[ Riceviamo e volentieri giriamo il testo della trasmissione televisiva
curata dal G.A.MA.DI. (Gruppo atei materialisti dialettici) e trasmessa
su Teleambiente e reti consociate il 3 luglio 2004 ed, in replica, il 7
luglio, nell'ambito del ciclo di trasmissioni del G.A.MA.DI. in onda
tutti i sabati alle ore 20:55 ed, in replica, tutti i giovedi
successivi alle ore 20.
Il testo e' disponibile anche come opuscolo, da richiedere a:
G.A.MA.DI. - Piazza L. Da Vinci, 27 - 00043 Ciampino (Roma)
telefono e fax: 06-7915200
posta elettronica: g a m a d i l a v o c e @ l i b e r o . i t
Parziale revisione del testo a cura di AM ]
L a R i v o l u z i o n e J u g o s l a v a
Il 25 marzo del 1941 i popoli della Jugoslavia insorgono contro il
patto tripartito che lega la politica di Belgrado a quella di Berlino
e di Roma. Il principe Paolo è destituito ma, subito dopo, le orde
fasciste e hitleriane invadono il paese.
E’ l’inizio di una lunga lotta che più tardi si concluderà con la
creazione della Repubblica Socialista Federativa Jugoslava.
Ripercorriamo brevemente le fasi di sviluppo del movimento popolare
organizzato a partire dai tempi della dominazione asburgica fino al
1941 ossia dalla formazione delle prime società operaie e di cultura
e dai primi timidi passi della socialdemocrazia: la rivolta di Càttaro,
la creazione dello stato jugoslavo, la nascita nel 1919 del partito
comunista, la lotta contro il terrore bianco, la dittatura del “6
gennaio”, la politica filofascista di Stojadinovic.
Ma veniamo alla rivolta del 25 marzo 1941.
La gente nelle strade di Belgrado, di Zagabria, di Lubiana e in molte
altre località gridava contro il Patto tripartito firmato a Vienna dal
governo. La parola d’ordine era chiara ed inequivocabile: “Meglio la
guerra che il patto!”
Purtroppo, altri governi di altri paesi avevano aderito già nel 1940
al patto coi nazisti e coi fascisti (paesi come l’Ungheria, la
Romania, la Slovacchia e nel 1941 anche la Bulgaria) e quei popoli
dovettero subire una dura realtà.
Al contrario, dal popolo della Jugoslavia la decisione dei premier
Cvetkovic e Macek e del principe reggente Paolo, non fu tollerata.
Fierezza nazionale e odio verso il fascismo spinsero le forze più
avanzate del popolo serbo, croato, sloveno, montenegrino, macedone e
bosniaco a ribellarsi.
Anche una parte dell’esercito era a fianco del popolo. Questa
insurrezione provocò la caduta del governo filofascista e il 27 marzo
del 1941 anche il principe Paolo fu destituito e al trono salì il
minorenne Pietro II.
Immediatamente le orde naziste e le armate italiane fasciste, oltre
alle armate bulgare e ungheresi, invasero il paese.
L’esercito regio capitolò dopo due settimane e il popolo tornò alla
ribellione.
Qui cominciava la lotta partigiana che sarebbe durata ben quattro
lunghi anni. In questi quattro anni si passerà da una lotta contro il
fascismo, alla lotta per il socialismo.
Questa particolarità della rivoluzione jugoslava va riscontrata in
più fattori che contribuirono a renderla possibile.
Oltre ai fattori comuni ad altri movimenti resistenziali, concorsero
fattori storici, politici, militari, geografici, sociali e umani
propri di questa terra.
Le conquiste resistenziali di altri paesi come l’Italia, la Francia,
la stessa Grecia, furono fortemente condizionate dalle volontà degli
alleati che hanno imposto una restaurazione capitalista. In Grecia
addirittura, nonostante l’eroica resistenza, per volontà degli inglesi,
si finì con l’avere un governo di destra. Assai diverso fu il
dopoguerra sia in Albania, che in Jugoslavia, dove nessuna forza
straniera aveva contribuito alla liberazione del paese.
Assodato che l’obiettivo primario era l’annientamento del nemico
invasore, la resistenza jugoslava seppe progettare quella piattaforma
rivoluzionaria che in aperto antagonismo con la controrivoluzione
esistente, seppe mutare radicalmente i rapporti di forza e giungere
alla conquista del potere.
Dalla sua formazione nel 1941 l’esercito partigiano seppe estendersi
all’interno di tutto il paese, crescendo numericamente sempre di più e
accogliendo nelle sue file quei soldati italiani appartenenti
all’esercito fascista che avessero voluto divenire partigiani per la
libertà.
Molti lo fecero, così come lo fecero in Albania e ricordiamo, in terra
skipetara il comandante italiano Terzilio Cardinali, morto in
combattimento e insignito della medaglia d’oro. In Jugoslavia,
ricordiamo la medaglia d’oro Giuseppe Maras che ha organizzato e
diretto la resistenza italiana in Jugoslavia.
Tutti questi partigiani, tanto jugoslavi quanto italiani, compagni di
lotta per gli stessi ideali, liberarono sempre nuovi territori
incontrando la gratitudine e la solidarietà militante di tutto il
popolo.
Nel giugno del 1944, l’Unione Sovietica chiese il permesso al compagno
ed alleato maresciallo Tito di poter proseguire la guerra contro i
nazisti dal territorio jugoslavo. Così, il 20 ottobre 1944 truppe
sovietiche ed jugoslave entrarono in Belgrado. Ma i sovietici,
proseguirono per il loro cammino, come stabilito.
Dopo qualche inconsistente tentativo della monarchia e dei suoi
alleati, di avanzare qualche pretesa, senza peraltro essere tenuti in
alcun conto, La Repubblica Popolare e Socialista venne proclamata.
Qualcuno potrebbe chiedersi: come fu possibile, questo riscatto dei
popoli della Jugoslavia?
La risposta è semplice: così come fu possibile per l’Albania, ed anche
per l’Italia fare una Resistenza vittoriosa nonostante la presenza
Vaticana amica e sostenitrice del fascismo e del nazismo: c’era il
Partito comunista che sapeva lottare, che sapeva insegnare a lottare,
che aveva la cultura scientifica moderna in grado di sconfiggere il
capitalismo e i suoi alleati.
Ecco perché la Jugoslavia seppe liberarsi, perché la Resistenza era
diretta dal Partito Comunista e da un valoroso comunista che fu il
compagno Tito.
Per comprendere meglio, facciamo un passo indietro:
Dal 20 al 23 aprile del 1919, a Belgrado Jozip Broz, più tardi nella
clandestinità chiamato dai compagni "Tito", fondò il Partito Comunista
Jugoslavo, uno dei primi d’Europa.
E visto il fallimento della II internazionale, esso aderì subito alla
Terza Internazionale e al suo programma d’azione, per le
rivendicazioni immediate di carattere politico, sociale ed economico.
Segretario del Partito fu eletto Filip Filipovic.
Lo stesso giorno il Partito si fuse con il sindacato e insieme
fondarono l’Organizzazione Unitaria Classista dei Lavoratori.
Questo partito ha una lunga storia di lotte. Va detto che riuscì a
strappare parecchi miglioramenti per i lavoratori, come ad esempio già
nel 1920 le otto ore lavorative ed anche una modesta riforma agraria.
Nel corso di quegli anni, alle elezioni amministrative il partito
comunista andava affermandosi sempre di più, ed era sempre più votato
dal popolo. Portiamo un esempio: a Zagabria il Partito comunista ebbe
7.000 voti e i socialdemocratici solo 284.
Sconcertato da questi risultati, il governo sciolse i consigli comunali
di Belgrado, di Zagabria e in altre località e impedì ai consiglieri
comunisti di esercitare il proprio mandato.
Questa tendenza del popolo verso i comunisti fece scendere in azione
oltre all’esercito e alla gendarmeria, anche squadracce fasciste.
Il governo emanò un’ordinanza che proibiva qualsiasi propaganda
comunista.
Da qui ebbe inizio la clandestinità che durò, purtroppo fino alla
guerra di liberazione.
Comunque, il Partito comunista non si era preparato in tempo al lavoro
clandestino, e questo gli costò una grave crisi.
Centinaia di attivisti e dirigenti furono arrestati, altri emigrarono.
Quasi tutto il comitato esecutivo venne messo in carcere.
Nonostante questo, la classe lavoratrice non era stata piegata. Già nel
1922 gli scioperi ripresero, erano i minatori, gli edili, i
metallurgici, i battellieri e molte altre categorie.
Purtroppo, in quegli anni divampò anche un’aspra lotta di tendenze
all’interno del partito comunista.
Da una parte vi erano i settari che sconfinavano nell’anarchismo,
dall’altra c’erano gli opportunisti che ventilavano l’idea del
liquidazionismo.
Ma queste diversità non riuscirono ad avere la meglio sulla volontà
dei lavoratori.
La combattività della classe operaia e contadina, il fenomeno crescente
tra gli studenti e gli intellettuali, la pressione nello stesso
Parlamento di un forte blocco di opposizione, spinsero il re
Alessandro, i capi militari e l’alta finanza a ricorrere all’aperta
dittatura fascista.
Era il 6 gennaio del 1929 quando il monarca abrogò la Costituzione del
1921, sciolse l’Assemblea, avocò a sé tutti i poteri e nominò il
generale Zivkovic capo del governo.
Dal gennaio del 1929 al settembre del 1931 si svolsero 82 processi
contro i membri comunisti. A centinaia finirono, senza motivo, ma solo
perché comunisti, nelle carceri. A decine morirono sotto le torture
fasciste o massacrati dai poliziotti.
Tra questi ricordiamo il segretario del Comitato Centrale del Partito
comunista Djuro Djakovic.
Il governo abbandonò l’Intesa con Francia ed Inghilterra per legarsi al
carro della Germania e dell’Italia. Questo e tutto il resto scavò un
abisso incolmabile tra il popolo e il regime.
In questo quadro, negli anni che vanno dal 1935 al 1938 il movimento
rivoluzionario jugoslavo riuscì a superare taluni degli errori e dei
limiti che ne bloccavano in parte l’azione e ne avevano diminuita
l’influenza. Un nuovo corso ebbe inizio, senza eccessivi settarismi,
con la partecipazione di comunisti che avevano subito le persecuzioni,
il carcere, le torture. Questo nuovo corso emerse durante il VII
Congresso dell’Internazionale.
Nel 1936, Mosca convalidò la nuova linea e il Comintern abbandonò certe
precedenti posizioni massimaliste e diede al Partito Comunista
Jugoslavo l’indicazione di lottare per uno Stato Democratico Federativo
in base al noto schema delle due fasi della rivoluzione, ossia: prima
democratica, poi socialista.
Il Comitato Centrale del Partito venne ricomposto con uomini più idonei
e Tito divenne Segretario organizzativo.
Ma nel 1937 dopo le epurazioni, che colpirono anche quadri del
Partito, una parte del Comintern propose di scioglierlo, come avvenne
per il partito polacco.
Tito si oppose decisamente a questa manovra.
Appoggiato da Georgi Dimitrov sostenne che le migliaia di militanti
comunisti, le decine di migliaia di lavoratori coscienti che
credevano, operavano, combattevano e si sacrificavano in Jugoslavia
non dovevano essere privati del loro partito d’avanguardia.
Si rinunciò allo scioglimento e Tito fu incaricato di formare un nuovo
Comitato provvisorio.
Le elezioni del 1938 diedero al governo centralizzatore una
maggioranza molto esigua, tanto che dovettero ricorrere ad un
compromesso definito “accordo nazionale” con Macek in rappresentanza
della borghesia croata.
Ma l’accordo non democratizzò il regime esistente.
Così, come il Partito comunista Jugoslavo aveva previsto, il 6 Aprile
1941 si scatena sul suolo jugoslavo l’attacco concentrico con una
cinquantina di divisioni tedesche e italiane cui, nei giorni
successivi, si aggiungono divisioni ungheresi e bulgare.
L’apparato statale e la casa regnante rivelarono il loro marciume e
si sfasciarono sotto l’urto dell’invasore.
Il 17 aprile il re, la corte, gli esponenti dei partiti governativi
scappano all’estero portando seco l’oro della Banca di Stato. (ladri,
insomma, come furono Vittorio Emanuele Terzo e lo stesso Mussolini che
scappava con i nostri soldi). Il Comando militare firma la
capitolazione.
Il Comitato Centrale del Partito Comunista Jugoslavo, clandestino,
riunitosi in Zagabria il 15 aprile, due giorni prima della
capitolazione, fa un primo appello ai popoli jugoslavi, in cui si dice
tra l’altro:
“Popoli della Jugoslavia! ... Voi che combattete e vi sacrificate nella
lotta per la vostra indipendenza, sappiate che questa lotta sarà
coronata dal successo, anche se momentaneamente sarete sopraffatti
nella battaglia da parte di un nemico strapotente.
Non perdetevi d’animo, serrate saldamente le nostre file, abbiate
fiducia, tenete alta la testa anche sotto i più duri colpi: i
comunisti e tutta la classe lavoratrice della Jugoslavia saranno
fermamente in prima linea nella lotta contro gli occupanti fino alla
vittoria finale... Saremo infine veramente indipendenti e sarà allora
creata una fiera fraterna comunità dei popoli jugoslavi.”
I comunisti dimostrarono subito di essere all’altezza del compito. Nel
manifesto del 1° maggio, i comunisti lanciano un nuovo appello:
“Operai, contadini, cittadini tutti, che amate la vostra terra unitevi!
In questi giorni decisivi è necessario raccogliere tutte le forze per
la comune sopravvivenza... Accorrete e sostenete tenacemente la lotta
alla quale vi chiama l’avanguardia della classe lavoratrice, il
Partito Comunista di Jugoslavia!”
Ai primi di maggio il Comitato Centrale del Partito, riunitosi a
Zagabria, fece il punto della situazione esistente nelle varie regioni
del paese, decise di intensificare i preparativi per la lotta
armata, inviò alcuni dei suoi membri e delegati a organizzare
comitati militari e gruppi d’azione.
Anche il Comitato Centrale formò un proprio comitato militare, con
alla testa Josip Broz Tito.
Mentre si scatena l’azione terroristica degli occupanti che smembravano
il paese, comincia la lotta armata diretta dal partito comunista
temprato da venti anni di esperienza clandestina.
La Conferenza dei quadri comunisti, in Zagabria del 1941 indica la
piattaforma politica largamente unitaria di questa lotta.
Indipendentemente dalle differenze nazionali, politiche e religiose, si
chiama il popolo a combattere gli invasori e i collaborazionisti.
Contemporaneamente al sorgere delle formazioni partigiane è
l’estendersi dei fronti di liberazione nei quali si raccolgono le forze
migliori della nazione. Le forze fedeli alla monarchia, quindi legate
alla classe degli sfruttatori, finiranno col combattere i partigiani,
che rappresentano la lotta di classe degli sfruttati.
Anni 1942 e 1943: due anni decisivi.
La lotta partigiana costringe i tedeschi ad iniziare, nell’autunno del
1941, operazioni belliche di più largo respiro di quanto si
aspettassero.
Alla prima offensiva che ha per obiettivo il territorio liberato della
Serbia occidentale, altre ne seguono a breve distanza.
Nella terza si combatte la grande battaglia della Kozara dove c’è uno
dei più forti centri della lotta di liberazione.
Si giunge tra alterne fasi al 1942, l’anno della svolta per il
movimento di liberazione jugoslavo sia sul piano militare che in quello
politico.
Mentre i cetnici monarchici, i cattolici ed i reazionari gettano la
maschera di patrioti e combattono al fianco dei tedeschi, i partigiani
liberano un quinto del territorio nazionale e costituiscono il
Consiglio Antifascista di liberazione, primo Parlamento del nuovo Stato
democratico, espressione delle forze popolari che hanno dato vita al
movimento.
L’anno successivo vede il fallimento delle operazioni naziste definite
Wess I e Wess II e il rafforzamento della posizione internazionale del
movimento di liberazione e, nel settembre, il crollo dell’Italia
fascista, le cui forze armate in Jugoslavia, abbandonate al loro
destino da Roma, o vengono catturate dai tedeschi o si schierano con i
partigiani, come abbiamo già detto.
Il 29 novembre del 1943 in una riunione si decide di creare un
Comitato di Liberazione con funzioni di governo provvisorio e si
approva un progetto di Costituzione federale e democratica per la
futura Jugoslavia con ampio riconoscimento dei diritti dei vari gruppi
etnici.
La forza della realtà costringe gli alleati ad ignorare le proteste del
governo in esilio al Cairo e a tenere sempre più conto delle forze
partigiane di Tito.
Il 6 giugno il premier croato stringe un accordo con Tito che di fatto
significa la capitolazione del re che ivi risiedeva.
Intanto la liberazione del paese progredisce: in ottobre Belgrado è
liberata. Seguendo l’esempio della Serbia anche le altre previste unità
federali formano propri governi sulla base del CLN.
Là dove c’era il re viene dato il mandato a Tito che forma un nuovo
governo e tiene anche il portafoglio della difesa.
Le elezioni per la Costituente del novembre 1954 segnano la vittoria
del Fronte nazionale e la liquidazione della monarchia che viene
definitivamente dichiarata decaduta dall’Assemblea nazionale.
L’esercito di liberazione nazionale pagò la sua lotta a caro prezzo:
350.000 morti, 400.000 i feriti, numerosi i dispersi.
Con i morti sotto i bombardamenti, le vittime della guerra contro il
nazifascismo toccarono quasi i due milioni, oltre il 10% della
popolazione. Solo l’URSS e la Polonia superarono questa percentuale.
Ingentissimi furono anche i danni materiali, case bruciate, miniere,
fabbriche, vie di comunicazione, attrezzature agricole e bestiame.
Questi popoli che avevano tanto sofferto volevano a pieno diritto
coronare la fine della guerra costruendo uno Stato basato sugli ideali
rivoluzionari per i quali avevano lottato e vinto.
Mentre l’esercito popolare conduceva a termine l’ultima vittoriosa
offensiva, i Consigli di liberazione della Serbia, della Croazia, della
Slovenia e delle altre nazionalità e regioni, costituivano i rispettivi
governi popolari federali, e la Jugoslavia si proclamava "democratica e
federativa" .
Nell’agosto del 1945 l’Assemblea nazionale emanò la legge per la
riforma agraria. Furono confiscate senza risarcimento, ai
latifondisti, le terre eccedenti i 30 ettari, e alla chiesa quelle
eccedenti i 10 ettari, limite che sarà portato anche più tardi alla
proprietà della terra per chiunque.
Questa legge permise di distribuire la terra in parti uguali ai
contadini poveri.
Seguì la riforma valutaria che andò a colpire gli speculatori e i
profittatori della guerra.
Poi venne emanata la legge delle nazionalizzazioni che eliminò anche
gli ultimi residui capitalistici e il ruolo che nel passato aveva
avuto il capitale straniero.
L’11 novembre si svolsero le elezioni per l’Assemblea costituente e la
lista del Fronte popolare fu votata al 96%.
L’Assemblea si riunì per la prima volta il 29 novembre e il suo primo
atto fu la proclamazione della repubblica Federativa Popolare.
La nuova Costituzione il cui progetto era stato posto in discussione
anche tra le masse popolari fu promulgata il 31 gennaio del 1946. Essa
sanciva definitivamente il nuovo sistema di democrazia popolare e
conteneva le premesse del nuovo regime socialista.
Seguirono anni di costruzione della società socialista nella pace e
nell' armonia tra le diverse etnie che contribuirono a diffondere la
cultura necessaria ai popoli, ad esprimere attraverso le diverse arti,
testimonianze di alto valore universale.
Ma questa affermazione della Repubblica Federativa di Jugoslavia negli
anni ’90 dava fastidio e preoccupava il nuovo imperialismo che tanto
diverso da quello hitleriano non è certamente, e tramite una
vigliacca aggressione - alla quale, oltre agli USA, hanno contribuito
anche diversi popoli europei, tra i quali l'’Italia - hanno distrutto
questo paese, annientandone le diverse popolazioni, e addirittura
portando dinanzi un tribunale illegale dell’Aia il presidente serbo
Slobodan Milosevic, reo di non aver accettato le imposizioni arbitrarie
del nemico invasore.
Ma, come insegna la concezione del mondo materialista e dialettica, la
Storia certo non finisce qui.
curata dal G.A.MA.DI. (Gruppo atei materialisti dialettici) e trasmessa
su Teleambiente e reti consociate il 3 luglio 2004 ed, in replica, il 7
luglio, nell'ambito del ciclo di trasmissioni del G.A.MA.DI. in onda
tutti i sabati alle ore 20:55 ed, in replica, tutti i giovedi
successivi alle ore 20.
Il testo e' disponibile anche come opuscolo, da richiedere a:
G.A.MA.DI. - Piazza L. Da Vinci, 27 - 00043 Ciampino (Roma)
telefono e fax: 06-7915200
posta elettronica: g a m a d i l a v o c e @ l i b e r o . i t
Parziale revisione del testo a cura di AM ]
L a R i v o l u z i o n e J u g o s l a v a
Il 25 marzo del 1941 i popoli della Jugoslavia insorgono contro il
patto tripartito che lega la politica di Belgrado a quella di Berlino
e di Roma. Il principe Paolo è destituito ma, subito dopo, le orde
fasciste e hitleriane invadono il paese.
E’ l’inizio di una lunga lotta che più tardi si concluderà con la
creazione della Repubblica Socialista Federativa Jugoslava.
Ripercorriamo brevemente le fasi di sviluppo del movimento popolare
organizzato a partire dai tempi della dominazione asburgica fino al
1941 ossia dalla formazione delle prime società operaie e di cultura
e dai primi timidi passi della socialdemocrazia: la rivolta di Càttaro,
la creazione dello stato jugoslavo, la nascita nel 1919 del partito
comunista, la lotta contro il terrore bianco, la dittatura del “6
gennaio”, la politica filofascista di Stojadinovic.
Ma veniamo alla rivolta del 25 marzo 1941.
La gente nelle strade di Belgrado, di Zagabria, di Lubiana e in molte
altre località gridava contro il Patto tripartito firmato a Vienna dal
governo. La parola d’ordine era chiara ed inequivocabile: “Meglio la
guerra che il patto!”
Purtroppo, altri governi di altri paesi avevano aderito già nel 1940
al patto coi nazisti e coi fascisti (paesi come l’Ungheria, la
Romania, la Slovacchia e nel 1941 anche la Bulgaria) e quei popoli
dovettero subire una dura realtà.
Al contrario, dal popolo della Jugoslavia la decisione dei premier
Cvetkovic e Macek e del principe reggente Paolo, non fu tollerata.
Fierezza nazionale e odio verso il fascismo spinsero le forze più
avanzate del popolo serbo, croato, sloveno, montenegrino, macedone e
bosniaco a ribellarsi.
Anche una parte dell’esercito era a fianco del popolo. Questa
insurrezione provocò la caduta del governo filofascista e il 27 marzo
del 1941 anche il principe Paolo fu destituito e al trono salì il
minorenne Pietro II.
Immediatamente le orde naziste e le armate italiane fasciste, oltre
alle armate bulgare e ungheresi, invasero il paese.
L’esercito regio capitolò dopo due settimane e il popolo tornò alla
ribellione.
Qui cominciava la lotta partigiana che sarebbe durata ben quattro
lunghi anni. In questi quattro anni si passerà da una lotta contro il
fascismo, alla lotta per il socialismo.
Questa particolarità della rivoluzione jugoslava va riscontrata in
più fattori che contribuirono a renderla possibile.
Oltre ai fattori comuni ad altri movimenti resistenziali, concorsero
fattori storici, politici, militari, geografici, sociali e umani
propri di questa terra.
Le conquiste resistenziali di altri paesi come l’Italia, la Francia,
la stessa Grecia, furono fortemente condizionate dalle volontà degli
alleati che hanno imposto una restaurazione capitalista. In Grecia
addirittura, nonostante l’eroica resistenza, per volontà degli inglesi,
si finì con l’avere un governo di destra. Assai diverso fu il
dopoguerra sia in Albania, che in Jugoslavia, dove nessuna forza
straniera aveva contribuito alla liberazione del paese.
Assodato che l’obiettivo primario era l’annientamento del nemico
invasore, la resistenza jugoslava seppe progettare quella piattaforma
rivoluzionaria che in aperto antagonismo con la controrivoluzione
esistente, seppe mutare radicalmente i rapporti di forza e giungere
alla conquista del potere.
Dalla sua formazione nel 1941 l’esercito partigiano seppe estendersi
all’interno di tutto il paese, crescendo numericamente sempre di più e
accogliendo nelle sue file quei soldati italiani appartenenti
all’esercito fascista che avessero voluto divenire partigiani per la
libertà.
Molti lo fecero, così come lo fecero in Albania e ricordiamo, in terra
skipetara il comandante italiano Terzilio Cardinali, morto in
combattimento e insignito della medaglia d’oro. In Jugoslavia,
ricordiamo la medaglia d’oro Giuseppe Maras che ha organizzato e
diretto la resistenza italiana in Jugoslavia.
Tutti questi partigiani, tanto jugoslavi quanto italiani, compagni di
lotta per gli stessi ideali, liberarono sempre nuovi territori
incontrando la gratitudine e la solidarietà militante di tutto il
popolo.
Nel giugno del 1944, l’Unione Sovietica chiese il permesso al compagno
ed alleato maresciallo Tito di poter proseguire la guerra contro i
nazisti dal territorio jugoslavo. Così, il 20 ottobre 1944 truppe
sovietiche ed jugoslave entrarono in Belgrado. Ma i sovietici,
proseguirono per il loro cammino, come stabilito.
Dopo qualche inconsistente tentativo della monarchia e dei suoi
alleati, di avanzare qualche pretesa, senza peraltro essere tenuti in
alcun conto, La Repubblica Popolare e Socialista venne proclamata.
Qualcuno potrebbe chiedersi: come fu possibile, questo riscatto dei
popoli della Jugoslavia?
La risposta è semplice: così come fu possibile per l’Albania, ed anche
per l’Italia fare una Resistenza vittoriosa nonostante la presenza
Vaticana amica e sostenitrice del fascismo e del nazismo: c’era il
Partito comunista che sapeva lottare, che sapeva insegnare a lottare,
che aveva la cultura scientifica moderna in grado di sconfiggere il
capitalismo e i suoi alleati.
Ecco perché la Jugoslavia seppe liberarsi, perché la Resistenza era
diretta dal Partito Comunista e da un valoroso comunista che fu il
compagno Tito.
Per comprendere meglio, facciamo un passo indietro:
Dal 20 al 23 aprile del 1919, a Belgrado Jozip Broz, più tardi nella
clandestinità chiamato dai compagni "Tito", fondò il Partito Comunista
Jugoslavo, uno dei primi d’Europa.
E visto il fallimento della II internazionale, esso aderì subito alla
Terza Internazionale e al suo programma d’azione, per le
rivendicazioni immediate di carattere politico, sociale ed economico.
Segretario del Partito fu eletto Filip Filipovic.
Lo stesso giorno il Partito si fuse con il sindacato e insieme
fondarono l’Organizzazione Unitaria Classista dei Lavoratori.
Questo partito ha una lunga storia di lotte. Va detto che riuscì a
strappare parecchi miglioramenti per i lavoratori, come ad esempio già
nel 1920 le otto ore lavorative ed anche una modesta riforma agraria.
Nel corso di quegli anni, alle elezioni amministrative il partito
comunista andava affermandosi sempre di più, ed era sempre più votato
dal popolo. Portiamo un esempio: a Zagabria il Partito comunista ebbe
7.000 voti e i socialdemocratici solo 284.
Sconcertato da questi risultati, il governo sciolse i consigli comunali
di Belgrado, di Zagabria e in altre località e impedì ai consiglieri
comunisti di esercitare il proprio mandato.
Questa tendenza del popolo verso i comunisti fece scendere in azione
oltre all’esercito e alla gendarmeria, anche squadracce fasciste.
Il governo emanò un’ordinanza che proibiva qualsiasi propaganda
comunista.
Da qui ebbe inizio la clandestinità che durò, purtroppo fino alla
guerra di liberazione.
Comunque, il Partito comunista non si era preparato in tempo al lavoro
clandestino, e questo gli costò una grave crisi.
Centinaia di attivisti e dirigenti furono arrestati, altri emigrarono.
Quasi tutto il comitato esecutivo venne messo in carcere.
Nonostante questo, la classe lavoratrice non era stata piegata. Già nel
1922 gli scioperi ripresero, erano i minatori, gli edili, i
metallurgici, i battellieri e molte altre categorie.
Purtroppo, in quegli anni divampò anche un’aspra lotta di tendenze
all’interno del partito comunista.
Da una parte vi erano i settari che sconfinavano nell’anarchismo,
dall’altra c’erano gli opportunisti che ventilavano l’idea del
liquidazionismo.
Ma queste diversità non riuscirono ad avere la meglio sulla volontà
dei lavoratori.
La combattività della classe operaia e contadina, il fenomeno crescente
tra gli studenti e gli intellettuali, la pressione nello stesso
Parlamento di un forte blocco di opposizione, spinsero il re
Alessandro, i capi militari e l’alta finanza a ricorrere all’aperta
dittatura fascista.
Era il 6 gennaio del 1929 quando il monarca abrogò la Costituzione del
1921, sciolse l’Assemblea, avocò a sé tutti i poteri e nominò il
generale Zivkovic capo del governo.
Dal gennaio del 1929 al settembre del 1931 si svolsero 82 processi
contro i membri comunisti. A centinaia finirono, senza motivo, ma solo
perché comunisti, nelle carceri. A decine morirono sotto le torture
fasciste o massacrati dai poliziotti.
Tra questi ricordiamo il segretario del Comitato Centrale del Partito
comunista Djuro Djakovic.
Il governo abbandonò l’Intesa con Francia ed Inghilterra per legarsi al
carro della Germania e dell’Italia. Questo e tutto il resto scavò un
abisso incolmabile tra il popolo e il regime.
In questo quadro, negli anni che vanno dal 1935 al 1938 il movimento
rivoluzionario jugoslavo riuscì a superare taluni degli errori e dei
limiti che ne bloccavano in parte l’azione e ne avevano diminuita
l’influenza. Un nuovo corso ebbe inizio, senza eccessivi settarismi,
con la partecipazione di comunisti che avevano subito le persecuzioni,
il carcere, le torture. Questo nuovo corso emerse durante il VII
Congresso dell’Internazionale.
Nel 1936, Mosca convalidò la nuova linea e il Comintern abbandonò certe
precedenti posizioni massimaliste e diede al Partito Comunista
Jugoslavo l’indicazione di lottare per uno Stato Democratico Federativo
in base al noto schema delle due fasi della rivoluzione, ossia: prima
democratica, poi socialista.
Il Comitato Centrale del Partito venne ricomposto con uomini più idonei
e Tito divenne Segretario organizzativo.
Ma nel 1937 dopo le epurazioni, che colpirono anche quadri del
Partito, una parte del Comintern propose di scioglierlo, come avvenne
per il partito polacco.
Tito si oppose decisamente a questa manovra.
Appoggiato da Georgi Dimitrov sostenne che le migliaia di militanti
comunisti, le decine di migliaia di lavoratori coscienti che
credevano, operavano, combattevano e si sacrificavano in Jugoslavia
non dovevano essere privati del loro partito d’avanguardia.
Si rinunciò allo scioglimento e Tito fu incaricato di formare un nuovo
Comitato provvisorio.
Le elezioni del 1938 diedero al governo centralizzatore una
maggioranza molto esigua, tanto che dovettero ricorrere ad un
compromesso definito “accordo nazionale” con Macek in rappresentanza
della borghesia croata.
Ma l’accordo non democratizzò il regime esistente.
Così, come il Partito comunista Jugoslavo aveva previsto, il 6 Aprile
1941 si scatena sul suolo jugoslavo l’attacco concentrico con una
cinquantina di divisioni tedesche e italiane cui, nei giorni
successivi, si aggiungono divisioni ungheresi e bulgare.
L’apparato statale e la casa regnante rivelarono il loro marciume e
si sfasciarono sotto l’urto dell’invasore.
Il 17 aprile il re, la corte, gli esponenti dei partiti governativi
scappano all’estero portando seco l’oro della Banca di Stato. (ladri,
insomma, come furono Vittorio Emanuele Terzo e lo stesso Mussolini che
scappava con i nostri soldi). Il Comando militare firma la
capitolazione.
Il Comitato Centrale del Partito Comunista Jugoslavo, clandestino,
riunitosi in Zagabria il 15 aprile, due giorni prima della
capitolazione, fa un primo appello ai popoli jugoslavi, in cui si dice
tra l’altro:
“Popoli della Jugoslavia! ... Voi che combattete e vi sacrificate nella
lotta per la vostra indipendenza, sappiate che questa lotta sarà
coronata dal successo, anche se momentaneamente sarete sopraffatti
nella battaglia da parte di un nemico strapotente.
Non perdetevi d’animo, serrate saldamente le nostre file, abbiate
fiducia, tenete alta la testa anche sotto i più duri colpi: i
comunisti e tutta la classe lavoratrice della Jugoslavia saranno
fermamente in prima linea nella lotta contro gli occupanti fino alla
vittoria finale... Saremo infine veramente indipendenti e sarà allora
creata una fiera fraterna comunità dei popoli jugoslavi.”
I comunisti dimostrarono subito di essere all’altezza del compito. Nel
manifesto del 1° maggio, i comunisti lanciano un nuovo appello:
“Operai, contadini, cittadini tutti, che amate la vostra terra unitevi!
In questi giorni decisivi è necessario raccogliere tutte le forze per
la comune sopravvivenza... Accorrete e sostenete tenacemente la lotta
alla quale vi chiama l’avanguardia della classe lavoratrice, il
Partito Comunista di Jugoslavia!”
Ai primi di maggio il Comitato Centrale del Partito, riunitosi a
Zagabria, fece il punto della situazione esistente nelle varie regioni
del paese, decise di intensificare i preparativi per la lotta
armata, inviò alcuni dei suoi membri e delegati a organizzare
comitati militari e gruppi d’azione.
Anche il Comitato Centrale formò un proprio comitato militare, con
alla testa Josip Broz Tito.
Mentre si scatena l’azione terroristica degli occupanti che smembravano
il paese, comincia la lotta armata diretta dal partito comunista
temprato da venti anni di esperienza clandestina.
La Conferenza dei quadri comunisti, in Zagabria del 1941 indica la
piattaforma politica largamente unitaria di questa lotta.
Indipendentemente dalle differenze nazionali, politiche e religiose, si
chiama il popolo a combattere gli invasori e i collaborazionisti.
Contemporaneamente al sorgere delle formazioni partigiane è
l’estendersi dei fronti di liberazione nei quali si raccolgono le forze
migliori della nazione. Le forze fedeli alla monarchia, quindi legate
alla classe degli sfruttatori, finiranno col combattere i partigiani,
che rappresentano la lotta di classe degli sfruttati.
Anni 1942 e 1943: due anni decisivi.
La lotta partigiana costringe i tedeschi ad iniziare, nell’autunno del
1941, operazioni belliche di più largo respiro di quanto si
aspettassero.
Alla prima offensiva che ha per obiettivo il territorio liberato della
Serbia occidentale, altre ne seguono a breve distanza.
Nella terza si combatte la grande battaglia della Kozara dove c’è uno
dei più forti centri della lotta di liberazione.
Si giunge tra alterne fasi al 1942, l’anno della svolta per il
movimento di liberazione jugoslavo sia sul piano militare che in quello
politico.
Mentre i cetnici monarchici, i cattolici ed i reazionari gettano la
maschera di patrioti e combattono al fianco dei tedeschi, i partigiani
liberano un quinto del territorio nazionale e costituiscono il
Consiglio Antifascista di liberazione, primo Parlamento del nuovo Stato
democratico, espressione delle forze popolari che hanno dato vita al
movimento.
L’anno successivo vede il fallimento delle operazioni naziste definite
Wess I e Wess II e il rafforzamento della posizione internazionale del
movimento di liberazione e, nel settembre, il crollo dell’Italia
fascista, le cui forze armate in Jugoslavia, abbandonate al loro
destino da Roma, o vengono catturate dai tedeschi o si schierano con i
partigiani, come abbiamo già detto.
Il 29 novembre del 1943 in una riunione si decide di creare un
Comitato di Liberazione con funzioni di governo provvisorio e si
approva un progetto di Costituzione federale e democratica per la
futura Jugoslavia con ampio riconoscimento dei diritti dei vari gruppi
etnici.
La forza della realtà costringe gli alleati ad ignorare le proteste del
governo in esilio al Cairo e a tenere sempre più conto delle forze
partigiane di Tito.
Il 6 giugno il premier croato stringe un accordo con Tito che di fatto
significa la capitolazione del re che ivi risiedeva.
Intanto la liberazione del paese progredisce: in ottobre Belgrado è
liberata. Seguendo l’esempio della Serbia anche le altre previste unità
federali formano propri governi sulla base del CLN.
Là dove c’era il re viene dato il mandato a Tito che forma un nuovo
governo e tiene anche il portafoglio della difesa.
Le elezioni per la Costituente del novembre 1954 segnano la vittoria
del Fronte nazionale e la liquidazione della monarchia che viene
definitivamente dichiarata decaduta dall’Assemblea nazionale.
L’esercito di liberazione nazionale pagò la sua lotta a caro prezzo:
350.000 morti, 400.000 i feriti, numerosi i dispersi.
Con i morti sotto i bombardamenti, le vittime della guerra contro il
nazifascismo toccarono quasi i due milioni, oltre il 10% della
popolazione. Solo l’URSS e la Polonia superarono questa percentuale.
Ingentissimi furono anche i danni materiali, case bruciate, miniere,
fabbriche, vie di comunicazione, attrezzature agricole e bestiame.
Questi popoli che avevano tanto sofferto volevano a pieno diritto
coronare la fine della guerra costruendo uno Stato basato sugli ideali
rivoluzionari per i quali avevano lottato e vinto.
Mentre l’esercito popolare conduceva a termine l’ultima vittoriosa
offensiva, i Consigli di liberazione della Serbia, della Croazia, della
Slovenia e delle altre nazionalità e regioni, costituivano i rispettivi
governi popolari federali, e la Jugoslavia si proclamava "democratica e
federativa" .
Nell’agosto del 1945 l’Assemblea nazionale emanò la legge per la
riforma agraria. Furono confiscate senza risarcimento, ai
latifondisti, le terre eccedenti i 30 ettari, e alla chiesa quelle
eccedenti i 10 ettari, limite che sarà portato anche più tardi alla
proprietà della terra per chiunque.
Questa legge permise di distribuire la terra in parti uguali ai
contadini poveri.
Seguì la riforma valutaria che andò a colpire gli speculatori e i
profittatori della guerra.
Poi venne emanata la legge delle nazionalizzazioni che eliminò anche
gli ultimi residui capitalistici e il ruolo che nel passato aveva
avuto il capitale straniero.
L’11 novembre si svolsero le elezioni per l’Assemblea costituente e la
lista del Fronte popolare fu votata al 96%.
L’Assemblea si riunì per la prima volta il 29 novembre e il suo primo
atto fu la proclamazione della repubblica Federativa Popolare.
La nuova Costituzione il cui progetto era stato posto in discussione
anche tra le masse popolari fu promulgata il 31 gennaio del 1946. Essa
sanciva definitivamente il nuovo sistema di democrazia popolare e
conteneva le premesse del nuovo regime socialista.
Seguirono anni di costruzione della società socialista nella pace e
nell' armonia tra le diverse etnie che contribuirono a diffondere la
cultura necessaria ai popoli, ad esprimere attraverso le diverse arti,
testimonianze di alto valore universale.
Ma questa affermazione della Repubblica Federativa di Jugoslavia negli
anni ’90 dava fastidio e preoccupava il nuovo imperialismo che tanto
diverso da quello hitleriano non è certamente, e tramite una
vigliacca aggressione - alla quale, oltre agli USA, hanno contribuito
anche diversi popoli europei, tra i quali l'’Italia - hanno distrutto
questo paese, annientandone le diverse popolazioni, e addirittura
portando dinanzi un tribunale illegale dell’Aia il presidente serbo
Slobodan Milosevic, reo di non aver accettato le imposizioni arbitrarie
del nemico invasore.
Ma, come insegna la concezione del mondo materialista e dialettica, la
Storia certo non finisce qui.