S.O.S. ZASTAVA:
Relazione del viaggio a Kragujevac
dal 2 gennaio 2003 al 6 gennaio 2003


La delegazione Piemontese

La delegazione era composta di 15
compagni:
· 3 del Politecnico di Torino (2 lavoratori ed uno
studente)
· 2 della Camera del Lavoro di Novara
· Una delegata R.S.U. della "La Stampa" fotografa
· un giornalista del "Piccolo " di Trieste
· 4 della Camera del Lavoro di Torino
· 3 adottandi a distanza
· una consigliera comunale del Comune di Torino


Il viaggio d'andata

Ci ha preceduto nel viaggio un TIR che trasportava il
materiale raccolto in Piemonte.
Il TIR ha trasportato 1500 Kg di materiale sanitario
(medicine, siringhe monouso, ecc.), i pacchi regalo per i
bambini, 30 scatole di vestiario e 3 quintali di Nutella
regalati dalla Ferrero
Il 2 Gennaio siamo partiti noi della delegazione. Abbiamo
viaggiato con un pulmino per il trasporto delle persone da
nove posti, un pulmino per il trasporto merci da tre posti
forniti dal comune di Torino e con un'autovettura privata. I
costi del viaggio sono stati parzialmente coperti da comune
di Torino e CGIL Piemonte e non hanno gravato in alcun
modo sui fondi destinati alle adozioni: ogni partecipante ha
pagato di tasca sua la quota restante del viaggio e il
soggiorno.
Il viaggio non è stato particolarmente difficoltoso, e dopo
15 ore di viaggio si è giunti a Kragujevac.


La riunione con il gruppo dirigente del sindacato
autonomo della Zastava SAMOSTALNI SINDIKAT SRBIJA

Nella riunione i compagni del sindacato della Zastava
hanno aggiornato la delegazione sulla situazione. La
ZASTAVA è stata smembrata in 38 aziende attualmente
ancora pubbliche, ma in via di privatizzazione.
La produzione è stata riavviata e attualmente si producono
10.000 autovetture/anno occupando 4.500 operai, nel 1999
prima dell'aggressione lavoravano alla Zastava Auto 12.000
addetti e negli anni 80 si producevano 140.000 auto/anno.
E' stata riavviata anche la produzione dei veicoli
commerciali che ammonta attualmente a 600veicoli/anno
con un'occupazione di 1.500 addetti. Complessivamente
l'occupazione femminile si attesta intorno al 40% dei
lavoratori.
Lo stipendio medio mensile di un lavoratore in produzione
è di 9.200 Dinari per cinque giorni settimanali su un turno,
circa 150 euro. Un lavoratore fuori produzione percepisce un
salario assistenziale di 4.000 Dinari/mese, circa 65 ? che
durerà fino al 2004.
Un'azienda Canadese "NEW CAR" è in trattativa per
rilevare una quota del settore auto prevedendo l'assunzione
di 3.000 dipendenti, incrementando la produzione fino a
100.000 veicoli destinati al mercato sudamericano e
nordafricano, mercati che non impongono le normative
europee in materia di emissioni gassose.
La grave crisi della produzione di autovetture in Jugoslavia
indotta dalla legge che liberalizzava l'importazione delle
auto usate sta rientrando per la correzione di quella stessa
legge: ora si possono importare in Jugoslavia solo
autovetture con meno di sei anni.
Ancora oggi il SAMOSTALNI SINDIKAT SRBIJA
detiene l'85% delle deleghe nella fabbrica e il 55% nel
paese, con 1.700.000 iscritti è di gran lunga il sindacato più
rappresentativo, perché indipendente da sempre.
Oggi la sindacalizzazione nella Jugoslavia raggiunge un
lavoratore su due, suddivisi su sei confederazioni prima,
negli anni 80 non si andava oltre il 20% di lavoratori
sindacalizzati.
Recentemente il SAMOSTALNI SINDIKAT SRBIJA è
entrato nella CES, la confederazione sindacale europea, e
mantiene rapporti con la CGIL italiana e con l'IGM, il
sindacato metalmeccanico tedesco.


Le visite alle famiglie.

Come ogni volta che andiamo a Kragujevac una fetta
importante del tempo si trascorre facendo visita alle
famiglie, e ogni volta la delegazione incontra situazioni
sempre più disperate.
Le famiglie dei lavoratori pur mantenendo una dignità
impensabile in quelle condizioni economiche stanno
precipitando in una situazione da terzo mondo.
Manca tutto:
mancano i detersivi. il sapone, l'alimentazione è scarsa dal
punto di vista dell'apporto proteico, mancano le medicine
diventate carissime ed a pagamento; l'assistenza sanitaria,
nonostante l'impegno eroico di medici e paramedici risente
della carenza di denaro e quindi di apparecchiature e
farmaci.
La criminale guerra chimica scatenata dall'occidente
contro il popolo jugoslavo e mascherata come "effetti
collaterali" (i bombardamenti dei petrolchimici, delle
centrali termoelettriche ecc.) porta con sé un incremento
esponenziale dei casi di tumore tra la popolazione.
Abbiamo visitato famiglie dove uno dei due genitori è
morto e l'altro sta per raggiungere il consorte e i figli sono
coscienti di finire, da lì a poco, in qualche malsano
orfanotrofio. Molti di noi in queste visite non riescono a
trattenere l'angoscia: molti compagni escono dalle visite
alle famiglie con gli occhi lucidi per la rabbia di non essere
riusciti a fermare questo crimine contro l'umanità.
La povertà e il degrado sociale, indotti dalle devastazioni
operate dalla NATO, non hanno leso il tipico senso
dell'ospitalità del popolo jugoslavo. Ogni famiglia, pur
essendo ridotta in misere condizioni, ha accolto la
numerosa delegazione con calore, offrendo, oltre a prodotti
tipici del paese, un senso di solidarietà difficilmente
riscontrabile nelle nostre confortevoli case occidentali e che
nessuna bomba intelligente potrà sradicare.


La visita all'ospedale di Kragujevac

Abbiamo visitato l'ospedale insieme al dott. Denic
(pediatra) e al dott. Mihailovic, vice direttore dell'ospedale
e psichiatra. Gli interni sono stati rifatti e quindi l'ospedale
ha sicuramente un aspetto migliore. Tuttavia qui si lavora
ancora in condizioni d'emergenza: le attrezzature sono
vecchie e i medicinali scarseggiano. Ci siamo quindi
impegnati a reperire altro materiale da inviare entro giugno:
una macchina per la mammografia (quella dell'ospedale
non funziona più e obbliga le donne di Kragujevac ad
andare a Belgrado), una radiologia portatile, materiale per
le analisi di laboratorio, un respiratore e materiale di
consumo. E' inoltre emersa la necessità di aggiornamento
professionale per i medici e paramedici, la delegazione
torinese si è impegnata nella ricerca di una soluzione
praticabile.


La distribuzione delle quote delle adozioni e dei regali

Sabato 4, secondo giorno della delegazione a Kragujevac,
è avvenuta la distribuzione dei doni e delle quote delle
adozioni a distanza, presso la sala delle assemblee
nell'edificio principale dello stabilimento. L'evento era
talmente atteso che nelle ore precedenti, sfidando il freddo
del mattino, alcune famiglie si sono presentate nel piazzale
della fabbrica. E' stata l'occasione per i veterani del
progetto di ritrovare vecchi amici e compagni.
Successivamente ci si è riuniti nella sala che a stento
raccoglieva le centinaia di persone in attesa di ricevere il
proprio pacco, il cui contenuto (detersivo, sapone,
shampoo, spazzolino, dentifricio, cioccolate e caramelle,
per un ammontare in euro di 27,42 per pacco, un totale di 187
pacchi per l'ammontare totale di euro 5102,60) era stato
acquistato con i fondi messi a disposizione dal Politecnico
di Torino. Prima della distribuzione i delegati locali hanno
presentato i compagni provenienti dall'Italia e hanno
lasciato loro alcuni minuti per un intervento. Hanno preso
la parola i compagni Rino Lamonaca, delle R.S.U. del
Politecnico di Torino, e Maurizio Poletto, della Camera del
Lavoro di Torino. Smentendo la retorica ed il buonismo
che generalmente permeano questo genere di iniziativa, i
due relatori hanno ribadito il senso di solidarietà di classe
che sta alla base del progetto, sottolineando come il nemico
che bombardò il popolo jugoslavo sia lo stesso che porta
migliaia di lavoratori italiani sulla strada, licenziando e
mercificando il lavoro.
Il senso della festa imminente, la gioia di ricevere un dono
non hanno cancellato dagli occhi dei bambini il ricordo dei
giorni trascorsi nei rifugi, degli ostacoli che la vita pone
quotidianamente sulla loro strada e il marchio indelebile di
un'infanzia negata. I membri della delegazione che si sono
posti in mezzo alla folla hanno potuto percepire la fierezza e
la dignità di un popolo che resiste.


La visita alla città

Kragujevac è una città tipicamente operaia che mantiene
al suo interno realtà uniche.
In Jugoslavia, con buona pace della vergognosa
propaganda di guerra, hanno convissuto e continuano a
convivere differenti etnie, come si può facilmente
comprendere visitando una qualsiasi città e osservando i
volti dei passanti.
Nel tempo libero strappato agli impegni ufficiali, è stato
possibile vistare alcuni tra i quartieri più suggestivi della
città.
Attraversato il piccolo ponte antistante lo stabilimento
Zastava, ci si trova nel centro cittadino costituito da piccole
case in legno, di vaga memoria ottomana, edifici in pietra
tipicamente mitteleuropei dove hanno sede esercizi
commerciali e moderni caseggiati per le residenze popolari.
Lungo il fiume ci si può addentrare in un mercato dove la
convivenza etnica è palese. Dai chioschi si dipanano odori e
suoni che raccontano di una terra ricca di storia e di culture
che si sono affiancate e sovrapposte nei secoli. I volti e
l'abbigliamento dichiarano l'etnia dei venditori e degli
avventori, mescolati nella frenesia quotidiana.
Alle spalle dell'impianto Zastava, su una collina, ha sede
un quartiere di bassi fabbricati unifamiliari con giardino,
che tanto ricordano l'edilizia nostrana del dopoguerra. E' il
quartiere detto dei ROM, in cui lo straniero, nella
fattispecie noi, è accolto con calore e fraternità.
Nuovamente stupisce come, a fronte di tanta povertà,
l'ospitalità rimanga un dovere, anche a costo di sacrifici.
All'esterno di una casa troviamo un ricordo dei
bombardamenti, un cartello con un bersaglio, posto con
senso dell'ironia dal proprietario all'ingresso della propria
dimora.
Dalla parte opposta della città, nei pressi del grande bosco
che vide atroci omicidi per mano dei nazisti, ha sede il
quartiere degli operai, costituito da casermette ad un piano,
in legno, edificate oltre mezzo secolo fa dai tedeschi con
scopi militari. Attualmente vi risiedono centinaia di
famiglie che curano il proprio pezzo di giardino rendendo la
zona piacevole e decorosa., a dispetto dell'attuale
situazione economica. Entrando in una casa abitata da
Serbi si nota il fatto che sia uso lasciare le scarpe fuori
casa, abitudine che denota l'acquisizione di usanze
ottomane e smentisce ogni propagandistica menzogna
sull'odio etnico, là dove la cultura è frutto di un continuo
scambio.
Aggirandoci per la città passiamo davanti ad un
supermercato alimentare, identico ai nostri, con gli stessi
prodotti globalizzati, con la stessa disposizione delle merci
e purtroppo per gli Jugoslavi con prezzi non molto distanti
dai nostri: le merci costano mediamente il 30% in meno,
ma i salari sono 7/8 volte inferiori.


L'avvicinamento

7 compagni della delegazione, tra cui gli scriventi, ha
deciso, sulla via del ritorno in Italia di effettuare una sosta a
Belgrado, dove risiedono compagni e compagne che si
incontrerebbero con piacere e con i quali si è stabilito un
rapporto dai tempi dell'aggressione.
La delegazione raggiunge la capitale nel primo pomeriggio
di domenica 5. Il tempo è diventato nuvoloso e la città ci
accoglie con una foschia che le dona un ulteriore fascino.
Giungendo da sud si attraversano quartieri moderni, di
memoria titina; di colpo, dopo aver varcato un dedalo di
cavalcavia ci troviamo sul viadotto che porta a Novi
Beograd da cui ammiriamo il paesaggio offerto dalla città
storica, costruita su una rocca che domina la confluenza tra
Danubio e Sava.
Un volta trovata la strada giusta (cosa non facile per un
forestiero) giungiamo a casa di Gordana, la compagna che
ci ospita. Rivelando nuovamente uno straordinario senso
dell'ospitalità, inusuale per la nostra cultura individualista
e materialista, ci viene lasciato a disposizione
l'appartamento. Il pomeriggio trascorre in città a
fotografare gli edifici colpiti "per sbaglio" dai missili
intelligenti, i maestosi edifici del centro direzionale,
indelebile memoria di una nazione potente e indipendente,
la via pedonale arricchita di sfavillanti vetrine, simbolo del
miraggio capitalistico. Con dispiacere per i fanatici del
liberismo consumista, pur essendo la vigilia del Natale
Ortodosso (il Natale Ortodosso si festeggia il giorno della
nostra Epifania) i negozi sono chiusi e le strade poco
affollate. A conclusione della nostra permanenza in
Jugoslavia, Gordana ci offre una cena abbondante, con
manicaretti locali per cui ha lavorato un intero pomeriggio;
in un clima di festa trascorre la notte fino a quando, di
primo mattino, giunge il momento di salutare la nostra
amica e compagna belgradese e riprendere la via del
ritorno.


Il rientro in Italia

Scampando miracolosamente alla bufera che il giorno
precedente si era abbattuta in mezza Europa, abbiamo
intrapreso il nostro viaggio di ritorno lungo la dorsale che
collega Istanbul a Trieste. Le terre balcaniche, ingentilite
dal candore della neve, ci hanno offerto spettacoli
indescrivibili, se non attraverso la riproduzione fotografica.
Oltrepassato il confine con la Croazia l'autostrada si riduce
ad una strada a due corsie, non sgombrata dalla neve e
trascurata, fino ai primi insediamenti croati, come a volere
marcare il confine. La segnaletica e la toponomastica sono
state ripulite di ogni termine che ricordi la convivenza
passata e l'esistenza di una nazione ancora chiamata
Jugoslavia.


La Jugoslavia, accusata per oltre un decennio dalla
propaganda come fautrice di odio e pulizia etnica,
conserva al suo interno un patrimonio multietnico e
multiculturale ineguagliabile da nessuno stato nazione
europeo e, invece, proprio chi muoveva queste infamie
al popolo Jugoslavo, ha promosso e praticato la pulizia
etnica e la divisione dei territori balcanici per etnia e
religione.


Torino 13 gennaio '03
Rino e Simone - <teodoro.lamonaca@...>