TESTIMONIANZA

Sabato 29 marzo ero presente a Torino, al corteo contro
l'aggressione anglomericana all'Iraq ed ho assistito alla
brutale aggressione da parte delle "forze dell'ordine" nei
confronti dei manifestanti. Facevo parte dello spezzone
finale, assieme ai compagni dei Cobas, dei centri sociali
e di altri sindacati di base.

Il clima si fa pesante da subito: mentre procediamo
scandendo canzoni e slogan, vediamo carabinieri e
poliziotti a ranghi serrati stringerci ai lati: è un
tunnel di manganelli, scudi, mitragliette puntate contro
il corteo, ad altezza d'uomo. Nei pressi di via Pietro
Micca, i poliziotti con una manovra aggirante si infilano
nel corteo, chiudendo dai quattro lati il nostro spezzone,
isolandolo dal resto dei manifestanti: qui parte la prima
carica, piovono le manganellate.

Viene preso di mira il furgone che diffonde musica, i
compagni addetti agli impianti di amplificazione vengono
imbottigliati all'interno e pestati a sangue;
manganellate piovono anche sugli impianti di trasmissione.

Sia pure a fatica, ripartiamo per ricongiungerci al
corteo. A Porta Palazzo si uniscono alla manifestazione
centinaia di lavoratori immigrati con le loro famiglie:
c'è tutta al comunità palestinese di Torino, numerose sono
le donne e i bambini, alcuni piccolissimi, sul passeggino.

La folla multicolore dei manifestanti riempie corso San
Maurizio: migliaia e migliaia di persone contro la guerra,
il razzismo, il fascismo che torna, arrogante e funesto..
Unica nota stonata il muro di carabinieri e poliziotti che
marciano alle nostre spalle sempre più numerosi e
minacciosi, in assetto antisommossa, seguiti da decine di
furgoni e camionette.

Svoltiamo in via Rossini. Il corteo procede chiuso tra gli
alti muri dei palazzi. A questo punto parte la seconda
carica. Mentre la testa della manifestazione raggiunge
piazza Castello arriviamo in via Po. Il nostro spezzone
procede lentamente; noi con le bandiere dei Cobas siamo
gli ultimi; davanti a noi i giovani di Askatasuna e, in
testa, gli immigrati. A fare ala al corteo sosta la
folla del sabato pomeriggio, gente che passeggia ad
ammirare le vetrine, magari a gustare il primo gelato di
stagione.

Mi volto a controllare: alle nostre spalle il nuvolone di
poliziotti e carabinieri sta avanzando, preceduto dal
gruppetto in borghese della Digos, seguito da auto e
camionette: un inquietante esercito di robot. Quale
contrasto con la malinconia della sera, con le dolci,
tenaci fisionomie di quelle ragazze e di quei giovani nei
quali ritroviamo la parte migliore di noi, l'indignazione
contro l'ingiustizia, la volontà concreta di lottare per
una società senza servi né padroni.

Siamo quasi in piazza Castello quando parte l'ultima
carica, a freddo, di una violenza inaudita: vengono
colpiti indiscriminatamente donne, uomini, bambini,
giovani e anziani, anche passanti, mentre Piazza Castello
è invasa dal fumo dei lacrimogeni; chi cerca di mettersi
in salvo nelle strade vicine è inseguito e pestato;
vengono distrutte a manganellate anche le bancarelle di
alcuni venditori ambulanti.

Cerchiamo di fermare il pestaggio ai danni di un giovane;
egli guidava il furgone che apriva lo spezzone dei
migranti: viene trascinato a terra e colpito con
manganelli e calci da alcuni poliziotti: la testa spaccata
in più punti gronda sangue, il volto è tumefatto;
accorrono anche alcuni passanti scandalizzati da ciò che
vedono; mentre tentiamo di dargli aiuto, il ragazzo
sviene. Qualcuno chiama un'ambulanza che non arriverà mai.
I poliziotti non lo mollano, alla fine lo trascinano via,
non prima di aver spaccato con una gomitata il setto
nasale ad uno dei presenti che protestava.

Dal furgone viene trascinato a terra anche un anziano
immigrato: aveva preso posto sul furgone, perché affetto
da gravi difficoltà di deambulazione; ora è costretto a
stare in piedi, contro una camionetta, in attesa di essere
identificato: si guarda intorno smarrito, umiliato.

Qualche passo più avanti c'è una donna di mezz'età
accompagnata dalla figlia e dai nipoti : anche lei è stata
malmenata dalle "forze dell'ordine" e ora ha un braccio
rotto. Ci riferiscono di alcuni bambini contusi. Un uomo
si aggira angosciato tra la folla: nella confusione della
carica ha perso la piccola figlia e ora la cerca
dappertutto, senza trovarla.

Le cariche continuano nelle strade intorno alla piazza
dove i manifestanti vengono inseguiti con una vera e
propria caccia all'uomo.

Durante i caroselli in piazza, da un furgone dei
carabinieri compare ostentatamente la bandiera americana a
stelle e strisce.

A un certo punto il suono delle sirene lacera l'aria:
arriva velocemente una colonna di blindati con i
cannoncini spara-lacrimogeni sulla torretta: in testa alla
colonna una macchina di grossa cilindrata. I mezzi
sfrecciano verso corso San Maurizio: pensiamo siano
diretti a Porta Palazzo.

Li troviamo infatti in corso Giulio Cesare, nella zona
della Moschea; apprendiamo di cariche nei confronti degli
immigrati arabi. Diamo vita a un piccolo presidio,
assieme agli abitanti del quartiere. Veniamo
immediatamente fronteggiati dalle file serrate dei
poliziotti: Dopo averci mostrato i muscoli per altre due
ore, finalmente i rambo se ne vanno.

Torniamo a casa, giusto in tempo per vedere il
telegiornale, e sentir bollare come facinorosi le vittime
delle violenze poliziesche a cui abbiamo assistito e di
cui saremo irriducibili testimoni.

Apprendiamo anche che in un'altra parte della città i
fascisti di Forza Nuova hanno sfilato impunemente e
indisturbati.

E ci è chiaro più che mai che la guerra e la repressione,
lo sfruttamento e il razzismo, sono le molte facce di
un'unica realtà, quella del dominio capitalistico sul
mondo: un modello a cui dobbiamo opporci qui e ora, con
chiarezza e coerenza, senza se e senza ma.

Bussoleno, 30 marzo 2003

Nicoletta Dosio



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