Un libro da buttare nel secchio della spazzatura:
“L’unificazione impossibile”
di Alessandro Vitale
Alfredo Guida editore, 2000, 7.75€
Riportiamo di seguito la recensione di Babsi Jones,
dal sito http://www.exju.org/ :
[ex-libris] tutta colpa del principe lazar e del centralismo democratico
ho nel folder “arretrati” un po’ di recensioni che non si meritano più
di mezza paginetta ciascuna, sicché mi lancio, ne posto una e me le
levo di torno. li liquido così, questi libri accatastati nel corso del
2003, nei prossimi giorni, a mo’ di rubrica. vado con la prima.
“l’unificazione impossibile” di alessandro vitale (alfredo guida
editore, 2000, 7.75€) l’ho letto districandomi fra la grande misura di
note, quasi tutte inservibili, alcune francamente ai limiti
dell’autoreferenziale, che sono seminate fra i paragrafi e non
germogliano in niente d’interessante. quelle riservate agli studi che
l’autore stesso ha dedicato alla civiltà slava-ortodossa sembrano
appelli alla sua autorità accademica in mancanza di meglio. più note
che saggio, e dire che il saggio è breve: 94 pagine compresa
introduzione. il sottotitolo ammonitore è “una lettura diversa del
collasso jugoslavo”, e quell’aggettivo si becca pure il diritto ad un
corsivo. in effetti, le teorie di vitale – che vertono più sul kosovo
che sull’intera questione jugoslava - giocano a rimpiattino fra la
logica antiserba sofriana e quella interventista diessina e alcune
soffuse allucinazioni post-leghiste (va detto che il saggista,
ricercatore alla statale di milano, è un accolito del defunto miglio),
e questa inoculazione qualcosa di diverso potrebbe anche produrlo.
potrebbe, ma non lo fa. se riuscite a superare indenni la scelta di
trascrivere i nomi slavi con la tristemente diffusa grafia che io
chiamo “dello sfracello grafico” (miloshevich, nachertanje, garashanin:
perché tanto odio fonetico?), vi imbatterete nell’analisi di vitale che
è tesa a spiegarci ancora una volta come la condotta dei serbi, “entità
clanica che ha sempre vissuto fra difensivismo irredentista ed
espansionismo autoritario” (sic) sia l’unica responsabile del collasso
jugoslavo (sebbene l’autore si affretti a negare “la pretesa di offrire
un’interpretazione monocausale”, che è quello che de facto riesce a
fare con orgogliosa convinzione). si comincia con il comune refrain di
terra-e-sangue, stavolta impreziosito da alcune osservazioni in merito
all’eredità filosofica bizantina, che sono l’unico spunto discretamente
acuto del libretto, almeno per l’originalità: non saprei dire su due
piedi se è proprio la politeìa celeste il nocciolo della questione
serba, ma almeno l’inciso analitico che offre vitale da pagina 33 a
pagina 38 non sembra scopiazzato a destra e a manca dai dodicimila
saggi antiserbi che sono stati stampati dal ‘91 ad oggi da tutte le
case editrici da andorra allo zaire. tutto il resto è condensabile in
una parafrasi adatta ad un bambino di sei anni: c’erano una volta i
cattivi serbi, erano già malvagi e maniaci dal medioevo, nel 1918 erano
già belve prevaricatrici; a causa del giogo del “modello totalitario
comunista” di tito (sic) si sono imbestialiti ancor di più. è seguita
catastrofe e disgrazia, perché la jugoslavia era una robaccia
artificiale. l’annotazione ricreativa è che l’autore fa continuo
riferimento ad una ‘guerra imperiale’ che avrebbe scardinato la
jugoslavia, ma intende, ahimè, quella “della politica imperiale
grandeserba”, dissimulata, a suo dire, sotto il nome di jugoslavismo.
seguono le solite indagini su: memorandum, mito del popolo celeste,
samo sloga srbina spasava, paranoia dell’assedio i tako dalje.
l’abituale chiosa sulla ‘falsificata leggenda’ del giogo dell’impero
ottomano è (come altrove) puntellata dalla presunta libertarietà del
sistema del millet [1] (“sotto la dominazione ottomana le diverse etnie
convivevano armoniosamente”, bingo!), e seguita da una gioiosa manfrina
che ci illustra come in realtà in bosnia il recupero dell’identità
musulmana sia stato “meramente difensivo” e comunque sempre “teso alla
convivenza plurireligiosa e multinazionale”, mentre la volontà
egemonica albanese sarebbe “pretestuosa”, tant’è che – afferma l’autore
– “gli albanesi kosovari auspicano da sempre spazi aperti fra
macedonia, kosovo e albania”. in pratica: il solito pamphlettino sui
serbi fanatici e delittuosi, con chiusura di scuola bossiana in base
alla quale, oltre alla lampante responsabilità serba, peccatrice fu
anche l’europa che, incapace d’un federalismo redentore sul perfetto
modello svizzero, non seppe prevenire. sottotitolo alternativo: “tutta
colpa del principe lazar e del centralismo democratico”. non posso che
definire fantascientifica la nota numero 31 in cui si sostiene che
l’efferatezza dello stato ustascia croato sarebbe quasi solamente la
“radicale reazione all’esasperato unificazionismo serbo”.
[1] questa è forse la teoria di stampo antiserbo più abusata, che vuole
dipingere i serbi come “paranoici assillati da un ipotetico giogo
ottomano”, sostenendo che non vi fu alcuna “notte nera”. già in
“geopolitique de la serbie-montenegro” di catherine lutard (in italiano
“serbia”, ed. il mulino, 9€) l’autrice scrive che il mito del giogo
musulmano venne creato artificiosamente in epoche successive, e che in
realtà non si può parlare di quattro secoli di occupazione ("notte
nera"), ma solo di pacifica convivenza. ignorando questioni non di poco
conto storico (i giannizzeri, i ripetuti e sanguinosi scontri armati,
le vessazioni tributarie, le ripetute migrazioni a cui le popolazioni
non musulmane furono costrette, per non menzionare l’isolamento
culturale tipico di una società teologica islamica, che tenne i balcani
per 400 anni di fatto fuori dall’europa; in tim judah si legge:
“villages were burned, thousands were sent into slavery. on 17 october
1813 alone, 1800 serbian women and children were sold as slaves"), i
sostenitori di questa presunta pax ottomana si appellano al millet [il
diritto giuridico islamico che riconosceva gli zimmi (ebrei e
cristiani) liberi di professare liberamente la propria fede religiosa,
pur obbligandoli a pagare tasse speciali, compresa quella “del sangue”
(la devchirme, ossia il rapimento istituzionale dei giovani maschi da
arruolare forzatamente nel corpo dei giannizzeri)] come ‘inconfutabile
prova’ delle loro ipotesi.
inviato da: babsi jones il 25/02/04 | 03:17 | profilo
“L’unificazione impossibile”
di Alessandro Vitale
Alfredo Guida editore, 2000, 7.75€
Riportiamo di seguito la recensione di Babsi Jones,
dal sito http://www.exju.org/ :
[ex-libris] tutta colpa del principe lazar e del centralismo democratico
ho nel folder “arretrati” un po’ di recensioni che non si meritano più
di mezza paginetta ciascuna, sicché mi lancio, ne posto una e me le
levo di torno. li liquido così, questi libri accatastati nel corso del
2003, nei prossimi giorni, a mo’ di rubrica. vado con la prima.
“l’unificazione impossibile” di alessandro vitale (alfredo guida
editore, 2000, 7.75€) l’ho letto districandomi fra la grande misura di
note, quasi tutte inservibili, alcune francamente ai limiti
dell’autoreferenziale, che sono seminate fra i paragrafi e non
germogliano in niente d’interessante. quelle riservate agli studi che
l’autore stesso ha dedicato alla civiltà slava-ortodossa sembrano
appelli alla sua autorità accademica in mancanza di meglio. più note
che saggio, e dire che il saggio è breve: 94 pagine compresa
introduzione. il sottotitolo ammonitore è “una lettura diversa del
collasso jugoslavo”, e quell’aggettivo si becca pure il diritto ad un
corsivo. in effetti, le teorie di vitale – che vertono più sul kosovo
che sull’intera questione jugoslava - giocano a rimpiattino fra la
logica antiserba sofriana e quella interventista diessina e alcune
soffuse allucinazioni post-leghiste (va detto che il saggista,
ricercatore alla statale di milano, è un accolito del defunto miglio),
e questa inoculazione qualcosa di diverso potrebbe anche produrlo.
potrebbe, ma non lo fa. se riuscite a superare indenni la scelta di
trascrivere i nomi slavi con la tristemente diffusa grafia che io
chiamo “dello sfracello grafico” (miloshevich, nachertanje, garashanin:
perché tanto odio fonetico?), vi imbatterete nell’analisi di vitale che
è tesa a spiegarci ancora una volta come la condotta dei serbi, “entità
clanica che ha sempre vissuto fra difensivismo irredentista ed
espansionismo autoritario” (sic) sia l’unica responsabile del collasso
jugoslavo (sebbene l’autore si affretti a negare “la pretesa di offrire
un’interpretazione monocausale”, che è quello che de facto riesce a
fare con orgogliosa convinzione). si comincia con il comune refrain di
terra-e-sangue, stavolta impreziosito da alcune osservazioni in merito
all’eredità filosofica bizantina, che sono l’unico spunto discretamente
acuto del libretto, almeno per l’originalità: non saprei dire su due
piedi se è proprio la politeìa celeste il nocciolo della questione
serba, ma almeno l’inciso analitico che offre vitale da pagina 33 a
pagina 38 non sembra scopiazzato a destra e a manca dai dodicimila
saggi antiserbi che sono stati stampati dal ‘91 ad oggi da tutte le
case editrici da andorra allo zaire. tutto il resto è condensabile in
una parafrasi adatta ad un bambino di sei anni: c’erano una volta i
cattivi serbi, erano già malvagi e maniaci dal medioevo, nel 1918 erano
già belve prevaricatrici; a causa del giogo del “modello totalitario
comunista” di tito (sic) si sono imbestialiti ancor di più. è seguita
catastrofe e disgrazia, perché la jugoslavia era una robaccia
artificiale. l’annotazione ricreativa è che l’autore fa continuo
riferimento ad una ‘guerra imperiale’ che avrebbe scardinato la
jugoslavia, ma intende, ahimè, quella “della politica imperiale
grandeserba”, dissimulata, a suo dire, sotto il nome di jugoslavismo.
seguono le solite indagini su: memorandum, mito del popolo celeste,
samo sloga srbina spasava, paranoia dell’assedio i tako dalje.
l’abituale chiosa sulla ‘falsificata leggenda’ del giogo dell’impero
ottomano è (come altrove) puntellata dalla presunta libertarietà del
sistema del millet [1] (“sotto la dominazione ottomana le diverse etnie
convivevano armoniosamente”, bingo!), e seguita da una gioiosa manfrina
che ci illustra come in realtà in bosnia il recupero dell’identità
musulmana sia stato “meramente difensivo” e comunque sempre “teso alla
convivenza plurireligiosa e multinazionale”, mentre la volontà
egemonica albanese sarebbe “pretestuosa”, tant’è che – afferma l’autore
– “gli albanesi kosovari auspicano da sempre spazi aperti fra
macedonia, kosovo e albania”. in pratica: il solito pamphlettino sui
serbi fanatici e delittuosi, con chiusura di scuola bossiana in base
alla quale, oltre alla lampante responsabilità serba, peccatrice fu
anche l’europa che, incapace d’un federalismo redentore sul perfetto
modello svizzero, non seppe prevenire. sottotitolo alternativo: “tutta
colpa del principe lazar e del centralismo democratico”. non posso che
definire fantascientifica la nota numero 31 in cui si sostiene che
l’efferatezza dello stato ustascia croato sarebbe quasi solamente la
“radicale reazione all’esasperato unificazionismo serbo”.
[1] questa è forse la teoria di stampo antiserbo più abusata, che vuole
dipingere i serbi come “paranoici assillati da un ipotetico giogo
ottomano”, sostenendo che non vi fu alcuna “notte nera”. già in
“geopolitique de la serbie-montenegro” di catherine lutard (in italiano
“serbia”, ed. il mulino, 9€) l’autrice scrive che il mito del giogo
musulmano venne creato artificiosamente in epoche successive, e che in
realtà non si può parlare di quattro secoli di occupazione ("notte
nera"), ma solo di pacifica convivenza. ignorando questioni non di poco
conto storico (i giannizzeri, i ripetuti e sanguinosi scontri armati,
le vessazioni tributarie, le ripetute migrazioni a cui le popolazioni
non musulmane furono costrette, per non menzionare l’isolamento
culturale tipico di una società teologica islamica, che tenne i balcani
per 400 anni di fatto fuori dall’europa; in tim judah si legge:
“villages were burned, thousands were sent into slavery. on 17 october
1813 alone, 1800 serbian women and children were sold as slaves"), i
sostenitori di questa presunta pax ottomana si appellano al millet [il
diritto giuridico islamico che riconosceva gli zimmi (ebrei e
cristiani) liberi di professare liberamente la propria fede religiosa,
pur obbligandoli a pagare tasse speciali, compresa quella “del sangue”
(la devchirme, ossia il rapimento istituzionale dei giovani maschi da
arruolare forzatamente nel corpo dei giannizzeri)] come ‘inconfutabile
prova’ delle loro ipotesi.
inviato da: babsi jones il 25/02/04 | 03:17 | profilo