugih nacija i narodnosti. U Jugoslaviji ne postoji neka nadnacionalna ili anacionalna kultura, ali to ne znači da se pojam „jugoslovenska kultura„ ne može upotrebljavati za označavanje svega onoga što je od zajedničkog interesa svih jugoslovenskih naroda i narodnosti. Proces povezivanja kultura nacija na osnovama pluralizma interesa nacija u sferi kulture nije suprotan idejama samoopredjeljenja, slobode, samodjelatnosti, nezavisnog razvitka i ravnopravnosti naroda. Nasilno kulturno zajedništvo može imati samo reakcionarne posljedice.

Razvoj nacionalnih kultura naroda i narodnosti Jugoslavije je ostvaren na njihovim jezicima i u duhu afirmacije ravnopravnosti jezika svih narodnosti. Ukoliko ovo načelo ne bi nalazilo potvrdu i podršku u društvenoj praksi, imalo bi značenje intelektualnog slova i humanističko-demokratske preporuke, koje praksa nije obavezna da uvažava. U samoupravljanju se radi upravo o tome da je svakodnevna praksa zagovornik jezika. Mogućnost svakog radnog čovjeka da se koristi maternjim jezikom na koji može da se najpotpunije izrazi je uvjet da on uopće ostvaruje svoja samoupravna prava. Ukoliko su samoupravni odnosi razvijeniji utoliko je samoupravna demokracija uspješnija, a ukoliko je samoupravna demokracija uspješnija utoliko više radni čovjek ostvaruje svoja samoupravna prava. Ravnopravnost jezika je ukorijenjena u samoupravnu praksu i javlja se kao potreba svakodnevnog potvrđivanja stvarne ravnopravnosti radnika različitih naroda i narodnosti. Afirmacija ravnopravnosti jezika nije samo potreba uopćeno shvaćenih ličnih sloboda i prava čovjeka i građanina nego i vid ostvarivanja tih sloboda u stvarnim samoupravnim uvjetima čiji je razvoj u interesu cijele zajednice i u kome se spajaju lični i zajednički interesi.

U Ustavu SFRJ iz 1974. godine u članu 170 se kaže „Građaninu je zajamčena sloboda izražavanja nacionalne kulture i slobode, upotrebe svog jezika i pisma“, zatim u članu 171 “pripadnici nacionalnih manjina imaju u skladu sa ustavom i zakonom pravo na upotrebu svoga jezika i pisma“, a u članu 214 “neznanje jezika na kojem se vodi postupak ne smije biti smetnja za odbranu i ostvarivanje opravdanih interesa.“

To što se pripadnici naroda i narodnosti Jugoslavije često u svakodnevnom komuniciranju međusobno sporazumijevaju na srpskohrvatskom jeziku ne znači da su pripadnici naroda i narodnosti, kojima to nije maternji jezik, dužni i obavezni da se njime služe. Nasuprot, njihovo je neotuđivo pravo da se javno služe svojim jezikom i da ga upotrebljavaju u svim oblicima komuniciranja. (1)

PUT R HRVATSKE KA NEOLIBERALIZMU I OSAMOSTALJENJU

Smatra se (u znanstvenim krugovima, a onda i u praksi) da je suvremeni razvoj hrvatskog društva pod izrazitim utjecajem sustava vrijednosti i života koji su prevladavali u socijalističkoj Hrvatskoj. Govori se o takozvanom komunističkom mentalitetu koji danas preovladava u društvenoj svijesti. Ovom sintagmom se često koriste političke stranke desne provijencije, te katolički teolozi i znanstvenici bliski Katoličkoj crkvi, a da nedovoljno precizno definiraju sam pojam. Drugi su pak skloni prenaglašavati rat i ratne okolnosti obnavljajući na taj način obilježja tzv. plemenske kulture koju karakteriše sklonost upotrebi nasilja, netolerantnosti, sklonost pljački i otimačini (hajdučki mentalitet itd.)

Ideja o uspostavi samostalne hrvatske države u doba socijalističke Jugoslavije bila je prije svega prisutna u političko-ideološkim programima političke emigracije koja je napustila hrvatsku krajem drugog svjetskog rata. Misli se prije svega na ustaše, zatim HSS (hrvatska seljačka stranka) kao i niz drugih političkih organizacija i grupacija. Iz toga proizilazi da su afirmaciju političkog projekta državnog osamostaljenja Hrvatske i mogućnost njegove realizacije zavisile od političkog povezivanja Hrvata u Hrvatskoj i Hrvata u dijaspori ili, kako je to Tuđman formulirao, od „političkog povezivanja sveg hrvatskog„.

Tuđmanova osnovna pretpostavka za uspostavu samostalne hrvatske države jeste pomirba svih političkih različitosti unutar hrvatske nacije, a prije svega ustaša i partizana – dviju oštro sukobljenih ideološko-političkih struja u Drugom svjetskom ratu. Ta se pomirba ponajprije trebala izraziti u saglasnosti oko osnovne ideje – uspostavi samostalne hrvatske države. Vrlo brzo će se pokazati da sama saglasnost oko te ideje nije dovoljna što i sadašnja zbivanja sama po sebi dokazuju. Da bi se razbila i izmijenila izrazito negativna slika o ustaškom pokretu (zločinima) trebalo je afirmirati mišljenje da je ustaški pokret, bez obzira na sve slabosti njegove ideologije (minimiziranje zločina do njihovog opravdavanja), pa i istorijske prakse, zauzimajući se za stvaranje samostalne hrvatske države, zapravo simbolizirao „iskonsku težnju hrvatskog naroda za vlastitom državom“ (Tuđman). Sa druge strane, ono čega se treba odreći jeste partizanski pokret i njegov doprinos Narodno oslobodilačkoj borbi. Ideja svehrvatskog pomirenja jest sveobuhvatno prihvaćanje hrvatske države, a slobodna odluka o ulasku hrvatskog naroda u jugoslovensku zajednicu naroda bio je istorijski promašaj.

Ovome treba dodati i koncept stvaranje hrvatske države kroz okupljanje Hrvata kako u Hrvatskoj tako i u dijaspori. Tek stvarnim povezivanjem i pomaganjem svih tih segmenata hrvatstva moći će se ostvariti hrvatska država i hrvatska nacija, što će omogućiti da ista postane aktivnim vojnim, ekonomskim i političkim faktorom na ovim prostorima. Jedna (ne manje važna) pretpostavka Tuđmanova projekta osamostaljivanja Hrvatske odnosila se na potpuno negiranje bilo kakvih vrijednosti bivše SFR Jugoslavije i njezina društveno-ekonomskog i političkog poretka (što se ugrađuje u Ustav R Hrvatske).

Za Hrvate Jugoslavija je bila tamnica naroda, država u kojoj je hrvatska nacija bila sistematski gospodarski, politički i kulturno izrabljivana, u kojoj nisu bile priznate religijske slobode, te država koja je bila nedemokratska i totalitarna, a ni u samoupravljanju se ne vidi bili što dobro – poričući bilo kakvu razliku između samoupravnog socijalizma i državno-centralističkog modela socijalizma.

Što se tiče tipa gospodarskog sistema koji će se razvijati u osamostaljenoj hrvatskoj državi, Tuđmanov projekt predviđa uspostavu neoliberalizma. Proces pretvorbe i privatizacije društvenog bogatstva treba iskoristiti za formiranje nove kapitalističke klase koja će omogućiti gospodarski prosperitet Hrvatske, a to je nužno stvaranje 200-300 bogatih porodica koje će biti okosnica nove kapitalističke klase, ostalo je, prema Tuđmanu, „stoka sitnog zuba“. U duhovno-ideološkom i kulturnom smislu samostalna hrvatska država treba se utemeljiti na nacionalističkoj ideologiji s osnovnim ciljem da se u relativno kratkom vremenu ostvari jedinstvena nacionalna svijest Hrvata koji će nesmetano i slobodno isticati svoje hrvatstvo. To je neophodno potrebno zato što su u dosadašnjoj istoriji pojedini dijelovi hrvatskog naroda bili teritorijalno, kulturno i duhovno podijeljeni, pa čak i međusobno sukobljeni, a u interesu drugih nacija i državnih tvorevina koje su vladale Hrvatima. Posebnu pažnju treba posvetiti nacionalnoj baštini i tradiciji kako bi se današnjim i budućim generacijama Hrvata pokazalo da je hrvatska nacija, iako brojčano mala i dugo bez vlastite države, jedna od najstarijih nacija i „Božji narod“, vrijedna poštovanja (i straha) i da je zaslužila vlastitu državu.

Ostvarivanje etničkih i nacionalnih prava nacionalnih manjina (posebno Srba) ne smije biti u funkciji slabljenja hrvatske države. U podtekstu razmatranja odnosa srpske nacionalne manjine i hrvatske nacije i države, stanovište je da bi bilo dobro da udio srpske manjine u ukupnom stanovništvu Hrvatske ne bude veće od pet posto (što je ostvareno u vrijeme vojne akcije Oluja), što onda ne bi obavezivalo hrvatsku vlast na davanje šire kulturne i političke autonomije toj manjini.

Stvaranje samostalne hrvatske države pretpostavljalo je posebnu ulogu katoličke religije, odnosno crkve s obzirom na njezinu iznimnu ulogu u duhovno-kulturnom razvoju i opstanku hrvatske nacije. Ona mora biti, ne samo duhovno-moralna i svjetonazorska okosnica svekolikog društvenog života, nego i bitan element legitimnosti same državne vlasti i države kao takve – dolazi do poistovjećivanja hrvatstva i katoličanstva.

U pogledu ljudskog sastava novostvorena vladajuća gospodarska i politička elita doživljava veliku promjenu. Političku nomenklaturu uglavnom čine novi ljudi koji su za vrijeme socijalizma bili u emigraciji. Karakteristično je da ta elita ima veliku društvenu i političku moć kojom se koristi za vlastito ekonomsko zbrinjavanje uz visoke plaće i druge povlastice, a veliki broj njih ostvario je to nelegalnim putem (mito, korupcija, ratno profiterstvo). Uz poznate „tajkune“ (kapitalističku klasu) ubrajaju se i mnogi drugi, u javnosti manje poznati, većinski vlasnici proizvodnih i drugih organizacija (banke, osiguravateljska društva, hotelijeri...) i u snažnoj su političkoj sprezi sa novom političkom nomenklaturom.

Osim brojčanog smanjenja bitno se promjenila i socijalna pozicija radničke klase, jer je u kratko vrijeme izgubila sve pogodnosti koje je stjecala svojim radom u socijalizmu (sigurnost radnog mjesta, besplatno zdrastveno osiguranje, socijalnu sigurnost, besplatno školovanje djece itd.). U procesu pretvorbe i privatizacije radnička klasa u Hrvatskoj često je i žrtva samovolje vlasnika i poslodavaca, a gubitak samoupravnih prava nije bio, niti će biti, nadoknađen primjerenom sindikalnom zaštitom. Kao zoran primjer nepovoljnog položaja radničke klase može se navesti primjer da oko 80.000 ljudi radi, a ne prima redovno plaću, da se prosječne plaće kreću od 2000 do 4.500 kuna, što nije dovoljno za podmirivanje najosnovnijih potreba porodice. U Hrvatskoj je problem nezaposlenosti poprimio alarmantne razmjere, što je praćeno velikim socijalnim posljedicama na ukupno stanje u društvu, a što, sa druge strane, vodi ka masovnom iseljavanju naročito mladih i obrazovanih. Ta socijalna i ekonomska stvarnost dovodi do stvaranja prosjaka, skitnica i beskućnika, čiju je brojku teško precizno odrediti, ali su naročito vidljivi u velikim gradovima i turističkim mjestima. S obzirom na dugotrajnu ekonomsku krizu (a pretpostaviti je da će se produbljavati) njihov će broj rasti.

Nakon ratnih zbivanja tokom devedesetih godina prošlog vijeka (etničkog čišćenja – Tuđmanovog „humanog preseljenja“), došlo je do velikih promjena u nacionalnoj i etničkoj strukturi stanovništva Hrvatske. Te se promjene očituju u znatnom smanjenju broja pripadnika nacionalnih i etničkih manjina, a najveće smanjenje manjinskog stanovništva dogodilo se u srapskoj etničkoj zajednici – čak za dvije trećine u odnosu na njihov broj 1991. godine (sa 581.000 na 201.000). To je vrijeme pojačane asimilacije pripadnika nacionalnih manjina i njihovih porodica, to je vrijeme u kojem vladajuća politička stvarnost ne priznaje i ne prihvata da je hrvatsko društvo multietničko i multikonfesionalno (svaki deseti građanin nije hrvatske nacionalnosti). Dilema je i dalje prisutna (pretpostavljam da će to još dugo potrajati) da li su građani hrvatske nacionalnosti voljni navedeno respektirati i vlastitim ponašanjem pridonositi nesmetanom ostvarivanju svih nacionalnih, jezičkih, kulturnih, religioznih i drugih prava pripadnika nacionalnih, etničkih i religioznih manjina.

Hrvatska društvena mreža isprepletena je korupcijom u svim segmentima i na svim nivoima, a nositelji su politička elita inkorporirana u cjelokupnom društvu – institucijama sistema. Uzrok fenomena korupcije (sa nesagledivim posljedicama), treba tražiti u:
a) nagli prjelaz iz socijalističke planske ekonomije u robnonovčanu i tržišnu ekonomiju s obilježjima prvobitne akumulacije kapitala praćene pljačkom;

b) nepostojanje ili nerazvijene institucije civilnog društva kao i nerazvijenost efikasnih mehanizama javne kontrole vlasti;
c) specifičan načina regrutiranja novih političkih elita čiji pripadnici obnašanje političkih funkcija shvaćaju kao normalan način sticanja materijalnih dobara;

d) neprimjerena čistka u svim institucijama putem lustracije.
„Ono što se u ratu i poslije rata događalo s pravosuđem, ali i s drugim državnim i društvenim ustanovama Hrvatske može se u obliku čvrste hipoteze nazvati nacionalističkom revolucijom: nacionalističkom zbog političkog sadržaja izvedenih promjena, a revolucijom zbog protupravnosti, nasilnosti i razornosti načina izvođenja tih promjena. Hrvatsko pravosuđe je devastirano političkim udarom, što je dovelo do toga da su iz pravosuđa izbačene gotovo sve osobe srpske nacionalnosti i mnoštvo osoba osumnjičenih za političku nelojalnost po kriterijima nacionalizma. Pravosuđe u novom stanju, a ponajprije Državno odvjetništvo, vojni sudovi i novoimenovani predsjednici sudova, postali su ravnodušni promatrači i akteri bezbrojnih nezakonitosti i zločina političke i parapolitičke prirode – tako što nisu gonili ili nisu kažnjavali, a to znači da su tolerirali i pasivnošću poticali ubojstva, uništavanje imovine, izbacivanje s posla, nezakonite deložacije, nepriznavanje državljanstva i drugih prava stotina tisuća ljudi (dr.prof. Nikola Visković, Novi list, 2001, 5).

Sve to dovodi do repatrijarhalizacije hrvatskog društva i političkog života, a to znači oslanjanje pojedinaca na užu i širu obitelj u odnosu na ostvarivanje bitnih ciljeva, zaposlenje, stambeno zbrinjavanje, političku promociju, što sa druge pak strane dovodi do klijentelizma, koji je usmjeren na formiranje i održavanje masovne klijentele vladajuće političke elite s jedne strane i dovodi do razvijanja procesa dristibucije i posebnih beneficija samim članovima političke elite, njihovim bliskim pomagačima, srodnicima i rodbini s druge strane.

Ako se kritički promatra i struktuira korupcija u hrvatskom društvu, iluzorno je očekivati da će vlast ozbiljnije započeti borbu protiv mita, korupcije i organiziranog kriminala, bez obzira što u članku 31. Ustava R Hrvatske piše: “Ne zastarjevaju kaznena djela ratnog profiterstva, kao ni kaznena djela iz procesa pretvorbe i privatizacije počinjene u vrijeme Domovinskog rata i mirne reintegracije, ratnog stanja i neposredne ugroženosti neovisnosti i teritorijalne cjelovitosti države propisane zakonom ili ona koja ne zasterjevaju prema međunarodnom pravu. Imovinska korist, ostvarena tim djelima ili povezana s njima oduzet će se .“

Split, juli 2016. godine

Piše: doc. dr. sc. Pavle Vukčević 
Udruženje "Naša Jugoslavija" e-mail: pavlevukcevic @ gmail.com


(1) Napomena: Napisani tekst je skraćena verzija magistarskog rada „Pluralizam samoupravnih interesa i delegatski sistem u Jugoslaviji“, odbranjen na Fakultetu Političkih Nauka, u Beogradu 1983. godine.


=== 2 ===

Sull'invio di truppe croate al confine della Russia, deciso al summit NATO di Varsavia... e la ripresa di nomi e simbologia dello "Stato Indipendente" (NDH, nazifascista) da parte delle formazioni dell'esercito croato che saranno lì impiegate...

http://www.standard.rs/politika/35133-на-исток-иде-сатнија

НА ИСТОК ИДЕ САТНИЈА 

• понедељак, 11 јул 2016 11:58

ЉУБАН КАРАН

Зашто упућивање хрватске јединице на границу Русије изазива еуфорију и одушевљење код већине Хрвата?


Хрватска предсеница Колинда Грабар Китаровић не крије своје одушевљење по повратку из Варшаве, где је присуствовала самиту лидера НАТО. Она само репрезентује одушевљење комплетне хрватске нације, јер, како сама каже, очекује консензус око слања контингента хрватских војника на руску границу. Под насловом На исток иде сатнија објављена је ударна вест на Хрватској телевизији. Шта је то дефектно у овом наслову и које су његове скривене пруке хрватској нацији? Ради се о елитној јединици Хрватске војске, која је интегрисана у немачко-холандски контингент стациониран у Немачкој и која ће вероватно бити распоређена у неку од балтичких земаља у скаду са најновијим одлукама челника НАТО.

Шта је то сатнија и да ли ће та јединица значајно увећати снагу НАТО на Истоку? Многима ван Хрватске овде треба објашњење јер је ова држава усвојила формацију, назив јединица и чинове у војсци по узору на усташку војску НДХ Анте Павелића. Тако је сатнија јединица величине чете а официр који њом командује има чин сатника, што је у рангу капетана. Значи, хрватско учешће у престројавању НАТО снага према границама Русије са циљем војног притиска на ту земљу је симболично, јер једна чета може променити однос снага само када би била сучељена два батаљона а не две најјаче војне силе на свету – НАТО и Русија. Чему онда толико одушевљење у Хрватској?

Симболика је у питању. Да би се разумело хрватско одушевљење новом улогом у глобалном војном сучељавању, у помоћ би требало позвати хрватску историју и традицију. Јер није њима први пут да шаљу војни контингент на Исток, и тога се већина Хрвата са носталгијом и, како знају да кажу, „са посебним пијететом“, сећају. Прва јединица која је својевремено из Хрватске упућена на Исток била је 369. појачана пјешачка пуковнија усташке војске. Пуковнија је 1941. године, такође из Немачке, као и садашња сатнија, упућена на Исток, у сучељавање са Русима. Додуше, не као сада у балтичке земље (Естонија, Летонија и Литва), него много јужније – под Стаљинград, где је немачка нацистичка војска водила једну од најтежих битака у Другом светском рату. Али симболика је иста.

ЛЕГЕНДА ТРАЈЕ
Била је то најелитнија јединица тадашње Павелићеве војске и као таква понос проусташког дела нације. Није случајно да је ову јединицу на бојишту у Русији обишао Павелић лично у друштву са најпознатијим и најопеванијим усташким командантом Јуром Францетићем. Хрватско учешће на Источном фронту са Вермахтом и тада је требало бити симболично. Међутим, да ли због пропаганде или стварног хрватског расположења у то време, на позив поглавника за одлазак на Источни фронт јавило се 5.000 добровољаца, далеко више него што су очекивали, јер се знало да иду у тешке битке. Тако је пала одлука да се формира већа јединица – пуковнија. Изабрано је 3.865 добровољаца који су распоређени у три бојне (батаљона) ове јединице. Прва бојна је формирана од добровољаца из Сарајева, а друге две из Загреба и Вараждина. Војну обуку су завршили у Немачкој а затим упућени под Стаљинград у састав 100. лаке ловачке дивизије, 17. немачке армије у Групи армија југ. Били су познати под именом Хрватска легија, са геслом: „Шта бог да и срећа јуначка“.

Ова јединица је у проусташком корпусу Хрватске постала легендарна, са угледом који ни приближно никада није имала ниједна друга. О њој су певане песме и испредане приче. Иако је ју је комплетну (или оно што је од ње остало) заробила 1943. године Црвена армија, ушла је у легенду. Има ту један апсурд, јер у том величању никада се не прича шта се десило са овом легијом након заробљавања. Чак би се могло рећи да је то лажна хрватска легенда. Њен последњи командант, који је заробљен са око 700 легионара, био је артиљеријски пуковник Марко Месић (на слици испод у црвеном кругу) – стриц далеко познатијег Стјепана Месића, хрватског политичара који је био последњи председник Председништва СФРЈ и који је на крају рекао: „Мој посао је завршен, Југославије више нема“.

Марко Месић је са већином својих војника преврбован у заробљеништву, тако да је постао командант Прве југословенске бригаде која је са Црвеном армијом под борбама са Немцима дошла на подручје Југославије и где је ушла у састав 23. српске дивизије 14. корпуса НОВЈ. Тако су се Месић и његове елитне усташе на крају рата, као партизани, борили против своје усташке сабраће, док су их они славили и величали и од њих направили легенду. Било је помало и смешно што су усташке главешине у Загребу доделиле Месићу једно од највиших одликовања, јер су били убеђени да је погинуо под Стаљинградом. Тако је потпуни апсурд да је ова легија у Хрватској постала легенда јер од тада постоји термин „Црвене усташе“. Али управо тако се догодило – то је најцењенија и најпоштованија војна формација у Хрватској свих времена.

„ЦРВЕНЕ УСТАШЕ“
Њену популарност код Хрвата није тешко доказати. Већ у Другом светском рату једна домобранска војна формација носила је име ове контроверзне пуковније, да би јој проласком времена популарност расла. Нису тачна нека писања да је легија била домобранска јединица, једноставно зато што су домобранске формације чинили мобилисани људи, а усташке јединице добровољци. До грађанског рата у Хрватској легенда је вишеструко надувана, тако је у Хрваткој и БиХ било више јединица под називом 369. бојна. Сматрало се за велику част распоређивање у такве јединице. Већ то је био сигуран знак и показатељ да нова хрватска власт у лику ХДЗ неће бити опредељена за антифашизам, него управо за фашизам и усташке традиције. Чак ни левом крилу ХДЗ, које је предводио Фрањо Туђман, није сметало што се њихова борба ослања на усташке легенде јер су са усташком емиграцијом ушли у чврст савез на идеји стварања независне Хрватске државе. Када се размишља и анализира како је уопште могуће да су се повезали и договорили усташка емиграција и партизански и левичарски део Хрватске, требало би имати на уму следбенике Марка Месића и такозване „Црвене усташе“.

И не само то. Веза усташа и комуниста у Хрватској датира још из времена Краљевине Југославије, значи још пре Другог светског рата, јер су се истовремено и заједно налазили у затворима по основу истих кривичних дела против државе. Без обзира на политичка определења, од ултралевих до ултрадесних, у затвору су успостављана пријатељства која су настављана по изласку из затвора. Ако се нису могли дружити због различитих политичких погледа, тајно су се веома поштовали и увек су били спремни да помогну једни другима, па и да тајно постижу договоре и савезе. Нема ту ништа чудно. Нешто слично се недавно дешавало у притвору Хашког трибунала, где су високи официри и политичари, који су у рату били на супротним странама, у притвору склапали пријатељства, међусобно се поштовали и били спремни да помогну један другоме и у приватном животу и у одбрани пред судом.

Зато не би требало да чуди одушевљење у Хрватској због слања сатније на границу Русије, јер је већинско мишљење у тој земљи да ова јединица наставља традиције „славне“ Хрватске легије. Сувише је примера да је то управо тако, а навешћу само један – однос према војсци Краљевине Југославије и касније према ЈНА у СФРЈ. Ниједну од ове две војске већина Хрвата никад није сматрала својом и увек су је притајено сматрали непријатељском. Војску Краљевине Југославије (Краљевине СХС) искористили су да врате своје изгубљене територије које су заузели Италијани, Аустријанци и Мађари. Војску СФРЈ искористили су да прикрију своју искрену активну улогу у фашистичком покрету. Зато је у време Југославије био латентно присутан проблем одзива Хрвата и пријављивање у војне школе. За ЈНА је то био велики проблем због фамозног кључа и дефинисаних процената официра и подофицира у складу са бројношћу нација у Федерацији. Конкретно за Хрвате тај проценат је пеглан тако што су далеко више од дефинисаног процента примани у Ратно ваздухопловство и Ратну морнарицу, јер је једино у тим видовима одзив био прихватљив. Солуција је била – ако већ неће у копнену војску, примај их тамо где хоће. Наравно да је то пеглање ишло на штету других нација.

ХРВАТСКА ПРЕД НАТО ДИСКРЕДИТУЈЕ СРБИЈУ
Општа је оцена да недавни самит лидера земаља НАТО пакта у Варшави није формалног карактера и да су донесене веома значајне одлуке – на Западу их представљају као искључиво одбрамбене, док се у Русији гледају као изразито офанзивне, до нивоа припрема за напад на Русију. Учињено је доста на општој мобилизацији и увезивању снага НАТО, као и пропагандном деловању на бољем разумевању опасности од Русије. У свему томе има и симболике – град у коме је основан Варшавски уговор сада је угостио шефове НАТО пакта.

Амерички председник Барак Обама био је веома конкретан и потпуно одређен када је позвао челнике НАТО да не попуштају пред све већом претњом Русије. Предложио је наставак санкција према Русији „док потпуно не прихвате прекид ватре у Украјини“, тако да нема дилеме да ли ће се санкције наставити иако неке земље под притиском властитих економских губитака стидљиво најављују њихово укидање. Ипак, најважнија ствар коју је самит донео јесте размештање нових НАТО снага на граници Русије, пре свега у балтичким земљама (где се нашла и хрватска сатнија), јер је то конкретан и провокативан војни потез који мора изазвати реакцију Русије. Управо тако се и догодило, јер је председник Русије Владимир Путин одмах потписао указ о повећању армије. Истовремено, врши предислокацију и распоред јединица Руске армије у складу са потезима НАТО.

Јавио се и гробар Совјетског Савеза Михаил Горбачов, који успаничено каже: „НАТО прича о одбрани, а припрма напад на Русе“. Горбачову би требало веровати, јер је увек имао добре везе на Западу, где је веома цењен. Његова узнемирност конкретним догађањима требало би да забрине. Он још каже: „Реторика у Варшави вришти од намера да практично прогласи рат Русији“.

Ко би рекао да ће хрватска председница, Колинда Грабар Китаровић у тако сложеној ситуацији покушати да усмери пажњу овог великог скупа, који увезује бар четвртину света, према Србији. Разрадила је тезу преко које је нашла начина да учесницима самита прикаже Србију као реалну и надолазећу опасност, која посебно забрињава Хрватску. Није то ни мало наиван напад, јер не може да се мери било која Колиндина изјава у Загребу са оним што је рекла о Србији пред 2.500 званичника, 2.000 медија, 28 чланица НАТО и 26 земаља партнера овог пакта. Овај потез се може третирати не само као перфидан него крајње злонамеран и подмукао, тако да заслужује адекватан одговор Србије. Инсистирала је да се мора зауставити продор Русије на Балкан преко Србије и образложила зашто је посебно брине војно повезивање Србије са Русијом. Према њој, та војна веза расте јер се најављују велике заједничке војне вежбе, међу којима је посебно поменула војну вежбу „Словенско братство“, која је најављена за октобар.

ГАЂАЈУ РУСИЈУ, ПОГАЂАЈУ СРБИЈУ
Основно питање није шта то Хрватска ради, него зашто то ради. На то питање Србија мора наћи одговор. Јер, ако неко у тако сложеној ситуацији, која би се без резерве могла назвати широка припрема за рат две најаче светске силе, које су истовремено светска опасност јер држе прст на нуклеарном окидачу, истакне Србију као светски проблем, његове намере нису чисте и треба их озбиљно схватити. Који је то интерес и који план Хрватске који може бити толико важан да занемарује своје тренутне економске интересе ради њега? Јер требало би знати да је број руских туриста у Хрватској последњих година увелико повећан. Да су они рекордери по просечном броју ноћења по једном туристи и галантни у трошењу новца. Сем тога, порастао је интерес руских купаца за некретнине у Хрватској. Зашто онда држави коју дрма и економска и политичка криза то није важно, него и даље одапињу отровне стреле према Русији. Уствари, када год у својим изјавама гађају Русију испадне да успут погоде Србију.

Ономе ко добро познаје усташки покрет и његове стратешке циљеве јасно је шта се крије иза сталних и перфидних напада на Србију – територијалне претнензије према Србији и Републици Српској. Само то је довољно важно да би се занемаривали важни економски интереси. Међутим, забринутост Хрватске није измишљена, она је стварна. Не зато што се плаши некаквог напада из Србије, него што осећа да би нека већа сила од Србије могла да осујети њихов прастари план – Хрватска до Дрине.

Није се у Хрватској пробудила носталгија само према 369. пуковнији на основу бојне која иде на Исток. Најмање пола године проусташке снаге и њихови познати ставови поново су потпуно овладали независном Хрватском, као пре 75 година. Симболи и узори младих постали су усташки хероји и викари а клерофашизам основна идеологија. Ствари су отишле до нивоа потпуне неприхватљивости не само од стране српског корпуса, који је тиме угрожен, него и неких поузданих хрватских савезника. Њихови савезници још увек толеришу понашање хрватске власти, али су све мање спремни да и сами учествују у фашизацији Хрватске. У последње време нема их ни на једној хрватској прослави где славе своје „велике победе“, у којима су почињени масовни ратни злочини.

Зато не би било исправно закључити како је антисрпски иступ Колинде Грабар Китаровић искључиво везан за предизборну кампању у Хрватској и очајнички покушај да ХДЗ задржи власт. Наравно да све то јесте везано за предизборну кампању и све што се у Хрватској буде рекло и дешавало до септембра биће у тој функцији. Али проблем је у томе што то нису лажне предизборне изјаве и обећања које ће се након избора заборавити. Ради се о трећем неоствареном циљу усташког покрета – проширењу граница Хрватске на границе бивше НДХ. Сви то могу заборавити, занемарити и сматрати утопијом, али усташки покрет неће, јер то је суштина његовог оснивања

(Message over 64 KB, truncated)

Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS si unisce al sentimento di tutti gli amanti della pace e della fratellanza tra i popoli del mondo augurando BUON COMPLEANNO al più grande leader internazionalista vivente FIDEL CASTRO RUZ!

CNJ ONLUS - www.cnj.it
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http://www.lantidiplomatico.it/dettnews-leggere_fidel__leggere_il_futuro/82_16845/

Leggere Fidel è leggere il futuro

( a cura di Marinella Correggia)


Buon compleanno al Presidente di tutti. A Fidel Castro che da tanti decenni è un uomo politico generoso e solidale con il mondo. In omaggio ai suoi 90 anni ecco una piccola antologia dai suoi discorsi e scritti, su temi di rilevanza mondiale.


Leggere (o ascoltare) Fidel è leggere il futuro. Perché spesso le sue proposte hanno precorso i tempi e le sue previsioni si sono avverate. Un reportage di Telesur conclude con queste parole: «Fidel cumple años pero también cumple sueños».


Contro le guerre


«Lottare per la pace è il dovere più sacro di tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla loro religione, cittadinanza, colore della pelle ed età».


Fidel Castro si è sempre impegnato nella prevenzione e nella denuncia delle guerre imperialiste, in particolare a partire dall’intervento “Onu” in Iraq nel 1991. Nel 2009 chiede: «Perché Obama accettò il Nobel per la pace se aveva già deciso di portare la guerra in Afghanistan fino alle ultime conseguenze? Non era obbligato a compiere questo atto di cinismo.»


Libia: il 3 de marzo 2011 Fidel Castro spiega che la «colossale campagna di menzogne scatenata da tutti i mezzi di informazione ha provocato una grande confusione nell’opinione pubblica mondiale» e chiede «Perché questo impegno a presentare i ribelli libici come membri significativi della società che chiedono i bombardamenti di Stati uniti e Nato per uccidere libici?» Il 4 marzo, Fidel chiede al mondo di sostenere la proposta negoziale del presidente venezuelano Hugo Chávez : «Il presidente bolivariano, Hugo Chávez, sta compiendo uno sforzo encomiabile per trovare una soluzione che eviti l’intervento della Nato in Libia. Le sue possibilità di successo sarebbero maggiori se egli riuscisse nell’impresa di creare un ampio movimento di opinione a favore dell’idea, prima che si verifichi l’intervento armato e non dopo, per evitare che i popoli vedano ripetersi altrove l’atroce esperienza dell’Iraq»


La rivoluzione


(Discorso il 1 maggio 2000, Piazza della rivoluzione José Martí, L’Avana)

«La rivoluzione è il senso del momento storico; è cambiare tutto ciò che va cambiato; è uguaglianza e libertà piene; è essere trattati e trattare gli altri come esseri umani; è emanciparci grazie a noi stessi e ai nostri propri sforzi; è sfidare le potenti forze che dominano all’interno e all’esterno della nazione; è difendere i valori in cui si crede al prezzo di quasiasi sacrificio; è modestia, disinteresse, altruismo, solidarietà ed eroismo; è lottare con audacia, intelligenza e realismo; è non mentire mai e non violare principi etici; è la profonda convinzione che non esiste potere al mondo capace di schiacciare la forza della verità e delle idee. Rivoluzione è unità, è indipendenza, è lottare per i nostri sogni di giustizia per Cuba e per il mondo, questa è la base del nostro patriottismo, del nostro socialismo e del nostro internazionalimo».

( Fidel Castro, Ecología y desarrollo. Selección temática 1963-1992, Editora Política, La Habana). «Solo il socialismo può salvare l’umanità dai pericoli spaventosi che la minacciano: l’esaurimento delle risorse naturali che sono limitate, il crescente inquinamento ambientale, l’aumento incontrollato della popolazione, la tragedia della fame e la catastrofe delle guerre» (1974).


Sul dollaro, radice di molti mali

«L’impero ha dominato il mondo più con l’economia e la menzogna che con la forza. Aveva ottenuto il privilegio di stampare valute convertibili alla fine della Seconda guerra mondiale, monopolizzava l’arma nucleare, disponeva di quasi tutto l’oro del mondo ed era l’unico produttore su vasta scala di beni intermedi, beni di consumo, alimenti e servizi a livello mondiale.
Tuttavia, c’era un limite alla sua possibilità di stampare moneta: il collegamento con l’oro, al prezzo costante di 35 dollari l’oncia. Andò avanti così per 25 anni, finché il 15 agosto 1971 un ordine presidenziale di Richard Nixon ruppe unilateralmente questo impegno internazionale: truffando il mondo. Non mi stancherò mai di ripeterlo. In questo modo furono trasferiti sull’economia mondiale i costi del riarmo e delle avventure belliche, specialmente la guerra del Vietnam.
Oggi un milione di dollari vale 30 volte più di quanto valeva quando Nixon sospsese la convertibilità del dollaro in oro. (…) Se non si tiene conto di questo, le nuove generazioni non avranno un’idea chiara della barbarie imperialista. In virtù del privilegio di Bretton Woods gli Stati uniti, cancellando unilateralmente la convertibilità,pagano con pezzi di carta i beni e i servizi che comprano al resto del mondo. E quest’ultimo ha dovuto subirne le spese: le sue risorse naturali e il suo denaro hanno supportato il riarmo e coperto gran parte dei costi delle guerre imperiali.»
(tratto da Granma e Cubadebate)


La fame, lo sfruttamento e gli sprechi


Discorso al Vertice mondiale Onu sull’alimentazione - Roma 1996:

«La fame, inseparabile compagna dei poveri, è figlia dell’iniqua distribuzione delle ricchezze e delle ingiustizie di questo mondo.

(…) Il colonialismo non è estraneo al sottosviluppo e alla povertà di cui oggi soffre gran parte dell'umanità. Così come non gli sono estranei l'opulenza oltraggiosa e lo spreco delle società di consumo espresse da quelle antiche potenze coloniali che avevano sfruttato la maggior parte delle nazioni. Per lottare contro la fame e l'ingiustizia sono morte nel mondo milioni di persone. (…)
Quale cura applicheremo affinché entro i prossimi venti anni gli affamati siano 400 milioni anziché 800 milioni? Questi obiettivi, così modesti, sono una vergogna! (…) Se il mondo, giustamente, si commuove quando si verificano disastri, catastrofi naturali, o sociali che uccidono centinaia o migliaia di persone, perché non si commuove nello stesso modo di fronte a questo genocidio che ha luogo ogni giorno davanti ai nostri occhi? (…)
Sono il capitalismo, il neoliberismo, le leggi di un mercato selvaggio, il debito estero, il sottosviluppo, lo scambio ineguale a uccidere tante persone. (…) Perché si investono 700 miliardi di dollari ogni anno nelle spese militari e non si utilizza una parte di queste risorse per combattere la fame e frenare il degrado dei suoli, la desertificazione e la deforestazione di milioni di ettari ogni anno, il riscaldamento dell'atmosfera, l'effetto serra che incrementa cicloni, penuria o eccesso di pioggia, la distruzione dello strato d'ozono e altri fenomeni naturali che danneggiano la produzione di alimenti e la vita dell'uomo sulla Terra? (…)
Perché va avanti la produzione di armi sempre più sofisticate benché la guerra fredda sia finita? Per cosa si vogliono produrre queste armi, se non per dominare il mondo? Perché questa feroce concorrenza nel vendere armi a Paesi sottosviluppati - armi che non li renderanno più forti nel difendere la loro indipendenza-, dove quello che c'è da uccidere è la fame? Perché sommare a tutto questo politiche criminali, blocchi assurdi che comprendono alimenti e medicine per uccidere di fame e malattie popoli interi?
Dov'è l'etica, la giustificazione, il rispetto dei diritti umani più elementari, qual è il senso di tali politiche? Regni la verità e non l'ipocrisia e la menzogna. Prendiamo coscienza che in questo mondo devono cessare le tendenze egemoniche, l'arroganza e l'egoismo. Le campane che oggi suonano per coloro che muoiono di fame ogni giorno, suoneranno domani per l'umanità intera se non vorrà, non saprà o non potrà essere sufficientemente saggia per salvare se stessa. »


«In questo periodo l’umanità sta affrontando problemi gravi e senza precedenti. (…) Mi riferisco alla crisi alimentare provocata da fattori economici e dai cambiamenti climatici di origine antropica che apparentemente sono già irreversibili, ma che la mente umana ha il dovere di affrontare con rapidità. (…) I problemi hanno preso forma d’improvviso, con fenomeni che si stanno verificando in tutti i continenti.(…) I raccolti di frumento, soia, mais, riso e diversi altri cereali e leguminose, la base alimentare del mondo (…), sono colpiti gravemente dai cambiamenti climatici, con problemi gravissimi. (…) Oltre 80 paesi, tutti nel Terzo mondo, e quindi già afflitti da difficoltà reali, sono minacciati di vere e proprie carestie. I problemi sono drammaticamente seri. Tuttavia, non tutto è perduto. (…) Se i milioni di tonnellate di soia e mais che si vorrebbero investire nella produzione di agrocarburanti saranno invece destinati a produrre alimenti, gli i nusitati aumenti dei prezzi delle derrate rallenterebbero, e gli scienziati troverebbero soluzioni.»



L’urgenza del clima e l’ingiustizia ecologica


Discorso pronunciato a Rio De Janeiro nel 1992, alla Conferenza delle Nazioni unite su ambiente e sviluppo

«(…) Occorre far rilevare che sono le società di consumo le grandi responsabili della gravissima distruzione ambientale. Nate dalle potenze coloniali e dalle politiche imperiali, a loro volta hanno generato l'arretratezza e la povertà che oggi flagellano l'immensa maggioranza dell'umanità.
Con il solo 20 % della popolazione mondiale, le società abbienti consumano i due terzi dei minerali e i tre quarti dell'energia che si producono nel mondo. Hanno avvelenato mari e fiumi, contaminato l'aria, assottigliato e bucato la fascia di ozono, saturato l'atmosfera di gas climalteranti con effetti catastrofici che già si fanno sentire. I boschi spariscono, i deserti si espandono, migliaia di milioni di tonnellate di terra fertile vanno a finire ogni anno in mare.
Diverse specie sono in via di estinzione. La pressione demografica e la povertà portano a sforzi disperati per sopravvivere, anche a spese della natura. Non è possibile gettare la colpa di tutto ciò sui paesi del Terzo Mondo, ieri colonie, oggi nazioni sfruttate e saccheggiate da un ordine economico mondiale ingiusto. La soluzione non può essere quella di impedire lo sviluppo a chi ne ha più bisogno. Tutto ciò che oggi contribuisce al sottosviluppo e alla povertà è una violazione flagrante dell'ecologia. Ne muoiono ogni anno nel Terzo mondo decine di milioni di uomini, donne e bambini (…).
Lo scambio diseguale, il protezionismo e il debito estero attentato all'ecologia e favoriscono la distruzione ambientale. Se si vuole salvare l'umanità dall’autodistruzione, è necessario distribuire meglio le ricchezze e le tecnologie disponibili. Meno lusso e meno sperpero in pochi paesi perché si abbia meno povertà e meno fame in gran parte del mondo. Stop al trasferimento nel Terzo Mondo di stili di vita e abitudini di consumo rovinosi. Si renda più razionale la vita umana. Si instauri un ordine economico internazionale giusto. Si utilizzi tutta la scienza necessaria per uno sviluppo senza distruzione. Si paghi il debito ecologico e non il debito estero. Scompaia la fame e non l'essere umano.
Dal momento che le presunte minacce del comunismo sono sparite, e non ci sono più pretesti per guerre fredde, corse agli armamenti e spese militari, che cosa impedisce di destinare immediatamente queste risorse a promuovere lo sviluppo del Terzo Mondo e a combattere la minaccia di distruzione ecologica del pianeta? Basta con gli egoismi, basta con le egemonie, cessino insensibilità, irresponsabilità e inganno. Domani sarà troppo tardi per fare quello che avremmo dovuto fare da molto tempo.»


(11.8.2016)

(français / english / italiano)


Milosevic innocente

1) Milosevic innocenté par le tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie (Initiative Communiste)
2) Telesur : Milosevic innocenté par le tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie: les médias silencieux (Telesur)
3) Milosevic exonerated, as the NATO war machine moves on (Neil Clark)
4) Milosevic Exoneration: Radio Free Europe's Clumsy Attempt at Damage Control (Andy Wilcoxson)


Sullo stesso argomento si vedano anche:

ICTY Exonerates Slobodan Milosevic for War Crimes (Rassegna JUGOINFO del 28.7.2016)
1) Hague Tribunal Exonerates Slobodan Milosevic for Bosnia War Crimes Ten Years Too Late (by Andy Wilcoxson)
2) Момир Булатовић: ВЕЛИЧИНА СЛОБОДАНА МИЛОШЕВИЋА
3) Madeleine Albright's Criminal Enterprise (by William Dorich)

Milosevic scagionato dal Tribunale penale internazionale per Jugoslavia. E nessuno lo dice / Il silenzio su Slobodan Milosevic (di Giulietto Chiesa, 9 agosto 2016)

La Corte Penale Internazionale per l'ex Jugoslavia ha scagionato Slobodan Milosevic dalle responsabilità per i crimini di guerra della guerra bosniaca 1992-95...

oppure http://megachip.globalist.it/Secure/Detail_News_Display?ID=126353&typeb=0
oppure in VIDEO: Il Punto di Giulietto Chiesa: il Tribunale dell’Aja scagiona Milosevic (PandoraTV, 9.8.2016)
Il Tribunale dell’Aja scagiona Milosevic. Ma nessuno lo sta dicendo! E nessuno pagherà per il misfatto...
http://www.pandoratv.it/?p=10499
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=6myryvlbuiY

“Perché Milosevic è innocente” (di Francesco Manta, 26.7.2016)
...  Rivelazioni di Wikileaks espongono la vicenda secondo cui la Corte di Giustizia dell’Aja avesse discusso della condizione di salute di Milosevic con i rappresentanti dell’ambasciata americana senza il consenso del diretto interessato, alimentando tutti i sospetti legati ad una oscura e triste pagina delle relazioni internazionali contemporanee...

ARCHIVIO MILOSEVIC. Le pagine dedicate sul nostro sito:
in particolare: L'ASSASSINIO IN CARCERE. 2011: Le rivelazioni Wikileaks


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Milosevic innocenté par le tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie: une information censurée par les médias


L’ex président de la Yougoslavie Slobodan Milosevic  innocenté par le Tribunal Pénal International pour l’ex Yougoslavie. En catimini, c’est l’une des conclusion du verdict de plus de 2000 page rendus par le Tribunal contre Radovan Karazic, président de la République Serbe de Bosnie durant la guerre en Bosnie. Dans le silence assourdissant des grands médias occidentaux, outils de propagande détenus exclusivement par l’oligarchie capitaliste. 

Radovan Karazic, convaincu de crimes de guerres, a lui été acquitté de l’accusation de génocide. Le président du tribunal O-Gon Kwon  pour être l’un des juges dans le procès Milosevic connait particulièrement les accusations et arguments de l’accusation par l’OTAN contre Milosevic. Le verdict dans l’affaire Karazic indique sans beaucoup de doute que si le procès de Milosevic était allé à son terme de façon impartiale il aurait probablement débouché sur une absence de condamnation de Milosevic.

Quelques citations du verdict du 24 mars : Milosevic innocenté par le tribunal pénal international

www.initiative-communiste.fr a pu consulter le verdict rendu par le TPI. Un verdict du tribunal rendu le 24 mars 2016 qui dégage toutes responsabilités de Milosevic dans un plan visant le nettoyage ethnique mené en Bosnie, verdict soulignant par ailleurs les responsabilités des leaders nationalistes des serbes de Bosnie, mais également des leaders nationalistes croates et bosniaques, identifiant d’ailleurs la déclaration unilatérale d’indépendance de la Bosnie par l’islamiste Itzebegovic comme l’événement déclencheur de l’escalade guerrière.

« Si l’on considère les preuves présentées dans cette affaire en relation avec Slobodan Milosevic et son adhésion à la JCE, le tribunal rappelle qu’il a partagé et adopté l’objectif politique de l’accusé et des dirigeants des Serbes de Bosnie de préserver la Yougoslavie et d’empêcher la séparation ou l’indépendance de la Bosnie Herzegovine et qu’il a coopéré de façon resserré avec l’accusé durant cette période. Le tribunal rappelle également que Milosevic a fourni une assistance sous forme de personnel, fourniture et armes au serbes de Bosnie durant le conflit. Toutefois, sur la base des preuves présentées aux tribunal, les intérêts divergeant qui sont apparus durant le conflit entre les dirigeants Serbes de Bosnie et les dirigeants Serbes en particuliers la désapprobation et les critiques répétées de la politiques et des décisions prises par l’Accusé (ndt Karazic] et les dirigeants Serbes de Bosnie, le tribunal n’est pas convaincu qu’il y aurait des preuves suffisantes présentés dans cette affaire pour jugé que Slobodan Milosevic était d’accord avec ce plan commun [NdT le plan d’épuration ethnique, de persécution et de génocide]  »   » Au début même de mars 1992, il y avait un désaccord manifeste entre l’Accusé et Milosevic lors d’une réunion avec des représentants internationaux durant laquelle Milosevic et d’autres leaders serbes ont ouvertement critiqué les leaders Serbes de Bosnie de commettre des « crimes contre l’humanité » et un « nettoyage ethnique » et de mener la guerre pour leur propre intérêt.
§3460 p1302 du jugement du 24 mars 2016 du TPI dans l’affaire IT-95-5/18-T

Le Tribunal rappelle par ailleurs l’opposition de Milosevic à l’institution du république serbe de Bosnie en réponse à la proclamation unilatérale par Itzebegovic de l’indépendance de laBosnie-Herzégovine (§2685), le leader musulman soutenu par l’Occident proclamant ouvertement vouloir établir un état islamique. Ainsi que la ferme opposition de Milosevic à ce que les bosniaques musulmans pro yougoslaves soient écartés (§2687) et sont opposition catégorique à toutes discrimination ethniques. Devant les Serbes de Bosnie, Milosevic déclare en mars 1994 à Belgrade « les membres des autres nations et ethnies doivent être protégés » »‘l’interêt national des Serbes est l’opposé de la discrimination » (§3288 pa 1241). Milosevic s’oppose également aux visés des nationalistes serbes en matière d’expansion territoriale, mais sans grande influence sur eux, même si la Yougoslavie sous la direction de Milosevic tente d’imposer la paix aux leaders des serbes de Bosnie

« le Tribunal constate qu’alors qu’à l’origine Milosevic avait des intérêts similaire à ceux des Serbes de Bosnie, quand leurs intérêts ont divergé, son influence sur les leaders des serbes de Bosnie c’est réduite. Milosevic a ainsi mis en doute que le monde accepte que les Serbes de Bosnie puissent obtenir représentant 30% de la population de Bosnie puissent obtenir plus de 50% du territoire et a encouragé un accord politique. Il a déclaré que les serbes ont gagné la guerre, et qu’il n’y avait presque plus de bosniaques musulman en république serbe de Bosnie. Au mois d’aout 1994, les leaders serbe ont condamné les leaders serbes de Bosnie comme commettant des crimes contre l’humanité et poursuivant un nettoyage ethnique » §3290 p 1242

« En raison des différence de vues entre les leaders des serbes de Bosnie et les Serbes en 1993 et 1994, la République Fédérale de Yougoslavie a réduit son soutien à la République Serbe de Bosnie et encouragé les serbes de Bosnie a accepté des propositions de paix. Il faut également considéré que les dirigeants (ndt ie Milosevic) étaient très soucieux des vues extrême des leaders des serbes de Bosnie et qu’ils ne pouvaient pas soutenir leurs intentions, notamment le nettoyage ethnique. »

Face à l’extrémisme et la violence des leaders serbes de Bosnie refusant le plan de paix, le Tribunal (§3295) souligne que le gouvernement Yougoslave cesse ses relations économiques et politiques avec les leaders de la RSB et impose un blocus sur la rivière Drina. On est très loin de l’accusation portée par les procureurs du TPI en porte voix de l’OTAN, de Milosevic chef d’une conspiration criminelle visant au nettoyage ethnique des Croates et des musulmans de Bosnie, dans le but de réaliser son projet d’une « Grande Serbie. Le début de défense présenté par Milosevic à son procès – avant son décès brutale en prison – visait d’ailleurs à démontrer son engagement dans la préservation d’une Yougoslavie multiethnique et la continuité de sa constitution, tandis que la guerre et la fièvre nationaliste, en Slovénie et en Croatie, puis en Bosnie sont alors soutenus par l’Union Européenne et les capitales occidentales reconnaissant les proclamations armés d’indépendances et les épurations ethniques qui en découlent.

Médiamensonge, démonisation et criminalisation : les méthodes de manipulations des impérialismes capitalistes pour lancer leur guerre


Tout au long des années 1990, dans une Europe loin d’être une Europe de paix, l’Union Européenne emmenée par l’Allemagne et les Etats-Unis et avec l’actif soutien de la France de Chirac ou de Jospin, c’est également à force de propagande et de média mensonge qu’a été pratiqué une politique interventionniste guerrière pour dépecer la Yougoslavie, afin de permettre à l’OTAN d’y établir ses bases et au Capital européen, en particulier allemand de faire main basse sur les entreprises publiques de la Yougoslavie socialiste. Par exemple, les médias dénoncent alors la mise en œuvre par Milosevic d’un plan d’épuration ethnique au Kosovo, le soit disant plan fer à cheval.Le ministre allemand de la Défense d’alors, Rudolf Scharping, indique le 9 avril 1999 que ce plan est exécuté depuis novembre 1998, appelant à une intervention de l’OTAN. Il prétend même connaitre le détail des unités militaires yougoslaves utilisées par ce plan. En 2000, un général de brigade allemand, Heinz Loquai, lache cependant le morceau :  » Les contradictions dans l’argumentation du ministre de la Défense sont tellement importantes que l’on peut avoir de sérieux doutes sur l’existence d’un tel document « . Rudolf Scharping répliquait alors en indiquant que « le plan Fer à cheval est entre les mains du tribunal pénal international sur la Yougoslavie à La Haye » (..) c' »est l’une des preuves fondamentales de l’acte d’accusation contre Milosevic et sa clique ». C’est effectivement sur cette base qu‘un acte d’accusation secret était déposé par la procureur du TPI Louise Arbour le 22 mai 1999 contre Milosevic et plusieurs responsables de son gouvernement, acte d’accusation ensuite modifié en 2001 pour intégrer des accusations concernant les guerres yougoslaves en Bosnie et en Croatie. Un acte d’accusation faisant partie intégrante de l’intervention militaire contre la Yougoslavie. Une accusation politique.

C’est sur la base de ces accusations et en violation des résolutions de l’ONU qui n’autorisent aucunement le recours à la force que pendant 78 jours l’OTAN bombarde la Yougoslavie en 1999. Les 60 000 missions aériennes de l’OTAN bombarderont notamment le centre de la capitale Belgrade en visant délibérément les populations civiles. Des missiles de l’OTAN détruiront l’immeuble de la télévision serbe ainsi que l’ambassade de Chine et de très nombreuses infrastructures civiles, OTAN qui revendique viser spécifiquement les médias serbes. Alors que l’OTAN installe l’une de ses plus grandes bases au Kosovo, plus de 200 000 serbes, tziganes et autres minorités subissent l’épuration ethniques et sont chassés de leurs maisons et de leurs terres. Une épuration ethnique suivant celles menées en 1995 par l’armée croate en Krajina. Aucun responsable ni de l’OTAN ni des chancelleries occidentales n’a été poursuivi pour crimes contre l’humanité.

Livré en 2001 par les autorités serbes pro UE installés à la suite des bombardements de l’OTAN à Belgrade au Tribunal Pénal International pour la Yougoslavie, Milosevic meurt en prison alors qu’il prépare sa défense, dans des circonstances troubles, laissant suspecter un probable empoisonnement : le TPI refusant d’autoriser les soins préconisés par les médecins russes pour ses graves problèmes cardiaques, les médecins néerlandais mettant plusieurs mois à lui communiquer les résultats de test sanguins montrant la trace d’antibiotiques (rampicine) non prescrits annihilant les effets de ces médicaments pour le cœur. Les résultats des examens médicaux de Milosevic étaient pourtant communiqués à l’ambassade américaine par le TPI et ce dès 2003 comme en témoigne un cable wikileaks. En fin d’année 2005, Milosevic avait vu sa demande de faire paraître comme témoin T Blair et G Schoeder refusé par le tribunal. Le tribunal ne rendra pas de verdict. Cependant, le jugement rendu par le tribunal dirigé par O-Gon Kwon donne une indication très clair sur ce qu’aurait été son jugement.

En 2006, les Etats Unis font exécuter Saddam Hussein dans un simulacre de procès condamnés par l’ensemble des défenseurs des droits de l’Homme. Kadhafi sera lui lynché

Du mensonge sur les armes de destruction massive en Irak à la manipulation de Timisoara en passant par les couveuses du Koweit, il y a de nombreux exemples de ces médias mensonges, véritable armes de propagande de guerres utilisés par les médias de l’oligarchie capitaliste pour chauffer à blancs les opinions et ainsi faire taire le camps de la paix. Irak,Yougoslavie, Libye,Ukraine, Syrie… ce sont toujours les mêmes méthodes.

Plus de 15 ans après la mise en accusation par l’OTAN de Milosevic, le désaveu produit par le TPI lui même des accusations portées par des procureurs directement aux ordres de l’OTAN doit faire réfléchir.  Rappelons par exemple que la campagne de presse massive en France pour lancer des bombardements sur Damas en utilisant une attaque au gaz Sarin attribué par le gouvernement français à Bachar Al Assad mais qui s’est révélée par la suite probablement menée par les terroristes islamistes ?

Des leçons à retenir et partager pour défendre la paix

En 1999, même ceux qui étaient  contre la campagne impérialiste anti-serbes servant de justification aux bombardements de l’OTAN contre la Yougoslavie, se disaient souvent que quand même il y avait peut-être
un peu de vrai dans ces innombrables accusations contre Milosevic.

Maintenant le fait qu’il soit complètement innocenté aura de quoi surprendre même des gens jusque là très méfiants envers les médias et les politiciens du Capital, et montrer à quel point leur crédibilité est de zéro virgule zéro, à l’image du « Plus c’est gros, plus ça passe » de  Goebbels. On pourra attendre longtemps les déclarations de regrets de la fausse gauche impérialiste, « radicale » ou pas qui fut complice de cette campagne de calomnies impérialiste servant à justifier des crimes de guerres


En 2011 en Libye c’est au prétexte de défendre la population de Benghazi que Sarkozy avec l’aide du Royaume Unis et le soutien des Etats-Unis a lancé une campagne de bombardement contre la Libye, faisant chuter le régime de Kadafhi, plongeant la Libye dans le chaos et déstabilisant l’ensemble de la région en alimentant le terrorisme islamiste. Les mêmes appels enflammés de BHL que lors des interventions de l’OTAN en Yougoslavie  sont utilisés pour affaiblir l’opposition de l’opinion publique à la guerre. Comme en Bosnie, les islamistes sont utilisés pour faire exploser la Libye. En 2012, ce sont ces mêmes islamistes qui tuent l’ambassadeur américain en Libye, à Benghazi. 3 soldats des forces spéciales françaises sont églament tués en 2016 alors que leur hélicoptère est abattu par des islamistes rattachés à l’EI qui tiennent toujours la ville. Depuis une pétition a été lancée sur internet pour réclamer le jugement de Sarkozy par la Cour Pénal Internationale.

En 2011, les militants franchement communistes étaient bien seuls à s’opposer à la guerre impérialistes en Libye. Ils seront ensuite bien seuls pour réclamer que les impôts servent à défendrent les conquis sociaux, pas pour la guerre impérialiste en Syrie, bien seuls pour défendre les antifascistes, le parti communistes d’Ukraine et le peuple du Donbass fasse à la guerre et la répression fasciste de la junte pro UE mise en place en 2014 à Kiev par un coup d’état soutenu. Mais les faits leurs donnant raison, il est inévitable que les citoyens soucieux de défendre la paix les rejoignent pour faire front contre les guerres et interventions impérialistes dont les victimes directes se comptent désormais également par centaines sur le sol français.

JBC pour www.initiative-communiste.fr


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Source: http://www.initiative-communiste.fr/articles/culture-debats/milosevic-innocente-tribunal-penal-international-lex-yougoslavie-information-censuree-medias/

Telesur : Milosevic innocenté par le tribunal pénal international pour
l’ex-Yougoslavie: les médias silencieux

traduction www.initiative-communiste.fr

Le dernier dirigeant communiste de Yougoslavie était comparé à Hitler alors que son pays subissait des sanctions, était démantelé et alors que des milliers de gens furent tués par les USA et l’OTAN

Le 24 mars dernier , le tribunal pénal international pour l’ex-Yougoslavie a omis de tenir une conférence de presse ou d’annoncer que le président de la Yougoslavie puis de la Serbie Slobodan Milosevic n’avait aucune responsabilité pour les charges de crimes de guerre lors de la guerre de Bosnie de 1992-1995 dont il
avait été accusé.

A la place, le tribunal  a commodément enterré cette déclaration d’innocence au milieu du verdict contre Radovan Karazic. L’ancien président des serbes de Bosnie a été prononcé coupable de crimes de
guerre et condamné à 40 ans de prison en même temps que le tribunal a trouvé à l’unanimité que « Le tribunal n’a pas pu trouver suffisamment de preuves prouvant que Milosevic était d’accord avec ce plan commun. »[ de nettoyage ethnique des musulmans et croates de Bosnie]

En réalité, le tribunal a trouvé que c’était exactement le contraire qui était vrai.

Tout comme lors du battage médiatique au sujet des « armes dedestruction de masse » menant en 2003 à l’invasion des USA en Irak, Milosevic était appelé le « Boucher des Balkans » lors du « procès dusiècle » et a été accusé de « crimes de guerre » au milieu du bombardement de la Yougoslavie en 1999.

Arrêté en mars 2001, Milosevic a fait face à un procès de cinq ans, en se défendant et déterminé à le gagner,  quand il est mort en prison le 11 mars 2006, au milieu des rumeurs d’empoisonnement.

La décision du tribunal a fait part du fait que lors des rencontres entre Serbes et Serbes de Bosnie « Slobodan Milosevic déclara que « tous les membres des autres nations et ethnies doivent être protégés. et que « l’intérêt national des serbes est de ne pas faire de discrimination« . Milosevic déclara également que « tout crime doit être combattu avec détermination ».

Le tribunal déclara aussi que « Milosevic exprima également ses réserves sur une assemblée des serbes de Bosnie excluant les musulmans se déclarant pro-yougoslaves ».

Le tribunal TPIY continua en déclarant que « De 1990 à mi-1991, l’objectif politique de l’accusé Karadzic était la préservation de la Yougoslavie et d’empêcher la sécession de la Bosnie-Herzégovine, qui aurait pour résultat une séparation des serbes de Bosnie de la Serbie. »

C’est uniquement grâce aux recherches du journaliste Andy Wilcoxson, qui a découvert la décision du TPIY fin juillet , que le fait que Milosevic ait été innocenté a pu être connu, mais cependant les grands médias internationaux n’en parlent toujours pas.

Le dernier dirigeant socialiste de Yougoslavie fut démonisé et comparé sans cesse à Hitler par les grands médias pour justifier les sanctions des USA et de l’OTAN contre la Yougoslavie, la démanteler et y tuer
des milliers de gens.

Cette dernière révélation vient dix ans après la mort de Milosevic.


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En français: Milosevic est disculpé mais rien n’arrête la machine de guerre de l’OTAN
Par Neil Clark – Mondialisation.ca, 08 août 2016 / rtnews.com 3 août 2016



Milosevic exonerated, as the NATO war machine moves on


Neil Clark , 2 Aug, 2016

The ICTY’s exoneration of the late Slobodan Milosevic, the former President of Yugoslavia, for war crimes committed in the Bosnia war, proves again we should take NATO claims regarding its ’official enemies’ not with a pinch of salt, but a huge lorry load.
For the past twenty odd years, neocon commentators and 'liberal interventionist' pundits have been telling us at every possible opportunity, that Milosevic (a democratically elected leader in a country where over 20 political parties freely operated)  was an evil genocidal dictator who was to blame for ALL the deaths in the Balkans in the 1990s. Repeat after me in a robotic voice (while making robotic arm movements): 'Milosevic's genocidal aggression' 'Milosevic's genocidal aggression'.
But the official narrative, just like the one that told us that in 2003, Iraq had WMDs which could be launched within 45 minutes, was a deceitful one, designed to justify a regime change-op which the Western elites had long desired.
The ICTY’s conclusion, that one of the most demonized figures of the modern era was innocent of the most heinous crimes he was accused of, really should have made headlines across the world. But it hasn‘t. Even the ICTY buried it, deep in its 2,590 page verdict in the trial of Bosnian Serb leader Radovan Karadzic who was convicted in March of genocide (at Srebrenica), war crimes and crimes against humanity.
There was no official announcement or press conference regarding Milosevic‘s exoneration. We’ve got journalist and researcher Andy Wilcoxson to thank for flagging it up for us.
How very different it all was when the trial of the so-called ‘Butcher of the Balkans’, began in February 2002! Then, you‘d have to have been locked in a wardrobe not to be aware of what was going on.
CNN provided blanket coverage of what was described as “the most important trial since Nuremberg.” Of course, Milosevic’s guilt was taken as a given. “When the sentence comes and he disappears into that cell, no one is going to hear from him again,” declared US lawyer Judith Armatta from the Coalition for International Justice, an organization which had the former US Ambassador to Yugoslavia, Warren Zimmerman, as an advisory board member.
Anyone who dared to challenge the NATO line was labeled a “Milosevic apologist”, or worse still, a “genocide denier”, by ‘Imperial Truth Enforcers’.
But amid all the blather and the hype surrounding the ’trial of the century’ it soon became apparent the prosecution was in deep, deep trouble. The Sunday Times quoted a legal expert who claimed that “Eighty percent of the prosecution’s opening statements would have been dismissed by a British court as hearsay.” That, I believe, was a generous assessment.
The problem was that this was a show trial, one in which geopolitics came before hard evidence. It’s important to remember that the original indictment against Milosevic in relation to alleged Kosovo war crimes/genocide was issued in May 1999, at the height of the NATO bombing campaign against Yugoslavia and at a time when war was not going to plan for the US and its allies.
The indictment was clearly designed to exert pressure on Milosevic to cave into NATO’s demands.
The trouble for NATO was that by the time Milosevic’s trial was due to start, the Kosovo narrative had already unraveled. The lurid claims made by the US and its allies about genocide and hundreds of thousands being killed, catalogued by the great John Pilger here, had been shown to be false. In September 2001, a UN court officially held that there had been no genocide in Kosovo.
So in an attempt to beef up their weakening case against Milosevic the prosecutors at The Hague had to bring in new charges relating to the war in  Bosnia, accusing ‘Slobo’ of being part of a ‘joint criminal conspiracy’ to kill/ethnically cleanse Bosnian Croats and Bosnian Muslims in pursuance of a ’Greater Serbia’ project.
In normal criminal prosecutions evidence is collected and then, if it’s deemed sufficient, charges are brought. But the opposite happened in the case of Milosevic: he was charged for political reasons and the hunt for evidence then followed.  
The irony is that the former Yugoslav President had already been praised by President Clinton for his role in brokering a peace deal in Bosnia in 1995, which was signed in Dayton, Ohio.
The truth is that Milosevic was no hardcore Serb nationalist but a lifelong socialist, whose commitment was always to a multi-racial, multi-ethnic Yugoslavia.
His aim throughout his time in power was not to build a ’Greater Serbia‘, but to try and keep Federal Yugoslavia together, as the ICTY now belatedly acknowledges.
Not only was Milosevic not responsible for ethnic cleansing which took place in Bosnia, he actually spoke out against it. The ICTY noted Milosevic’s “repeated criticism and disapproval of the policies made by the Accused (Karadzic) and the Bosnian Serb leadership.” Milosevic, a man for whom all forms of racism were anathema, insisted that all ethnicities must be protected.
But in order to punish Milosevic and to warn others of the consequences if they dared to oppose US power, history had to be re-written. The pro-Yugoslavia socialist who had opposed the policies of the Bosnian Serb leadership had to be turned, retrospectively, into the villain of the Bosnian War and indeed blamed for all the bloodshed which took place in the Balkans. Meanwhile, the aforementioned US Ambassador Warren Zimmerman, whose malign intervention to scupper a diplomatic solution helped trigger the Bosnian conflict got off scot-free.
The ‘Blame it All on Slobo’ campaign saw facts simply thrown out of the window. One article, written, I kid ye not, by an Oxford University Professor of European Studies even had Milosevic as leader of Yugoslavia in 1991 (the year that Slovenia broke away). In fact the Bosnian Croat, Ante Markovic, was the leader of the country at the time.
Inevitably, Milosevic was likened to Hitler. “It was just like watching the evil strutting Adolf Hitler in action,” wrote the News of the World’s political editor, when Milosevic had the temerity to defend himself in court. “There were chilling flashes of the World War Two Nazi monster as the deposed Serb tyrant harangued the court.”
To make sure readers did get the Milosevic=Hitler point, the News of the World illustrated their diatribe with a picture of Hitler ‘The Butcher of Berlin’, in front of a concentration camp, with a picture of Milosevic ‘The Butcher of Belgrade’ superimposed on a picture of a Bosnian concentration camp. Which in fact, he had nothing to do with.
Very conveniently for the prosecution, Milosevic died suddenly in his cell in March 2006.
Going by what we had seen at the trial up to that point, it’s inconceivable that a guilty sentence could have been passed. A whole succession of ’smoking gun’ witnesses had turned out to be dampest of damp squibs.
As I noted in an earlier piece:
Star witness Ratomir Tanic was exposed as being in the pay of Western security forces, whilst ex-Yugoslav secret police chief Rade Markovic, the man who was finally going to spill the beans on Milosevic and reveal how his former master had ordered the expulsion of ethnic Albanians from Kosovo, in fact did the opposite and testified that he had been tortured to tell lies and that his written statement had been falsified by the prosecution.
In addition, as I noted here, the former head of security in the Yugoslav army, General Geza Farkas (an ethnic Hungarian), testified that all Yugoslav soldiers in Kosovo had been handed a document explaining international humanitarian law, and that they were ordered to disobey any orders which violated it. Farkas also said that Milosevic ordered no paramilitary groups should be permitted to operate anywhere in Kosovo. 
When Milosevic died, his accusers claimed he had “cheated justice”. But in fact, as the ICTY has now confirmed, the injustice was done to Milosevic.
While he had to defend himself against politically-motivated charges at The Hague, the US and its allies launched their brutal, illegal assault on Iraq, a war which has led to the death of up to one million people. Last year a report from Body Count revealed that at least 1.3 million people had lost their lives as a result of the US-led ‘war on terror’ in Iraq, Afghanistan and Pakistan.
Those sorts of figures help us get Kosovo into some kind of perspective. Even if we do hold Milosevic and the Yugoslav government responsible for some of the deaths there in 1999, (in a war which the West had clearly desired and provoked) far, far, greater death and destruction has been caused by the countries who were the keenest to see the President of Yugoslavia in the dock. As John Pilger noted in 2008, the bombing of Yugoslavia was the “perfect precursor to the bloodbaths in Afghanistan and Iraq.”
Since then we’ve also had the NATO destruction of Libya, the country which had the highest living standards in the whole of Africa and the backing of violent 'rebels' to try and achieve ‘regime change’ in Syria.
You don’t have to be Sherlock Holmes to see a pattern here.
Before a US-led war or ‘humanitarian intervention’ against a targeted state, a number of lurid claims are made about the country‘s leader and its government. These claims receive maximum media coverage and are repeated ad nauseam on the basis that people will bound to think they’re true.
Later it transpires that the claims were either entirely false (like the Iraq WMD ones), unproven, or greatly exaggerated. But the news cycle has moved on focusing not on the exposure of the fraudulent claims made earlier but on the next aggressive/genocidal ‘New Hitler’ who needs to be dealt with.  In 1999 it was Milosevic; now it’s Assad and Putin.
And guess what, dear reader? It’s the same people who defend the Iraq war and other blood-stained Western military interventions based on lies, unproven claims or great exaggerations, who are the ones doing the accusing.
As that very wise old saying goes: When you point one finger, there are three fingers pointing back to you.

Neil Clark is a journalist, writer, broadcaster and blogger. He has written for many newspapers and magazines in the UK and other countries including The Guardian, Morning Star, Daily and Sunday Express, Mail on Sunday, Daily Mail, Daily Telegraph, New Statesman, The Spectator, The Week, and The American Conservative. He is a regular pundit on RT and has also appeared on BBC TV and radio, Sky News, Press TV and the Voice of Russia. He is the co-founder of the Campaign For Public Ownership @PublicOwnership. His award winning blog can be found at www.neilclark66.blogspot.com. He tweets on politics and world affairs @NeilClark66


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Milosevic Exoneration: Radio Free Europe's Clumsy Attempt at Damage Control


www.slobodan-milosevic.org - August 9, 2016
Written by: Andy Wilcoxson


Gordana Knezevic of Radio Free Europe/Radio Liberty (RFE/RL) attacked me and she attacked Neil Clark for reporting that Slobodan Milosevic has been exonerated by the Karadzic trial chamber at the ICTY for crimes committed during the Bosnian war. According to Ms. Knezevic, the reporting done by Neil Clark and myself was "a perfect example of fact-bending journalism".

Ms. Knezevic argues that "The Trial Chamber did not in fact make any determination of guilt with respect to Milosevic in its verdict against Karadzic. Indeed, Milosevic was not charged or accused in the Karadzic case. The fact that a person is, or is not, found to be part of a joint criminal enterprise in a case in which he is not charged has no impact on the status of his own case or his own criminal responsibility. In short, the trial against Karadzic was against him and him only, and therefore has no impact on the separate case against Slobodan Milosevic."

To bolster her claim she cites correspondence she received from the ICTY, which reads:

"The Trial Chamber of the Karadzic case found, at paragraph 3460, page 1303, of the Trial Judgement, that 'there was no sufficient evidence presented in this case to find that Slobodan Milosevic agreed with the common plan' [to create territories ethnically cleansed of non-Serbs]. The Trial Chamber found earlier in the same paragraph that 'Milosevic provided assistance in the form of personnel, provisions and arms to Bosnian Serbs during the conflict'."

What Ms. Knezevic clearly fails to comprehend is the nature of the charges against Slobodan Milosevic and Radovan Karadzic. Milosevic and Karadzic were accused of being co-conspirators and together undertaking a joint criminal enterprise to ethnically cleanse Muslims and Croats from Bosnian-Serb territory.

Paragraph 9 of the indictment against Karadzic says: "Radovan KARADZIC participated in an overarching joint criminal enterprise to permanently remove Bosnian Muslim and Bosnian Croat inhabitants from the territories of BiH claimed as Bosnian Serb territory by means which included the commission of [crimes]." And in Paragraph 11 the indictment asserts that "Radovan KARADZIC acted in concert with other members of this criminal enterprise including [...] Slobodan MILOSEVIC".

Conversely, paragraph 6 of the indictment against Milosevic says: "Slobodan MILOSEVIC participated in the joint criminal enterprise [...] The purpose of this joint criminal enterprise was the forcible and permanent removal of the majority of non-Serbs, principally Bosnian Muslims and Bosnian Croats, from large areas of the Republic of Bosnia and Herzegovina, through the commission of crimes." And in Paragraph 7, "The individuals participating in this joint criminal enterprise included Slobodan MILOSEVIC, Radovan KARADZIC, [etc ...]".

Because we are talking about the exact same joint criminal enterprise, Ms. Knezevic is not correct when she says, "The fact that a person is, or is not, found to be part of a joint criminal enterprise in a case in which he is not charged has no impact on the status of his own case or his own criminal responsibility."

Although Milosevic wasn't officially "charged" in the Karadzic trial (he had been dead for two years before Karadzic was even arrested), it was the indictment's assertion that Radovan Karadzic and Slobodan Milosevic undertook the joint criminal enterprise together that prompted the Karadzic chamber to make findings regarding Slobodan Milosevic's culpability. The charges against Milosevic and Karadzic are inexorably linked. The Karadzic indictment accuses Slobodan Milosevic of participating in the very same joint criminal enterprise that he was charged for in his own trial. The Karadzic chamber's determination that there was insufficient evidence to find that Slobodan Milosevic was part of the exact same joint criminal enterprise he was charged for in his own trial impacts his criminal responsibility in a very direct and obvious way, especially considering that the presiding judge in the Karadzic trail was one of the judges who sat on the bench throughout the Milosevic trial.

The Karadzic chamber didn't stop at finding that the evidence against Milosevic was merely "insufficient" either. As I observed in my original article, the judges went beyond that and cited exculpatory evidence showing that he opposed ethnic cleansing and sought a political solution that was fair to the Muslims and the Croats, facts which Ms. Knezevic completely and dishonestly ignores in her argument. 

Instead, she launches into an ad hominem attack on Neil Clark, calling him "a leading apologist ... for Serbian war crimes" without presenting one scrap of evidence that he has ever condoned war crimes committed by Serbs or anyone else. Then she tries her hand at amateur psychology saying "He seems to enjoy the notoriety of being contrarian, even if it means proclaiming the innocence of war criminals and mass murderers."

Ms. Knezevic sneers that "Clark and his ilk can continue to imagine an alternate reality" ... then in the very next paragraph she claims that Slobodan Milosevic was the President of Yugoslavia in 1992 (he wasn't the president of Yugoslavia until 1997), which goes to show that the director of RFE/RL’s Balkan Service is a fool who doesn't even know basic facts about the country she's reporting on -- facts like the correct identity of the president.

She links to a bizarre rant against the Ron Paul Institute because she says it helps her "understand the background and motives of Milosevic&#

(Message over 64 KB, truncated)


(english / français / italiano)

Distribution d’armes à l’opposition syrienne depuis les Balkans

1) BALKAN ARMS TRADE. A dossier by BIRN (LINKS) / Armi: Balcani, canale da 1.2 miliardi di euro verso il Medio Oriente
2) Balkans Arms Airline. Un trafic bien organisé entre Balkans et Moyen-Orient
3) Montenegro: boom dell'export di armi


Sui paesi ex-jugoslavi come retrovia strategico dello squartamento della Siria si vedano anche:
ARMI DA CROAZIA, BOSNIA E KOSOVO PER I TERRORISTI ANTI-SIRIANI (JUGOINFO del 2.3.2013)
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7606
SUI TERRORISTI SIRIANI ADDESTRATI DALL'UCK IN KOSOVO:
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7516
http://www.voltairenet.org/article176855.html
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/7354
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7350
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7339


=== 1 ===

BALKAN ARMS TRADE
Making a Killing: The 1.2 Billion Euro Arms Pipeline to Middle East (Lawrence Marzouk, Ivan Angelovski and Miranda Patrucic, BIRN, 27 lug 2016)
An unprecedented flow of weapons from Central and Eastern Europe is flooding the battlefields of the Middle East...

Read the documents behind the investigation here:
1) Documents related to the legality of the arms trade 
http://birnsource.com/en/folder/222
2) Contracts and end-user certificates related to arms sales 
http://birnsource.com/en/folder/223
3) Flights carrying ammunition between Saudi Arabia and Turkey
http://birnsource.com/en/folder/225
4) Weapons flights between Central and Eastern Europe and the Middle East
http://birnsource.com/en/folder/226
5) US arms shipments from Balkan Back Sea ports to Turkey and Jordan
http://birnsource.com/en/folder/227
6) US Department of Defense buy-up of Balkan weapons and ammunition

Making a Killing (Birn Balkans, 27 lug 2016)
Central and Eastern European governments have directed an unprecedented flow of weapons and ammunition to four key backers of Syria’s armed opposition since the escalation of the bloody civil war in 2012.
A yearlong investigation by the Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) and the Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP) reveal for the first time the emergence of an €1.2 billion arms pipeline fueling conflict in the Middle East, causing untold human suffering.  
It is a trade that is almost certainly illegal, experts say.

Arms Exports to Middle East: A Question of Legality (Lawrence Marzouk, Aubrey Belford and Joshua Futtersak, BIRN, 27 lug 2016)
Human rights and arms experts believe some of Central and Eastern Europe’s weapons trade with Saudi Arabia, the region’s principal supplier of weapons to Syria, is likely breaking international law...
http://www.balkaninsight.com/en/article/arms-exports-to-middle-east-a-question-of-legality-07-26-2016

Serbia PM Defends Lucrative Saudi Arms Sales (Jelena Cosic, BIRN, 2 ago 2016)
Serbia’s prime minister brushed aside criticism of his country’s controversial arms trade with Saudi Arabia, arguing that he “adores” weapons exports because they boost the state coffers...

Montenegro Opens Weapons Supply Line to Saudi Arabia (Dusica Tomovic, BIRN, 3 ago 2016)
An arms broker who sold almost 300 tonnes of aging Yugoslav-era weapons and ammunition to Saudi Arabia says “It’s no concern of mine” if the Gulf kingdom later diverts them to Syria...
http://www.balkaninsight.com/en/article/montenegro-opens-weapons-supply-line-to-saudi-arabia-08-02-2016


--- IN ITALIANO:


Armi: Balcani, canale da 1.2 miliardi di euro verso il Medio Oriente


Un team di giornalisti investigativi ha scoperto numerosi voli aerei impiegati per trasportare migliaia di tonnellate di armi e munizioni, utilizzate poi nei conflitti in Medio Oriente

(Originariamente pubblicato da OCCRP  , 27 luglio 2016, titolo originale “Making a Killing: The €1.2 Billion Arms Pipeline to Middle East  ”)

Mentre Belgrado dormiva, nella notte del 28 novembre 2015, gli enormi motori turbofan di un cargo bielorusso Ruby Star Ilyushin II-76 ruggivano in partenza. La sua stiva era carica di armi destinate a conflitti lontani.

Alzandosi dalla pista dell'aeroporto Nikola Tesla, il massiccio aereo perforava la nebbia serba per dirigersi verso Jeddah, in Arabia Saudita.

È stato uno degli almeno 68 voli - scoperti dal Balkan Investigative Reporting Network (BIRN) e dall’Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP) - che in soli 13 mesi hanno trasportato migliaia di tonnellate di armi e munizioni dall'Europa centro-orientale agli stati del Medio Oriente e alla Turchia, che, a loro volta, le inoltravano verso le brutali guerre civili in Siria e Yemen. I voli sono solo una piccola parte di quei 1,2 miliardi di euro di armi passati attraverso i Balcani dal 2012, quando parte della primavera araba si è trasformata in conflitti armati.

Nel frattempo, negli ultimi due anni, mentre migliaia di tonnellate di armi volavano verso sud, centinaia di migliaia di rifugiati scappavano verso nord, da conflitti che hanno ucciso più di 400.000 persone. Ma mentre l'Europa ha chiuso la rotta dei rifugiati, il corridoio da miliardi di euro di armi verso il Medio Oriente, spedite in aereo e nave, rimane aperto e altamente lucrativo.

Secondo gli esperti di armi e diritti umani si tratta di un commercio che è quasi certamente illegale.

"I fatti fanno pensare ad uno spostamento sistematico di armi verso gruppi armati accusati di gravi violazioni dei diritti umani. Se così fosse, i trasferimenti sono illegali secondo il 'Trattato delle Nazioni Unite sul Commercio di Armi' e il diritto internazionale, e quindi devono cessare immediatamente", ha dichiarato Patrick Wilcken, un ricercatore sul controllo di armi di Amnesty International, che ha esaminato le prove raccolte dai giornalisti.

Ma con centinaia di milioni di euro in gioco e fabbriche regionali di armi che lavorano a ritmi forzati, vi è un forte incentivo nel lasciare fiorire il business. Sono state concesse numerose licenze di esportazione di armi, che dovrebbero garantire la destinazione finale delle merci, nonostante svariate prove che le armi vengono inoltrate verso gruppi armati sia siriani che di altre nazionalità, accusati di abusi e diffuse atrocità in violazione dei diritti umani.

Robert Stephen Ford, ambasciatore degli Stati Uniti in Siria tra il 2011 e il 2014, ha dichiarato a BIRN e OCCRP che il commercio è coordinato dalla Central Intelligence Agency statunitense (CIA), dalla Turchia e dagli stati del Golfo, attraverso centri in Giordania e Turchia, anche se in pratica poi avviene spesso che il rifornimento di armi aggiri questa procedura.

BIRN e OCCRP hanno esaminato - nel corso di un anno di indagini - i dati di esportazione di armi forniti dai singoli paesi, i report delle Nazioni Unite, i registri di volo e i contratti di vendita, rivelando che migliaia di fucili d'assalto, granate da mortaio, lanciarazzi, armi anticarro e mitragliatrici pesanti si stanno riversando nella tormentata regione mediorientale e provengono da Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Montenegro, Romania, Serbia e Slovacchia.

Dall'escalation del conflitto siriano nel 2012, gli otto paesi sopra nominati hanno avallato l'invio di almeno € 1.2 miliardi di armi e munizioni all'Arabia Saudita, alla Giordania, agli Emirati Arabi Uniti (UAE) e alla Turchia. La cifra è probabilmente molto più alta. I dati sulle licenze di esportazione di armi per quattro degli otto paesi non erano disponibili infatti per il 2015, né per sette su otto paesi per il 2016. I quattro paesi destinatari sono importanti fornitori di armi alla Siria e allo Yemen, con poco o nessun pregresso di acquisto dall'Europa centro-orientale prima del 2012. E il ritmo dei trasferimenti non sta rallentando, con alcune delle più rilevanti commesse arrivate proprio nel 2015.

Armi e munizioni dell'Europa centro-orientale, identificate da più di 50 video e foto pubblicati sui social media, sono ora in uso dal filo-occidentale Free Syrian Army, ma sono anche nelle mani di combattenti di gruppi islamisti, come Ansar al-Sham, l'affiliata dell'al Qaeda Jabhat al-Nusra, lo Stato islamico dell'Iraq e il Levante (ISIS), le fazioni in lotta per il presidente siriano Bashar-al Assad e le forze sunnite in Yemen.

Le segnature su alcune delle armi che identificano la loro origine e data di produzione rivelano che quantità significative sono state prodotte recentemente, nel 2015.

Dei 1,2 miliardi di euro in armi e munizioni di cui è stata autorizzata l'esportazione, si sa che circa 500 milioni sono già stati consegnati, in base a informazioni commerciali prodotte dalle Nazioni Unite e sulla base di relazioni nazionali sulle esportazioni di armi.

La frequenza e il numero di voli cargo - BIRN e OCCRP ne ha identificati almeno 68 in poco più di un anno - rivelano un flusso costante di armi dagli aeroporti dell'Europa centro-orientale alle basi militari e aeroporti nel Medio Oriente.

L'aereo più comunemente usato - Ilyushin II-76 - può trasportare fino a 50 tonnellate di carico, circa 16.000 fucili AK-47 Kalashnikov o tre milioni di proiettili. Altri modelli, tra cui il Boeing 747, sono in grado di trasportare almeno il doppio di tale carico.

Ma armi e munizioni non arrivano solo in aereo. I giornalisti investigativi hanno individuato almeno tre spedizioni effettuate da militari americani da porti del Mar Nero, che si stima abbiano contribuito all'arrivo di 4.700 tonnellate di armi e munizioni nel Mar Rosso dal dicembre 2015 ad oggi.

Un membro svedese del Parlamento europeo ha definito questo commercio come vergognoso. “Forse – la Bulgaria, la Slovacchia e la Croazia - non si vergognano affatto, ma penso che dovrebbero", ha dichiarato Bodil Valero, che è stata anche rapporteur dell'ultimo rapporto sugli armamenti redatto dal PE. "I paesi che vendono armi all'Arabia Saudita o a stati della regione del Medio Oriente-Nord Africa non stanno facendo valutazioni sui rischi e, di conseguenza, sono in violazione del diritto comunitario e nazionale".

OCCRP e BIRN hanno parlato con i rappresentanti del governo in Croazia, Repubblica Ceca, Montenegro, Serbia e Slovacchia, e tutti hanno risposto allo stesso modo, dicendo che rispettano gli obblighi internazionali. Alcuni dicono che l'Arabia Saudita non è su alcuna lista nera di armi internazionali, e altri hanno detto che il loro paese non è responsabile se le armi sono state dirottate altrove.

Arabia Saudita, regina delle armi

L'inizio del corridoio di armi tra Europa centro-orientale e Medio Oriente è datato inverno 2012, quando decine di aerei cargo, carichi di armi e munizioni dell'epoca jugoslava acquistate dai sauditi, cominciarono a lasciare Zagabria diretti in Giordania. Subito dopo, emerse il primo filmato da cui risulta l’uso di armi croate sui campi di battaglia in Siria.

Secondo un rapporto del New York Times, del febbraio 2013, un alto funzionario croato offrì scorte di vecchie armi croate alla Siria, nel corso di una visita a Washington nell'estate del 2012. Zagabria è stata poi messa in contatto con i sauditi, che hanno finanziato gli acquisti, mentre la CIA ha fornito la logistica di un ponte aereo, la cui creazione cominciò alla fine di quell'anno.

Mentre il governo della Croazia ha sempre negato qualsiasi ruolo nella spedizione di armi alla Siria, l'ex-ambasciatore degli Stati Uniti in Siria, Ford, ha confermato a BIRN e OCCRP il racconto fatto al Times da una fonte anonima, su come l'affare è stato condotto. Ford ha detto che non era in grado però di parlarne più in profondità.

Questo è stato solo l'inizio di un flusso senza precedenti di armi provenienti dal sud-est Europa verso il Medio Oriente, visto che il corridoio è stato ampliato per includere le scorte eccedenti di altri sette paesi. Commercianti di armi locali hanno fornito armi e munizioni dei loro paesi d'origine, e hanno mediato la vendita di munizioni dall'Ucraina e dalla Bielorussia. Hanno anche tentato di garantire sistemi anticarro di fabbricazione sovietica acquistati dal Regno Unito.

Secondo l'analisi dei dati di esportazione forniti dai singoli paesi, prima della primavera araba nel 2011, il commercio di armi tra l'Europa orientale e l'Arabia Saudita, la Giordania, gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia - quattro sostenitori principali della frammentata opposizione della Siria - era trascurabile o inesistente.

Ma ciò è cambiato nel 2012. Tra quell'anno e il 2016, otto paesi dell'Europa orientale hanno approvato almeno 806 milioni di euro in esportazioni di armi e munizioni verso l'Arabia Saudita, secondo i rapporti sull’esportazione di armi nazionali e comunitarie, nonché in base a fonti governative. A questi vanno aggiunti 155 milioni di euro verso la Giordania, 135 verso gli Emirati Arabi Uniti e 87 verso la Turchia, per un totale di 1,2 miliardi di euro.

Il Qatar, un altro fornitore chiave di equipaggiamenti per l'opposizione siriana, non compare nelle licenze di esportazione dell'Europa centro-orientale.

Jeremy Binnie, esperto di armi nel Medio Oriente per il settimanale Jane's Defense Weekly, una pubblicazione notoriamente considerata come la fonte più attendibile di informazioni sulla difesa e sicurezza, ha detto che la maggior parte delle esportazioni di armi provenienti dall'Europa orientale è probabilmente destinata alla Siria, e in misura minore, allo Yemen e alla Libia.

"Con poche eccezioni, i militari dell'Arabia Saudita, la Giordania e gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia usano armi di fanteria e munizioni occidentali, piuttosto che di progettazione sovietica", ha detto Binnie. "Sembra di conseguenza probabile che le grandi spedizioni di tali materiali in corso di acquisizione da - o inviati a - questi paesi siano destinate ai loro alleati in Siria, Yemen e Libia".

BIRN e OCCRP hanno ottenuto documenti confidenziali del ministero della Difesa della Serbia e minute di una serie di incontri interministeriali avvenuti nel 2013. I documenti mostrano che il ministero ha sollevato preoccupazioni sul fatto che le consegne per l'Arabia Saudita sarebbero state destinate alla Siria, sottolineando che i sauditi non usano scorte dell'Europa centro-orientale e solitamente forniscono armi all'opposizione siriana. Il ministero ha allora revocato la licenza di esportazione per l'Arabia Saudita, per poi cambiare idea più di un anno dopo, approvando così nuove spedizioni di armi e citando l'interesse nazionale.

E' noto che le forze di sicurezza saudite sono equipaggiate da aziende occidentali e che usano quantità limitate di attrezzature dell'Europa centro-orientale. Questo include camion militari prodotti in Repubblica Ceca, e alcuni fucili d'assalto fatti in Romania. Ma anche le esportazioni di armi destinate ad essere utilizzate dalle forze saudite suscitano polemica, dato il loro coinvolgimento nel conflitto in Yemen.

L'Olanda è diventato il primo paese dell'Unione europea a fermare le esportazioni di armi verso l'Arabia Saudita, a seguito del numero di civili morti nella guerra dello Yemen, e il Parlamento europeo ha chiesto un embargo sulle armi da parte di tutta l'Ue.

La logistica del rifornimento: voli cargo e lanci aerei

Le armi provenienti dall'Europa centro-orientale sono consegnate agli stati del Medio Oriente tramite voli cargo e navi. Identificando gli aerei e le navi che consegnano le armi, i giornalisti sono stati in grado di monitorare il flusso di armi in tempo reale.

L'analisi dettagliata degli orari aeroportuali, la storia dei vettori cargo, i dati di tracciamento di volo, e le fonti di controllo del traffico aereo hanno contribuito a individuare 68 voli che portavano armi ai conflitti del Medio Oriente negli ultimi 13 mesi. Belgrado, Sofia e Bratislava spiccano come i principali hub per questo ponte aereo.

I più frequenti sono stati i voli operati da Belgrado, capitale della Serbia. Sono stati conteggiati voli che o era confermato trasportassero armi, o erano diretti verso basi militari in Arabia Saudita o negli Emirati Arabi Uniti, oppure erano effettuati da esportatori ufficiali d'armamenti.

Molti di questi voli hanno fatto una sosta aggiuntiva in Europa centrale e orientale - nel senso che hanno probabilmente raccolto più armi e munizioni - prima di volare verso la loro destinazione finale.

Le statistiche di volo dell'UE forniscono un'ulteriore prova della scala delle operazioni. Esse rivelano che gli aerei che volano dalla Bulgaria e dalla Slovacchia hanno consegnato 2.268 tonnellate di carico - pari a 44 voli con l'aereo più comunemente utilizzato - Ilyushin II-76 - a partire dall'estate del 2014 per le stesse basi militari in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti individuate da BIRN e OCCRP.

Distribuzione delle armi

Armi acquistate per la Siria da sauditi, turchi, giordani e Emirati Arabi Uniti sono poi instradate, secondo Ford, l'ex ambasciatore USA in Siria, attraverso due centri di comando segreto – chiamati Centri di Operazioni Militari (Military Operation Centers (MOC) - in Giordania e in Turchia.

Questi centri - che vedono la presenza di ufficiali di sicurezza e militari provenienti dal Golfo, dalla Turchia, dalla Giordania e dagli Stati Uniti - coordinerebbero la distribuzione di armi ai gruppi di opposizione siriani controllati. Questo secondo le informazioni del Carter Center di Atlanta, un think tank che ha un'unità di monitoraggio del conflitto.

"Ciascuno dei paesi coinvolti per aiutare l'opposizione armata ha mantenuto un potere di decisione finale su quali gruppi in Siria avrebbero ricevuto assistenza", ha dichiarato Ford. Una serie di documenti trapelati, appartenenti ad un'azienda di trasporto merci, forniscono ulteriori indizi su come i militari sauditi forniscono armi ai ribelli siriani.

Secondo i documenti ottenuti da BIRN e OCCRP, la società moldava AeroTransCargo ha fatto sei voli nell'estate del 2015, portando almeno 250 tonnellate di munizioni suddivise tra basi militari in Arabia Saudita e l'aeroporto internazionale di Esenboga, ad Ankara, la capitale della Turchia, indicato come un punto di arrivo per armi e munizioni destinate ai ribelli siriani.

Pieter Wezeman, del Stockholm International Peace Research Institute, un'organizzazione leader nel monitoraggio di esportazioni di armi, ha detto che sospetta che i voli facciano parte dell'operazione logistica per il rifornimento di munizioni ai ribelli siriani.

Dalle MOCs, le armi vengono poi trasportate via terra sino al confine siriano, o lanciate con paracaduti da aerei militari.

Un comandante siriano di Aleppo, del Free Syrian Army, che ha chiesto di rimanere anonimo per proteggere la sua sicurezza, ha dichiarato a BIRN e OCCRP che le armi provenienti dall'Europa centro-orientale venivano distribuite in Siria. "Non ci interessa il paese d'origine, sappiamo solo che vengono dall'Europa orientale", ha detto.

I sauditi e i turchi hanno anche fornito armi direttamente a gruppi islamici che non sono appoggiati dagli Stati Uniti, e che hanno talvolta finito per combattere le fazioni sostenute dal MOC, ha aggiunto Ford.

I sauditi sono anche noti per aver lanciato materiale da aerei, incluso qualcosa che sembravano essere fucili d'assalto serbi, ai loro alleati in Yemen.

Ford ha dichiarato che mentre lui non era personalmente coinvolto nei negoziati con la Serbia, la Bulgaria e la Romania sul rifornimento di armi alla Siria, è probabile che la CIA abbia avuto un ruolo nella questione.

"Per le operazioni di questo tipo, sarebbe difficile per me immaginare che non ci fosse un certo coordinamento tra i servizi di intelligence, ma potrebbe essere stato rigorosamente limitato ai canali di intelligence", ha detto.

Gli Stati Uniti non hanno svolto solo un ruolo nella logistica del trasporto di armi sponsorizzato dal Golfo e provenienti dall'Europa dell'est verso i ribelli siriani. Attraverso il loro Dipartimento della Difesa e il Comando di Operazioni Speciali (SOCOM), hanno anche acquistato e consegnato grandi quantità di merci militari, provenienti dall'Europa orientale, all'opposizione siriana, come parte di un programma per il valore di 500 milioni di dollari americani che riguardava addestramento ed equipaggiamento.

Dal dicembre 2015, SOCOM ha commissionato tre navi da carico per trasportare 4.700 tonnellate di armi e munizioni dai porti di Costanza, in Romania, e Burgas, in Bulgaria, al Medio Oriente, probabilmente come parte del rifornimento segreto di armi alla Siria.

Le spedizioni includono mitragliatrici pesanti, lanciarazzi e armi anticarro - così come proiettili, mortai, granate, razzi ed esplosivi, secondo documenti relativi agli appalti concessi dal governo USA. L'origine delle armi spedite da SOCOM è sconosciuta ma il materiale elencato nei documenti di trasporto è disponibile nei magazzini di tutta l'Europa centro-orientale.

Non molto tempo dopo una delle consegne, gruppi curdi appoggiati da SOCOM hanno pubblicato un'immagine su Twitter e Facebook, che mostra un magazzino pieno di scatole di munizioni arrivate tramite una mediazione degli Stati Uniti nel nord della Siria. SOCOM non ha voluto confermare o negare che le spedizioni erano destinate alla Siria.

I dati di approvvigionamento degli Stati Uniti rivelano anche che SOCOM ha assicurato, tra  2014 e 2016, almeno 27 milioni di dollari in armi e munizioni provenienti dalla Bulgaria e 12 milioni di dollari in armi e munizioni provenienti dalla Serbia, destinate ad operazioni segrete ed ai ribelli siriani.

Un affare in crescita

Il ricercatore sul controllo delle armi, Wilcken, ha detto che l'Europa centro-orientale è ben posizionata per incassare l'enorme aumento della domanda di armi a seguito della primavera araba.

"La prossimità geografica e il controllo negligente dell'esportazione hanno messo alcuni stati balcanici in pole position per trarre profitto da questo commercio, in alcuni casi con l'assistenza segreta degli Stati Uniti", ha aggiunto. "L'Europa orientale sta riabilitando le industrie di armi della guerra fredda, che sono di nuovo in espansione e danno profitti".

Il premier serbo Vučić si vantava di recente che il suo paese potrebbe produrre cinque volte la quantità di armi che produce attualmente e ancora non soddisfare la domanda esistente. "Purtroppo in alcune parti del mondo, le persone sono in guerra più che mai, e tutto ciò che si produce, si riesce a venderlo", ha dichiarato.

Le aziende di armi in Bosnia Erzegovina e Serbia producono a piena capacità, con l'aggiunta di alcuni turni extra, e non stanno accettando attualmente nuove commesse.

Funzionari di alto livello dell'Arabia Saudita - più abituati a negoziare miliardi di dollari in ordini di jet da caccia con i giganti della difesa occidentali - sono stati costretti a trattare con una manciata di piccoli intermediari di armi che operano da poco in Europa orientale, ottenendo accesso ad armi come l'AK-47 e lanciarazzi.

Intermediari, come la serba CPR Impex e l'Eldon della Slovacchia, hanno svolto un ruolo fondamentale nel rifornimento di armi e munizioni per il Medio Oriente.

L'inventario di ogni consegna di solito è sconosciuto, a causa della segretezza che circonda gli affari d'armi, ma due certificati di destinazione finale e una licenza di esportazione, ottenuti da BIRN e OCCRP, rivelano la straordinaria portata del buy-in per i beneficiari siriani.

Ad esempio, il ministero della Difesa dell'Arabia Saudita ha espresso il proprio interesse ad acquistare dal fornitore di armi serbo CPR Impex un certo numero di armi, tra cui centinaia di vecchi carri armati T-55 e T-72, milioni di munizioni, sistemi missilistici multi-lancio e lanciarazzi. Le armi e munizioni elencate qui sono state prodotte nell'ex-Jugoslavia, in Bielorussia, Ucraina e Repubblica Ceca.

Una licenza di esportazione rilasciata a una società slovacca poco conosciuta chiamata Eldon, nel gennaio 2015, ha concesso all'azienda il diritto di trasportare migliaia di "lanciagranate portatili anticarro", mitragliatrici pesanti e quasi un milione di proiettili dall'Est Europa, per un valore complesso di quasi 32 milioni di euro, in Arabia Saudita.

L'analisi di BIRN e OCCRP dei social media mostra che le armi provenienti dagli stati dell'ex-Cecoslovacchia e l'ex-Jugoslavia, e la Serbia, la Croazia e la Bulgaria sono ora presenti sui campi di battaglia della Siria e Yemen.

Mentre gli esperti ritengono che i paesi sopramenzionati continuano a sottrarsi alle loro responsabilità, il corridoio di armi aggiunge sempre più benzina a un conflitto altamente infiammabile, aumentandone sempre più la drammaticità. "La proliferazione delle armi nella regione ha causato indicibili sofferenze umane; un gran numero di persone sono state sfollate e le parti in conflitto hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani, tra cui rapimenti, esecuzioni, sparizioni forzate, torture e stupri ", ha dichiarato Wilcken.

Hanno contribuito al Report Atanas Tchobanov, Dusica Tomovic, Jelena Cosic, Jelena Svirčić, Lindita Cela, Pavla Holcova e RISE Moldova.



=== 2 ===



(B2) De Belgrade ou Nis, de Bratislava ou d’Ostrava, de Sofia ou de Bourgas … ce sont pas moins de 68 vols cargos chargés d’armes qui sont venus ces derniers 13 mois approvisionner les conflits en Syrie et dans le Golfe révèle une enquête menée par plusieurs journalistes des Balkans. 50 de ces vols sont confirmés comme transportant des armes, 18 de ces vols le sont « probablement ». Et ces charters d’un nouveau genre ne semblent pas nouveaux. Depuis 2012, nos confrères des Balkans estiment que ce trafic, très organisé, atteint une valeur d’au moins 1,2 milliard d’euros.

Un trafic très organisé

En examinant plus attentivement les données d’exportation d’armes, les rapports de l’ONU, les dossiers de vol, et les contrats d’armes sur un an, ce sont ainsi des milliers de fusils d’assaut, des obus de mortier, des lance-roquettes, des armes anti-chars et de mitrailleuses lourdes qui sont partis des stocks et des usines de Bosnie-Herzégovine, Bulgarie, Croatie, République tchèque, Monténégro, Roumanie, Serbie et Slovaquie. Destination : la Syrie via la Jordanie, l’Arabie Saoudite, les Emirats arabes unis. Le Yémen et la Libye seraient également des destinations finales des armes, bien que dans une moindre mesure. Pour les transporter, l’avion le plus couramment utilisé est l’Ilyushin II-76. L’avantage : il transporte dans ses flancs jusqu’à 50 tonnes de fret, soit environ 16 000 fusils AK-47 Kalachnikov. 

Des achats bien organisés… via la CIA

Ces armes, achetées par les Saoudiens, les Turcs, les Jordaniens et les Emirats Arabes unis sont ensuite acheminés à travers deux installations secrètes de commande – appelée opération militaire Centres (MOC ) – en Jordanie et en Turquie. Ces unités coordonnent la distribution d’armes à des groupes d’opposition syriens sélectionnés par les Américains selon le think-tank d’Atlanta, le Centre Carter.  Selon Robert Stephen Ford, ambassadeur américain en Syrie entre 2011 et 2014,  la CIA a probablement joué un rôle d’intermédiaire entre les pays des Balkans (notamment Serbie, Bulgarie et Roumanie) et du Moyen-Orient pour la vente des armes.

Les Américains en première ligne

Les journalistes ne manquent pas de souligner que le Département de commandement des opérations spéciales de la Défense (SOCOM) des Etats-Unis a également acheté et livré de grandes quantités de matériel militaire en provenance d’Europe de l’Est pour l’opposition syrienne dans le cadre d’un programme de « train and equip », pour une valeur de 500 millions $. Ainsi, depuis décembre 2015, trois navires cargos ont transporté 4.700 tonnes d’armes et de munitions en provenance des ports de Constanza (en Roumanie) et Burgas (en Bulgarie) vers le Moyen-Orient. Probablement dans le cadre « d’une livraison clandestine d’armes en Syrie ». Les envois inclurait des mitrailleuses lourdes, des lance-roquettes et des armes anti-chars – ainsi que des munitions, des mortiers, des grenades, des roquettes et des explosifs. L’origine des armes livrées est, elle, inconnue. Les documents que les journalistes ont pu consulter ne donnant les informations qu’à partir de stocks localisés en Europe centrale et orientale.

NB : C’est principalement à travers les réseaux sociaux, notamment twitter et Facebook, que ces armes sont ensuite localisées à leur destination finale. Un groupe de soldats kurdes, soutenus par le SOCOM, ont ainsi publié de nombreuses photos montrant un entrepôt où s’empilent des boîtes de munitions, avec l’estampille made US. 

Un boom des ventes depuis 2012

C’est le conflit en Syrie qui est le principal facteur de cette augmentation selon les auteurs de l’enquête. Avant le printemps arabe en 2011 , le commerce des armes entre l’Europe de l’Est et l’Arabie Saoudite, la Jordanie, les Emirats Arabes Unis, Émirats Arabes Unis , et la Turquie – quatre principaux partisans de l’opposition syrienne – était négligeable, voire inexistant, selon l’analyse faite par les journalistes. Cela change en 2012. 

Les usines des Balkans tournent à plein tube

Et le rythme des transferts ne ralentit pas, avec quelques-unes des plus grandes transactions approuvées en 2015. Les usines de fabrication d’armes de Bosnie-Herzégovine et de Serbie tournent à « pleine capacité », avec des équipements supplémentaires et d’autres « ne prennent plus de nouvelles commandes ».

Plus d’1,2 milliard de commandes

Depuis 2012, huit pays d’Europe orientale auraient ainsi exporté plus de 829 millions d’euros d’armes et munitions vers l’Arabie saoudite, 155 millions vers la Jordanie, 135 millions vers les Emirats arabes unis et 87 vers la Turquie. Seul le Qatar, pourtant fournisseur clé d’équipement militaire à l’opposition syrienne, n’est pas dans les licences d’exportations en provenance d’Europe centrale et orientale.

Le chiffre est probablement beaucoup plus élevé estiment les auteurs de l’enquête. « Les données sur les licences d’exportation d’armes pour quatre pays sur huit ne sont pas disponibles pour 2015 et sept des huit pays pour 2016. » 

(transcrit par Nicolas Gros-Verheyde & Leonor Hubaut)

(1) Enquête réalisée par le Balkan Investigative Reporting Network – BIRN Kosovo et BIRN HUB – une équipe de journalistes de toute l’Europe centrale et orientale qui a pour ambition de « promouvoir la primauté du droit, la responsabilité et la transparence dans les Balkans et la Moldavie ». Un projet soutenu par l’Agence autrichienne de développement (ADA).


Nicolas Gros-Verheyde

Rédacteur en chef de B2 - Bruxelles2. Correspondant UE/OTAN à Bruxelles pour Ouest-France, Sud-Ouest et Lettre de l'expansion. Auditeur de la 65e session de l'IHEDN (Institut des Hautes Etudes de la Défense nationale). © B2. Merci de citer "B2" ou "Bruxelles2" en cas de reprise

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Montenegro: boom dell'export di armi

13 luglio 2016

In un rapporto del ministero dell'Economia del Montenegro viene riportato che il paese ha esportato armi nel corso del 2015 per 11.3 milioni di euro, con un aumento del 100% rispetto all'anno precedente.
Il sito di informazioni web BIRN ha visionato il rapporto che contiene informazioni sulle singole licenze di esportazione, sui beni venduti e sul loro valore.
Sono 23 i paesi ai quali il Montenegro ha venduto armamenti e tra questi vi è la Polonia, la Serbia, la Bulgaria e l'Ucraina. “Il paese a cui sono stati venduti più armamenti è il Bangladesh, per un controvalore di 3.03 milioni di euro”, si legge nella relazione.
Sono 39 le aziende registrate in Montenegro e che possono occuparsi di import-export di beni che implicano un controllo dello stato.
Il principale esportatore di armamenti in Montenegro è l'Industria della difesa del Montenegro (MDI). Azienda in passato pubblica è stata acquistata nel 2015 dalla CPR Impex con sede a Belgrado e dalla israeliana ATL Atlantic Technology Ltd per 680.000 euro.
Nel 2009 e poi nel 2012 MDI è stata accusata di aver esportato illegalmente armi in Libia e Siria. L'azienda ha negato però ogni addebito. Dopo queste accuse il Montenegro ha reso più severa la propria legislazione in merito al commercio di armamenti come parte del processo negoziale per l'ingresso nell'Ue.
Nel maggio 2015 l'ong MANS [ http://www.mans.co.me ] ha denunciato alla magistratura montenegrina il primo ministro Milo Đukanović per supposte malversazioni nella privatizzazione di MDI.

Link: BIRN – Montenegro Earns More Cash From Arms Sales (by Dusica Tomovic in Podgorica, 13.7.2016)
The latest report on the arms trade in Montenegro shows that the value of exports has risen significantly in recent years...
http://www.balkaninsight.com/en/article/montenegro-arms-exports-continue-to-surge-07-12-2016




Opposizione alla nuova guerra in Libia

1) I comunicati di gruppi e partiti antimilitaristi
– CNGNN: Comunicato sulla Libia
– Lista ComitatoNoNato e Rete No War: No all' intervento militare in Libia
– PCI: No ai bombardamenti in Libia. Mobilitiamoci per fermare la guerra!
– PRC: Libia, Ferrero: “No alla ripresa della guerra della Nato”
– RdC: Libia, Siria, Afghanistan, Yemen, Iraq, Ucraina... Fermare i mandanti di guerra e terrore
2) Libia 2011. B. Obama e H. Clinton si rivelano in due video (di Marinella Correggia)
3) Il linguaggio del potere e le guerre in Libia (di Fosco Giannini)


=== 1: I comunicati di gruppi e partiti antimilitaristi ===


COMUNICATO SULLA LIBIA

5 AGO 2016 — L’Italia è entrata in guerra in Libia, anche se finge di prendere tempo. Il Parlamento italiano non è in grado, collettivamente, di formulare nemmeno un’alternativa. Siamo al disastro politico.
Il CNGNN intende invece formulare la sua valutazione dei gravissimi e intollerabili atti di subordinazione/aggressione cui l’Italia partecipa e di cui condivide la piena responsabilità. 
Siamo di fronte a un nuovo episodio di colonialismo, aggiornato in funzione della strategia USA-Nato di demolizione degli stati nazionali per controllare i loro territori e le loro risorse. 
Liberare la Libia dalla presenza dell’ISIS è una scusa indecente. È stata la Nato a portare Al Qaeda e l’ISIS in Libia. 
L’effetto sarà la riapertura delle basi militari occidentali sul territorio libico. La “missione di assistenza alla Libia”, con l’avallo estero delle Nazioni Unite, consentirà la spartizione “legale” delle preziose risorse energetiche e idriche della Libia e di almeno 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici confiscati illegalmente nel 2011, all’atto dell’aggressione e dell’assassinio di un capo di stato legittimo. Questa rapina di quadruplicherà quando l’export libico tornerà ai livelli precedenti all'aggressione. 
Questo è l’unico significato di ciò che accade. L’ISIS si combatte smettendo di aiutarla, finanziarla, consentirle movimenti e azioni. Questo è in atto da tempo, con la connivenza dei servizi segreti di USA, Francia, Gran Bretagna, Arabia Saudita, Israele. Da questa coalizione di aggressori si è ormai sganciata perfino la Turchia. 
Ma L’Italia continua a farne parte attiva. I droni partono da Sigonella. Se ci saranno atti di terrorismo contro il nostro paese, vorrà dire che gli italiani sapranno a chi chiedere conto, politicamente e moralmente. Tutto quello che l’Italia decide non è in nostro nome: è contro di noi e contro i nostri figli. 

IL CNGNN (Comitato No Guerra No Nato)

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Inizio messaggio inoltrato:

Da: Comitato Nonato <comitatononato @gmail.com>
Oggetto: No all' intervento militare in Libia - Comunicato della lista ComitatoNoNato
Data: 7 agosto 2016 17:56:16 CEST

No all' intervento militare in Libia


Gli aderenti alla lista ComitatoNoNato@ googlegroups.com condannano nel modo più deciso la nuova avventura militare scatenata dagli USA in Libia con l'appoggio diretto del governo italiano e di altri governi occidentali aderenti alla NATO.

La ministra della Difesa italiana Pinotti ha assicurato che “l’ITALIA FARA’ LA SUA PARTE” e ha preannunciato la concessione delle basi italiane per le operazioni militari.

Questa operazione guerresca viola quindi nuovamente l'articolo 11 della costituzione italiana, già violato pesantemente con la precedente aggressione alla Libia del 2011 che ha distrutto il paese più ricco e sviluppato dell'Africa.

La nuova avventura bellica, scatenata con la motivazione ufficiale della lotta all'ISIS, è in realtà una nuova operazione neocoloniale che si propone tre obiettivi concreti: 

1) Una nuova spartizione delle ingenti risorse libiche: gas, petrolio, acqua sotterranea, e la definitiva rapina delle grandi risorse finanziarie libiche depositate nei fondi di investimento internazionali e già “sequestrate” nel 2011 dalle potenze occidentali;

2) Il rafforzamento del cosiddetto governo “unitario” della Libia guidato dal fantoccio Serraj, sostenuto dalle milizie islamiche di Misurata e dalla "Fratellanza Musulmana". Questo “governo”, imposto dall'esterno da un gruppo di potenze occidentali con la copertura della solita ambigua risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, non è stato mai approvato ed eletto dai Libici e non è riconosciuto dal Parlamento Libico e dal “governo” di Tobruk che controlla tutta la parte orientale della Libia e che ha condannato recisamente ogni intervento militare straniero, comunque motivato. 

3) La riapertura di basi militari straniere in Libia che furono chiuse dal governo Gheddafi dopo la proclamazione della repubblica in Libia.

Per eliminare l'ISIS/Daesh, non servono le bombe.  ISIS va estirpato alla radice, attraverso sanzioni severe contro i suoi mandanti. Il ricorso a bombe straniere su Sirte, invece, non farà altro che favorire il reclutamento di nuovi jihadisti e un conflitto senza fine, aumentando il caos già creato con la guerra di aggressione del 2011 e moltiplicando il pericolo di attentati anche in Italia.  

Gli italiani contrari alla guerra e a nuove avventure neocoloniali sono invitati a organizzare forme di protesta -- insieme a forme di controinformazione su questi gravi fatti -- per dire al governo Renzi: L'Italia si dissoci dai bombardamenti, NO all'uso di tutte le basi militari poste sul territorio italiane e dello spazio aereo italiano.

LISTA COMITATO NON NATO

Rete No War Roma

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No ai bombardamenti in Libia. Mobilitiamoci per fermare la guerra!

di Maurizio Musolino, Comitato Centrale  – Dip. Esteri PCI, 3.8.2016

In queste ore aerei Usa bombardano la Libia, causando nuovi morti e nuove distruzioni, innescando una pericolosa escalation nella disgregazione del paese nordafricano. Il PCI,condannando questa ennesima aggressione, denuncia come i bombardieri statunitensi dietro alla lotta contro Daesh nascondono la volontà di favorire uno dei tanti “signori della guerra”, che dalla caduta di Gheddafi si combattono per il controllo delle regioni libiche.
La Libia, come la Siria, infatti, sono oggi terreno di sfida e di competizione fra le potenze Occidentali per il controllo delle ingenti ricchezze energetiche del Paese. Non di guerra al terrorismo, quindi, ma bombe che altro non sono che lo strumento per affermare il colonialismo del XXI secolo.
Uno scenario che il  PCI considera pericoloso e che nei prossimi giorni potrà registrare il coinvolgimento diretto del nostro Paese, attraverso l’utilizzo delle basi e la partecipazione dei nostri aerei ai bombardamenti. Uno schiaffo alla storia, che ha visto nel secolo scorso l’Italia protagonista di una criminale e brutale guerra coloniale proprio verso la Libia.
E’ questa la conseguenza del nostro far parte della Nato, una alleanza che sempre di più si caratterizza per il suo carattere aggressivo e di strumento per le politiche imperialiste e liberiste.
Il PCI – impegnato in questa estate in una campagna nazionale contro la Nato- fa appello a tutte le forze democratiche, anti-imperialiste e internazionaliste, per fermare questa nuova guerra e chiama ad una mobilitazione diffusa per indurre il governo Renzi al rispetto della nostra Costituzione. Quella stessa Costituzione che saremo tutti chiamati a difendere nel referendum del prossimo autunno. Fermiamo la guerra!

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Libia, Ferrero: “No alla ripresa della guerra della Nato”

Pubblicato il 3 ago 2016

Paolo Ferrero - Diciamo forte e chiaro il nostro NO alla ripresa della guerra della NATO in Libia, guerra che ha già distrutto il paese e che non fa altro che alimentare il terrorismo internazionale. Al di là della propaganda di regime, di cui il governo italiano è pienamente partecipe, non sfugge a nessuno che la presenza dell’ISIS in Libia è il frutto diretto della guerra scatenata dalla NATO contro lo stato libico, così come gli obiettivi dell’intervento occidentale costituiscono chiaramente un enorme sopruso: una guerra per mettere le mani sul petrolio, una guerra per affossare il regime di Gheddafi, una guerra per smembrare lo stato libico in vari protettorati gestiti dalle compagnie petrolifere e dagli stati di riferimento delle stesse. Per questo diciamo di no al coinvolgimento dell’Italia in questa nuova guerra per il petrolio.

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Libia, Siria, Afghanistan, Yemen, Iraq, Ucraina….

di Rete dei Comunisti, 9.8.2016

Fermare i mandanti di guerra e terrore. Rilanciare le mobilitazioni di gennaio e marzo, per una nuova stagione di lotta contro l’aggressività USA / NATO / UE

 

La Commissione d'inchiesta istituita sette anni fa dal Parlamento britannico sulla partecipazione del Regno Unito all’intervento militare in Iraq del 2003 ha stabilito che l’allora primo ministro Tony Blair ha mentito sistematicamente per giustificare la partecipazione dell’esercito britannico a quel bagno di sangue.

Quali sono stati i risultati di quelle scelte? Oltre un milione di morti iracheni, stragi quotidiane che ancora oggi insanguinano un paese smembrato, British Petroleum ben piazzata a Bassora.

Da parte di Blair (osannato allora da Veltroni, D’Alema, Fassino) qualche scusa e niente più. Un altro criminale di guerra in libertà, superpagato per conferenze e convegni.

Quanto dovremo attendere per una Commissione che metta sul banco degli imputati i responsabili diretti del bagno di sangue in Libia? Per sapere i nomi basta scorrere le cronache dei primi mesi del 2011, quando il 19 marzo un altro leader inglese, David Cameron, insieme al francese Nicolas Sarkozy lanciarono i primi bombardamenti, seguiti da un riluttante Berlusconi, spinto al dovere dall’allora segretario del PD Bersani e dal Presidente della Repubblica Napolitano.

Storia recentissima, che dice tutto sulle responsabilità della situazione che stiamo vivendo oggi, in Medio Oriente e a livello continentale.

Dopo 25 anni di massacri, iniziati con la prima aggressione all’Iraq nel 1991, la guerra ha progressivamente iniziato ad affacciarsi nel cuore pulsante dell’Europa, con le stragi di Madrid, Londra, Parigi, Bruxelles, Nizza. Centinaia di morti innocenti. Una frazione infinitesima delle centinaia di migliaia di morti (complessivamente ben oltre un milione di vittime) costati ai paesi mediorientali e dell’Est europeo (ieri l’ex Jugoslavia, oggi l’Ucraina). 

Gli esecutori materiali dei recenti massacri in occidente emergono ed emergeranno in numeri sempre più copiosi dalle macerie e dall’orrore pianificato da tutti i Tony Blair succedutisi al comando dei vari paesi imperialisti, a partire dal più potente di essi, quegli Stati Uniti che oggi chiudono la parabola dell’interventismo bipartisan con il democratico Obama ad ordinare nuovi bombardamenti sulla Libia.

In un gioco delle parti sempre più evidente, perché corroborato da volumi di prove di ogni tipo, il terrore ipertecnologico sparso dagli eserciti occidentali si giustifica e alimenta attraverso il più plebeo terrore del Tir di Nizza. Obama sta all’ISIS come i Talebani stavano a Reagan.

Una spirale infinita, che vede nella nuova aggressione alla Libia un altro tragico capitolo, foriero di attentati anche nel nostro paese, al momento non ancora toccato dalle schegge che dal grande bagno di sangue ogni tanto si conficcano nella carne viva di altri innocenti, in una stazione o in una piazza del centro di una metropoli o di una città d’arte. Sarebbe una manna dal cielo per il governo Renzi, destabilizzato da scelte politiche ferocemente antipopolari e da continui scandali, che potrebbe trovare nella retorica antiterrorista un aiuto fondamentale per vincere il prossimo referendum anti costituzionale, che tanto preoccupa la Troika europea e le classi dominanti di quel che resta dell’Unione Europea dopo la Brexit. 

La storia ha dato ripetutamente ragione al Movimento contro la guerra, che queste verità le ha gridate nelle piazze in tutti questi anni e, più recentemente, nelle mobilitazioni del 16 gennaio e del 12 marzo scorsi, che hanno agglutinato moltissime realtà pacifiste e no war in tutto il paese.

Occorre rilanciare la lotta contro la nuova aggressione alla Libia, evidenziando come questa guerra senza confini vede oggettivamente uniti i popoli delle due sponde del Mediterraneo, così come quelli dell’Est europeo.

Le guerre imperialiste originano da una crisi sistemica che non trova soluzione, perché il problema è il modello economico che non funziona e che va abbattuto.

Le vittime, a Sirte come a Parigi, ad Aleppo come a Londra, a Kabul come a Madrid, siamo noi.

Rilanciamo sin da subito la mobilitazione per dire NO alla nuova aggressione alla Libia, per bloccare l’uso delle basi militari USA/NATO nei bombardamenti sulla Libia.

No alla guerra imperialista – No alla partecipazione italiana al nuovo massacro in Libia – La responsabilità di possibili attentati in Italia ricadrà direttamente sul governo Renzi.

Rete dei Comunisti

www.retedeicomunisti.org



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Libia 2011. B. Obama e H. Clinton si rivelano in due video

Sirte: gli aerei da guerra degli Stati uniti tornano per così dire sul cielo del delitto. Sono passati quasi cinque anni da quando i bombardieri Usa/Nato facevano da copertura aerea al feroce assedio guidato dai «ribelli di Misurata» e altre forze islamiste. Il pretesto per la guerra aerea della Nato contro la Jamahiriya, iniziata il 19 marzo 2011, era stato la «protezione dei civili libici». Di fatto, Nato, Usa, Francia, Regno unito e Italia fecero da forza aerea di gruppi criminali e jihadisti, responsabili di crimini contro l’umanità: ad esempio omicidi e deportazioni della popolazione nera della città di Tawergha e di diversi cittadini sub-sahariani. 

Pochi mesi fa, il presidente uscente e pluriNobel per la guerra Barack Obama ha dichiarato in un’intervista a Fox News che il più grande errore della sua carriera alla Casa bianca fu probabilmente «non aver pianificato il day after dell’intervento in Libia».

Nel 2014 Obama aveva ammesso che la missione in Libia «non aveva funzionato» (eufemismo) perché i vincitori non si erano impegnati nella fase successiva «per ricostruire una società che non aveva alcuna tradizione civile».

Astutamente Obama non ha rinnegato la missione in sé ma solo il mancato follow up.

In ogni caso non pagherà per i suoi errori che hanno prodotto crimini e devastazioni

Ma mentre le bombe cadono su Sirte,  forse per aumentare le chance di elezione della Clinton, può essere utile ripercorrere in due brevi video le idiozie e le sguaiatezze del duo, cinque anni fa.

Il 20 ottobre 2011 la segretaria di Stato Usa Hillary Clinton  si trova davanti alle telecamere della Cbs News quando viene a sapere del linciaggio a Muammar Gheddafi. La Iena ridens nonché Bloody Hillary esulta: «We came – We saw – He died, ah ah ah».  

In un altro video, di 12 minuti, il presidente Obama si rivolge a un meeting di alto livello delle Nazioni unite sulla Libia, il 21 settembre 2011. Rivelando un’incapacità criminale di comprendere gli eventi e un entusiasmo cieco da inviato di guerra intortato dalle bande armate. In quel momento è in corso l’assedio a Sirte da parte dell’insieme Nato-Qatar-bande armate locali, dopo sette mesi di bombe, distruzioni, morti, persecuzioni razziste. Ecco la trascrizione di buona parte del video.

Dal minuto 0.05 al minuto 0.12: «(…) ciascuno di noi ha il compito di sostenere il popolo della Libia mentre costruisce un futuro libero, democratico e prospero.»

Dal minuto 0.38 all’1.14: «Oggi il popolo libico sta scrivendo in nuovo capitolo nella vita del suo paese. Dopo quarant’anni di buio, i libici possono camminare per le strade, liberi dal tiranno. Possono far sentire le loro voci, in nuovi giornali, radio, televisioni, nelle piazze e sui blog Lanciano partiti politici e gruppi civili per plasmare il proprio destino e assicurare i diritti universali. E qui all’Onu la bandiera della nuova Libia sventola fra la comunità delle nazioni.»

Dal minuto 1.26 al 2.17: «il merito della liberazione è di uomini e donne libici, e bambini libici scesi nelle strade per protestare pacificamente, sfidando i carri armati e i cecchini. E sono stati i combattenti libici, spesso senza armi e inferiori in numero, a lottare città per città, quartiere per quartiere. E sono stati gli attivisti libici, underground, chattando, e nelle moschee, a tenere viva la rivoluzione  (…). E sono state le donne e le ragazze libiche a reggere le bandiere e a portare di nascosto armi al fronte (…) Sono stati libici da vari paesi del mondo, anche dal mio, ad accorrere là, rischiando brutalità e morte. Sangue libico è stato versato, e uomini e donne hanno dato il proprio sangue.»

Dal minuto 2.32 al 2.59: «La Libia mostra quello che la comunità internazionale può raggiungere se si agisce uniti e insieme. (…) ci sono momenti nei quali il mondo deve e può avere la volontà di evitare l’uccisione di innocenti su una scala tremenda.(…)»  

Dal minuto 3.12 al 4.00: «Stavolta noi, per mezzo delle Nazioni unite, abbiamo trovato il coraggio e la volontà collettivi per agire. Quando il vecchio regime ha lanciato una campagna del terrore (…) abbiamo agito come Nazioni unite e velocemente: ampie sanzioni, embargo sulle armi. Gli Stati uniti hanno guidato gli sforzi per far passare al Consiglio di sicurezza una risoluzione storica che autorizzava tutte le misure necessarie per proteggere il popolo libico. E quando i civili di Bengasi sono stati minacciati di massacro, abbiamo attuato questa autorizzazione. La nostra coalizione internazionale ha bloccato il regime, salvato vite e dato al popolo libico il tempo e lo spazio per vincere (…) sono stati i nostri alleati europei, in particolare Regno unito, Francia, Danimarca, Norvegia, a condurre la maggior parte degli interventi per proteggere i ribelli sul terreno. Paesi arabi hanno fatto parte della coalizione, come partner su un piede di uguaglianza.(…)»

Dal minuto 5.04 al 5.31: «Ecco come dovrebbe agire la comunità internazionale dovrebbe lavorare nel XXI secolo. (…) Ogni nazione qui rappresentata può essere orgogliosa per le vite innocenti che abbiamo salvato e per aver aiutato i libici a riottenere il loro paese»

Dal minuto 5.32 al 5.35: «E’ stata la cosa giusta da fare».

 

Marinella Correggia, 8 agosto 2016


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IL LINGUAGGIO DEL POTERE E LE GUERRE IN LIBIA

di Fosco Giannini, Segreteria Nazionale PCI, responsabile dipartimento Esteri
10 agosto 2016

I comunisti, gli antimperialisti, i rivoluzionari conoscono la storia e la vita di Antonio Gramsci. Sanno che quando se andò dalla Sardegna per stabilirsi a Torino, Gramsci si iscrisse all’università, alla facoltà di glottologia, dove studiò profondamente linguistica dal 1911 al 1915, anno in cui dette il suo ultimo esame, senza poi potersi laureare, sia perché non era più coperto, materialmente, dalla borsa di studio concessagli dalla monarchia, sia perché – soprattutto – la sua vita era ormai dedicata tutta alla lotta politica. Naturalmente, in quei tre anni in cui Gramsci si dedicò anima e corpo alla glottologia, divenne , in facoltà, il numero uno, il migliore. Tant’è che il suo professore, Matteo Bartoli, una volta che Gramsci decise di ritirarsi dall’Università, disse del suo allievo: “ La glottologia ha perso l’angelo sterminatore dei neo-grammatici, ma la rivoluzione ha trovato il suo capo”.

Ma chi erano i neo grammatici, contro i quali Gramsci lottava sin dai tempi dell’Università e contro i quali avrebbe poi ripreso una battaglia culturale dal carcere, scrivendo sui Quaderni? In sintesi rozza: essi, nati come filone culturale in Germania, rappresentavano un’inclinazione idealistica e – insieme – dogmatica della nuova linguistica e, in essi, Gramsci vedeva i costruttori del nuovo linguaggio del potere, del linguaggio della cultura dominante. Alla visione del linguaggio tratteggiato dai neo grammatici, Gramsci opponeva una concezione di un linguaggio determinato dalla stessa storia degli uomini, della stessa storia della “classe” e dello scontro di classe. Gramsci concepiva chiaramente la battaglia culturale contro il linguaggio della classe dominante come parte essenziale della lotta generale tra capitale e lavoro per l’egemonia culturale. E individuando  nel linguaggio un terreno determinante dello scontro di classe, Gramsci anticipava genialmente l’analisi dello scontro in atto, oggi, tra il linguaggio del potere capitalistico e il linguaggio – per ora afasico, tacitato – del lavoro, della classe generale potenzialmente anticapitalistica.

Perché questa premessa? Perché mai come oggi, in questa stessa fase, in questi stessi giorni, il problema del potere del linguaggio della classe dominante che si fa – tout court – linguaggio  dominante, totalizzante, è problema, gramscianamente, centrale.

Il linguaggio dominante ottenebra, sino a rimuoverla, la realtà delle cose, inventando, conseguentemente, un’altra realtà. Questa pratica del potere si spinge in ogni dove, coprendo, come un mantello nero, la totalità delle cose. E i rivoluzionari dovrebbero, di conseguenza, sottoporre tutto a critica, non arrendendosi mai alla prima realtà rivelata dal linguaggio del potere. Ciò come principio rivoluzionario. Ma se ci fermassimo ad indagare attentamente il linguaggio del potere capitalistico per ciò che riguarda la guerra e l’Unione europea, noi potremmo immediatamente comprendere di trovarci di fronte non ad un linguaggio solamente deformato, ma di fronte ad un vero e proprio metalinguaggio, ad un potentissimo disegno semantico volto, per ciò che riguarda l’Unione europea, alla costruzione mitologica di una – peraltro assolutamente  inesistente – presenza storica sovranazionale e continentale e, per ciò che riguarda la guerra e il riarmo, ad un altro disegno semantico volto alla costruzione di una sbalorditiva mistificazione di massa che poggia su di un’ architettura sorretta da una fittissima trama di rimozioni e menzogne. L’insieme di tutto ciò, per restare al Gramsci iniziale, è la vittoria strategica ( lo diciamo in senso metaforico) dei neo grammatici. Che la “ la classe”, il proletariato, pagano con la subordinazione, l’inconsapevolezza e il silenzio.


Dopo Gramsci, e a partire anche da Gramsci, la linguistica contemporanea che tenta di opporsi al linguaggio del potere, ha individuato, all’interno della semantica del potere, una categoria centrale, un vero e proprio motore primario che da forma al linguaggio del capitale: la categoria della disoggetivazione, attraverso la quale – appunto –  la realtà raccontata non è più oggettiva.

Questo meccanismo segna di sé l’intera narrazione del sistema militare che si estende, oggi, in Italia: nel racconto degli USA, della NATO e dei governi italiani succubi di questo nefasto tandem, le bombe atomiche e tutti gli ordigni nucleari collocati nelle basi USA e NATO in Italia sono cancellati, rimossi: semplicemente non esistono, non esistendo, dunque, neanche nella coscienza di massa. Come cancellate dalla realtà, rimosse, sono, essenzialmente, tutte le stesse 140 basi USA e NATO nel nostro Paese; rimosse sono le immense spese militari e i pericoli di guerra e di subordinazione totale e generale dati dall’appartenenza dell’Italia al Patto Atlantico. Ma il linguaggio del potere, dove non riesce a rimuovere, mistifica, e le nostre guerre d’aggressione, ordinateci dagli USA e dalla NATO, diventano così  “missioni di pace”.

In questi giorni, gli USA sono tornati a bombardare la Libia. E specie nei confronti delle aggressioni imperialiste in Libia i livelli di mistificazione e menzogna del linguaggio del potere, del linguaggio imperialista, ha raggiunto livelli acrobatici, circensi, tanto rocamboleschi nella loro assurdità, quanto oscuri e inquietanti nella loro funzione di guerra.

Chi ricorda con quali motivazioni il fronte imperialista attaccò la Libia, a partire dal 19 marzo del 2011, per una guerra che si sarebbe rivelata una carneficina contro il popolo libico, un orrore degno di una nuova Norimberga, per gli USA e per la NATO ? La motivazione ufficiale per l’attacco – un’incredibile favola, rispetto alla realtà vera – fu la seguente: in Libia sono in atto manifestazioni popolari contro Gheddafi e l’occidente ha il dovere morale di appoggiare il popolo libico che lotta contro la dittatura gheddafiana. A pensarci, è incredibile che ciò sia accaduto, che questa argomentazione sia stata il collante di un intero mondo in armi contro la Libia, sia stato il pensiero – indotto – di centinaia di milioni di persone nel mondo che dovevano essere convinte della bontà dell’attacco militare. Ma fu proprio così: poiché erano in corso in Libia manifestazioni contro il governo, un fronte imperialista dalla vastità impressionante ( all’inizio una coalizione composta da USA, Francia, Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Norvegia, Spagna, Regno Unito, una coalizione che si sarebbe tuttavia allargata sino al  Qatar e sarebbe stata composta, infine, da ben 19 paesi!)  mise il coltello tra i denti e assassinò la Libia. A pensarci bene sarebbe come se  un’organizzazione militare mondiale opposta alla NATO, poiché, oggi, vi sono manifestazioni popolari contro Obama negli USA e la polizia americana massacra i neri, dovesse bombardare Washington e New York…  Ad attaccare per primi, 19 marzo 2011, furono i francesi; qualche ora più tardi iniziarono ad alzarsi i missili da crociera  “Tomahawk” da navi militari statunitensi e britanniche sugli obiettivi strategici di tutta la Libia.


Ma vogliamo ricordare la realtà delle cose, magari con un po’ di pignoleria, ma sicuri che questa realtà ci impressionerà? Che contribuirà al ripristino della verità, così ferocemente cancellata dai “neo grammatici” dell’attuale imperialismo?

Vediamo, semplicemente,  le forze militari in campo nel marzo del 2011 contro la Libia di Gheddafi.

Belgio: sei caccia multiruolo F-16 Falcon . Bulgaria: la grande fregata Drazki.  Canada: il Canadian Forces Air Command , con sette cacciabombardieri CF-18, due aerocisterne CC-150 Polaris, due C-130J da trasporto, due CC-177 e due pattugliatori marittimi CP-140 Aurora. In totale sono circa 490 i militari canadesi coinvolti nell’operazione, compresi quelli imbarcati sulle fregate Charlottetown e Vancouver.  Danimarca: l’aeronautica militare danese partecipa con sei caccia F-16 e un C-130J-30 Super HerculesEmirati Arabi Uniti: sei F-16 Falcon e sei Mirage 2000 che fanno base a Decimomannu, Sardegna, e TrapaniSiciliaFrancia: L’Armée de l’air, che effettuerà il 35% dei bombardamenti, dispiega 19 Rafale, 18 tra Mirage 2000D e Mirage 2000-5F, 6 MirageF1, 6 Super Étendard, 2 E-2C Hawkeye, 2 
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(italiano / english / srpskohrvatski)

Serbia and China
Some texts by Zivadin Jovanović, president of the Belgrade Forum for a World of Equals

1) Lo Sviluppo della Cina è ispirazione per il mondo intero / WIN WIN Cooperation Symbol of China
2) China and Serbia Expanding Cooperation / Geopolitica dei Balcani: Cina e Serbia espandono la cooperazione strategica ed economica 


Vedi anche / see also:

ASIA BELONGS TO PEOPLES OF ASIA. The Shanghai Forum 2016, View from Serbia (July 2016)

На међународној конференцији о иницијативи „Појас и пут“, одржаној 23. и 24. фебруара 2016. у Шенжену, Кина

ADDRESS of Zivadin Jovanovic at the Think Tank International conference
http://www.beoforum.rs/en/press-conferences-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/456-address-of-zivadin-jovanovic-at-the-think-tank-international-conference.html
Говор Председника Беофорума господина Живадина Јовановића на конференцији у Кини
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/778-zivadin-jovanovic-kina-2016.html

Shenzhen Declaration (Silk Road Think Tank Association – Feb 23rd, 2016 Shenzhen, China)
http://www.beoforum.rs/en/press-conferences-belgrade-forum-for-the-world-of-equals/455-shenzhen-declaration-.html
Шенжен Декларација - Тинк Танк међународна асоцијација Пута свиле
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/779-zensen-deklaracija.html

КИНЕСКИ НОВИ ПУТ СВИЛЕ 21. ВЕКА
http://www.beoforum.rs/komentari-beogradskog-foruma-za-svet-ravnopravnih/777-kineski-novi-put-svile.html
SILK ROAD OF 21st CENTURY


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<< Siamo grati alla Cina che non votò a favore delle sanzioni contro la Serbia nel Maggio 1992, per il fatto che condannò fortemente l’aggressione alla Serbia nel 1999, e per il fatto che rifiutò l’illegale, unilaterale secessione della provincia Serba del Kosovo e Metohija... >>


Intervista a Zivadin Jovanovic, Presidente del Forum di Belgrado per un Mondo di Eguali, ex ministro degli esteri della Repubblica Federale Jugoslava

 

D: Lei è grande amico della Cina, paese che visita spesso. Cosa la impressiona più di tutto il resto?
R: Per decenni sono stato coinvolto nello sviluppo della cooperazione e delle relazioni tra Jugoslavia e Cina. Oggi le nostre relazioni hanno carattere strategico. La recente visita del Presidente cinese Xi Djinping alla Serbia è di importanza storica, e crea le basi per la cooperazione del XXI secolo.
Sono personalmente impressionato di come la Cina si sia trasformata da Paese sottosviluppato e chiuso a Paese aperto e prosperoso con risultati straordinari in campo economico, scientifico e tecnologico. Lo sviluppo cinese diventa fonte di ottimismo in un mondo che deve affrontare nuove sfide e nuovi problemi.

D: Prima della nascita della Repubblica Popolare Cinese, era un paese sottosviluppato. Ma ora la Cina occupa un posto centrale sulla scena mondiale. Secondo lei, qual è la ragione principale per tale risultato? Qual è il ruolo del partito comunista in questo processo?
R: Il Partito Comunista ha giocato un ruolo cruciale in tutte le fasi dello sviluppo cinese. Il Partito è sempre stato fermamente unito con la propria gente difendendo la libertà dai padroni stranieri e dagli occupanti fascisti, salvaguardando la sovranità e l’integrità territoriale della Patria, tracciando la strategia per lo sviluppo economico, sociale e culturale. Grazie al Partito, i bisogni degli uomini e delle donne, sono sempre al centro delle decisioni politiche. Credo che quest’unità tra popolo, partito e Stato sia la base dei grandi risultati raggiunti in Cina in tutti i campi.

D: Facendo un confronto con altri partiti comunisti, qual è il segreto del Partito Comunista Cinese nell’aver raggiunto un così grande successo?
R: Se c’è qualche segreto, questo è il senso di unità, responsabilità, apertura e approccio innovativo al futuro. I successi del Partito sono basati sulla profonda comprensione dei bisogni e delle capacità delle persone; dei cambiamenti e delle nuove sfide a livello mondiale; terzo una visione di lungo termine e pianificazione. Il Partito Comunista è molto aperto nello studio delle esperienze di altri parti e sistemi sociali, mentre con risolutezza costruisce il proprio sistema socialista, basato sulle concrete condizioni, bisogni e sul proprie radici culturali. La politica che seguono ha grande valore.

D: La Cina sta esplorando un nuovo cammino nello sviluppo di se stessa. Qual è il contributo che la Cina ha dato nello sviluppo mondiale?
R: Il contributo della Cina allo sviluppo della pace e dello sviluppo è enorme. Come membro permanente del Consiglio di Sicurezza e come membro influente di altre organizzazioni internazionali, si è sempre battuta per la pace, la giustizia e pari opportunità per lo sviluppo di tutte le nazioni.
Siamo grati alla Cina che non votò a favore delle sanzioni contro la Serbia nel Maggio 1992, per il fatto che condannò fortemente l’aggressione alla Serbia nel 1999, e per il fatto che rifiutò l’illegale, unilaterale secessione della provincia Serba del Kosovo e Metohija.
Coesistenza pacifica, rispetto del ruolo delle Nazioni Unite e dei principi base del Diritto Internazionale, come forma di rispetto della sovranità e integrità territoriale di tutti i paesi nel mondo, siano grandi o piccoli, sviluppati o meno, forti o deboli, sono questi i principi cardine della politica estera cinese, grazie alla quale ha conquistato la simpatia e il rispetto di altri paesi, soprattutto in Asia, Africa e Sud America. L’approccio Cinese ai problemi economici si basa su una visione di insieme che tende a trovare soluzioni che diano reciproco vantaggio, e che cerchino di superare la crisi mondiale che dura da anni.
L’iniziativa “One Belt, one Road” introdotta dal presidente Xi Djinping nel 2013 è stata già profondamente appoggiata e supportata come nuovo approccio allo sviluppo globale, agli interessi comuni, alla connettività delle infrastrutture, produzione culturale e relazioni umane in generale.
La Cina è fondatrice, o co-fondatrice, dell’Organizzazione di Shangai, del Brics, della Banca Asiatica per le infrastrutture, della New Development Bank, G-20 e altri forum internazionali. Questo dimostra l’impegno della Cina nella creazione di un mondo multipolare libero da ogni dominio. Se è chiaro per tutti che l’Asia è al centro dello sviluppo del XXI secolo, è altrettanto chiaro che la Cina è la nazione leader dell’Asia. La collaborazione strategica tra Cina e Russia è simbolo di speranza per un mondo di pace, stabilità e prosperità.

D: La disputa tra Cina e Filippine è complicata e delicata. Il collegio arbitrale istituito ad hoc è composto da 5 persone, 4 dei quali sono occidentali. Possono giudicare in maniera adeguata il caso?
R: E’ difficile immaginare come un tribunale ad hoc possa risolvere questa complicata disputa bilaterale, specialmente se solo una parte è disposta a farlo. Guardando la composizione del tribunale, cui ha fatto riferimento, si nota, come minimo, la faziosità del collegio. Pertanto sono davvero scettico verso tale metodo.

D: La controversia è sulla sovranità. Il Tribunale ha sufficiente autorità per risolvere la disputa?
R: Secondo me, come tribunale è deficitario delle qualifiche adatte per decidere la disputa. Non ha sufficiente autorità per prendere tali decisioni circa tali questioni di sovranità, né per costringere le parti a prendervi parte.

D: A quale risultato può portare l’arbitrato nella soluzione della disputa?
R: Stando a vedere la storia, l’essenza della disputa, penso che l’arbitrato non sia il modo corretto per risolvere la questione. E’ piuttosto una maniera per postergare la questione non per risolverla. Questo però è contro l’interesse di entrambe le parti.  Il punto è, chi trae beneficio da questo tribunale?

D: Secondo lei qual è la soluzione migliore?
R: Un negoziato tenuto dalle parti direttamente interessate nel reciproco interesse, senza interferenze dall’esterno. Questo risolverebbe un problema delicato attraverso amichevoli relazioni di vicinato. E tutta la regione beneficerebbe dalla comprensione reciproca, libertà di navigazione e crescente cooperazione.                         
Dal quotidiano cinese Zhenminzhibao

Traduzione di Pacifico S.


--- ORIG.: 

<< ... We are grateful to China that she has not voted in favor of UN sanctions against Serbia (FRY) in May 1992, that China strongly condemned NATO military aggression against Serbia (FRY) in 1999 and that China refused to recognize unlawful, unilateral secession of Serbian southern Province of Kosovo and Metohija... >>


WIN WIN COOPERATION SYMBOL OF CHINA

Zivadin Jovanovic, president of the Belgrade Forum for a World of Equals, former Federal Minister for Foreign Affairs of Yugoslavia

Topic One: 95 years of CCP

1.    You are friend of China and often visit China. What impressed you most in China? 
Reply: Yes indeed. For decades I have been involved in development of cooperation and friendship between Serbia (Yugoslavia) and China. Today our relations have strategic character. Recent state visit of the President of PR of China Xi Djinping to Serbia is of historic importance as it has created basis for our cooperation in 21st century. 
I am impressed by unprecedented transformation of China from underdeveloped and closed country into the most prosperous and open society with the highest economic, scientific and technological achievements in the world.  Chinese overall development has become inspiration and well of optimism for contemporary world faced with many challenges and problems.

2.    Before the foundation of PRC, China was backward in the world. But now China has been in the center of the world stage. In your opinion, what's the basic reason for such achievement? What role has CCP played in the progress?
Reply: CCP played decisive role in all stages of Chinese new history and development. CCP has always stayed firmly united with own people defending freedom from foreign masters and fascist occupiers, safeguarding sovereignty and territorial integrity of the country, tracing strategy for overall economic, social and cultural development. Thanks to the CCP, everyday needs of a man and woman, as human beings, have always been in the center of political decision making process. So, I believe, that this unity of the Party, People and the State is the basis for the great achievements of China in all fields. 

3.    Compared with other communist parties, what's the secret of CCP to make such great success?
Reply: If there are any secrets then they are CCP`s own unity and responsibility, openness and innovative approach to the future. Historic achievements of CCP have been based on profound understanding, firstly, of the needs and potentials of the people, secondly, of world trends and challenges and thirdly, of the importance of long-term vision and planning. Openness has many aspects but, CCP`s openness to study experiences of other parties and other social systems, while firmly building own, socialist system of Chinese colors, based on concrete own conditions, needs and culture – is unique, the most valuable policy. 

4.    China is exploring a new path in developing itself. What contribution has China made towards the world in the development?
Reply: China`s contribution to peace and development in the world is enormous. As the Permanent member of UN Security Council and very influential member of many other international organizations, be it universal or regional, China has always strived for peace, justice and equal chances for development of all nations.  
We are grateful to China that she has not voted in favor of UN sanctions against Serbia (FRY) in May 1992, that China strongly condemned NATO military aggression against Serbia (FRY) in 1999 and that China refused to recognize unlawful, unilateral secession of Serbian southern Province of Kosovo and Metohija.   
Peaceful coexistence,  respect of UN role and basic principles of the International Law, such as respect of sovereignty and territorial integrity of all countries of the world, small or big ones, developed or underdeveloped, militarily strong or weak - have always been guiding criteria of  China`s foreign policy. China has won admiration for solidarity and enormous contribution to the development of developing countries, especially those of Asia, Africa and South America. Concept of worldwide win win cooperation is symbol of Chinese approach to solving major economic problems and getting out of prolonged world economic crises.  
Multidimensional, global Initiative One Belt One Road introduced by president Xi Djinping in 2013 has already been widely supported as completely new concept to the global development based on shared interests, connectivity in infrastructure, production culture and human relations in general. 
China is founder or co-founder of Shanghai Cooperation Organization, BRICS, Asian Bank for Infrastructure, New Development Bank, G-20 (presently presided by China) and other international forums. All these illustrate the growing global influence of China toward creation of multi-polar world free of any domination. If there is consensus that Asia is the center of the World development in 21st Century, it is clear, too, that China is the center and leader of Asia. Strategic partnership between China and Russia is the hope for world peace, stability and prosperity.  

Topic Two:  The South China Sea Arbitration (if you have ready articles on this topic please send to me.)

1.    The dispute between China and the Philippines is complicated and sensitive. The ad hoc arbitral tribunal is made up of 5 people, in which 4 are from the west. Can they understand and judge the case properly? 
Reply: It is really difficult to imagine how the ad hoc tribunal could resolve this complicated bilateral dispute, especially if only one side opts for such method and the other side has different approach. Supposed composition of the tribunal, that you are referring to, in my opinion, is rather indicative of biased, prejudicing approach, to say the least. Therefore, I am very skeptical towards this method.

2.    The dispute is about the sovereignty. Does the tribunal have enough legal authority to solve the dispute?
Reply: In my opinion, such a tribunal lacks legal ground and qualification to be deciding on this problem. It does not have necessary authority to make decision about question of the sovereignty, nor could it oblige any party to participate.

3.    What will the result of arbitration bring to the situation of the dispute? 
Reply: Having regard to the facts, history and the essence of dispute, I think this arbitration is not the way to solve the problem. It is rather the method to postpone any solution if not to further complicate the whole situation. This certainly cannot be in the interest of either side. The question remains who could benefit from trying to impose such a tribunal? 

4.    In your opinion, what is the best way to solve such dispute?
Reply: It is quite clear that the negotiation of directly involved parties is the best way to solve the problem in their mutual interest, without interference of any factors from outside.  This would remove a sensitive problem in good neighborly relations and open wide space for their win win cooperation. No doubt that the whole region would benefit from mutual understanding, freedom of navigation and growing cooperation.
                                                      

ZIVADIN JOVANOVIC                                                        
Born in 1938, in Oparic, central Serbia. I graduated at Law Faculty, Belgrade University in 1961. Working in Yugoslav diplomacy for 40 years including duties in Canada, Keniya, Angola. 
Assistant Federal minister (1994-1998). Federal minister of Foreign Affairs of FR of Yugoslavia 1998-2000.
Vice-President of the Socialist Party of Serbia (1997-2002), elected member of Yugoslav and Serbian Parliaments.
Founder and President of Foundation Diaspora for Motherland  (1999 -), Foundation for scholarship for talents (1999 -), Think Tank association Belgrade Forum for a World of Equals (2000), New Silk Road think Tank Connectivity Research Center (2016).
Official visits to China: 1996 and 1999. Several working visits to China, including SRTA founding Conference in Shenzhen, in February 2016 and Shanghai Forum in May, 2016.
Languages: Serbian, English, French, Russian, Portugues.
Books: Bridges (2003), Abolishing the State (2003), Kosovo`s Mirror (2006) and others.
Married, two daughters.
                 

BELGRADE FORUM FOR A WORLD OF EQUALS
The Belgrade Forum for a World of Equals founded in 2000. Is an independent, non-profit Research Association researching and struggling for peace, sovereign equality of states, nations and individuals; for the truth in international relations; for respecting of the International Law and role of UN; for cooperation on equal footing; for multi-polar world relations; against abuse of human rights for interference in internal affairs; against any form of domination and discrimination; against international terrorism but also against abuse of the antiterrorist struggle for expansion of geopolitical interests; antiterrorist struggle must be coordinated under auspices of UN; for freedom in choosing own path of internal and foreign policy; against export of democracy and so called color revolutions; against of militarism and interventionism of NATO; against revival of fascist and Nazi ideology and systematic revision of history, especially, history of the First and Second World Wars.
Belgrade Forum is a member of the World Peace Council (Athens). Cooperates with many independent associations and think tanks in Serbia, Europe and the world. Actively participates in the activities of SRTA (Silk Road Think Tank Association) as a founding member. Cooperates with Chinese Center for Contemporary World Studies (CCCWS), Shanghai Forum and other think tank associations.
Every year, 22-24 of March, Belgrade Forum holds regular international forums devoted to peace, cooperation and security issues.
Belgrade Forum is initiator of founding of Silk Road Contectivty Research Center (COREC)


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China and Serbia Expanding Cooperation

Zivadin Jovanovic, Belgrade Forum for a World of Equals


Serbia and China cultivate a long tradition of friendship and mutual trust enjoying mutually beneficial cooperation. Presently, when certain European, American and other countries compete to win Chinese cooperation, Serbia is already endowed with the capacity and the basis to enhance cooperation with the second strongest economic power in the world and to upgrade mutual relations to the strategic level. In fact, that is exactly what Serbia is doing. The forthcoming visit of Chinese President Xi Jinping and expected signing of General agreement on strategic relationship will certainly accelerate this cooperation in all fields.
China and Serbia perceive each other as stable, reliable partners in long run. Serbia, although relatively small economy, commands considerable capacity for future development, especially in the fields of infrastructure, energy and food production. In addition, Serbia occupies favorable geopolitical position being at the same time South European, Central European and Danube country. As cross-roads between various regions and even continents, Serbia is the door and bridge to other destinations for economic cooperation with Europe. It was not mere coincidence that in December of 2014 capital of Serbia Belgrade was the venue of “China + 16” Group Summit, comprising Central and Southeast European countries jointly participating in the implementation of the “Road and Belt” mega-project, better known as the 21st Century New Silk Road. So far, China has allocated $ 13 billion for the projects in these countries, out of which 1.5 billion is earmarked for Serbia.
Chinese companies have already constructed the “Mihailo Pupin” Bridge over the Danube River, in Belgrade, plus 21 km of access highway. Plans for the construction of the second bridge over the Danube near Vinča, along the European Corridor X, and a bridge over the Sava River, near the Town of Obrenovac are in advanced stage. Chinese Hessteel Co., the second largest steelmaker in the world, has recently bought the Smederevo Steel Plant that employs 5,050 workers, and owns a port on the Danube and a Tinplate Factory in the City of Šabac (on the River Sava). A further agreement was reached with Chinese partners to construct the Thermo Power Plant “Kosotolac B”. This project, includes also construction of another port on the Danube and an 18 km-long railroad section for the transport of necessary equipment.
Therefore, in economic terms, Chinese companies have already settled on the Danube, thus increasing the significance of this strategic inland water European Corridor VII. 
The Tripartite Partnership of Serbia, Hungary and China has initiated construction of the high-speed railway connecting Belgrade and Budapest. This project is just a part of the of strategic railroads on European Corridor X, running from the Mediterranean Ports of Piraeus and Thessalonica, in Greece, through Macedonia, Serbia and Hungary, to the countries in the Central and the North Europe – all the way to the Northern and Baltic Seas. Taking in consideration plans of Chinese engagement in the modernization of transport lines connecting Belgrade and the Port of Bar (Adriatic, Montenegro), then Chinese companies` interest in privatization of a number of Serbian companies, then the full potential and the perspective of economic cooperation between the two countries become much clearer.

It seems that the importance of the rapid rise in economic cooperation with China goes beyond the point of its substantial input to GDP growth and employment, although both of them make very significant parameters. Provided that the current trend continues -- and there is no reason to expect otherwise -- it could gradually affect the layout of Serbia’s economic interests at the international level, focusing them into a more balanced position. 
Over the recent years, the EU has been busy dealing with itself, suffering from serious crisis of the system, nationalism and particularism on rise, technological and economic stagnation, Eurozone crisis, capital outflow, migrants, “Brexit” and other “exits”, and Transatlantic “encouragments” to increase its military expenditure (truncated G7 Summit in Hannover). The USA has been busy intimidating its allies by using, once “dangers” from Russian, other time, from China. Russia is faced with decline of oil prices, with the need to modernize economic structure, to alleviate consequences of US sanctions implemented by “European partners”, forcing her to spend more on defense. The world witnesses a dramatic widening of the divide between the masses of poor and the handful of extremely rich, with poverty, unemployment and misery dominating the globe.
China extends her friendly hand to offer partnership, networking, innovation, and mutual benefit towards all four sides of the world.
Every now and then, one wonders – why should the West feel it necessary to publicly lament over apparent “slowdown of Chinese economic growth” falling from former 9% to present ‘mere’ 7.5%! Who, really, is doing better in time of prolonged global economic crisis?

--- TRAD.:


Geopolitica dei Balcani: Cina e Serbia espandono la cooperazione strategica ed economica


Zivadin Jovanovic, Global Research, 26 maggio 2016

Serbia e Cina coltivano una lunga amicizia e fiducia reciproca basata sulla cooperazione reciprocamente vantaggiosa. Attualmente, quando certi Paesi europei, americani e altri competono per la cooperazione cinese, la Serbia ha già capacità e base per rafforzare la cooperazione con la seconda potenza economica nel mondo e migliorare le mutue relazioni a livello strategico. In realtà, questo è esattamente ciò che la Serbia fa. L’imminente visita del Presidente cinese Xi Jinping e l’attesa firma di un accordo generale sulla relazione strategica certamente accelererà la cooperazione in tutti i campi.

Cina e Serbia si percepiscono stabili e soldi partner affidabili. La Serbia, anche se dall’economia relativamente piccola, ha notevole capacità di sviluppo futuro, in particolare nelle infrastrutture, energia e produzione alimentare. Inoltre, la Serbia occupa una posizione geopolitica favorevole essendo allo stesso tempo nel Sud Europa, Europa centrale e Paese danubiano, crocevia di diverse regioni e persino continenti; la Serbia è porta e ponte per altre destinazioni della cooperazione economica con l’Europa. Non è una semplice coincidenza che nel dicembre del 2014 Belgrado abbia ospitato il vertice del gruppo “Cina + 16” comprendente i Paesi dell’Europa centrale e del sud-est che partecipano congiuntamente all’attuazione del mega-progetto “Via e Cintura”, meglio noto come Nuova Via della Seta del 21° secolo. Finora la Cina ha stanziato 13 miliardi di dollari per progetti in questi Paesi, di cui 1,5 miliardi per la Serbia. Le imprese cinesi hanno già costruito il ponte “Mihailo Pupin” sul fiume Danubio, a Belgrado, oltre a 21 km di autostrada d’ingresso. I piani per la costruzione del secondo ponte sul Danubio, nei pressi di Vinca, lungo il X Corridoio europeo, e per un ponte sul fiume Sava, vicino ad Obrenovac, sono in fase avanzata. La Chinese Hessteel Co., secondo maggiore produttore di acciaio al mondo, ha recentemente acquistato l’acciaieria Smederevo che impiega 5050 lavoratori ed ha un porto sul Danubio e una fabbrica di stagno a Shabac (sul fiume Sava). È stato raggiunto un ulteriore accordo con i partner cinesi per costruire la centrale termoelettrica “Kosotolac-B”. Questo progetto prevede anche la costruzione di un altro porto sul Danubio e una sezione di 18 km di ferrovia per trasportare le attrezzature necessarie. Pertanto, in termini economici, le aziende cinesi si sono già insediate nel Danubio aumentando così il peso di queste acque interne presso lo strategico VII Corridoio europeo.
Il partenariato tripartito Serbia, Ungheria e Cina ha avviato la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità che collega Belgrado e Budapest. Il progetto è solo una parte delle ferrovie strategiche del X Corridoio dai porti mediterranei di Pireo e Salonicco, in Grecia, a Macedonia, Serbia, Ungheria e Paesi dell’Europa centrale e del nord fino al Mar Baltico. Prendendo in considerazione i piani d’impegno cinese nella modernizzazione delle linee dei trasporti che collegano Belgrado e il porto di Bar (Adriatico, Montenegro), l’interesse delle compagnie cinesi nella privatizzazione di numerose aziende serbe, e quindi potenzialità e prospettive della cooperazione economica tra i due Paesi, diventa molto più chiara. Sembra che l’importanza del rapido aumento della cooperazione economica con la Cina vada oltre il sostanziale input della crescita del PIL e dell’occupazione, anche se sono parametri molto significativi. A condizione che l’attuale tendenza continui, e non c’è motivo di aspettarsi altrimenti, influenzerebbe seriamente i piani degli interessi economici della Serbia a livello internazionale, orientandoli su una posizione più equilibrata. Negli ultimi anni l’Unione europea era occupata a trattare con se stessa, soffrendo grave crisi di sistema, avanzata di nazionalismo e particolarismo, stagnazione tecnologica ed economica, crisi dell’eurozona, deflusso di capitali, migranti, “Brexit” ed altre “uscite”, ed “incoraggiamenti” transatlantici per aumentare la spesa militare (troncati al vertice G7 di Hannover). Gli Stati Uniti si preoccupano d’intimidire gli alleati utilizzando una volta il “pericolo” russo, un’altra volta cinese. La Russia affronta il declino dei prezzi del petrolio, con la necessità di modernizzare la struttura economica e alleviare le conseguenze delle sanzioni degli Stati Uniti attuate dai “partner europei”, costringendola a spendere di più per la difesa. Il mondo testimonia l’allargamento drammatico della divisione tra masse di poveri e una manciata di estremamente ricchi, con povertà, disoccupazione e miseria che dominano il mondo. La Cina tende una mano amichevole offrendo collaborazione, connessione, innovazione e mutuo vantaggio in tutti i quattro angoli del mondo. Ogni tanto, ci si chiede perché l’occidente senta la necessità di lamentarsi pubblicamente sul “rallentamento della crescita economica cinese” che apparentemente cade dal 9% all’attuale ‘mero’ 7,5%! Chi in realtà fa meglio in tale prolungata crisi economica globale?

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora




Distruzione e saccheggio della Libia

In ordine cronologico inverso:
1) Libia, la grande spartizione (di Manlio Dinucci, 3.8.2016)
2) Libia: come distruggere una nazione (di Patrick Howlett-Martin, 31.5.2016)
3) Libia: bandiere italiane bruciate Tobruk e Derna (ANSA, 30 aprile 2016)
4) La nuova spinta per l’intervento militare in Libia: chi controllerà la Banca Centrale libica? (di Horace G. Campbell, 28.4.2016)
5) La ricolonizzazione della Libia (di Manlio Dinucci, 8 marzo 2015)
6) Aysha Gheddafi, nuova leader della Resistenza popolare contro NATO e ISIS (di Enrico Vigna)


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Libia, la grande spartizione  

Petrolio, immense riserve d’acqua, miliardi di fondi sovrani. Il bottino sotto le bombe
 
Manlio Dinucci
  

«L'Italia valuta positivamente le operazioni aeree avviate oggi dagli Stati uniti su alcuni obiettivi di Daesh a Sirte. Esse avvengono su richiesta del Governo di Unità Nazionale, a sostegno delle forze fedeli al Governo, nel comune obiettivo di contribuire a ristabilire la pace e la sicurezza in Libia»: questo il comunicato diffuso della Farnesina il 1° agosto.  

Alla «pace e sicurezza in Libia» ci stanno pensando a Washington, Parigi, Londra e Roma gli stessi che, dopo aver destabilizzato e frantumato con la guerra lo Stato libico, vanno a raccogliere i cocci con la «missione di assistenza internazionale alla Libia». L’idea che hanno traspare attraverso autorevoli voci. Paolo Scaroni, che a capo dell’Eni ha manovrato in Libia tra fazioni e mercenari ed è oggi vicepresidente della Banca Rothschild, ha dichiarato al Corriere della Sera che «occorre finirla con la finzione della Libia», «paese inventato» dal colonialismo italiano. Si deve «favorire la nascita di un governo in Tripolitania, che faccia appello a forze straniere che lo aiutino a stare in piedi», spingendo Cirenaica e Fezzan a creare propri governi regionali, eventualmente con l’obiettivo di federarsi nel lungo periodo. Intanto «ognuno gestirebbe le sue fonti energetiche», presenti in Tripolitania e Cirenaica. 

È la vecchia politica del colonialismo ottocentesco, aggiornata in funzione neocoloniale dalla strategia Usa/Nato, che ha demolito interi Stati nazionali (Jugoslavia, Libia) e frazionato altri (Iraq, Siria), per controllare i loro territori e le loro risorse. La Libia possiede quasi il 40% del petrolio africano, prezioso per l’alta qualità e il basso costo di estrazione, e grosse riserve di gas naturale, dal cui sfruttamento le multinazionali statunitensi ed europee possono ricavare oggi profitti di gran lunga superiori a quelli che ottenevano prima dallo Stato libico. Per di più, eliminando lo Stato nazionale e trattando separatamente con gruppi al potere in Tripolitania e Cirenaica, possono ottenere la privatizzazione delle riserve energetiche statali e quindi il loro diretto controllo.  

Oltre che dell’oro nero, le multinazionali statunitensi ed europee vogliono impadronirsi dell’oro bianco: l’immensa riserva di acqua fossile della falda nubiana, che si estende sotto Libia, Egitto, Sudan e Ciad. Quali possibilità essa offra lo aveva dimostrato lo Stato libico, costruendo acquedotti che trasportavano acqua potabile e per l’irrigazione, milioni di metri cubi al giorno estratti da 1300 pozzi nel deserto, per 1600 km  fino alle città costiere, rendendo fertili terre desertiche. 

Agli odierni raid aerei Usa in Libia partecipano sia cacciabombardieri che decollano da portaerei nel Mediterraneo e probabilmente da basi in Giordania, sia droni Predator armati di missili Hellfire che decollano da Sigonella. Recitando la parte di Stato sovrano, il governo Renzi «autorizza caso per caso» la partenza di droni armati Usa da Sigonella, mentre il ministro degli esteri Gentiloni precisa che «l'utilizzo delle basi non richiede una specifica comunicazione al parlamento», assicurando che ciò «non è preludio a un intervento militare» in Libia. Quando in realtà l’intervento è già iniziato: forze speciali statunitensi, britanniche e francesi – confermano il Telegraph e Le Monde – operano da tempo segretamente in Libia per sostenere «il governo di unità nazionale del premier Sarraj». 

Sbarcando prima o poi ufficialmente in Libia con la motivazione di liberarla dalla presenza dell’Isis, gli Usa e le maggiori potenze europee possono anche riaprire le loro basi militari, chiuse da Gheddafi nel 1970, in una importante posizione geostrategica all’intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente. Infine, con la «missione di assistenza alla Libia», gli Usa e le maggiori potenze europee si spartiscono il bottino della più grande rapina del secolo: 150 miliardi di dollari di fondi sovrani libici confiscati nel 2011, che potrebbero quadruplicarsi se l’export energetico libico tornasse ai livelli precedenti. 

Parte dei fondi sovrani, all’epoca di Gheddafi, venne  investita per creare una moneta e organismi finanziari autonomi dell’Unione Africana. Usa e Francia – provano le mail di Hillary Clinton – decisero di bloccare «il piano di Gheddafi di creare una moneta africana», in alternativa al dollaro e al franco Cfa. Fu Hillary Clinton – documenta il New York Times – a convincere Obama a rompere gli indugi. «Il Presidente firmò un documento segreto, che autorizzava una operazione coperta in Libia e la fornitura di armi ai ribelli», compresi gruppi fino a poco prima classificati come terroristi, mentre il Dipartimento di stato diretto dalla Clinton li riconosceva come «legittimo governo della Libia». Contemporaneamente la Nato sotto comando Usa effettuava l’attacco aeronavale con decine di migliaia di bombe e missili, smantellando lo Stato libico, attaccato allo stesso tempo dall’interno con forze speciali anche del Qatar (grande amico dell’Italia). Il conseguente disastro sociale, che ha fatto più vittime della guerra stessa soprattutto tra i migranti, ha aperto la strada alla riconquista e spartizione della Libia. 
 
(il manifesto, 3 agosto 2016)


Sullo stesso argomento vedi La notizia su Pandora TV http://www.pandoratv.it/?p=7166



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ORIG.: Libya: How to Bring Down a Nation (by PATRICK HOWLETT-MARTIN, MAY 31, 2016)
http://www.counterpunch.org/2016/05/31/libya-how-to-bring-down-a-nation/


Libia: come distruggere una nazione

Pubblicato il 2 giu 2016

di Patrick Howlett-Martin
Più di 30.000 libici sono morti durante sette mesi di bombardamenti messi in atto da una forza essenzialmente tripartitica – Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti – che ha chiaramente favorito i ribelli. ‘La missione di maggior successo nella storia della NATO‘, secondo le parole imprudenti del Segretario generale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, un danese, a Tripoli nell’ottobre 2011.
Il desiderio del presidente francese Nicolas Sarkozy di sostenere un intervento militare con lo scopo presunto di proteggere la popolazione civile è in contrasto con l’ospitalità offerta al presidente della Libia, Muammar Gheddafi, quando visitò Parigi nel dicembre 2007 e firmò importanti accordi militari del valore di circa 4.5 miliardi € con accordi di cooperazione per lo sviluppo dell’energia nucleare per usi pacifici, I contratti che la Libia non sembrava più disposta a rispettare si concentravano su 14 jet multiruolo Dassault Rafale da combattimento e il loro armamento (lo stesso modello che la Francia ha venduto o sta cercando di vendere al generale Egiziano Abdel Fattah al-Sisi l’auto-proclamato maresciallo), 35 elicotteri Eurocopter, sei motovedette, un centinaio di veicoli blindati, e la revisione di 17 caccia Mirage F1 venduti da Dassault Aviation negli anni 1970.
 Le principali compagnie petrolifere (Occidental Petroleum, Oil Stato, Petro-Canada …) che operano in Libia hanno aiutato la Libia a pagare 1,5 miliardi di dollari di risarcimento che il regime libico aveva accettato di pagare alle famiglie delle vittime del volo Pan Am 103. A quel tempo, la compensazione era stata destinata ad essere una delle condizioni per la Libia per essere riaccettati nella comunità delle relazioni internazionali.
I principali fondi libici di investimento (LAFICO-Libyan Arab Foreign Investment Company; LIA-Libyan Investment Authority) erano azionisti di molte aziende italiane e britanniche (Fiat, UniCredit, Juventus, il Gruppo Pearson, proprietario del Financial Times e la London School of Economics, dove Gheddafi è stato insignito del titolo di ‘Brother Leader‘ nel corso di una videoconferenza nel dicembre 2010 ed a suo figlio Saif è stato assegnato un dottorato di ricerca nel 2008). La banca di investimenti di New York Goldman Sachs è stata denunciata nel 2014 da un fondo libico (Libyan Investment Authority), che aveva perso più di 1,2 miliardi di dollari tra gennaio e aprile 2008 dopo che l’azienda americana aveva preso una commissione di 350 milioni di dollari per investire i loro soldi in derivati altamente speculativi.
Muammar Gheddafi era stato ricevuto con tutti gli onori da parte delle grandi potenze alcuni mesi prima: oltre al ricevimento in grande stile a Parigi, dove è stato ospite per cinque giorni, nel 2007, fu ricevuto in Spagna nel dicembre 2007, a Mosca nel ottobre 2008, e a Roma nell’agosto 2010, due anni dopo aver accettato il dono dell’Italia di 5 miliardi di dollari come risarcimento per l’occupazione italiana della Libia 1913-1943. E degni dii nota sono anche i cinque viaggi a Tripoli in tre anni da ex primo ministro britannico Tony Blair, un consulente senior legato alla banca d’investimento JP Morgan Chase. L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy è stato ricevuto a Tripoli nel luglio 2007, dove ha annunciato l’inizio di una collaborazione per l’installazione di una centrale nucleare in Libia. L’Unione europea era pronta a facilitare l’accesso al mercato Europeo per le esportazioni agricole della Libia. La Libia fu invitata dai capi della NATO di difesa per l’Assemblea dei comandanti marittimi »(MARCOMET) a Tolone il 25-28 maggio 2008.
Una politica che ricorda quella verso il leader iracheno, Saddam Hussein. Il leader iracheno è stato invitato a Parigi nel giugno 1972 e settembre 1975; un accordo è stato firmato nel giugno 1977 per la vendita a Baghdad di 32 aerei da combattimento Mirage F1. Una coincidenza che non ha giovato a nessuno dei due governi nel lungo periodo.
I leader militari arabi (veterani dell’Afghanistan e membri del Gruppo combattente islamico libico, con legami con Al-Qaeda) hanno contribuito rovesciare Gheddafi. Uno dei principali capi militari della ribellione, Abdelhakim Belhadj (pseudonimo Abu Abdullah al-Sadik), poi capo della sicurezza di Tripoli e oggi il principale leader del partito conservatore islamista al-Watan era stato arrestato a Bangkok nel 2004, torturato da agenti della CIA, e consegnato alla prigione di Abu Salim di Gheddafi. Ora è il principale leader dell’ISIS in Libia. Jaballah Matar è stato rapito dalla sua casa al Cairo dalla CIA nel 1990 e poi consegnato a funzionari libici. Alcuni documenti sequestrati dopo la morte di Gheddafi rivelano una stretta collaborazione tra i servizi segreti libici, americani (CIA), e Britannici (MI6).
Sotto Gheddafi, il terrorismo islamico era praticamente inesistente. Prima dei bombardamenti degli Stati Uniti nel 2011, la Libia aveva il più alto indice di sviluppo umano, la mortalità infantile più bassa e l’aspettativa di vita più alta di tutta l’Africa. Oggi la Libia è uno stato distrutto.
Nel gennaio 2012, tre mesi dopo la fine delle ostilità, l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Navi Pillay, ha riferito l’uso diffuso di torture, esecuzioni sommarie e stupri nelle carceri libiche. Allo stesso tempo, l’organizzazione Medici Senza Frontiere ha deciso di ritirarsi dalle carceri di Misurata a causa della torture in corso ai detenuti.
L’intervento della NATO in Libia, che coinvolge la maggior parte dei paesi membri sotto un pretesto umanitario, fissa uno spiacevole precedente per gli sforzi per risolvere la crisi siriana: l’attacco da parte di aerei da guerra francesi e britannici sulla tribù Warfallah, che sono rimaste fedeli a Muammar Gheddafi, e sul convoglio che trasportava il leader libico e uno dei suoi figli, che conduce direttamente alla morte di Gheddafi in circostanze deplorevoli. Le immagini  video di Ali Algadi, e della giornalista Tracey Sheldon forniscono un resoconto grafico del leader libico trascinato da un tubo di scarico il 20 ottobre 2011 e ucciso poco dopo. Queste circostanze smentiscono la natura pseudo-umanitaria dell’intervento militare e infangano l’immagine della “Primavera Libica”.
La morte dell’ambasciatore americano in Libia, Christopher Stevens e di uno dei suoi collaboratori in un incendio appiccato al consolato degli Stati Uniti a Bengasi nel mese di settembre 2012 rivela l’ampiezza delle attività della CIA, nelle quali il Consolato fungeva da facciata. Il reclutamento della CIAnella sua base di Bengasi dei combattenti dalla città di Derna per il conflitto in Siria, feudo degli islamisti (Brigata Al-Battar), contro il presidente Bashar al-Assad, ha paralleli inevitabili con il reclutamento del 1979, ancora una volta dalla CIA, dei mujahidin contro l’Unione Sovietica in Afghanistan, con tutte le conseguenze che sono ben note, una in particolare: la nascita del jihadismo sunnita.
L’attentato con un’autobomba all’ambasciata francese a Tripoli nel mese di aprile 2013; la fuga di 1.200 detenuti del carcere di Bengasi; l’uccisione del avvocato dei diritti umani Abdel Salam al-Mismari nel mese di luglio; e l’attacco al Consolato svedese a Bengasi nell’ottobre 2013, tutto ciò evidenzia l’incapacità delle autorità di acquisire il controllo della situazione della sicurezza in Libia considerando come è stata invasa dalle milizie armate fino ai denti. Nel luglio 2013, il primo ministro libico Ali Zeidan ha minacciato di bombardare i porti libici nella regione di Bengasi che erano nelle mani delle milizie e che sono stati utilizzati per l’esportazione del petrolio ora sotto il loro controllo. Nel mese di ottobre, il Primo Ministro è stato rapito da 150 uomini armati nel centro di Tripoli ed è stato trattenuto per sei ore per protestare contro il rapimento sul suolo libico di Abu-Anas al-Libi in un’operazione aerea segreta americana. Al-Libi è stato accusato di essere uno dei leader di Al-Qaeda e poi è morto mentre era in custodia negli Stati Uniti.
Il 2015 è iniziato con la Libia priva di tutte le istituzioni. E’ governata da un gruppo eterogeneo di coalizioni in lotta per il potere, con sede a Tripoli (Libia Farj, che controlla la banca centrale), Bengasi (Consiglio della Shura, composto da Ansar al-Sharia, che sta affrontando le Forze armate libiche del rinnegato generale Khalifa Hiftar), in Tobruk-Bayda (ramo del Consiglio Nazionale di Transizione, che gode di riconoscimento diplomatico internazionale dopo le elezioni di Giugno 2013).
La situazione di salute e sicurezza della popolazione civile è quasi disastrosa. Quando ho visitato il paese nel 1994, era un modello per la salute pubblica e l’istruzione, e vantava il più alto reddito pro capite in Africa. E’ stato chiaramente il più avanzato di tutti i paesi arabi in termini di status giuridico delle donne e delle famiglie nella società libica (la metà degli studenti presso l’Università di Tripoli erano donne). L’aggressione contro la presentatrice Sarah Al-Massalati nel 2012, la poetessa Aicha Almagrabi a febbraio 2013, e l’attivista per i diritti delle donne Maddalena Ubaida, ora in esilio a Londra,  sono la testimonianza del triste status giuridico della Libia post-Gheddafi. La città di Bengasi è ora semi-distrutta; le scuole e le università sono per lo più chiuse.
E’ teatro di scontri fratricidi tra fazioni rivali finanziate e armate da una serie di apprendisti stregoni, Un generale che è stato di stanza negli Stati Uniti per 27 anni comanda una coalizione eterogenea con l’appoggio militare dell’Egitto, degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arabia Saudita mentre i gruppi islamici che rivendicano fedeltà all’ISIS, ben radicati a Sirte e Derna, sono in grado di diffondere la loro influenza grazie alla crisi istituzionale. e, Qatar, Turchia e Sudan che dall’altro lato sostengono Farj Libia.
Gheddafi, leader della rivoluzione libica, la Jamahiriya, al potere nel periodo 1969-2011, ha dato un avvertimento all’Europa in un’intervista rilasciata al giornalista francese Laurent Valdiguié del Journal du Dimanche, alla vigilia dell’intervento della NATO, con parole che ora sembrano profetiche:
‘Se si cerca di destabilizzare [La Libia], ci sarà il caos, Bin Laden, le fazioni armate. Questo è ciò che accadrà. Avrete l’immigrazione, migliaia di persone invaderanno l’Europa dalla Libia. E non ci sarà più nessuno a fermarli. Bin Laden si baserà in Nord Africa [...]. Avrete Bin Laden a portata di mano. Questa catastrofe si estenderà dal Pakistan all’Afghanistan e percorrerà tutta la strada verso il Nord Africa’
 La Libia è diventata un fulcro per il traffico illegale, in particolare di emigranti africani in condizioni che ricordano quelle del commercio degli schiavi. Secondo L’iniziativa Globale contro la criminalità organizzata internazionale (Global Initiative Against Transnational Organized Crime), il mercato del contrabbando di rifugiati in Libia valeva 323 milioni di dollari nel 2014. Nei primi cinque mesi del 2015, più di 50.000 immigrati clandestini hanno raggiunto l’Italia dall’Africa sub-sahariana con la Libia; 1.791 di loro hanno perso la vita in mare.
Prima dell’inizio delle ostilità, 1,5 milioni di africani subsahariani lavoravano in Libia in posti di lavoro in generale umili (industria del petrolio, agricoltura, servizi, del settore pubblico). I giorni più scuri in mare devono ancora arrivare.

 

NOTE:
 [1] “Il Capo della NATO Rasmussen ‘orgoglioso’ per la fine della missione in Libia’, BBC News, 31 ottobre 2011.
[2] Agenzia France Presse, 11 dicembre 2007.
[3] International Herald Tribune, 24 marzo 2011.
 [4] Jeremy Anderson, ‘Goldman per aver rivelato il reddito legato alla causa libica’, International New York Times, 25 novembre 2014.
 [5]The Telegraph, 23 marzo 2012.
 [6]O’Globo, il 26 luglio, 2007.
[7] Souad Mekhennet, Eric Schmitt, ‘ribelli libici cercano di gettarsi Al Qaeda alle spalle’, International Herald Tribune, 19 luglio 2011.
 [8]. Rod Nordland, ‘File di nota stretti legami della CIA con unità spia di Gheddafi’, International Herald Tribune, 5 settembre 2011.
 [9]International Herald Tribune, 28-29 gennaio 2012.
[10]Borzou Daragahi, ‘Invito a esplorare le morti dei civili libici’, Financial Times, 14 maggio 2012.
[11] Seymour Hersh, ‘Stati Uniti Sforzo contro il braccio jihadisti in Siria. Lo scandalo Dietro l’ente sotto copertura della CIA a Bengasi ‘, Global Research, Blog di Washington, 15 aprile 2014.
[12] Abdel Sharif Kouddous, ‘Relazione dal fronte: Libia discesa nel caos’, The Nation 25 febbraio 2015.
[13] Journal du Dimanche, 5 marzo 2011 (www.lejdd.fr)
[14] Fonte: Organizzazione Internazionale per le Migrazioni e la Commissione europea.
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Traduzione di Edoardo Gistri
per aderire alla brigata traduttori inviare mail a traduttori@...


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Libia: bandiere italiane bruciate Tobruk e Derna 


Centinaia di libici hanno manifestato, sui cartelli era scritto "no all'intervento dell'Italia nei nostri affari interni"


Redazione ANSA
IL CAIRO
30 aprile 2016

Bandiere italiane date alle fiamme in Libia sono state segnalate da due media a Tobruk e a Derna, mentre su Twitter sono tornate a circolare immagini di un tricolore bruciato presumibilmente a Bengasi alcuni giorni fa.
Il caso di Tobruk viene riportato dal sito Alwasat precisando che "centinaia di libici" hanno manifestato ieri dopo la preghiera del venerdì al motto "nessuna tutela". Su cartelli era scritto "no all'intervento dell'Italia nei nostri affari interni", "l'Italia non si sogni di occupare il nostro paese". "I manifestanti hanno bruciato una bandiera italiana e issato striscioni sui quali era scritto 'il nostro esercito è il nostro salvatore', 'congratulazioni per le vittorie dell'esercito a Derna e Bengasi e per i suo progressi in direzione della città di Sirte", scrive il sito.

    "Bruciando una bandiera italiana, hanno condannato quello che definiscono un'interferenza italiana e dell'Onu in Libia", riferisce dal canto suo Libya Herald descrivendo l'episodio di Derna. Questo è avvenuto nell'ambito di una protesta peraltro indirizzata contro raid aerei dell'esercito libico guidato dal generale Khalifa Haftar osannato a Tobruk.

    Ad apparente conferma di un episodio segnalato mercoledì (ma non è escluso di tratti di un nuovo caso), un account Twitter ha diffuso quattro foto accompagnandole con la didascalia "la bandiera dell'Italia brucia a Bengasi quale rifiuto dell'ingerenza italiana e contro le dichiarazioni di Roberta Pinotti". Senza aggiungere altro circa il ministro della Difesa, il tweet mostra una bandiera mentre viene calpestata e bruciata.
    Sul campo bianco di un drappo, si legge la scritta rossa in arabo: "no all'intervento italiano".


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La nuova spinta per l’intervento militare in Libia: chi controllerà la Banca Centrale libica?

Pubblicato il 28 apr 2016

di  Horace G. Campbell
22 aprile  2016
Si sta spingendo fortemente affinché i paesi della NATO facciano in intervento dichiarato in Libia. In questo momento la giustificazione è di combattere lo Stato Islamico per impedire che il terrore si diffonda in Europa attraverso il Mediterraneo. Come avviene nei casi di distruzione delle società africane, i governi di Gran Bretagna e Francia sono in prima linea nella spinta al recente intervento. La Germania non vuole essere lasciata fuori e sta ora operando attivamente per l’intervento dell’ONU.
Prima di questa primavera, era stato difficile ottenere la copertura legale per un più grosso intervento militare da parte dell’Occidente, ma ora si ipotizza che ci sia un nuovo governo di ‘unità’ con il mandato per chiedere alle Nazioni Unite di intervenire militarmente. Ogni settimana c’è un nuovo incontro in Europa per spingere a un intervento senza consultazioni con l’Unione Africana. In gennaio, l’Unione Africana ha nominato l’ex Presidente della Tanzania, Jakaya Kikwete suo nuovo inviato speciale in Libia. Finora, tutti i rapporti e le discussioni su un nuovo intervento  sancito  dall’ONU, hanno escluso gli interessi dei popoli della Libia e dell’Africa. Le forze progressiste del mondo è necessario che siano vigili riguardo a questo tentativo di intensificare la militarizzazione del Nord Africa e che si oppongano ai governi che stanno usando il problema dell’ISIS per dare un’altra spinta al controllo delle risorse della Libia e dell’Africa.
I veri motivi per l’intervento in Libia
Le email dell’ex-Segretario di Stato e attuale candidata alla presidenza, Hillary Clinton, hanno rivelato al mondo le principali ragioni dell’intervento della NATO e della distruzione della Libia nel 2011. Siamo informati da uno scrittore che aveva esaminato queste email riguardanti il commercio tra Stati Uniti e Francia, circa gli obblighi di intervenire in Libia. In una email in data 2 aprile 2011, Sydney Blumenthal, allora assistente della Clinton, la informava ‘che fonti vicine a uno dei figli di Gheddafi riferivano che “il governo di Gheddafi ha 143 tonnellate di oro e un’analoga quantità di argento” e che   era stato trasferito dalla Banca Centrale Libica con sede a Tripoli più vicino al confine tra Niger e Chad.
“Questo oro era stato accumulato prima dell’attuale ribellione e si intendeva usarlo per stabilire una valuta pan-africana, basata  sul Dinaro Libico d’oro. Questo piano era designato a fornire ai paesi dell’Africa di lingua francese un’ alternativa al Franco francese (CFA).” La Blumenthal aggiungeva poi che “Secondo individui  informati,    questa quantità di oro e argento è valutata in più di 7 miliardi di dollari. I funzionari dell’intelligence francese hanno scoperto questo piano poco dopo l’inizio dell’attuale ribellione, e questo è stato uno dei fattori che ha influenzato la decisione del Presidente Nicolas Sarkozy di coinvolgere la Francia nell’attacco alla Libia.”
La email aggiungeva: “Secondo questi individui informati,  i piani di Sarkozy sono guidati dai seguenti argomenti:
1 Desiderio di guadagnare una porzione maggiore della produzione di petrolio della Libia
2 Aumentare l’influenza francese in Nord Africa
3 Migliorare la sua situazione politica in Francia
4 Fornire alle forze armate francesi un’occasione di riaffermare  la loro posizione nel mondo
5 Affrontare la preoccupazione dei suoi consiglieri per i piani a lungo termine di Gheddafi di soppiantare il potere dominante nell’Africa di lingua francese.” [i]
La Francia e la Germania non sono soltanto interessate alle vaste risorse di gas e petrolio nel sottosuolo libico, ma anche al vasto oceano di acqua situato sotto il Sistema acquifero di pietra arenaria della Nubia (Nubian Sandstone Aquifer System –NSAS). Dati i progressi della tecnologia solare,  gli stati europei vogliono avere il controllo sul Sahara per la futura trasformazione dell’energia solare per i consumatori europei. Sono le vaste risorse della Libia che sono ancora in gioco dato che c’è una nuova spinta perché  l’ONU intervenga in Libia. Come importante stato imperialista in Europa prima del 1945, la Gran Bretagna ha vasti interessi in Libia, ma le minacce dell’Unione Africana di sviluppare un Fondo Monetario Africano e una Valuta Comune sono  minacce dirette al futuro degli interessi economici francesi in Africa. Negli scorsi 40 anni, i tedeschi avevano dato  il compito di Gendarme dell’Europa alla Francia, ma, data la delicatezza  della crisi bancaria  e  finanziaria in Europa, i tedeschi non vogliono essere lasciati indietro. Quindi, nelle nuove pressioni per intervenire, i tedeschi sono  in gara   con la Francia e la settimana scorsa quando il Ministro degli esteri francese Jean-Marc Ayrault ha visitato Tripoli, era accompagnato dal Ministro degli esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier.  E’ stato un tentativo disperato di  trasmettere  legittimità a Fayyez Sarray, di recente insediatosi   come Primo Ministro della Libia e ai membri del Consiglio di Presidenza.
All’epoca dell’intervento della NATO nel 2011, la Germania era stata disinteressata alla distruzione, ma  dopo la crisi delle banche e quella finanziaria nell’Eurozona, i tedeschi non si possono permettere di essere lasciati fuori da qualsiasi possibile futuro saccheggio delle risorse africane. Per assicurarsi un posto in prima fila nei nuovi piani di intervento europei in Libia, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha nominato Martin Kobler, un diplomatico tedesco, come Rappresentante Speciale e capo della Missione di appoggio delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL). In precedenza Kobler era stato in servizio sulla scena del più grosso saccheggio  dell’Europa in Africa, nel Congo. In seguito alle pressioni degli europei, alcuni libici avevano messo insieme un Governo di Intesa Nazionale (GNA) che poteva essere designato come l’autorità legale per invitare le forze occidentali a combattere l’ISIS in Libia. Tuttavia, questo nuovo governo di Fayyez Sarraj non controlla le forze militari  abbastanza da garantire la richiesta di controllare il governo libico. Il programmato impiego di forze europee si suppone protegga questo Primo Ministro
e i membri della sua fazione che si chiama Consiglio di Presidenza. Nel frattempo, il Tesoro degli Stati Uniti sta pianificando di usare sanzioni contro quegli imprenditori militari che non si allineano con il nuovo Consiglio di Presidenza.
Fin dall’intervento della NATO in Libia nel 2011, i leader europei hanno cercato un nuovo mandato per un intervento e hanno usato il problema di migranti che affluiscono in Europa e anche l’aumento dell’ISIS in Libia per giustificare il loro intervento. Questa settimana la notizia dei 500 migranti affogati durante il tentativo di raggiungere l’Europa dalla Libia, è stato usato come altro motivo per spingere gli europei a intraprendere un’azione decisiva in Libia. Fin dal 2014 quando l’ISIS ‘apparve’ improvvisamente in Libia, ci sono state forze per le Operazioni Speciali provenienti dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dall’Italia che operavano in Libia, ma allo scopo di ordinare un intervento  conclamato, ci doveva essere un governo ‘credibile’ a Tripoli.
Tre governi in Libia
Fin dall’assassinio di Gheddafi a opera della NATO nell’ottobre 2011, ci sono stati numerosi tentativi di mettere insieme in Libia un governo credibile. Il primo esperimento quando c’era il Consiglio Nazionale Transnazionale era andato in pezzi  quando le pressioni da parte delle 1700 organizzazioni di miliziani  che  litigano per il petrolio  e poi i massacri  avevano frantumato la facciata del  processo di ‘transizione’ che era stato messo in atto  dal Dipartimento di Stato.  J.Christopher Stevens, il diplomatico che era stato al centro di operazioni con gli altri imperialisti per reclutare il Gruppo Combattente Libico Islamico operò intensamente per dare una copertura legittima a questi jihadisti, mentre la CIA e Stevens mobilitavano la regione orientale della Dernia per farne un filtro per in inviare gli jihadisti a combattere in Siria dalla Libia. La cosiddetta ISIS in  Libia sta operando nell’ambito della stessa infrastruttura organizzata dagli Stati Uniti per destabilizzare il Nord Africa e l’Asia Occidentale.
Dietro i 1700 gruppi di miliziani in Libia dopo il 2012, c’erano differenti potenze straniere come Gran Bretagna, Francia, Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, gli Stati Uniti, il Sudan, la Turchia e l’Egitto. Da queste varie milizie, erano emersi due gruppi rivali che rivendicavano di essere il governo. Uno di questi operava fuori dalla parte orientale della Libia sotto la guida nominale del Generale Khalifa Hifter che era ritornato dalla Virginia, negli Stati Uniti, per rivendicare la leadership della ribellione contro Gheddafi e che aveva installato la brigata Dignità a est. L’altro gruppo pretendente al potere  in Libia, era quello di coloro che avevano il controllo  di Tripoli e della Banca centrale con le riserve di oro e di dollari. Questo gruppo era dominato dai brigadisti di Misurata ed erano appoggiati dai Qatarioti. Nel 2014, prima delle voci sull’ISIS, il Generale Hifter aveva fatto forti  rimostranze agli Stati Uniti di dare a lui tutto l’appoggio, ma il governo di base a Tripoli che aveva il controllo del denaro fece una  richiesta alternativa a Jack Lew, il Segretario al Tesoro.
Due anni dopo che la CIA e la legazione statunitense furono  smascherati per aver    rifornito di armi gli jahadisti che dalla Siria andavano in  Libia, al mondo si parlò di una nuova ‘minaccia’ alla Libia sotto forma di ISIS.
Come al solito, questa nuova minaccia ‘terroristica’ era apparsa a Sirte, che era stato il luogo che aveva dato origine alle discussioni sulla nascita dell’Unione Africana nel 1999. Per rafforzare l’idea che l’ISIS in Libia era una grande  minaccia , nel febbraio e aprile del 2015 ci furono immagini impressionanti di decapitazioni di cristiani Copti per mano dell’ISIS a Sirte, in Libia. E’ stato dopo queste immagini che i militaristi intensificarono gli sforzi per ottenere che l’ONU appoggiasse un altro intervento in Libia.
Far salire ufficialmente a bordo gli Stati Uniti
La Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Francia avevano schierato forze per le Operazioni Speciali in Libia, ma allo scopo di ottenere un reale rilevanza  internazionale e di propaganda, le forze interventiste dovevano ottenere l’appoggio ufficiale dell’establishment militare e dell’intelligence degli Stati Uniti.
Delle sezioni dei capi di stato maggiore stavano aggressivamente facendo pressione affinché il presidente degli Stati Uniti desse esplicito appoggio all’impiego di altre risorse statunitensi in Libia. Inizialmente il presidente rimandò, sostenendo che gli Stati Uniti non potevano impiegare truppe e altra forze speciali in una situazione in cui non c’era alcun governo. E’ stato questo ritardo che spinse i francesi a impegnarsi duramente per organizzare gli elementi che si chiamano ora Governo di Intesa Nazionale. Dato che il Presidente dei capi di stato maggiore faceva pressioni per un maggiore impegno, il Presidente Barack Obama  rilasciò  un’intervista alla rivista The Atlantic, delineando i motivi per cui pensava che gli  europei erano partner militarmente inaffidabili. [ii]
Dovendo fronteggiare le pressioni da parte di

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(english / italiano)

2 Agosto, la memoria dello sterminio dei Rom


Sullo stesso argomento si vedano anche documenti, link e commenti alla nostra pagina dedicata:
ed in particolare la discussione sulla appropriatezza o meno del termine "Porrajmos" per lo sterminio dei Rom:

N.B.: Nella testimonianza di Čena Husejnović, contenuta nel video segnalato qui di seguito, sono menzionati un paio di volte i "cetnizi". E' possibile che i cetnizi serbi abbiano contribuito al rastrellamento dei Rom jugoslavi nelle fasi in cui furono alleati dei nazifascisti, ma è anche possibile che la testimone confonda "cetnizi" con "ustascia": in ogni caso, è assodato che il sistema concentrazionario imperniato attorno al campo di Jasenovac era gestito dagli ustascia croati ed i cetnici non ebbero alcun rapporto con lo sterminio perpetrato in quei luoghi.


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Idea Rom Onlus

1 agosto 2016

COMUNICATO STAMPA - 2 AGOSTO: A QUANDO IL RICONOSCIMENTO ITALIANO DEL PORRAJMOS?

Tutti conoscono la parola Shoah, quasi nessuno Porrajmos, il grande divoramento: lo sterminio dei Rom e dei Sinti perpetrato da parte dei nazisti durante la seconda guerra mondiale. In tale periodo circa 500.000 Rom vennero uccisi all’interno dei campi di concentramento, mentre se ne stimano altre centinaia di migliaia trucidati durante rastrellamenti, rappresaglie e deportazioni.

ll termine può essere tradotto come "grande divoramento" o "devastazione". Questo disegno genocida è definito da Rom e Sinti anche con il termine Samudaripen, che significa letteralmente "tutti morti, sterminio”.

Nel 1944 venne pianificata la liquidazione di tutti i Rom internati nello “Zigeunerlager” di Auschitz-Birkenau, ma il 16 maggio i Rom, organizzandosi e munendosi di qualsiasi attrezzatura potesse essere usata come arma di difesa, riuscirono momentaneamente a contrastare le SS. Fu l’unica rivolta mai registrata, e tutt’ora quasi sconosciuta, in un campo di concentramento nazista.

L'eliminazione dei Rom fu tuttavia solo posticipata al 2 agosto dello stesso anno quando, in una sola notte, 2.897 tra uomini, donne e bambini trovarono la morte nel crematorio numero 5, quello più vicino allo “Zigeunerlager”.

Gli ebrei italiani, tra cui Pietro Terracina (http://linkis.com/www.rainews.it/dl/ra/WeGxE), testimoniano quella notte collocando questo evento tra i loro ricordi più tristi. I Rom erano coloro che suonavano, cantavano, e con le voci dei propri bambini regalavano un po' di vita a Birkenau; dopo la loro eliminazione il lager cadde nel silenzio.

Ai processi di Norimberga nessun Rom venne chiamato a testimoniare, non vennero riconosciuti risarcimenti di alcun tipo e l’intera vicenda scivolò lentamente nell’oblio collettivo. 

Solo a partire dagli anni ’70 le rappresentanze Rom di tutta Europa, riunite in vari congressi mondiali, iniziarono a rivendicare il riconoscimento della propria minoranza e di alcune date simboliche fra cui quella del 2 agosto in memoria del Porrajmos.

La Germania tra il 1980 e il 1998 riconobbe progressivamente lo sterminio dei Rom, approvando alcuni risarcimenti per i familiari delle vittime mentre, nel 1994, avvenne un altro importante riconoscimento ufficiale con la commemorazione pubblica allo U.S. Holocaust Memorial Museum di Washington. 

Nel 2012 a Berlino venne poi inaugurato un memoriale per i Rom e i Sinti sterminati durante la seconda guerra mondiale e in questi ultimi anni in tutta Europa, autorità di vario livello e organizzazioni della società civile, hanno iniziato a celebrare la ricorrenza del 2 agosto. 

Il 15 aprile del 2015 il Parlamento Europeo ha infine approvato la Risoluzione 2015/2615 (RSP) con cui si riconosce la persecuzione ed il genocidio dei Rom durante la seconda guerra mondiale e con cui si invitano gli Stati membri a fare altrettanto (http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do…).

Ma quest’anno solo il Governo Spagnolo, unico in Europa, ha deciso di commemorare in via ufficiale la memoria dello sterminio dei Rom (http://www.west-info.eu/…/per-la-prima-volta-il-2-agosto-s…/http://www.msssi.gob.es/gabinete/notasPrensa.do?id=3995). 

In Italia finora solo alcune realtà hanno assunto iniziative ufficiali e tra questi il Comune di Monserrato (CA) con un monumento in piazzale della Pace, quello di Pistoia con una targa in piazza della Resistenza, quello di Mantova con una mostra inaugurata nel 2015 all’interno della propria stazione ferroviaria.

Il Comune di Torino, pur non avendo mai ricordato il Porrajmos, è però l'unico ad aver però riconosciuto in Italia iI Romanò Dives (Ia Giornata Internazionale dei Rom che si celebra l'8 aprile), con la Mozione n. 9 del 3 marzo 2011 (http://www.comune.torino.it/delibere/2009/2009_02060.html), nonostante per tale ricorrenza non abbia mai pero assunto alcuna particolare iniziativa a differenza di quanto fatto da altre autorità europee ed americane (qui, ad esempio, il messaggio video del Segretario di Stato USA Hillary Clinton in occasione di uno degli ultimi Romano Dives: http://bcove.me/mbs2dj1q). 

Ma il mancato riconoscimento della propria minoranza, soprattutto nella sua memoria storica, per i Rom può generare ulteriore esclusione e segregazione sociale, ostacolando la restituzione di dignità alle centinaia di migliaia di vittime subite nei periodi più bui della storia.

Proprio per questi motivi viene rinnovato l'appello affinché le istituzioni italiane riconoscano, attraverso la memoria del Porrajmos, la persecuzione ed il genocidio dei Rom durante la seconda guerra mondiale.

Idea Rom, l’associazione delle donne Rom di Torino già insignita di una Targa d’Onore del Presidente della Repubblica, quest'anno ricorda la ricorrenza con un'edizione speciale del proprio TG Rom (http://www.tgrom.it - https://www.facebook.com/TgRomltalia/) dedicandola interamente alia storia e ad una testimonianza sulle atrocità commesse nel campo di concentramento di Jasenovac (Croazia), lager quasi sconosciuto nonostante durante la seconda guerra mondiale sia stato il terzo per dimensioni e numero di internati, oltre che il più cruento per le modalità d’uccisione delle vittime.

Torino, 1 agosto 2016


IDEA ROM Onlus
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TG Rom - Edizione 13 del 30/07/2016
Questa settimana: Čena, il Porrajmos e Jasenovac: una voce per la memoria

Special Edition for Porrajmos - English Version (Tg Rom, 1 ago 2016)
This is a special edition of TG Rom all about Porrajmos and concentration Camp of Jasenovac.