LA JUGOSLAVIA NON C'E' PIU', MA ESISTONO ANCORA GLI JUGOSLAVI
Riflessioni al ritorno da un viaggio in Serbia e Croazia




Belgrado ci accoglie con un nebbione che impedisce l'atterraggio
dell'aereo. Ci dirottano, quindi, a Timisoara, in Romania:
l'aeroporto, di sera, è buio e desolato e si affolla immediatamente
dei passeggeri dei tre aerei appena atterrati. Dopo lunghe ore di
attesa, giungono dei pulmini che ci conducono a Belgrado. Arriviamo
nel cuore della notte, il buio ci nasconde quello che non possiamo non
vedere al mattino, girando per la città...

IN SERBIA

I palazzi sono ancora in rovina dopo la barbara aggressione Nato. I
cosiddetti aiuti internazionali, già impoveriti dall'ingordigia
SI-SA-DI-CHI (come definiamo dalle nostre parti i soliti noti) non
sono mai destinati alla ricostruzione di edifici pubblici e privati,
ma solo all'acquisto delle poche fonti produttive rimaste in piedi. Ci
riferiamo ai cementifici, agli zuccherifici, alla stessa Zastava (la
famosa fabbrica di automobili) che era stata ristrutturata e poteva
tornare a funzionare normalmente. Invece, che cosa è successo? E'
stata messa in liquidazione, gli operai hanno ricevuto il benservito
ed ora giace lì, in attesa del prossimo profittatore (a uno di loro è
andata male: si tratta di quell'imprenditore statunitense che tentò di
acquistarla per quattro soldi - bisogna capirlo, non ne aveva molti,
visto che nel suo paese aveva già subito grossi rovesci finanziari).
In questi giorni nella città di Belgrado sono arrivati una
ventina di tram, donazione del governo giapponese. Ma anche le
donazioni trà un po finiranno. Dal primo aprile per andare in Ungheria
i serbomontenegrini dovranno fare il visto, e così pure presto andra'
con la Romania... Bisogna "capirle" poverine, devono ascoltare lo zio
Sam!

Brevemente, per non ripeterci (chi ci segue sa che abbiamo già
ampiamente parlato dell'argomento) riassumiamo la situazione politica
in Serbia. Innanzitutto, non è ancora stato eletto il presidente:
Kostunica si era candidato, insieme a Seselj (radicale) e Labus
(vicino al premier Djindjic). Nessuno ha raggiunto la maggioranza nei
due turni, per cui non esiste il presidente della Serbia. In
contemporanea, la poltrona di presidente è vacante anche in
Montenegro.
A questi vuoti politici, si accompagnano anche i vuoti nelle tasche
della popolazione: il salario medio, per quelli che hanno la fortuna
di lavorare, si aggira intorno ai 150 euro al mese, ed è in calo
continuo.
I prezzi, a Belgrado, si avvicinano a quelli dei paesi europei e il
potere di acquisto dei salari è irrisorio. Sono in molti, quindi, a
dover ricorrere alle organizzazioni umanitarie, che garantiscono un
pasto caldo al giorno. Pensiamo in particolare ad un centro, nel
quartiere di Banovo Brdo, di Belgrado, dove ancora oggi vivono
numerosi cittadini di nazionalità croata. Lì, se vuoi un piatto di
minestra caldo, non te lo nega nessuno: devi avere un tesserino ed
essere disposto a recitare una preghiera cattolica, anche se sei
ortodosso.

Ancora due parole sulla situazione politico-economica. L'attuale
premier serbo Djindjic ha fatto tabula rasa: non esiste un'opposizione
politica (l'ultimo, il radicale Seselj, è finito davanti al Tribunale
dell'Aia), non funziona più l'apparato giudiziario, sottoposto
alle continue pressioni del ministro della Giustizia Batic (vi ricorda
niente, questo, come italiani?), i sindacati proliferano ma contano
meno di zero - tranne quelli del regime. Tutte le ex repubbliche
jugoslave, inclusa anche la Serbia adesso (visto che Milosevic è sotto
le grinfie del Tribunale dell'Aia), invocano calorosamente la
protezione della Nato: una manovra tesa non solo a difendere le
poltrone dei politicanti, ma, quel che è peggio, a giustificare le
bombe arricchite di uranio impoverito, di cui pare che gli attuali
governanti abbiano perso memoria. Il che non è facile impresa,
considerando le malattie e i decessi dovuti all'inquinamento
radioattivo, fin dal 1995, con il bombardamento dei Serbi della
Bosnia.

LA VITA "A CAVALLO DEL CONFINE" CON LA CROAZIA

Da Sombor, cittadina nella provincia serba della Vojvodina, ho
proseguito verso Tenja, piccolo centro in Croazia, vicino ad Osijek.
Nei "tempi che furono", Tenja, ora al confine tra Serbia e Croazia,
era prevalentemente abitata dai Serbi. Quando ebbe inizio la guerra
civile, i sei chilometri che dividono le due cittadine rappresentavano
la linea di fuoco negli scontri tra serbi e croati. Oggi, le Krajine
serbe appartengono alla Croazia e sono prevalentemente abitate dai
Croati. Che fine hanno fatto i serbi che, da sempre, vivevano lì? Gran
parte di loro è scappata durante la guerra civile, trovando rifugio in
Serbia o all'estero, altri continuano a lasciare le loro case, spinti
dalla necessità di trovare un lavoro, pochi altri sono rimasti, come a
Tenja, dove ho incontrato una famiglia serba che ho conosciuto da
bambino. Girando per la cittadina, ho visto case moderne esistenti già
da prima della guerra: il mio amico mi ha spiegato che molte sono
state vendute, altre sono in vendita, in altre abitano ormai soltanto
gli anziani. Lentamente, ma inesorabilmente, la popolazione serba va
scomparendo. "Pensa", mi dice l'amico, "c'è stato un esponente croato,
venuto ad abitare qui, che voleva raccogliere delle firme affinché i
bambini serbi venissero mandati a studiare in un altro villaggio,
lontani dai loro coetanei croati". Il mio accompagnatore è un uomo
anziano, ma non percepisce alcuna pensione dal governo croato,
nonostante abbia lavorato tutta la vita in Croazia. Riceve, dalla
Repubblica Srpska di Bosnia, una misera pensioncina che non basta
neanche a pagare le bollette della luce. Sopravvive grazie all'aiuto
di una figlia, rifugiata all'estero, ai frutti dell'orto e ai pochi
animali che accudisce. A Sombor vive la sorella, la quale per andare a
trovare le figlie oppure per andare a fare una visita ai genitori al
cimitero ha solo tre giorni di permesso "transfrontaliero". E' una
vergogna.

Ripetiamo, per l'ennesima volta, quanto andiamo dicendo ormai da dieci
anni: è vero o no che la Jugoslavia doveva scomparire e che la Serbia
doveva essere messa in ginocchio?! Ricordate l'articolo apparso sui
giornali il 28 novembre 1990 (la data non è casuale: il 29 novembre
ricorreva l'anniversario della Repubblica Socialista Federativa di
Jugoslavia): "la CIA ha detto che la Jugoslavia esisterà ancora per
diciotto mesi".
Che è rimasto della Jugoslavia socialista? Niente. Ma ci siamo noi,
gli jugoslavi - e mai diventeremo "ex" jugoslavi!

LE ADOZIONI A DISTANZA

Dopo tanti anni in cui abbiamo seguito da vicino i paesi in guerra,
abbiamo capito che un modo di aiutare concretamente le popolazioni
locali è quello di realizzare dei microprogetti (ad esempio, fornitura
di forni per la panificazione). Da parte nostra, continuiamo con
piccoli aiuti umanitari e con le adozioni a distanza che, oltre a
garantire al bambino la possibilità di studiare, rappresentano anche
un aiuto sostanziale per tutta la famiglia.
Le associazioni maggiormante degne di nota e di fiducia sono: ABC
Solidarietà e pace (Roma), Un ponte per... (Roma), GAMADI (Roma), SOS
Jugoslavia (Torino), Zastava (Trieste), Un ponte per Belgrado in terra
di Bari (Bari) - queste ultime in stretta collaborazione con il
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia. Ci scusiamo con quelle che
non abbiamo nominato per mancanza di informazioni.
Sollecitiamo tutti a continuare con il sostegno mensile e a
raccogliere altre adesioni. Abbiamo più volte notato che la gente, in
Serbia, tende a non chiedere aiuto, benche' ne abbia bisogno. In
questi casi, vorremmo essere in grado di fare noi il primo passo.


Ivan Pavicevac
(Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia)
Roma, marzo 2003