English version:
> http://www.suc.org/news/world_articles/handke_interview.html
---
> http://web.archive.org/web/20010222232308/
www.marx2001.org/crj/INTELL/handke.html
Peter Handke e' uno dei più significativi autori della letteratura
contemporanea di lingua tedesca. Di Handke è il libro "Gerechtigkeit
fuer Serbien - Eine winterliche Reise zu den Flüssen Donau, Save,
Morawa und Drina" (Suhrkamp 1996 - nella versione italiana: "Giustizia
per la Serbia - Viaggio d'inverno lungo i fiumi Danubio, Sava, Morava e
Drina", Einaudi 1996), nonchè una "Appendice estiva" al Viaggio
d'Inverno, "Sommerlicher Nachtrag zu einer winterlichen Reise" (sempre
per i tipi Einaudi nell'edizione italiana: "Appendice Estiva a un
viaggio d'inverno", Einaudi 1997, lire 10mila).
Entrambi i racconti, insieme a tutte le prese di posizione dell'autore
contro la disinformazione e la demonizzazione del popolo serbo, hanno
suscitato grande scandalo soprattutto nei paesi di lingua tedesca.
INTERVISTA A PETER HANDKE
effettuata dal giornalista televisivo tedesco Martin Lettmayer nel
gennaio 1997 e trascritta in inglese sul sito del Congresso dell'Unità
Serba. Le note tra parentesi quadre sono del traduttore J. Peter Maher,
a meno di altra indicazione.
Oggi, molte settimane dopo l'apparizione del suo libro, come si sente?
Come mi sento? Bene, sono contento di averlo scritto. Naturalmente sono
grato al mio editore che lo ha pubblicato, dopo che ha riscosso tanta
attenzione sui quotidiani.
E' stato pubblicato per questo o nonostante questo?
No, si era già deciso che questa storia sulla Serbia sarebbe uscita un
paio di settimane dopo il pezzo sulla Suddeutsche Zeitung.
L'idea di scrivere un libro e' nata insieme alla sua decisione di
intraprendere il viaggio?
Il viaggio volevo farlo comunque. Durante il viaggio, come ho
sottolineato altrove, non ho preso appunti su quanto vedevo in Serbia.
E' stato durante il viaggio di ritorno, lasciata la Serbia, mentre
guidavo attraverso l'Ungheria verso Ovest, attraverso l'Austria e la
Germania, che gradualmente mi sono reso conto del contrasto tra i vari
paesi, ed ho sentito che bisognava scrivere qualcosa sulla Serbia. In
questi anni non mi era mai accaduto. Cosi', l'idea del libro mi e'
venuta durante il viaggio di ritorno.
Qual e' stato il fattore decisivo?
Come ho detto, tutte le storie che ho letto riguardanti la guerra sono
state scritte come di fronte ad uno specchio. Io volevo arrivare al di
la' dello specchio. Non si e' mai scritto niente sulla Serbia in quanto
paese [durante la guerra]. Un'unica volta ho trovato qualche cosa su
Belgrado, ma sempre frammista ad una marea di cliché: "e' tutto grigio,
nessuno vuole parlare, l'opposizione e' debole, i feriti di guerra non
hanno modo di ritornare a casa", ecc. ecc. Ogni reportage era lo
stesso, e sempre Belgrado...Pensai che mi sarebbe piaciuto andare in
Serbia, ma fuori, in campagna. Volevo farlo, dovevo andare nella Bosnia
martoriata dalla guerra, ma non come la gran parte dei giornalisti.
Loro arrivavano sempre da Ovest. Io volevo arrivare in Bosnia dalla
parte opposta, dall'Est, attraverso la Serbia e passando la Drina, il
fiume che segna il confine con la Bosnia. Ecco il mio piano di viaggio.
Nessuno lo aveva fatto in tutti e cinque Gli anni di guerra.
Si sentiva adirato... per questi reportage dei media?
Si. All'inizio credevo ai reportage, ma sentivo che non c'era
equilibrio. Continuavo a sentire lo stesso giro di frasi, la stessa
contorsione grammaticale e nella scelta dei vocaboli... Sentivo che o
non poteva essere, oppure, se e', allora ognuno - che sia giornalista o
scrittore - almeno ha il dovere di considerare l'altra parte senza fare
un processo.
Una volta un giornalista ha scritto: "se osservi dalla torre d'avorio,
allora e' tutto uguale".
Beh, per me non e' tutto uguale, perche' io da sempre mi sento vicino
alla Jugoslavia, e' stato cosi' per tutta la mia vita, a cominciare dai
miei avi, che erano slavi, della Slovenia, o meglio della minoranza
slovena che si trova in Carinzia, da parte di mia madre. In secondo
luogo, per me la Jugoslavia era l'Europa. Io ci andavo, anche a piedi,
non solo in autobus o in macchina o in aereoplano. La Jugoslavia, per
quanto frammentata sia potuta essere, era il modello per l'Europa del
futuro. Non l'Europa come e' adesso, la nostra Europa in un certo senso
artificiale, con le sue zone di libero scambio, ma un posto in cui
nazionalita' diverse vivono mischiate l'una con l'altra, specialmente
come facevano i giovani in Jugoslavia, anche dopo la morte di Tito.
Ecco, penso che quella sia l'Europa, per come io la vorrei. Percio', in
me l'immagine dell'Europa e' stata distrutta con la distruzione della
Jugoslavia.
Questa immagine dell'Europa... multiculturale, multietnica...
[confuso]?
Si, certo, cosi'. Ma non sopporto piu' la parola "multi-culturale". E'
stata una scusa disonesta per far nascere dal nulla uno stato musulmano
in Bosnia. Non posso accettarla, se la parola e' applicata a Sarajevo.
Se invece ci si riferisce alla vecchia Jugoslavia, dove le nazionalita'
vivevano insieme, l'una con l'altra, eppur autonomamente, allora posso
accettare le parole "multi-etnica" e "multi-culturale" - non, tuttavia,
se ci si riferisce alla Bosnia. Per me creare uno Stato da quella che
era una regione, una pura unita' amministrativa - e questa era la
Bosnia nella vecchia Jugoslavia - e' stata una infamia. La Bosnia non
aveva mai costituito uno Stato sovrano. Per me, creare Stati autonomi
in Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina e' stato proprio come
fabbricare delle menzogne storiche. All'inizio credevo anch'io a tutto
il discorso sulla liberta' ed i suoi paladini, in lotta contro
il "panzer"-comunismo per la multietnicita'... All'inizio ci credevo.
Ma adesso non credo piu' ad una sola parola di tutto cio'.
Come spiega che gli sloveni ed i croati abbiano improvvisamente voluto
i loro Stati nazionali?
Era un momento opportuno. Io non sono un commentatore politico e non lo
saro' mai. Era un momento favorevole, dopo la morte di Tito, un momento
in cui ognuno ha potuto scapicollarsi ad afferrare quanto piu' poteva
per se' stesso.
E' stato scritto troppo poco su quello che ha fatto Hitler, insieme con
la Chiesa Cattolica, nei Balcani. Anche la Chiesa Cattolica e' stata
terribilmente dannosa in Croazia, a tutti gli effetti fondamentalista e
distruttiva - forse in misura solo un po' minore in Slovenia. E sui
crimini commessi in Croazia durante la Seconda Guerra Mondiale dalla
Chiesa Cattolica e dal nazismo, dal nazionalismo... C'era il campo di
concentramento di Jasenovac, dove sono stati eliminati tra i
seicentomila e gli ottocentomila serbi, ebrei, ed anche musulmani.
Questo ha portato alla rivalsa degli uomini di Tito per i crimini del
regime degli ustascia in Croazia e dei domobranci in Slovenia. Ci sono
state deportazioni, spesso ingiustificate, dalla Croazia e dalla
Slovenia verso tutta l'Europa, in Argentina, ed anche in America.
Il terreno di coltura in cui si sono poste le basi per la distruzione
della Jugoslavia e' la Croazia, con la sua ignota storia nazi-cattolica
della Seconda Guerra Mondiale, ed anche prima. Noi europei, e tutto il
mondo attorno, sappiamo troppo poco di tutto questo. E proprio mentre
la storia degli ebrei prima e durante la Seconda Guerra Mondiale viene
esaminata e chiarita, come ho detto nel mio libro, adesso e' necessario
portare alla luce tutto quello che ha fatto il fascismo durante la
Seconda Guerra mondiale in Jugoslavia, ed il suo Olocausto degli ebrei.
A piu' riprese sentiamo pronunciare la parola "Jasenovac". Questo per i
serbi e' un trauma. La guerra attuale, nonostante il lungo intervallo
di tempo intercorso, e' in fondo una continuazione di quella di 40 anni
fa?
Si, e' una metamorfosi, anzi: una metastasi, come si dice per il
cancro. E' una continuazione della Seconda Guerra Mondiale. E'
significativo che, mentre i Croati conquistavano l'area di Jasenovac
[di nuovo il primo maggio 1995, dopo le distruzioni del 1991; n.d.crj],
abbiano distrutto ogni monumento a chi li' fu ucciso. Il campo di
Jasenovac - in quanto monumento - e' stato distrutto di nuovo
quest'anno [1996]. E' significativo. Ecco che cosa mi ha portato a
scrivere.
Il suo libro non e' proprio politico, oppure si?
Che vuol dire "politico"? Il mio libro tratta dei problemi. Racconta
dei problemi, i problemi che ha un lettore di quotidiani a capire.
Parla dei problemi di un lettore di storia. Parla dei problemi di
visuale di uno che osserva una foto, i problemi di uno spettatore
televisivo. Parla inoltre dei problemi di come un lettore distante,
come me, come quasi tutti noi, come veda, come legga i reportage di
guerra. La critica e' rivolta alle strutture. Uno critica le forme
estetiche della tecnica di ripresa, della grammatica, dell'arte
dell'inviato di guerra. Al mio libro vengono rivolte critiche di
cecita' estetica. La politica e la poetica si fondono nel mio libro.
E' perche' lei afferma che tanto il politico quanto il poetico sono
presenti nella sua storia sulla Serbia.
Non c'e' contraddizione.
C'e' una frase nel suo libro: "Wilhelm, non farti instupidire dal tuo
afflato poetico verso il mondo".
Io ci ho messo tanto prima che il mio sentimento per il mondo divenisse
sentimento poetico, un sentimento delle piccole cose, un sentire
i "pars pro toto". Io credo che nei piccoli fenomeni si possa
intravedere un grande affresco. E' un metodo induttivo (...). Mi piace
partire dal fenomeno piccolo e vedere dove riesco ad arrivare.
Naturalmente voglio andare il piu' lontano possibile. Questo e' il
processo induttivo, o poetico.
Anche Peter Handke può essere tratto in inganno talvolta dal suo senso
poetico per il mondo? A questo ha pensato qualche volta, o no?
No, non posso esserlo. Se e' inganno allora e', come si dice, un metodo
del tipo 'prova e sbaglia': uno impara dai propri errori. Ecco il mio
atteggiamento di base quando scrivo delle cose del mondo. Sbagliando mi
rendo conto di cosa non andava. Non posso affermare in anticipo che
quello che scrivo e' la verita', ma facendo un errore capisco come puo'
essere la verita'. E' tutto qui il mio lavoro di narratore.
C'e' un'altra frase: "Se solo la dimensione poetica e quella politica
potessero essere una ed una sola..." In questo libro lo sono solo
parzialmente?
Io penso che non siamo molto lontani da una sintesi ideale tra la
dimensione storica, quella politica e quella poetica, proprio come tre
percorsi separati che si riuniscono formando una specie di radura
dentro ad un bosco, il bosco della storia. Non sono molto lontano da
questo.
Cito ancora: "Quella sarebbe la fine della nostalgia, e la fine del
mondo". E lei ha detto da qualche parte di non sapere, dopo la
pubblicazione del libro, se non tornerà mai a scrivere qualcosa.
E' assurdo. Questo e' quello che hanno scritto di me solo come per
reagire al mio libro sulla Serbia. In primo luogo, vogliono reagire
proprio contro la mia impudenza per aver scritto questa storia. (...)
[Qui inizia un lungo scambio di battute di argomento letterario che
poco hanno a che vedere con il problema della Serbia]
Lei ha affermato che l'osservazione vale di piu' dell'immaginazione
quando si scrive.
Per quanto riguarda i libri, in altre parole la letteratura - in una
parola, la scrittura - io non sono un amante del fantastico. A questo
riguardo uno scrittore svizzero, Ludwig Hohl, ha detto che la fantasia
e' una evocazione degli oggetti che ti sono di fronte, come un tavolo,
una pietra, l'occhio di un'altra persona. Tutto questo acquista
significato e senso improvvisamente. (...)
Immagino che il suo libro ha provocato una tale opposizione in Germania
ed in Austria soprattutto perche' mette in discussione due dogmi
assolutamente essenziali della politica occidentale. Il primo e' la
questione dell'aggressore: esiste un aggressore?
Non per come e' stato rappresentato. Ecco ripresentarsi il problema
dell'autorita'. La "Repubblica di Croazia" [come ex-unita'
amministrativa della SFRJ] diventa uno Stato. Di essa e' stato
arbitrariamente fatto uno Stato sovrano con poteri costituzionali, ma
questo su di un territorio abitato da 600mila persone di un'altra
nazionalita'. Prima della Seconda Guerra Mondiale, prima del regime
ustasha di Pavelic', li' abitavano un milione di serbi. Persino adesso
[all'inizio della guerra] in Croazia vivevano circa 400mila serbi.
Almeno un quinto della popolazione apparteneva ad un'altra nazione.
Sotto la costituzione croata questi sono diventati cittadini di seconda
classe, una minoranza. Si era ritenuto che questi fossero d'accordo ad
essere trattati come cittadini di seconda classe. Ecco la questione che
ho sollevato nel mio libro: come si puo' creare uno Stato laddove
esiste una minoranza cosi' forte, considerevole, appartenente ad
un'altra nazionalita'? Non si puo' considerare un'aggressione questa?
Non puo' uno difendere la sua nazione di fronte a cio'? Non c'e' modo
di confutare il fatto che questa e' un'aggressione contro l'altra
nazionalita' [da parte del nuovo Stato].
Ma tutto questo non e' un po' troppo in bianco-e-nero, come i bambini
che strillano "hai cominciato tu, hai cominciato tu!"?
Questo e' proprio quanto affermo nel mio libro. Posso difendere me
stesso in base a quanto ho scritto. Naturalmente io ho le mie opinioni
e le mie convinzioni, ma quello che ho scritto non ha niente a che fare
con esse: ha a che fare esclusivamente con questioni basilari. La mia
espressione migliore per questo e' la seguente: si tratta di raccontare
una storia, per come essa e', come ho fatto sempre nella mia
letteratura sin da quando cominciai a scrivere. Non ho mai lasciato
trapelare le mie opinioni. Ecco perche' trovo incredibile questa
esplosione di odio ed astio contro il mio libricino, soprattutto in
Germania.
Lei sarebbe disposto ad "allungare il collo" tanto da affermare che gli
aggressori non si sa chi siano, ma certamente non sono i serbi?
Non sono loro gli aggressori. E' precisamente cosi'. Le cose possono e
devono essere viste diversamente. E' quello che chiedo nel mio libro.
Il secondo dogma: lei riflette su Srebrenica e si pone degli
interrogativi su questo [seconda cassetta] (...)
Come per Srebrenica, dove il massacro e' stato commesso subito prima
della fine, nel giugno-luglio 1995, io mi chiedo: "perche' [sarebbe
successo]?". Per fini argomentativi, diciamo ch'io non mettero' in
dubbio i fatti nemmeno per un attimo. Non sono competente per dare
giudizi... Ma gli altri dovrebbero avere dei dubbi sui fatti, visto che
la storia del massacro e' stata rivenduta per cinque volte su tutta la
stampa mondiale. Finora nessuno ha provato che siano state ammazzate
tra le tre e le ottomila persone. Non e' stato provato. - Pero', chiedo
io, se dopo tre anni di spargimento di sangue e' potuta accadere una
cosa del genere, perche'. Come si e' potuto verificare li' un massacro
di 3-8mila uomini musulmani. Perche' questo? E perche' si leggono di
nuovo e di nuovo interventi su quel fatto? Dal giugno 1995 la storia
del massacro e' stata riciclata quattro o cinque o sei volte nella
stampa mondiale. Nell'autunno ci sono state delle copertine sul Time,
sul Nouvel Observateur, sullo Spiegel e cosi' via. Di nuovo e di nuovo,
in primavera, in autunno... Vengono mostrate fotografie aeree di zone
dove, si dice, sarebbero situate delle fosse comuni. Da una fotografia
satellitare ricavano che un bulldozer avrebbe dilaniato i cadaveri. Ma
anche assumendo, a soli fini argomentativi, che tutto questo sia
accaduto, perche', chiedo io, dopo tre anni, mentre tutti erano cosi'
stanchi di ammazzare, sarebbe dovuta o potuta accadere una cosa del
genere? Io mi chiedo perche' il generale Mladic' avrebbe potuto far
saltare in aria tutta quella gente. Ecco cosa mi chiedo. Sarebbe bene
che uno storico, od un giornalista, sollevasse questa questione -
perche'?
Qui ho ascoltato due cose, il "perche'?" e ...
Quel "perche'" sta nel mio libro. Io chiedo "perche'?".
Ha una risposta?...
Alcuni serbi della regione mi hanno detto - ed io non so se questo
corrisponde a verita', mi limito a riferire quanto mi hanno detto - mi
hanno detto che i villaggi attorno a Srebrenica furono attaccati dai
musulmani. Srebrenica e' una cittadina piccola, di modeste dimensioni,
abitata da musulmani. I villaggi rurali che la circondano sono serbi.
Laggiu', da tempo immemorabile, le citta' sono musulmane ed i villaggi
di campagna sono serbi. All'inizio della guerra, contadini serbi furono
fatti a pezzi da musulmani. La guerra e' stata una guerra delle citta'
contro la campagna. Il comandante musulmano di Srebrenica era
particolarmente portato a distruggere. Prima della caduta dell'enclave
questo comandante di Srebrenica, uno dei pochi musulmani sospettati di
crimini di guerra, [Nasir] Oric, fu trasferito a Tuzla dal Comando
Generale bosniaco-musulmano una settimana prima della caduta della
citta'. Nel frattempo costui ha aperto una discoteca a Tuzla. Bisogna
chiedersi se questo tizio non sia uno dei profittatori di guerra.
Personalmente non ho informazioni dirette di prima mano, ma i miei
amici serbi mi dicono che il massacro, se ha avuto luogo, e' stato per
rivalsa per tutti i villaggi serbi attorno a Srebrenica, distrutti [dai
musulmani] in tre anni di guerra. E' stata una rivalsa per le
distruzioni e gli annientamenti, e sicuramente per i massacri attuati a
danno dei serbi attorno a Sarajevo. Questo e' cio' che mi e' stato
raccontato.
E non la preoccupa il fatto ... [incomprensibile]
Per lo meno quella e' una spiegazione, una spiegazione che non ho mai
visto dare sulla stampa occidentale. Ho anche sentito che molti soldati
musulmani che scappavano da Srebrenica non cercavano rifugio ad ovest,
nella loro Bosnia musulmana, ma nel paese del nemico, al di la' della
Drina, all'est... Cercavano la loro salvezza nella madrepatria dei
serbi. Hanno attraversato la Drina su zattere e simili. Hanno
attraversato la Drina verso est e tanti di loro li' sono stati
internati in campi di concentramento, dove certamente non venivano
trattati bene, eppure sono sopravvissuti. Ora, bisogna che si chiarisca
a quanti dei soldati musulmani in ritirata e' stata garantita la
liberta' di transito. Pare chiaro che qualcuno ha attraversato la Drina
per andare in Serbia e qualcun altro ha cercato di muoversi a nord-est
di Srebrenica, per raggiungere il cuore della Bosnia musulmana. Io
vorrei sapere quanti sono stati e che cosa e' realmente successo loro.
E la disturbano le speculazioni su questa sofferenza?
Mi preoccupano molto.
E la preoccupa la manipolazione...
Inizialmente non la vedevo in questa maniera. Come molti altri ritenevo
che l'esercito dei serbi di Bosnia fosse un manipolo di meri assassini.
Questo pensavo. Stazionando sulle alture strategiche attorno a
Sarajevo, pensavo, questi potevano proprio giocare con la citta' di
Sarajevo. Era tremendo. Di nuovo e di nuovo un bambino colpito a morte
sulla strada. Vedevi le foto, e sembrava giustificato il paragone con i
peggiori crimini di questo secolo. Nel frattempo ho cambiato opinione.
Hans Koschnick, amministratore della citta' di Mostar, ha detto bene
quando ha affermato che la creazione di una Bosnia-Erzegovina dominata
dai musulmani e dalla quale i serbi erano esclusi comportava un
terribile vuoto di potere. Perche' la Bosnia e' un paese montagnoso,
fatto di villaggi isolati che si susseguono. Qualcuno come Karadzic, o
persino uno come il generale Mladic, non potrebbe assolutamente
esercitare il potere dappertutto. Percio' abbiamo creato a tutti gli
effetti un sistema di bande, proprio secondo il vecchio stereotipo
balcanico, che non e' completamente errato. Ma questa idea del vuoto di
potere, laddove la forza bruta riempie il vuoto, e' solo una
spiegazione. Tutti noi cerchiamo spiegazioni - e questa non mi sembra
del tutto errata.
Nel suo libro si legge: "Quasi tutti ritengono che la Jugoslavia non
risorgera' per i prossimi cento anni." Risorgera' o no?
Credo che non possa essere altrimenti. Risorgera'. E' l'unica cosa
sensata. Guardiamo l'economia, la geografia - i fiumi, le catene
montuose. La storia comune dopo il 1918 non e' stata poi cosi'
malvagia. C'e' stato il Regno di Jugoslavia, c'e' stata la Jugoslavia
comunista dei partigiani di Tito.
Con il 1980 il comunismo finisce. Per me quello e' stato un fatto dal
sapore quasi religioso. A differenza di molti Stati europei, la
Jugoslavia era un modello per tutta l'Europa. Essa non puo' restare
spezzettata, a dispetto di questi poteri occulti, come la Chiesa
Cattolica. La Chiesa Cattolica ha un potere incredibile - io stesso
sono cattolico e tale voglio restare per tutta la vita. - Ma nei
Balcani la Chiesa Cattolica pratica le conversioni. Questa e' l'essenza
della Chiesa Cattolica, il proselitismo: qualcosa che la Chiesa serbo-
ortodossa non ha mai fatto. A parte le uccisioni a danno dei serbi,
durante la seconda Guerra mondiale ci sono state ripetutamente
conversioni forzate, violente di Serbi da parte dei cattolici. In molte
epoche della storia la Chiesa e' stata accusata di questo. Cosi',
finché ci sara' il nazionalismo ed una chiesa militante, non si potra'
far rinascere la Jugoslavia.
(1/2 - continua)
> http://www.suc.org/news/world_articles/handke_interview.html
---
> http://web.archive.org/web/20010222232308/
www.marx2001.org/crj/INTELL/handke.html
Peter Handke e' uno dei più significativi autori della letteratura
contemporanea di lingua tedesca. Di Handke è il libro "Gerechtigkeit
fuer Serbien - Eine winterliche Reise zu den Flüssen Donau, Save,
Morawa und Drina" (Suhrkamp 1996 - nella versione italiana: "Giustizia
per la Serbia - Viaggio d'inverno lungo i fiumi Danubio, Sava, Morava e
Drina", Einaudi 1996), nonchè una "Appendice estiva" al Viaggio
d'Inverno, "Sommerlicher Nachtrag zu einer winterlichen Reise" (sempre
per i tipi Einaudi nell'edizione italiana: "Appendice Estiva a un
viaggio d'inverno", Einaudi 1997, lire 10mila).
Entrambi i racconti, insieme a tutte le prese di posizione dell'autore
contro la disinformazione e la demonizzazione del popolo serbo, hanno
suscitato grande scandalo soprattutto nei paesi di lingua tedesca.
INTERVISTA A PETER HANDKE
effettuata dal giornalista televisivo tedesco Martin Lettmayer nel
gennaio 1997 e trascritta in inglese sul sito del Congresso dell'Unità
Serba. Le note tra parentesi quadre sono del traduttore J. Peter Maher,
a meno di altra indicazione.
Oggi, molte settimane dopo l'apparizione del suo libro, come si sente?
Come mi sento? Bene, sono contento di averlo scritto. Naturalmente sono
grato al mio editore che lo ha pubblicato, dopo che ha riscosso tanta
attenzione sui quotidiani.
E' stato pubblicato per questo o nonostante questo?
No, si era già deciso che questa storia sulla Serbia sarebbe uscita un
paio di settimane dopo il pezzo sulla Suddeutsche Zeitung.
L'idea di scrivere un libro e' nata insieme alla sua decisione di
intraprendere il viaggio?
Il viaggio volevo farlo comunque. Durante il viaggio, come ho
sottolineato altrove, non ho preso appunti su quanto vedevo in Serbia.
E' stato durante il viaggio di ritorno, lasciata la Serbia, mentre
guidavo attraverso l'Ungheria verso Ovest, attraverso l'Austria e la
Germania, che gradualmente mi sono reso conto del contrasto tra i vari
paesi, ed ho sentito che bisognava scrivere qualcosa sulla Serbia. In
questi anni non mi era mai accaduto. Cosi', l'idea del libro mi e'
venuta durante il viaggio di ritorno.
Qual e' stato il fattore decisivo?
Come ho detto, tutte le storie che ho letto riguardanti la guerra sono
state scritte come di fronte ad uno specchio. Io volevo arrivare al di
la' dello specchio. Non si e' mai scritto niente sulla Serbia in quanto
paese [durante la guerra]. Un'unica volta ho trovato qualche cosa su
Belgrado, ma sempre frammista ad una marea di cliché: "e' tutto grigio,
nessuno vuole parlare, l'opposizione e' debole, i feriti di guerra non
hanno modo di ritornare a casa", ecc. ecc. Ogni reportage era lo
stesso, e sempre Belgrado...Pensai che mi sarebbe piaciuto andare in
Serbia, ma fuori, in campagna. Volevo farlo, dovevo andare nella Bosnia
martoriata dalla guerra, ma non come la gran parte dei giornalisti.
Loro arrivavano sempre da Ovest. Io volevo arrivare in Bosnia dalla
parte opposta, dall'Est, attraverso la Serbia e passando la Drina, il
fiume che segna il confine con la Bosnia. Ecco il mio piano di viaggio.
Nessuno lo aveva fatto in tutti e cinque Gli anni di guerra.
Si sentiva adirato... per questi reportage dei media?
Si. All'inizio credevo ai reportage, ma sentivo che non c'era
equilibrio. Continuavo a sentire lo stesso giro di frasi, la stessa
contorsione grammaticale e nella scelta dei vocaboli... Sentivo che o
non poteva essere, oppure, se e', allora ognuno - che sia giornalista o
scrittore - almeno ha il dovere di considerare l'altra parte senza fare
un processo.
Una volta un giornalista ha scritto: "se osservi dalla torre d'avorio,
allora e' tutto uguale".
Beh, per me non e' tutto uguale, perche' io da sempre mi sento vicino
alla Jugoslavia, e' stato cosi' per tutta la mia vita, a cominciare dai
miei avi, che erano slavi, della Slovenia, o meglio della minoranza
slovena che si trova in Carinzia, da parte di mia madre. In secondo
luogo, per me la Jugoslavia era l'Europa. Io ci andavo, anche a piedi,
non solo in autobus o in macchina o in aereoplano. La Jugoslavia, per
quanto frammentata sia potuta essere, era il modello per l'Europa del
futuro. Non l'Europa come e' adesso, la nostra Europa in un certo senso
artificiale, con le sue zone di libero scambio, ma un posto in cui
nazionalita' diverse vivono mischiate l'una con l'altra, specialmente
come facevano i giovani in Jugoslavia, anche dopo la morte di Tito.
Ecco, penso che quella sia l'Europa, per come io la vorrei. Percio', in
me l'immagine dell'Europa e' stata distrutta con la distruzione della
Jugoslavia.
Questa immagine dell'Europa... multiculturale, multietnica...
[confuso]?
Si, certo, cosi'. Ma non sopporto piu' la parola "multi-culturale". E'
stata una scusa disonesta per far nascere dal nulla uno stato musulmano
in Bosnia. Non posso accettarla, se la parola e' applicata a Sarajevo.
Se invece ci si riferisce alla vecchia Jugoslavia, dove le nazionalita'
vivevano insieme, l'una con l'altra, eppur autonomamente, allora posso
accettare le parole "multi-etnica" e "multi-culturale" - non, tuttavia,
se ci si riferisce alla Bosnia. Per me creare uno Stato da quella che
era una regione, una pura unita' amministrativa - e questa era la
Bosnia nella vecchia Jugoslavia - e' stata una infamia. La Bosnia non
aveva mai costituito uno Stato sovrano. Per me, creare Stati autonomi
in Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina e' stato proprio come
fabbricare delle menzogne storiche. All'inizio credevo anch'io a tutto
il discorso sulla liberta' ed i suoi paladini, in lotta contro
il "panzer"-comunismo per la multietnicita'... All'inizio ci credevo.
Ma adesso non credo piu' ad una sola parola di tutto cio'.
Come spiega che gli sloveni ed i croati abbiano improvvisamente voluto
i loro Stati nazionali?
Era un momento opportuno. Io non sono un commentatore politico e non lo
saro' mai. Era un momento favorevole, dopo la morte di Tito, un momento
in cui ognuno ha potuto scapicollarsi ad afferrare quanto piu' poteva
per se' stesso.
E' stato scritto troppo poco su quello che ha fatto Hitler, insieme con
la Chiesa Cattolica, nei Balcani. Anche la Chiesa Cattolica e' stata
terribilmente dannosa in Croazia, a tutti gli effetti fondamentalista e
distruttiva - forse in misura solo un po' minore in Slovenia. E sui
crimini commessi in Croazia durante la Seconda Guerra Mondiale dalla
Chiesa Cattolica e dal nazismo, dal nazionalismo... C'era il campo di
concentramento di Jasenovac, dove sono stati eliminati tra i
seicentomila e gli ottocentomila serbi, ebrei, ed anche musulmani.
Questo ha portato alla rivalsa degli uomini di Tito per i crimini del
regime degli ustascia in Croazia e dei domobranci in Slovenia. Ci sono
state deportazioni, spesso ingiustificate, dalla Croazia e dalla
Slovenia verso tutta l'Europa, in Argentina, ed anche in America.
Il terreno di coltura in cui si sono poste le basi per la distruzione
della Jugoslavia e' la Croazia, con la sua ignota storia nazi-cattolica
della Seconda Guerra Mondiale, ed anche prima. Noi europei, e tutto il
mondo attorno, sappiamo troppo poco di tutto questo. E proprio mentre
la storia degli ebrei prima e durante la Seconda Guerra Mondiale viene
esaminata e chiarita, come ho detto nel mio libro, adesso e' necessario
portare alla luce tutto quello che ha fatto il fascismo durante la
Seconda Guerra mondiale in Jugoslavia, ed il suo Olocausto degli ebrei.
A piu' riprese sentiamo pronunciare la parola "Jasenovac". Questo per i
serbi e' un trauma. La guerra attuale, nonostante il lungo intervallo
di tempo intercorso, e' in fondo una continuazione di quella di 40 anni
fa?
Si, e' una metamorfosi, anzi: una metastasi, come si dice per il
cancro. E' una continuazione della Seconda Guerra Mondiale. E'
significativo che, mentre i Croati conquistavano l'area di Jasenovac
[di nuovo il primo maggio 1995, dopo le distruzioni del 1991; n.d.crj],
abbiano distrutto ogni monumento a chi li' fu ucciso. Il campo di
Jasenovac - in quanto monumento - e' stato distrutto di nuovo
quest'anno [1996]. E' significativo. Ecco che cosa mi ha portato a
scrivere.
Il suo libro non e' proprio politico, oppure si?
Che vuol dire "politico"? Il mio libro tratta dei problemi. Racconta
dei problemi, i problemi che ha un lettore di quotidiani a capire.
Parla dei problemi di un lettore di storia. Parla dei problemi di
visuale di uno che osserva una foto, i problemi di uno spettatore
televisivo. Parla inoltre dei problemi di come un lettore distante,
come me, come quasi tutti noi, come veda, come legga i reportage di
guerra. La critica e' rivolta alle strutture. Uno critica le forme
estetiche della tecnica di ripresa, della grammatica, dell'arte
dell'inviato di guerra. Al mio libro vengono rivolte critiche di
cecita' estetica. La politica e la poetica si fondono nel mio libro.
E' perche' lei afferma che tanto il politico quanto il poetico sono
presenti nella sua storia sulla Serbia.
Non c'e' contraddizione.
C'e' una frase nel suo libro: "Wilhelm, non farti instupidire dal tuo
afflato poetico verso il mondo".
Io ci ho messo tanto prima che il mio sentimento per il mondo divenisse
sentimento poetico, un sentimento delle piccole cose, un sentire
i "pars pro toto". Io credo che nei piccoli fenomeni si possa
intravedere un grande affresco. E' un metodo induttivo (...). Mi piace
partire dal fenomeno piccolo e vedere dove riesco ad arrivare.
Naturalmente voglio andare il piu' lontano possibile. Questo e' il
processo induttivo, o poetico.
Anche Peter Handke può essere tratto in inganno talvolta dal suo senso
poetico per il mondo? A questo ha pensato qualche volta, o no?
No, non posso esserlo. Se e' inganno allora e', come si dice, un metodo
del tipo 'prova e sbaglia': uno impara dai propri errori. Ecco il mio
atteggiamento di base quando scrivo delle cose del mondo. Sbagliando mi
rendo conto di cosa non andava. Non posso affermare in anticipo che
quello che scrivo e' la verita', ma facendo un errore capisco come puo'
essere la verita'. E' tutto qui il mio lavoro di narratore.
C'e' un'altra frase: "Se solo la dimensione poetica e quella politica
potessero essere una ed una sola..." In questo libro lo sono solo
parzialmente?
Io penso che non siamo molto lontani da una sintesi ideale tra la
dimensione storica, quella politica e quella poetica, proprio come tre
percorsi separati che si riuniscono formando una specie di radura
dentro ad un bosco, il bosco della storia. Non sono molto lontano da
questo.
Cito ancora: "Quella sarebbe la fine della nostalgia, e la fine del
mondo". E lei ha detto da qualche parte di non sapere, dopo la
pubblicazione del libro, se non tornerà mai a scrivere qualcosa.
E' assurdo. Questo e' quello che hanno scritto di me solo come per
reagire al mio libro sulla Serbia. In primo luogo, vogliono reagire
proprio contro la mia impudenza per aver scritto questa storia. (...)
[Qui inizia un lungo scambio di battute di argomento letterario che
poco hanno a che vedere con il problema della Serbia]
Lei ha affermato che l'osservazione vale di piu' dell'immaginazione
quando si scrive.
Per quanto riguarda i libri, in altre parole la letteratura - in una
parola, la scrittura - io non sono un amante del fantastico. A questo
riguardo uno scrittore svizzero, Ludwig Hohl, ha detto che la fantasia
e' una evocazione degli oggetti che ti sono di fronte, come un tavolo,
una pietra, l'occhio di un'altra persona. Tutto questo acquista
significato e senso improvvisamente. (...)
Immagino che il suo libro ha provocato una tale opposizione in Germania
ed in Austria soprattutto perche' mette in discussione due dogmi
assolutamente essenziali della politica occidentale. Il primo e' la
questione dell'aggressore: esiste un aggressore?
Non per come e' stato rappresentato. Ecco ripresentarsi il problema
dell'autorita'. La "Repubblica di Croazia" [come ex-unita'
amministrativa della SFRJ] diventa uno Stato. Di essa e' stato
arbitrariamente fatto uno Stato sovrano con poteri costituzionali, ma
questo su di un territorio abitato da 600mila persone di un'altra
nazionalita'. Prima della Seconda Guerra Mondiale, prima del regime
ustasha di Pavelic', li' abitavano un milione di serbi. Persino adesso
[all'inizio della guerra] in Croazia vivevano circa 400mila serbi.
Almeno un quinto della popolazione apparteneva ad un'altra nazione.
Sotto la costituzione croata questi sono diventati cittadini di seconda
classe, una minoranza. Si era ritenuto che questi fossero d'accordo ad
essere trattati come cittadini di seconda classe. Ecco la questione che
ho sollevato nel mio libro: come si puo' creare uno Stato laddove
esiste una minoranza cosi' forte, considerevole, appartenente ad
un'altra nazionalita'? Non si puo' considerare un'aggressione questa?
Non puo' uno difendere la sua nazione di fronte a cio'? Non c'e' modo
di confutare il fatto che questa e' un'aggressione contro l'altra
nazionalita' [da parte del nuovo Stato].
Ma tutto questo non e' un po' troppo in bianco-e-nero, come i bambini
che strillano "hai cominciato tu, hai cominciato tu!"?
Questo e' proprio quanto affermo nel mio libro. Posso difendere me
stesso in base a quanto ho scritto. Naturalmente io ho le mie opinioni
e le mie convinzioni, ma quello che ho scritto non ha niente a che fare
con esse: ha a che fare esclusivamente con questioni basilari. La mia
espressione migliore per questo e' la seguente: si tratta di raccontare
una storia, per come essa e', come ho fatto sempre nella mia
letteratura sin da quando cominciai a scrivere. Non ho mai lasciato
trapelare le mie opinioni. Ecco perche' trovo incredibile questa
esplosione di odio ed astio contro il mio libricino, soprattutto in
Germania.
Lei sarebbe disposto ad "allungare il collo" tanto da affermare che gli
aggressori non si sa chi siano, ma certamente non sono i serbi?
Non sono loro gli aggressori. E' precisamente cosi'. Le cose possono e
devono essere viste diversamente. E' quello che chiedo nel mio libro.
Il secondo dogma: lei riflette su Srebrenica e si pone degli
interrogativi su questo [seconda cassetta] (...)
Come per Srebrenica, dove il massacro e' stato commesso subito prima
della fine, nel giugno-luglio 1995, io mi chiedo: "perche' [sarebbe
successo]?". Per fini argomentativi, diciamo ch'io non mettero' in
dubbio i fatti nemmeno per un attimo. Non sono competente per dare
giudizi... Ma gli altri dovrebbero avere dei dubbi sui fatti, visto che
la storia del massacro e' stata rivenduta per cinque volte su tutta la
stampa mondiale. Finora nessuno ha provato che siano state ammazzate
tra le tre e le ottomila persone. Non e' stato provato. - Pero', chiedo
io, se dopo tre anni di spargimento di sangue e' potuta accadere una
cosa del genere, perche'. Come si e' potuto verificare li' un massacro
di 3-8mila uomini musulmani. Perche' questo? E perche' si leggono di
nuovo e di nuovo interventi su quel fatto? Dal giugno 1995 la storia
del massacro e' stata riciclata quattro o cinque o sei volte nella
stampa mondiale. Nell'autunno ci sono state delle copertine sul Time,
sul Nouvel Observateur, sullo Spiegel e cosi' via. Di nuovo e di nuovo,
in primavera, in autunno... Vengono mostrate fotografie aeree di zone
dove, si dice, sarebbero situate delle fosse comuni. Da una fotografia
satellitare ricavano che un bulldozer avrebbe dilaniato i cadaveri. Ma
anche assumendo, a soli fini argomentativi, che tutto questo sia
accaduto, perche', chiedo io, dopo tre anni, mentre tutti erano cosi'
stanchi di ammazzare, sarebbe dovuta o potuta accadere una cosa del
genere? Io mi chiedo perche' il generale Mladic' avrebbe potuto far
saltare in aria tutta quella gente. Ecco cosa mi chiedo. Sarebbe bene
che uno storico, od un giornalista, sollevasse questa questione -
perche'?
Qui ho ascoltato due cose, il "perche'?" e ...
Quel "perche'" sta nel mio libro. Io chiedo "perche'?".
Ha una risposta?...
Alcuni serbi della regione mi hanno detto - ed io non so se questo
corrisponde a verita', mi limito a riferire quanto mi hanno detto - mi
hanno detto che i villaggi attorno a Srebrenica furono attaccati dai
musulmani. Srebrenica e' una cittadina piccola, di modeste dimensioni,
abitata da musulmani. I villaggi rurali che la circondano sono serbi.
Laggiu', da tempo immemorabile, le citta' sono musulmane ed i villaggi
di campagna sono serbi. All'inizio della guerra, contadini serbi furono
fatti a pezzi da musulmani. La guerra e' stata una guerra delle citta'
contro la campagna. Il comandante musulmano di Srebrenica era
particolarmente portato a distruggere. Prima della caduta dell'enclave
questo comandante di Srebrenica, uno dei pochi musulmani sospettati di
crimini di guerra, [Nasir] Oric, fu trasferito a Tuzla dal Comando
Generale bosniaco-musulmano una settimana prima della caduta della
citta'. Nel frattempo costui ha aperto una discoteca a Tuzla. Bisogna
chiedersi se questo tizio non sia uno dei profittatori di guerra.
Personalmente non ho informazioni dirette di prima mano, ma i miei
amici serbi mi dicono che il massacro, se ha avuto luogo, e' stato per
rivalsa per tutti i villaggi serbi attorno a Srebrenica, distrutti [dai
musulmani] in tre anni di guerra. E' stata una rivalsa per le
distruzioni e gli annientamenti, e sicuramente per i massacri attuati a
danno dei serbi attorno a Sarajevo. Questo e' cio' che mi e' stato
raccontato.
E non la preoccupa il fatto ... [incomprensibile]
Per lo meno quella e' una spiegazione, una spiegazione che non ho mai
visto dare sulla stampa occidentale. Ho anche sentito che molti soldati
musulmani che scappavano da Srebrenica non cercavano rifugio ad ovest,
nella loro Bosnia musulmana, ma nel paese del nemico, al di la' della
Drina, all'est... Cercavano la loro salvezza nella madrepatria dei
serbi. Hanno attraversato la Drina su zattere e simili. Hanno
attraversato la Drina verso est e tanti di loro li' sono stati
internati in campi di concentramento, dove certamente non venivano
trattati bene, eppure sono sopravvissuti. Ora, bisogna che si chiarisca
a quanti dei soldati musulmani in ritirata e' stata garantita la
liberta' di transito. Pare chiaro che qualcuno ha attraversato la Drina
per andare in Serbia e qualcun altro ha cercato di muoversi a nord-est
di Srebrenica, per raggiungere il cuore della Bosnia musulmana. Io
vorrei sapere quanti sono stati e che cosa e' realmente successo loro.
E la disturbano le speculazioni su questa sofferenza?
Mi preoccupano molto.
E la preoccupa la manipolazione...
Inizialmente non la vedevo in questa maniera. Come molti altri ritenevo
che l'esercito dei serbi di Bosnia fosse un manipolo di meri assassini.
Questo pensavo. Stazionando sulle alture strategiche attorno a
Sarajevo, pensavo, questi potevano proprio giocare con la citta' di
Sarajevo. Era tremendo. Di nuovo e di nuovo un bambino colpito a morte
sulla strada. Vedevi le foto, e sembrava giustificato il paragone con i
peggiori crimini di questo secolo. Nel frattempo ho cambiato opinione.
Hans Koschnick, amministratore della citta' di Mostar, ha detto bene
quando ha affermato che la creazione di una Bosnia-Erzegovina dominata
dai musulmani e dalla quale i serbi erano esclusi comportava un
terribile vuoto di potere. Perche' la Bosnia e' un paese montagnoso,
fatto di villaggi isolati che si susseguono. Qualcuno come Karadzic, o
persino uno come il generale Mladic, non potrebbe assolutamente
esercitare il potere dappertutto. Percio' abbiamo creato a tutti gli
effetti un sistema di bande, proprio secondo il vecchio stereotipo
balcanico, che non e' completamente errato. Ma questa idea del vuoto di
potere, laddove la forza bruta riempie il vuoto, e' solo una
spiegazione. Tutti noi cerchiamo spiegazioni - e questa non mi sembra
del tutto errata.
Nel suo libro si legge: "Quasi tutti ritengono che la Jugoslavia non
risorgera' per i prossimi cento anni." Risorgera' o no?
Credo che non possa essere altrimenti. Risorgera'. E' l'unica cosa
sensata. Guardiamo l'economia, la geografia - i fiumi, le catene
montuose. La storia comune dopo il 1918 non e' stata poi cosi'
malvagia. C'e' stato il Regno di Jugoslavia, c'e' stata la Jugoslavia
comunista dei partigiani di Tito.
Con il 1980 il comunismo finisce. Per me quello e' stato un fatto dal
sapore quasi religioso. A differenza di molti Stati europei, la
Jugoslavia era un modello per tutta l'Europa. Essa non puo' restare
spezzettata, a dispetto di questi poteri occulti, come la Chiesa
Cattolica. La Chiesa Cattolica ha un potere incredibile - io stesso
sono cattolico e tale voglio restare per tutta la vita. - Ma nei
Balcani la Chiesa Cattolica pratica le conversioni. Questa e' l'essenza
della Chiesa Cattolica, il proselitismo: qualcosa che la Chiesa serbo-
ortodossa non ha mai fatto. A parte le uccisioni a danno dei serbi,
durante la seconda Guerra mondiale ci sono state ripetutamente
conversioni forzate, violente di Serbi da parte dei cattolici. In molte
epoche della storia la Chiesa e' stata accusata di questo. Cosi',
finché ci sara' il nazionalismo ed una chiesa militante, non si potra'
far rinascere la Jugoslavia.
(1/2 - continua)