http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,3604,913918,00.html
IL QUISLING DI BELGRADO (*)
Il Primo Ministro serbo assassinato era un ignobile servitore
occidentale le cui riforme economiche hanno portato miseria
Neil Clark
The Guardian (Gran Bretagna)
venerdi 14 marzo 2003
I tributi a Zoran Djindjic, il Primo Ministro della Serbia
assassinato, sono arrivati a pioggia. Ha aperto la strada il
presidente Bush lodando la sua forte leadership, mentre il portavoce
del governo canadese lo ha esaltato come "baluardo della democrazia" e
Tony Blair ha parlato della "energia" che Djindjic aveva dedicato a
"riformare la Serbia".
Nei necrologi dei giornali occidentali Djindjic è stato quasi
universalmente acclamato come un ex-agitatore di studenti che
coraggiosamente guidò una rivolta popolare contro una dittatura
tirannica e tentò di guidare il suo paese verso una nuova era
democratica.
Ma al di là della versione "tipo CNN" della faccenda, la carriera di
Zoran Djindjic appare piuttosto differente. Coloro che non danno peso
al senso del cambiamento di regime dovrebbero ricordare che l'Iraq non
è il primo paese dove gli USA e altri governi occidentali hanno
provato ad architettare la rimozione di un governo che non
soddisfaceva i loro interessi strategici.
Tre anni fa fu il turno della Jugoslavia di Slobodan Milosevic.
Nella sua recente biografia su Milosevic, Adam LeBor rivela come gli
USA versarono 70 milioni di dollari nelle casse dell'opposizione serba
e dei suoi sostenitori per osteggiare il leader jugoslavo nel 2000.
Agli ordini del segretario di Stato Madaleine Albright, un ufficio
americano segreto per gli affari jugoslavi fu istituito per aiutare ad
organizzare la rivolta che avrebbe spazzato via l'autocratico
Milosevic dal potere.
Allo stesso tempo è evidente come gruppi mafiosi controllati da Zoran
Djindjic e legati all'Intelligence americana abbiano eseguito una
serie di assassinii di sostenitori-chiave del regime di Milosevic,
inclusi il Ministro della Difesa Pavle Bulatovic ed il capo
dell'aviazione civile jugoslava Zika Petrovic.
Con Slobo ed il suo partito socialista finalmente caduti, gli Usa
hanno avuto il governo "riformatore" che desideravano. Il nuovo
presidente Vojislav Kostunica prese il "bouquet" ["prese ufficialmente
l'incarico", ndT], ma fu l'uomo del Dipartimento di Stato, Zoran
Djindjic, a tenere le redini del potere - e certamente a non
abbandonare i suoi sponsor di Washington.
La prima priorità fu quella di intraprendere un programma di "riforme
economiche" - dal sapore di nuovo ordine mondiale - per la vendita dei
beni statali, a prezzi stracciati, alle multinazionali occidentali.
Più di 700.000 imprese jugoslave erano rimaste a partecipazione
statale, e la maggior parte erano ancora controllate da comitati di
impiegati, con solo il 5% del capitale privato. Le compagnie potevano
vendere solo se il 60% degli introiti erano allocati tra i lavoratori.
Djindjic cambiò rapidamente la legge e la grande svendita poteva
adesso incominciare. Dopo due anni in cui migliaia di imprese a
partecipazione statale furono vendute (molte alle compagnie dei paesi
che presero parte ai bombardamenti della Jugoslavia del 1999), nella
relazione dell'ultimo mese la Banca Mondiale e' stata generosa di
encomi verso il governo-Djindjic ed il suo "coinvolgimento delle
banche internazionali nel processo di privatizzazione".
Ma non erano solo i beni statali che Djindjic aveva l'ordine di
svendere. Anche Milosevic doveva andare, in cambio di 100 milioni di
dollari promessi, anche se effettivamente cio' significava rapirlo, in
contravvenzione alla legge jugoslava, e spedirlo con un jet della RAF
al processo-spettacolo dell'Aia, finanziato dagli USA. Quando un uomo
ha venduto i beni del suo paese, il suo ex-presidente ed i suoi
principali rivali politici, cosa c'è ancora da vendere se non il paese
stesso? E nel gennaio di quest'anno Djindjic ha fatto proprio questo.
Nonostante l'opposizione di molti dei suoi cittadini, il "baluardo
della democrazia" ha seguito la richiesta della "Comunità
Internazionale" e dopo 74 anni il nome della Jugoslavia è scomparso
dalle cartine politiche. L'obbiettivo strategico della sua
sostituzione con una serie di protettorati deboli e divisi era
finalmente stato raggiunto.
A volte però anche i piani eseguiti in modo ineccepibile decadono.
Nonostante gli elogi occidentali, Djindjic verrà rimpianto da pochi in
Serbia. Per la maggior parte dei Serbi egli sarà ricordato come un
traditore che si è arricchito vendendo il proprio paese a coloro che
gli scatenarono contro la guerra, così spietatamente, solo pochi anni
prima. Le riforme di Djindjic più lodate hanno condotto ad un rialzo
dell'inflazione, la disoccupazione è salita oltre il 30%, i salari
reali si sono svalutati di oltre il 20% e oltre i due-terzi dei serbi
ora vivono al di sotto della soglia della povertà.
Non è ancora chiaro chi ha sparato i colpi che hanno ucciso Zoran
Djindjic. Verosimilmente è stata un'operazione di malavita, alla fine
i suoi legami con il crimine organizzato gli si sono ritorti contro.
Ma, sebbene risulti cinico, ci sono molti in Serbia che avrebbero
premuto il grilletto. In una recente visita a Belgrado, fui colpito
non solo dal livello dello stento economico, ma anche dall'odio che
quasi tutti nutrivano verso il loro Primo Ministro, la cui popolarità
era scesa sotto il 10%.
La lezione dalla Serbia, per quelli che cambiano regimi uno dopo
l'altro, è una lezione semplice. Si può provare a soggiogare un popolo
con le sanzioni, le sovversioni e le bombe. Si possono, volendo,
rovesciare governi che non piacciono e cercare di imporre il proprio
volere insediando un Hamid Karzai, un Generale Tommy Franks o uno
Zoran Djindjic, affinchè svolgano il ruolo di "consoli imperiali". Ma
non si creda di poter forzare un popolo umiliato a rendere a questi
omaggio.
(Neil Clark sta scrivendo un libro sulla recente storia della
Yugoslavia).
neil.clark@...
---
(*) "Quisling", dal nome di un proverbiale collaborazionista norvegese
dei nazisti.
Traduzione di Matteo Zamboni, che ringraziamo calorosamente. Revisione
a cura del CNJ.
IL QUISLING DI BELGRADO (*)
Il Primo Ministro serbo assassinato era un ignobile servitore
occidentale le cui riforme economiche hanno portato miseria
Neil Clark
The Guardian (Gran Bretagna)
venerdi 14 marzo 2003
I tributi a Zoran Djindjic, il Primo Ministro della Serbia
assassinato, sono arrivati a pioggia. Ha aperto la strada il
presidente Bush lodando la sua forte leadership, mentre il portavoce
del governo canadese lo ha esaltato come "baluardo della democrazia" e
Tony Blair ha parlato della "energia" che Djindjic aveva dedicato a
"riformare la Serbia".
Nei necrologi dei giornali occidentali Djindjic è stato quasi
universalmente acclamato come un ex-agitatore di studenti che
coraggiosamente guidò una rivolta popolare contro una dittatura
tirannica e tentò di guidare il suo paese verso una nuova era
democratica.
Ma al di là della versione "tipo CNN" della faccenda, la carriera di
Zoran Djindjic appare piuttosto differente. Coloro che non danno peso
al senso del cambiamento di regime dovrebbero ricordare che l'Iraq non
è il primo paese dove gli USA e altri governi occidentali hanno
provato ad architettare la rimozione di un governo che non
soddisfaceva i loro interessi strategici.
Tre anni fa fu il turno della Jugoslavia di Slobodan Milosevic.
Nella sua recente biografia su Milosevic, Adam LeBor rivela come gli
USA versarono 70 milioni di dollari nelle casse dell'opposizione serba
e dei suoi sostenitori per osteggiare il leader jugoslavo nel 2000.
Agli ordini del segretario di Stato Madaleine Albright, un ufficio
americano segreto per gli affari jugoslavi fu istituito per aiutare ad
organizzare la rivolta che avrebbe spazzato via l'autocratico
Milosevic dal potere.
Allo stesso tempo è evidente come gruppi mafiosi controllati da Zoran
Djindjic e legati all'Intelligence americana abbiano eseguito una
serie di assassinii di sostenitori-chiave del regime di Milosevic,
inclusi il Ministro della Difesa Pavle Bulatovic ed il capo
dell'aviazione civile jugoslava Zika Petrovic.
Con Slobo ed il suo partito socialista finalmente caduti, gli Usa
hanno avuto il governo "riformatore" che desideravano. Il nuovo
presidente Vojislav Kostunica prese il "bouquet" ["prese ufficialmente
l'incarico", ndT], ma fu l'uomo del Dipartimento di Stato, Zoran
Djindjic, a tenere le redini del potere - e certamente a non
abbandonare i suoi sponsor di Washington.
La prima priorità fu quella di intraprendere un programma di "riforme
economiche" - dal sapore di nuovo ordine mondiale - per la vendita dei
beni statali, a prezzi stracciati, alle multinazionali occidentali.
Più di 700.000 imprese jugoslave erano rimaste a partecipazione
statale, e la maggior parte erano ancora controllate da comitati di
impiegati, con solo il 5% del capitale privato. Le compagnie potevano
vendere solo se il 60% degli introiti erano allocati tra i lavoratori.
Djindjic cambiò rapidamente la legge e la grande svendita poteva
adesso incominciare. Dopo due anni in cui migliaia di imprese a
partecipazione statale furono vendute (molte alle compagnie dei paesi
che presero parte ai bombardamenti della Jugoslavia del 1999), nella
relazione dell'ultimo mese la Banca Mondiale e' stata generosa di
encomi verso il governo-Djindjic ed il suo "coinvolgimento delle
banche internazionali nel processo di privatizzazione".
Ma non erano solo i beni statali che Djindjic aveva l'ordine di
svendere. Anche Milosevic doveva andare, in cambio di 100 milioni di
dollari promessi, anche se effettivamente cio' significava rapirlo, in
contravvenzione alla legge jugoslava, e spedirlo con un jet della RAF
al processo-spettacolo dell'Aia, finanziato dagli USA. Quando un uomo
ha venduto i beni del suo paese, il suo ex-presidente ed i suoi
principali rivali politici, cosa c'è ancora da vendere se non il paese
stesso? E nel gennaio di quest'anno Djindjic ha fatto proprio questo.
Nonostante l'opposizione di molti dei suoi cittadini, il "baluardo
della democrazia" ha seguito la richiesta della "Comunità
Internazionale" e dopo 74 anni il nome della Jugoslavia è scomparso
dalle cartine politiche. L'obbiettivo strategico della sua
sostituzione con una serie di protettorati deboli e divisi era
finalmente stato raggiunto.
A volte però anche i piani eseguiti in modo ineccepibile decadono.
Nonostante gli elogi occidentali, Djindjic verrà rimpianto da pochi in
Serbia. Per la maggior parte dei Serbi egli sarà ricordato come un
traditore che si è arricchito vendendo il proprio paese a coloro che
gli scatenarono contro la guerra, così spietatamente, solo pochi anni
prima. Le riforme di Djindjic più lodate hanno condotto ad un rialzo
dell'inflazione, la disoccupazione è salita oltre il 30%, i salari
reali si sono svalutati di oltre il 20% e oltre i due-terzi dei serbi
ora vivono al di sotto della soglia della povertà.
Non è ancora chiaro chi ha sparato i colpi che hanno ucciso Zoran
Djindjic. Verosimilmente è stata un'operazione di malavita, alla fine
i suoi legami con il crimine organizzato gli si sono ritorti contro.
Ma, sebbene risulti cinico, ci sono molti in Serbia che avrebbero
premuto il grilletto. In una recente visita a Belgrado, fui colpito
non solo dal livello dello stento economico, ma anche dall'odio che
quasi tutti nutrivano verso il loro Primo Ministro, la cui popolarità
era scesa sotto il 10%.
La lezione dalla Serbia, per quelli che cambiano regimi uno dopo
l'altro, è una lezione semplice. Si può provare a soggiogare un popolo
con le sanzioni, le sovversioni e le bombe. Si possono, volendo,
rovesciare governi che non piacciono e cercare di imporre il proprio
volere insediando un Hamid Karzai, un Generale Tommy Franks o uno
Zoran Djindjic, affinchè svolgano il ruolo di "consoli imperiali". Ma
non si creda di poter forzare un popolo umiliato a rendere a questi
omaggio.
(Neil Clark sta scrivendo un libro sulla recente storia della
Yugoslavia).
neil.clark@...
---
(*) "Quisling", dal nome di un proverbiale collaborazionista norvegese
dei nazisti.
Traduzione di Matteo Zamboni, che ringraziamo calorosamente. Revisione
a cura del CNJ.