GELLI: "E' FINITA PROPRIO COME DICEVO IO"


# 1. da La Repubblica online:

intervista a Gelli: "Guardo il Paese, leggo i giornali
e dico: avevo già scritto tutto trent'anni fa"

"Giustizia, tv, ordine pubblico
è finita proprio come dicevo io"

dal nostro inviato CONCITA DE GREGORIO

AREZZO - Son soddisfazioni, arrivare indenni a quell'età e godersi il
copyright. "Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci
della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese,
leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco,
pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore. La giustizia,
la tv, l'ordine pubblico. Ho scritto tutto trent'anni fa". Tutto nel
piano di Rinascita, che preveggenza. Tutto in quelle carte sequestrate
qui a villa Wanda ventidue anni fa: 962 affiliati alla Loggia. C'erano
militari, magistrati, politici, imprenditori, giornalisti. C'era
l'attuale presidente del Consiglio, il suo nuovo braccio destro al
partito Cicchitto: allora erano socialisti.

Chi ha condiviso quel progetto è oggi alla guida del paese. "Se le
radici sono buone la pianta germoglia. Ma questo è un fatto che non ha
più niente a che vedere con me". Niente, certo. Difatti quando parla di
Berlusconi e di Cicchitto, di Fini di Costanzo e di Cossiga lo fa con
la benevolenza lieve che si riserva ai ricordi di una stagione
propizia. Sempre con una frase, però, con una parola che li fissa senza
errore ad un'origine precisa della storia.

Quel che rende Licio Gelli ancora spaventosamente potente è la memoria.
Lo si capisce dopo la prima mezz'ora di conversazione, atterrisce dopo
due. Il Venerabile maestro della Loggia Propaganda 2 è in grado di
ricordare l'indirizzo completo di numero civico della prima casa romana
di Giorgio Almirante, l'abito che indossava la sua prima moglie quel
giorno che gli fece visita a Natale, i nomi dei tre figli di Attilio
Piccioni e da lì ricostruire nel dettaglio il caso Montesi che vide
coinvolto uno dei tre, ricorda il numero di conto corrente su cui fece
quel certo bonifico un giorno di sessant'anni fa, la targa della
camionetta di quando era ufficiale di collegamento col
comando nazista, quante volte esattamente ha incontrato Silvio
Berlusconi e in che anni in che mesi in che giorni, come si chiamava il
segretario di Giovanni Leone a cui consegnò la cartella coi 58 punti
del piano R, che macchina guidava, se a Roma c'era il sole quella
mattina e chi incontrò prima di arrivare a destinazione, che cosa gli
disse, cosa quello rispose.

Questo di ogni giorno dei suoi 84 anni di vita, attualmente archiviata
in 33 faldoni al primo piano di villa Wanda, dietro a una porta
invisibile a scomparsa. "Ogni sera, sempre, ho scritto un appunto del
giorno. Per il momento per fortuna non mi servono, perché ricordo
tutto. Però sono tranquillo, gli appunti sono lì".

Il potere della memoria, ecco. Il resto è coreografia: il parco della
villa che sembra il giardino di Bomarzo, con le statue le fontane i
mostri, la villa in fondo a un sentiero di ghiaia dietro a un convento,
le stanze con le pareti foderate di seta, i soffitti bassi di legno
scuro, elefanti di porcellana che reggono i telefoni rossi, divani di
cuoio da due da tre da sette posti, di velluto blu, di raso rosa, a
elle e a emiciclo, icone russe, madonne italiane, guerrieri d'argento,
pupi, porcellane danesi, un vittoriano buio con le imposte chiuse al
sole di settembre, scale, studi, studioli, sale d'attesa coi vassoi
d'argento pieni di caramelle al limone. Ma lei vive qui da solo?. "Sì
certo solo". E questi rumori, le ombre dietro le porte di vetro
colorato? "La servitù".

Commendatore, gli sussurra una segretaria pallida porgendogli un
biglietto: una visita. "Mi scusi, mi consente di assentarmi un attimo?
E' un vecchio amico".

Gelli è in piena attività. Riceve in tre uffici: a Pistoia, a
Montecatini, a Roma. Oltre che in villa, naturalmente, ma fino ad
Arezzo si spingono gli intimi. Dedica ad ogni città un giorno della
settimana. A Pistoia il venerdì, di solito. A Roma viene il mercoledì,
e scende ancora all'Excelsior. Le liste d'attesa per incontrarlo sono
di circa dodici giorni, ma dipende. Per alcuni il rito è abbreviato.
Al telefono coi suoi segretari si è pregati di chiamarlo "lo zio": "La
regola numero uno è non fare mai nomi ? insiste l'ultimo di una serie
di intermediari ? Lei non dica niente, né chi la manda né perché. La
richiameranno. Quando poi lo incontra vedrà: è una persona squisita.
Solo: non gli parli di politica". Di poesia, vorrebbe si parlasse:
perché Licio Gelli da quando ha ufficialmente smesso di lavorare alla
trasformazione dell'Italia in un Paese "ordinato secondo i criteri del
merito e della gerarchia", come lui dice, "per l'esclusivo bene del
popolo" ha preso a scrivere libri di poesia, ovviamente premiati di
norma con coppe e medaglie, gli "amici" nel '96 lo hanno anche
candidato al Nobel.

"Vorrei scivolare dolcemente nell'oblio. Vedo che il mio nome compare
anche nelle parole crociate, e ne soffro. Vorrei che di me come
Venerabile maestro non si parlasse più. Siamo stati sottoposti a un
massacro. Pensi a Carmelo Spagnolo, procuratore generale di Roma, pensi
a Stammati che tentò di uccidersi. E' stata una gogna in confronto alla
quale le conseguenze di Mani Pulite sono una sciocchezza. In fondo Mani
pulite è stata solo una faccenda di corna.
Lei crede che la corruzione sia scomparsa? Non vede che è ovunque,
peggio di prima? Prima si prendeva facciamo il 3 per cento, ora il 10.
Io non ho mai fatto niente di illegale né di illecito. Sono stato
assolto da tutto. Le mie mani, eccole, sono nette di oro e di sangue".

Assolto da tutto non è vero, dev'essere per questo che lo ripete tre
volte e s'indurisce. Indossa un abito principe di Galles, cravatta di
seta, catena d'oro al taschino, occhiali con montatura leggerissima,
all'anulare la fede e un grosso anello con stemma. Questo avrebbe detto
dunque a Montecatini, a quel convegno a cui l'hanno invitata e poi non
è andato? Dicono che Andreotti l'abbia chiamata per dissuaderla. "E'
una sciocchezza. Andreotti non è uomo da fare un gesto simile. Si vede
che lei non lo conosce".

Senz'altro lei lo conosce meglio. "Se Andreotti fosse un'azione
avrebbe sul mercato mondiale centinaia di compratori. E' un uomo di
grandissimo valore politico". Come molti della sua generazione.
"Molti, non tutti. Cossiga certamente. Non Forlani, non aveva spina
dorsale. Naturalmente Almirante, eravamo molto amici, siamo stati nella
Repubblica sociale insieme. L'ho finanziato due volte: la seconda per
Fini. Prometteva molto, Fini. Da un paio d'anni si è come appannato".
Forse un po' schiacciato dalla personalità di Berlusconi.
"Può darsi. Berlusconi è un uomo fuori dal comune. Ricordo bene che già
allora, ai tempi dei nostri primi incontri, aveva questa
caratteristica: sapeva realizzare i suoi progetti. Un uomo del fare.
Di questo c'è bisogno in Italia: non di parole, di azioni".

Vi sentite ancora? "Che domanda impertinente. Piuttosto. L'editore
Dino, lo conosce?, ha appena ripubblicato il mio primo libro: Fuoco!
E' stata la mia opera più sofferta, anche perché ha coinciso con la
morte di mio fratello nella nostra guerra di Spagna. E' un edizione
pregiata a tiratura limitata, porta in copertina il mio bassorilievo in
argento. Ci sono due altri solo autori in questo catalogo: il Santo
padre, e Silvio Berlusconi". Anche Berlusconi col bassorilievo
d'argento? "Certo, guardi". Il titolo dell'opera è "Cultura e valori di
una società globalizzata". Pensa che Berlusconi abbia saputo scegliere
con accortezza i suoi collaboratori? "Credo che in questa ultima fase
si senta assediato. E' circondato da persone che pensano al "dopo". Non
si fida, e fa bene.

E' stato giusto bonificare il partito, affidarlo a un uomo come
Cicchitto. Cicchitto lo conosco bene: è bravo, preparato". Il
coordinatore sarebbe Bondi in realtà. "Sì, d'accordo. Credo che anche
Bondi sia preparato. E' uno che viene dalla disciplina di partito".
Comunista. "Non importa. Quello che conta è la disciplina e il
rispetto della gerarchia". Ha visto il progetto di riordino del
sistema televisivo? "Sì, buono". E la riforma della giustizia? "Ho
sentito che quel Cordova ha detto: ma questo è il piano di Gelli. E
dunque?

L'avevo messo per scritto trent'anni fa cosa fosse necessario fare.
Leone mi chiese un parere, gli mandai uno schema in 58 punti per il
tramite del suo segretario Valentino. Pensa che chi voglia assaltare il
comando consegni il piano al generale nemico, o al ministro
dell'Interno? Ma comunque non è di questo che vogliamo parlare, no?
Vuole anche lei avere i materiali per scrivere una mia biografia?
Arriva tardi: ho già completato il lavoro con uno scrittore di gran
fama". Su una poltrona è appoggiato l'ultimo libro di Roberto Gervaso.
La scrive con Gervaso? "Ma no, ci vuole una persona estranea ai fatti.
Se vuole le mostro lo scaffale con le opere che mi riguardano, le ho
catalogate: sono 344". Certo: il burattinaio è un soggetto
affascinante. "Andò così: venne Costanzo a intervistarmi per il
Corriere della sera. Dopo due ore di conversazione mi chiese: lei cosa
voleva fare da piccolo. E io: il burattinaio. Meglio fare il
burattinaio che il burattino, non le pare?".

Sembra che ce ne siano diversi di burattinai in giro ultimamente. "Il
burattinaio è sempre uno, non ce ne possono essere diversi". E adesso
chi è? "Adesso? Questa è una classe politica molto modesta, mediocre.
Sono tutti ricattabili". Tutti? Mettiamo: Bossi. "Bossi si è creato la
sua fortezza con la Padania, ha portato 80 parlamentari è stato bravo.
Ma aveva molti debiti... Per risollevare il Paese servono soldi, non
proclami. Ho sentito che Berlusconi ha invitato gli americani a
investire in Italia: ha fatto bene, se qualcuno abbocca?

Ma la situazione è molto seria. L'economia va malissimo, l'Europa è
stata una sventura. Non abolire le barriere, bisognava: moltiplicarle.
Fare la spesa è diventato un problema, il popolo è scontento. Serve un
progetto preciso". Per la Rinascita del Paese. "Certo". C'è il suo:
certo forse i 900 affiliati alla P2 erano pochi. "Ma cosa dice,
novecento persone sono anche troppe. Ne bastano molte meno". Allora
quelle che ci sono ancora bastano, tolti i pentiti. "Nessuno si è
pentito. Pentiti? A chi si riferisce? Costanzo, forse. L'unico. Con
tutto quello che ho fatto per lui. Guardi: io non devo niente a nessuno
ma tutti quelli che ho incontrato devono qualcosa a me. Ci sono dei
ribelli a cui ho salvato la vita, ancora oggi quando mi incontrano mi
abbracciano". Ribelli? "Sì, i ribelli che stavano sulle montagne, in
tempo di guerra. Io ero ufficiale di collegamento fra il
comando tedesco e quello italiano. Ne ho salvati tanti". Intende
partigiani. "Li chiami come crede. Eravamo su fronti opposti, ma quando
sei di fronte ad un amico non c'è divisa che conti.

L'amicizia, la fedeltà ad un amico viene prima di ogni cosa".
L'amicizia, sì. La rete. Cossiga l'ha citata giorni fa, in
un'intervista. Ha detto: chiedete a Gelli cosa pensava di Moro. "Da
Moro andai a portare le credenziali quando ero console per un paese
sudamericano. Mi disse: lei viene in nome di una dittatura, l'Italia è
una democrazia. Mi spiegò che la democrazia è come un piatto di
fagioli: per cucinarli bisogna avere molta pazienza, disse, e io gli
risposi ?stia attento che i suoi fagioli non restino senz'acqua,
ministro'". Anche in questo caso tragicamente profetico, per così dire.
Lei cosa avrebbe fatto, potendo, per salvare Moro? "Non avrei fatto
niente. Era stato fascista in gioventù, come Fanfani del resto, ma poi
era diventato troppo diverso da noi. Lei ha visto il film sul delitto
Moro?" Quello di Bellocchio? "No, l'altro. Quello tratto dal libro di
Flamigni.

Ma le pare che si possa immaginare un agente dei servizi segreti che
con un impermeabile bianco va a controllare sulla scena del delitto se
è tutto andato secondo i piani?". Gli agenti dei servizi sono più
prudenti? "Lei conosce Cossiga? Proprio una bravissima persona. E poi
un uomo così colto, uno capace di conversare in tedesco. Un uomo puro,
un animo limpido. Dopo la morte di mia moglie mi mandò un biglietto:
"Ti sono vicino nel tuo primo Natale senza di lei", capisce che
pensiero? Vorrebbe farmi una cortesia? Se lo incontra, vuole porgergli
i miei ricordi, e i miei saluti?".

(28 settembre 2003)


# 2. da l'Unità online, 29.09.2003

Sotto il cappuccio, il governo Berlusconi

di Natalia Lombardo

Gongola il Venerabile, nel vedere che il suo Piano di Rinascita scritto
nel '75 si sta realizzando grazie al governo Berlusconi, che della
Loggia P2 fu uno dei 962 iscritti. «La giustizia, la tv l'ordine
pubblico, avevo scritto tutto trent'anni fa», si compiace il Gran
Maestro massone, che quasi quasi ne vorrebbe anche i «diritti
d'autore»: «Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che
tutto si realizza pezzo a pezzo». Che la mappa delle riforme varate
oggi dal governo, sulla Giustizia e sull'indebolimento della Rai per
favorire i privati, sulla gestione repressiva dell'ordine pubblico
(vedi Genova), fosse ricalcata dalle carte di Gelli lo denunciò già
l'Unità il 23 novembre 2001: «Stanno realizzando il piano della Loggia
P2», titolava il nostro quotidiano. Così il «catenaccio»: «Le carte di
Gelli prevedevano: giudici sotto tutela, scuole ai privati, sindacati
esclusi, controlli in poche mani di affari e informazione».

Ieri sulla «Repubblica» un lungo colloquio con il Venerabile nella sua
magione aretina conferma quanto sostenuto da l'Unità. Il piano di
«Rinascita democratica» (si fa per dire), prevedeva la limitazione
dell'autonomia del Csm (ora Castelli va oltre, con il divieto per i
magistrati di esprimere la propria opinione); la responsabilità del
magistrato, la separazione delle carriere tra giudici e pm; la
sottomissione del pm all'esecutivo. Identica l'ispirazione: Gelli
voleva ricondurre la Giustizia «alla sua tradizionale funzione di
equilibrio della società e non già di eversione» (allora si indagava
sulle Stragi di Stato); per Berlusconi i magistrati sono sovversivi se
non «pazzi».

Ma anche sull'informazione la Legge Gasparri, che da mercoledì si vota
alla Camera a tempi contratti, sembra fotocopiata dal Venerabile piano:
stampa e settimanali sotto il controllo di gruppi di giornalisti fidati
attraverso operazioni editoriali, la cancellazione della Rai per
favorire le concentrazioni private in nome della libertà di antenna.
Pochi anni dopo l'impero mediatico berlusconiano prendeva corpo.
Ancora, la P2 prevedeva la scissione dei sindacati («Fatto», recitava
lo slogan di Fi nel '94), l'abolizione dello sciopero e mano libera
alla polizia contro «teppisti ordinari e pseudo politici». Gelli
immaginava inoltre due schieramenti politici e l'acquisto della Dc per
10 miliardi.

Il Maestro di lobby si sentiva il Gran Burattinaio, ora lamenta la
mancanza di eredi: «Oggi c'è una classe politica modesta, mediocre,
sono tutti ricattabili». Fra questi ci mette Bossi: «Ha portato ottanta
parlamentari, è stato bravo. Ma aveva molti debiti... Per risollevare
il Paese servono soldi, non proclami». E qualcuno deve aver aiutato il
Senatur, del quale Gelli sembra condividere l'idea di rimettere i dazi
e l'odio per l'Europa («una sventura»). È scettico, invece, sugli
inviti di Berlusconi agli americani: venite a investire in Italia...
«Ha fatto bene, se qualcuno abbocca...».

Nella striscia rossa de l'Unità, nel 2001, la frase di Gelli appare
oggi come una profezia: «Se le circostanze permettono di contare
sull'ascesa al governo di un gruppo in sintonia con lo spirito dei club
e con le sue idee, allora è chiaro che si può attuare subito il
programma di emergenza». Parole tratte dal Piano sequestrato dalla GdF
nell'81, scoperto nel doppiofondo della valigia della figlia Maria
Grazia. Fu scritto nel 1974-'75 per bloccare l'ascesa del Pci di Enrico
Berlinguer (quasi al 30%) e la sua idea del compromesso storico portata
avanti da Aldo Moro («servirebbe anche oggi», pensa Andreotti).

Nel «club», la Loggia Propaganda 2, erano affiliati impreditori,
politici, militari, giornalisti (Costanzo l'unico «pentito»). L'attuale
premier aveva la tessera n. 625; Fabrizio Cicchitto, allora giovane
socialista lombardiano, la numero 945. A lui ora Berlusconi ha affidato
le redini di FI, come vice di Bondi.


# 3. da "La Repubblica", 30/09/2003

"Ha vinto Gelli, l'uomo del ricatto la nostra battaglia è stata inutile"

Tina Anselmi: su Rai e riforme hanno attuato il piano della P2

CONCITA DE GREGORIO

ROMA - «Gelli ha una scatola nera per ciascuno di quelli con cui è
entrato in relazione. Ha sempre lavorato così: sul ricatto. Anche
adesso: dice, non dice, manda a dire. Sono messaggi obliqui che
arrivano a chi devono arrivare. In un punto sono d'accordo con lui:
nessuno degli affiliati alla P2 si è pentito. Sono ancora tutti lì, uno
è diventato presidente del Consiglio».
In questo momento è in tv che parla di pensioni a reti Rai unificate.
«La Rai ormai è ridotta a questo: un megafono del governo. Diceva il
piano di Rinascita di Gelli: "Dissolvere la Rai -tv in nome della
libertà di antenna, impiantare tv via cavo a catena in modo da
controllare la pubblica oPinione media nel vivo del paese” . Non è
forse quello che è successo?».

Tina Anselmi, staffetta partigiana della Resistenza, parlamentare dc
dalla quinta alla decima legislatura, tre volte ministro, ha dedicato
cinque anni della sua vita ad indagare su Licio Gelli e sulla Loggia
massonica P2.

«La commissione d'inchiesta ci ha impegnati a tempo pieno dal 1981 al
1985. Quando dico tempo pieno intendo che non abbiamo praticamente
fatto altro giorno e notte. Non di rado mi congedavo dai commissari
alle due del mattino per ritrovarli lì sui banchi poche ore dopo. E'
anche per questo che quando leggo le parole di Gelli su Repubblica,
oggi, mi assale lo sconforto».

Sconforto per il tempo dedicato ad una battaglia persa?

«inutile, direi. Tanto lavoro d'indagine, tanti buoni risultati, ne
emergeva una trama cosi chiara: eppure non gli è stato dato alcun
seguito. Il parlamento aveva avuto mandato di togliere il segreto alla
massoneria: rendere visibile un'attività svolta nella segretezza. Non
lo ha mai fatto: non ha mai scritto le leggi di applicazione del
principio costituzionale che non ammette società segrete. Ci sarebbe
ancora tanto lavoro da fare, ma dubito che oggi lo si faccia».

Perché dubita?

«Ma se non è stato fatto finora, si figuri se lo faranno un governo e
una maggioranza parlamentare costellate di ex affiliati alla loggia.
Purtroppo Gelli ha ragione a vantare i diritti d'autore sulle riforme.
Si ricorda cosa diceva il piano di Rinascita?»

In quale punto?

«Quando parla dei tempi delle riforme. Diceva: "Qualora le circostanze
permettessero di contare sull'ascesa al Governo di un uomo politico (o
di una equipe) già in sintonia con lo spirito del club e con le sue
idee di “ripresa democratica”, è chiaro che i tempi dei procedimenti
riceverebbero una forte accelerazione". Difatti hanno avuto
un'accelerazione fortissima».

Che ricordi ha dei politici iscritti alla P2 sentiti in commissione?

«Molto precisi. Li sentimmo tutti, ovviamente. Berlusconi no, allora
era un semplice imprenditore. Però leggo che oggi ha affidato il suo
partito a Cicchitto: lui fu sentito. Ricordo che ebbe anche un diverbio
con Bozzi, il liberale Bozzi».

A che proposito?

«Cicchitto disse di essersi affiliato alla P2 perché attraversava una
fase politica e personale molto delicata. Disse che si sentiva
sommamente insicuro, che aveva qualcuno che lo seguiva come un'ombra.
Raccontò di aver parlato del suo disagio con alcuni compagni di partito
che gli suggerirono questo: "Se vuoi liberarti di quell'incubo
persecutorio vai da Gelli". Così fece. Racconta che Gelli gli
raccomandò di stare tranquillo, che lo avrebbe liberato da quella
persona. Infatti, disse Cicchitto, se ne liberò».

E il diverbio?

"Bozzi si spazientì molto. Gli chiese: ma scusi, lei è un parlamentare,
un alto dirigente del suo partito: è possibile che se percepisce un
pericolo anziché rivolgersi alle autorità, nelle sedi istituzionali,
vada da Gelli? Cicchitto rispose: io ero convinto, in quel periodo, che
la politica fosse in mano ai banditi. Disse proprio cosi: 'banditi'.
Bozzi la trovò una spiegazione inaccettabile».

Quale crede che fosse il reale obiettivo del Piano di Rinascita?

«Gelli e i suoi affiliati volevano controllare il potere e chi lo
gestiva».

Il Venerabile della P2 ripete dl essere stato assolto dalle accuse.

«Bisogna guardare bene i capi d'accusa, e di conseguenza le assoluzioni
da quelle accuse. Non è stata approfondita la materia, in sede
d'inchiesta. Noi d'altra parte non eravamo una commissione giudicante».

Lei crede che la P2 abbia costituito un reale pericolo per la
democrazia?

«Lo credevo e lo credo. Non penso affatto che il pericolo sia cessato.
Gli esponenti della P2 sono, per stessa ammissione di Gelli, molti più
di quei mille nomi scarsi che furono trovati negli elenchi sequestrati
ad Arezzo e a Castiglion Fibocchi. Molte di queste persone sono
insediate in tavoli chiave dello Stato. Hanno fatto carriere brillanti
e continuano a farne. Dopo vent'anni sono ancora tutti lì».

Antidoti?

«Bisognerebbe che reagisse la parte sana dello Stato, che l'organismo
democratico desse un segnale di vitalità. Bisognerebbe. Io non perdo la
fiducia».