[Diffondiamo questo articolo, del quale non conosciamo gli autori, in
quanto contiene molte informazioni utili, benche' certi toni e luoghi
comuni (su "regimi", "satrapi" e "cannibali") ci trovino in completo
disaccordo. CNJ]

http://www.clorofilla.it/articolo.asp?articolo=3359

Lo storico leader e presidente bosniaco, si è spento domenica
pomeriggio a Sarajevo a settantotto anni, dopo un mese di terapia
intensiva. Lottava da tempo con una grave insufficienza cardiaca, la
stessa che lo aveva costretto a dimettersi dalla presidenza della
martoriata repubblica nel 2000 ed affrontare complicati operazioni
chirurgiche in Arabia Saudita ed in Slovenia

E' morto Izetbegovic, signore della guerra legato all'Iran e a Bin Laden

di red

Alija Izetbegovic, lo storico leader e presidente bosniaco,  si è
spento domenica pomeriggio a Sarajevo a settantotto anni, dopo un mese
di terapia intensiva [http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/3123984.stm%5d.
Lottava da tempo con una grave insufficienza cardiaca, la stessa che lo
aveva costretto a dimettersi dalla presidenza della martoriata
repubblica nel 2000 ed affrontare complicate operazioni chirurgiche in
Arabia Saudita ed in Slovenia. Il grande fondatore della piccola
Bosnia, come amava definirlo Oslobodjenje
[http://www.oslobodjenje.com.ba/%5d, lascia la moglie Halida e tre figli,
ma soprattutto abbandona alle sue spalle una scomoda eredità di
interrogativi irrisolti in merito al suo ruolo di signore della guerra
nei sanguinosi conflitti balcanici di fine secolo.

La biografia ufficiale vuole che Alija Izetbegovic fosse nato a
Bosanski Samac l’8 agosto del 1925, divenuto in giovanissima età
cittadino adottivo di Sarajevo, quindi laureato in giurisprudenza e
profondo conoscitore dell’Islam.

I bosniaci musulmani coniarono per lui l’affettuoso appellativo di
“Dedo”, il nonno, e l’Occidente identificò in lui l’interlocutore
moderato con cui dialogare nei terribili giorni del macello jugoslavo.
La stampa mondiale costruì a tavolino l’immagine di un presidente
tollerante e mansueto, un moderno musulmano, un riluttante guerriero
poco incline alla guerra: la verità è che sul passato di Izetbegovic si
stendono lunghe ombre sinistre.

Appena sedicenne, nel 1940, Alija si unì ai Giovani Islamici di
Sarajevo, un'organizzazione che predicava l'unità degli stati musulmani
nel mondo ed aveva come obiettivo dichiarato la creazione di una lega
islamica mondiale. Sebbene i Giovani Islamici di Bosnia non avessero
spiccate inclinazioni naziste, molti appartenenti all’organizzazione in
quegli anni collaborarono attivamente con lo stato ustascia croato
macchiandosi di crimini che il trionfante regime titino non avrebbe
facilmente amnistiato: allo stesso Izetbegovic nel 1946 fu inflitta una
condanna a tre anni di carcere per "incitamento all'odio etnico".

Nel 1949, una serie di rivolte popolari fomentate dai Giovani Islamici
di Bosnia costrinsero il governo jugoslavo al pugno di ferro, e ai
principali fautori delle sommosse toccò la pena capitale.

Da quel momento, il movimento filoislamico in Bosnia scivolò in una
resistente clandestinità, nella quale Izetbegovic si ritagliò il ruolo
di guida spirituale e di maitre à penser.

Il suo percorso di ricercatore e promulgatore islamico raggiunse
l’apice nel 1970, quando diede alle stampe la sua “Dichiarazione
Islamica”
[http://www.islambosna.com/stranica.php?view_id=647&kategorija=5]
destinata a divenire, vent’anni più tardi, il manifesto della
secessione bosniaca. Nel pamphlet, somigliante agli abituali inviti
alla guerra santa ed all’orgoglio musulmano che circolano nei paesi
islamici, ma unico nel suo genere in un paese socialista e laico come
la ex-Jugoslavia, Izetbegovic auspicava una rinascita dei costumi
religiosi e morali maomettani, ed esortava all'unità su scala
internazionale degli stati islamici "dal Marocco all'Indonesia" nel
nome di un panislamismo necessario alla sopravvivenza della fede in
Allah, ed alla realizzazione degli obiettivi che non escludesse affatto
il ricorso "alla lotta armata, in particolar modo in quei paesi in cui
i musulmani fossero in maggioranza numerica o in grado di sovvertire
l'ordine costituito e di istituire un nuovo potere islamico".

Lungi dall'essere una pubblicazione equilibrata per toni e contenuti, e
davvero poco menzionata dallo stuolo di diplomatici europei che negli
anni '90 vollero (far) vedere in Izetbegovic un personaggio
tranquillizzante e con una credibilità democratica spendibile in sede
di contrattazioni e negoziati, la “Dichiarazione Islamica” racchiudeva
chiarissimi indizi di intolleranza religiosa e politica, le avvisaglie
del pericolo che una società forzatamente multietnica quale la Bosnia
correva: "non c'è possibile pace né coesistenza pacifica fra i seguaci
dell'Islam e le istituzioni non islamiche, siano esse di stampo
capitalista o marxista", scriveva Izetbegovic.

Opinioni ribadite nel suo successivo “L’Islam fra l’Occidente e
l’Oriente” [http://www.angelfire.com/dc/mbooks/izetbegovicbook.html%5d,
pubblicato nel 1984 in Turchia e negli Stati Uniti, in cui il futuro
presidente dell’SDA sviluppò la sua visione di una “superiorità
islamica sulle altre religioni, filosofie ed ideologie”: a causa di
tanto e tale fervore maomettano, Izetbegovic venne nuovamente arrestato
nel 1983 per "attività sovversive volte a minare la sicurezza dello
stato", e condannato a quattordici anni di carcere.

In realtà, il crollo dell’ormai agonizzante socialismo jugoslavo gli
permise di uscire di prigione dopo soli sei anni di reclusione, e nel
1990 -alla vigilia dello smembramento della confederazione voluta da
Tito- il "saggio" Izetbegovic fu la risposta patriottarda bosniaca ai
nuovi bellicosi capipopolo esaltati (ed eletti) nelle altre repubbliche.

La “Dichiarazione Islamica” venne ripubblicata: a dimostrazione che il
suo audace autore non aveva affatto cambiato opinione nel ventennio
trascorso. Agli estremismi serbo-ortodossi che inneggiavano alla
guerriglia di liberazione dai nemici del popolo slavo, ed ai fanatismi
croato-cattolici che magnificavano una ricostruzione dello stato
nazista di Ante Pavelic [http://www.pavelicpapers.com/index.html%5d,
all’inizio degli anni ‘90 si contrapposero i pruriti fondamentalisti
dei musulmani di Bosnia capitanati dal buon vecchio Izetbegovic.

L’Occidente però, più interessato a rinforzare un movimento d’opinione
antiserba ed a sottrarre alla vista del pubblico i suoi ininterrotti
traffici illeciti di armi e finanze da e per i Balcani che a
scoperchiare il terribile vaso di Pandora jugoslavo, non volle
riconoscere la triade dei signori della guerra al completo, e permise
di fatto ad Alija Izetbegovic di condurre i suoi mujaheddins
[http://public.srce.hr/zatocenici/jihad.htm%5d in trincea senza
accorgersi che la creazione di uno stato islamico nel cuore dell’Europa
avrebbe rappresentato un problema di non facile risoluzione a conflitto
archiviato.

Cosa accadde a Sarajevo a cavallo fra gli anni ottanta e novanta e
quali furono i legami di Izetbegovic e del suo SDA con gli ayatollah
iraniani
[http://www.balkan-archive.org.yu/politics/papers/civil_war/
iran_springboard.html] prodighi di finanziamenti è divenuto oggetto di
inchiesta nel recente presente, quando il maligno Osama Bin Laden è
servito agli occidentali per simbolizzare la figura del male che
giustificasse le guerre americane preventive e perpetue.

In realtà, lo spettro di Osama,  affiancato ad altri minacciosi mullah
e biechi fiancheggiatori della Jihad, emerge prepotente nella biografia
del defunto Izetbegovic, che garantì personalmente allo sceicco un
passaporto diplomatico [http://www.balkanpeace.org/wtb/wtb11.html%5d
rilasciato dall’ambasciata bosniaca a Vienna nel 1993, con il
beneplacito dei governanti dell’ovest.
La notizie venne battuta da France Press il 24 settembre del ‘99.
Richard Holbrooke, nel suo “To end a war”
[http://www.spectator.co.uk/
article.php3?table=old§ion=current&issue=2003-09-
13&id=3499&searchText=], lo chiamava “il patto con il diavolo”: quel
patto che portò gli occidentali ad armare i talebani in Afghanistan ed
in seguito li fece guardare di buon occhio la Bosnia ipocritamente
liberale di Izetbegovic. Le indagini, condotte su più fronti,
rimbalzate sulle maggiori testate giornalistiche internazionali, dal
bosniaco Dani [http://www.bhdani.com/arhiva/69/sadrzaj.shtml%5d alla Bbc
[http://news.bbc.co.uk/1/hi/world/europe/840241.stm%5d, dal Washington
Post [http://www.balkanpeace.org/wtb/wtb12.shtml%5d al rapporto Ceer
Wiebes [http://www.guardian.co.uk/yugo/article/0,2763,688327,00.html%5d,
presentano piuttosto una Bosnia impelagata in turpi movimenti d’affari
con il medioriente: un mostro bifronte che esibiva di sé solo il lato
‘bisognoso d’aiuti umanitari’, in cui il nonno Izetbegovic, mitizzato
come padre della patria e dell’indipendenza, accolse ed organizzò i
combattenti islamici [http://www.balkanpeace.org/temp/tmp13.html%5d
provenienti da mezzo mondo per farne la Settima Brigata di Zenica
[http://www.cdsp.neu.edu/info/students/marko/reporter/reporter143.html%5d.
E a Zenica, nel cuore di un paese ancor oggi incapace di sviluppo
sociale e sempre più asfissiato dall’idea islamica contrapposta alla
modernità infedele, i mujaheddin di nonno Alija sono rimasti
[http://www.analisidifesa.it/numero20/com-D-bosnia.htm%5d, accasandosi
grazie ai documenti largamente elargiti dall’SDA, ed adoprando Sarajevo
e dintorni come testa di ponte per dar modo al terrorismo di matrice
islamica di spingersi in Europa e nei Balcani con facilità.

I mujaheddins di Alija Izetbegovic li ritroveremo, difatti, nel Kosovo
[http://www.kosovo.com/erpkim01oct03.html%5d dell’Uck sovvenzionato ed
ammaestrato dalla Cia per giustificare la “guerra umanitaria” del ‘99,
e nei ripetuti assalti terroristici nella valle di Presevo
[http://news.bbc.co.uk/1/hi/world/europe/1348542.stm%5d ed in Macedonia,
infine riciclati sotto la bandiera dell’Aksh/Ana, il “movimento di
liberazione per la Grande Albania”.

La morte di Alija Izetbegovic porta con sé buona parte delle speranze
che nutriamo di conoscere la verità sul conflitto più sanguinoso
dell’Europa del dopo-Auschwitz. Della triade dei signori della guerra
civile jugoslava, l'unico a pagare il conto di crimini e misfatti alla
fine sarà Slobodan Milosevic, il grande capro espiatorio fra gli
imputati dell’Aja, dove né Tudjman né Izetbegovic siederanno mai
accanto al loro “compare” per raccontare ai giudici l’altra faccia
della medaglia, ossia gli sporchi combini che costarono alla
ex-Jugoslavia decine di migliaia di morti di tutte le etnie, da
Srebrenica venduta alle bombe morali su Belgrado. Franjo Tudjman, il
“supremo” della Croazia, è deceduto per primo nel dicembre ’99,
glorificato da solenni funerali a Zagrabria
[http://www.wgoddard.com/Tudjframe.html%5d, prima che i fantasmi delle
nefandezze belliche perpetrate per conquistare il potere lo
raggiungessero, e non pagherà per i trecentomila serbi ripuliti dalle
Krajine, né per aver ricostruito nel cuore della mitteleuropa uno stato
fascista, né per le violenze ben poco cristiane a danno dei musulmani
di Mostar e dintorni.

Per secondo e penultimo, domenica pomeriggio, si è spento anche il
lider maximo bosniaco, Alija Izetbegovic il musulmano: l’uomo che
spalancò le porte di Sarajevo al terrorismo islamico diretto nel
vecchio continente, e che certamente nei prossimi giorni verrà
rammentato con orazioni in sua lode e corone di fiori. Resta all’Aja il
grigio satrapo Milosevic, incaricato ormai di saldare da solo il conto
del banchetto cannibale.

I suoi commensali, anime belle occidentali incluse, che delle guerre
jugoslave furono fiancheggiatori e corresponsabili, saranno tutti a
Sarajevo questa settimana a rendere omaggio alla salma del buon nonno
devoto ad Allah, ed a fingere che sia venuto a mancare un paladino
dell’indescrivibile tolleranza balcanica.

a cura di Exju.org

(lunedì 20 ottobre 2003)