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BOSNIANS SAY NATO BOMBS BROUGHT "ANGEL OF DEATH"
Many Bosnians blame high cancer rates on NATOís use of depleted uranium
munitions in 1995, but scientists remain divided over the alleged link.
 
By Ekrem Tinjak, Faruk Boric and Hugh Griffiths in Han Pijesak and
Sarajevo - IWPR'S BALKAN CRISIS REPORT, No. 526, November 15, 2004 -
www.iwpr.net ]


http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3636/1/51/

I bosniaci: le bombe della NATO hanno portato l’angelo della morte


16.11.2004
Molti bosniaci ritengono che l’alto numero di tumori nel Paese sia
legato all’uso da parte della NATO di munizioni all’uranio impoverito
nel 1995. Ma gli scienziati, sulla questione, si dividono. Un reportage
investigativo tratto da IWPR.

Di Ekrem Tinjak, Faruk Boric e Hugh Griffiths -IWPR
Traduzione a cura di Osservatorio sui Balcani


Ad Hadzici, sobborgo di Sarajevo, l’imam locale, Hazim Effendi Emso,
osserva un cimitero straripante. Lo spazio al centro della triste
distesa di questa periferia industriale è costellato di nuove tombe.

“Recentemente il numero dei funerali è aumentato. Quasi ogni giorno un
funerale” afferma triste.

Le date di nascita e di morte scolpite sulla lapide mostrano che molti
sono morti nella loro mezz’età. La maggior parte di loro viveva a
Grivci, un quartiere di Hadzici.

“Un gran numero di abitanti di Grivci sono morti di cancro ma è solo da
un anno che stiamo registrando e tenendo statistiche sui decessi”,
continua l’Imam.

A 64 chilometri a nord di Grivici, sulle montagne Romanjia, a 1000
metri sul livello del mare, un altro religioso si trova ad affrontare
gli stessi problemi.

Branko, un prete serbo-ortodosso a Han Pijesak, in Republika Srpska,
RS, indica una cartina appesa ad una parete dell’ufficio del preside
della scuola locale.

“Questo è il villaggio di Japaga. Circa 100 persone vi vivono ma nel
1996 molti sono morti di cancro”. Ha dichiarato ad IWPR.

“Il primo a morire è stata la cuoca della base militare che vi si
trova, la signora Ljeposava, poi è toccato alla signora Todic. Poi è
morto anche Budimir Bojat, che aveva sessant’anni, e Goran Basteh, che
ne aveva 45, entrambi di cancro”.

Il prete lascia la cartina e volge la sua attenzione verso alcuni
documenti su di una tavola. “Ogni anno, a Japaga, almeno una persona
giovane muore di cancro” continua “non è certo normale in un villaggio
così piccolo”.

Ad un primo sguardo le comunità di Hadzici e Han Pijesak sembrano molto
differenti. Uno è un abitato in prevalenza musulmano, in un sobborgo
industriale, il secondo è rappresentato da un insieme di villaggi serbi
di montagna, collocati in uno degli ambienti più incontaminati d’Europa.
Ma i residenti di entrambe le località affermano che soffrono di questo
alto tasso di decessi per cancro in seguito ai bombardamenti NATO
all’uranio impoverito avvenuti nel settembre del 1995.

Uranio impoverito, un’eredità della guerra in Bosnia

Le Nazioni Unite descrivono l’uranio impoverito, DU, come un residuo
del processo per arricchire l’uranio utilizzato nei reattori nucleari e
nelle armi nucleari. E’ un “metallo instabile e radioattivo” che emette
radiazioni ionizzanti di tre tipi: alpha, beta e gamma.

Gli Stati Uniti, assieme agli altri Paesi della NATO, utilizzano il DU
per munizioni perforanti anticarro ed antiaeree.
Le forze aeree NATO hanno utilizzato l’uranio impoverito contro
l’esercito serbo-bosniaco nell’agosto e nel settembre 1995 per arrivare
ad una conclusione rapida del conflitto nella ex Repubblica jugoslava.

“L’obiettivo era quello di destrutturate il comando delle forze
serbo-bosniache e di indebolire le capacità di combattere di queste
ultime”, ha affermato una fonte NATO a Sarajevo. “Non abbiamo provato a
distruggere l’esercito”.

Secondo la NATO, dal 5 all’11 settembre del 1995, i propri aerei hanno
sparato 5,800 proiettili all’uranio impoverito presso Han Pijesak e
Hadzici. Più del 90% di tutte le munizioni sparate sulla Bosnia
Erzegovina durante gli attacchi aerei caddero su quelle due località.

La NATO afferma che circa 2400 volte gli aerei hanno sparato proiettili
verso la base militare di Han Pijesak, nei pressi del villaggio di
Japaga. Altre 1500 volte verso il deposito-rifugio per carro armati di
Hadzci, nei pressi di Grivci.

Scienziati dell’ United Nation Environmental Programme, UNEP, hanno
rilevato contaminazione nei campioni d’aria, d’acqua e di terreno di
Hadzici e Han Pijesak raccolti nell’ottobre 2002.
“Abbiamo trovato ancora munizioni all’uranio impoverito sul terreno e
polvere di uranio impoverito in edifici trasformati poi ad Hadzici in
negozi”, ha affermato ad IWPR Pekko Haavisto, a capo della missione
UNEP. “Ad Hadzici abbiamo anche trovato due pozzi la cui acqua
presentava tracce di uranio impoverito, ad otto anni dalla fine del
conflitto”.

“Alla base militare di Han Pijesak abbiamo trovato polvere di uranio
impoverito nei vari edifici, nei carri armati ed altro equipaggiamento
ed eravamo preoccupati che i militari di leva utilizzandoli potessero
risultare contaminati”.

Ciononostante l’UNEP non concorda sul fatto che questi ritrovamenti
confermino le paure bosniache che l’alto tasso di decessi per cancro
sia legato ai bombardamenti NATO. “La bassa esposizione identificata
dalla missione indica che è poco probabile che l’uranio impoverito
possa essere associato in alcun modo a conseguenze per la salute” si
afferma in un suo rapporto del 2003.

Ma la gente di Han Pijesak e Hadzici non concorda con queste
conclusioni. Insiste infatti sul fatto che la contaminazione da uranio
impoverito deve essere responsabile per quelli che definiscono alti ed
anomali tassi di decesso per cancro.

Nessun fondo per la decontaminazione

Nonostante l’UNEP nel suo rapporto indicasse che gli edifici colpiti
con proiettili all’uranio impoverito dovessero essere decontaminati,
poco o nulla è stato fatto. Lo ha dimostrato un’inchiesta di IWPR.

Quando IWPR ha visitato la base militare di Han Pijesak, colpita anni
prima dalla NATO, abbiamo trovato un carro armato T62 lasciato ad
arrugginire presso il recinto che delimita il perimetro della base. Le
sentinelle che ci hanno invitato a non camminare oltre hanno affermato
che, per quanto ne sapessero, i siti colpiti con DU non sono mai stati
decontaminati.

“Camminiamo spesso su quei terreni ma nessuno ci ha avvertito di alcun
pericolo”, ha aggiunto una sentinella preoccupata.

In Federazione le lamentele sono simili. “Siamo rientrati nel 1997, due
anni dopo il bombardamento” afferma Suljo Drina, di Grivci, “ma il
terreno non è stato mai decontaminato. Adesso mio padre ha un cancro
alla gola”.

Nel 2002 il governo della Federazione ha destinato 138.000 marchi
convertibili per decontaminare i siti di Hadzici ed alle autorità
cantonali di Sarajevo era stato chiesto di contribuire con ulteriori
123.000 marchi, ma sino ad ora nulla è stato fatto.

I soldi, emerge, non hanno mai raggiunto i beneficiari. “Semplicemente
non abbiamo le risorse” afferma Mustafa Kovac, a capo della protezione
civile del cantone di Sarajevo “abbiamo bisogno di strumentazione per
misurare le radiazioni, equipaggiamento per proteggere il nostro
personale e per l’addestramento ma, ripeto, non ci sono fondi a
disposizione”.

Pekko Haavisto, dell’UNEP, ha dichiarato ad IWPR che l’Unione Europea
ha già offerto di finanziare la bonifica ma i fondi non sono stati
richiesti dalle autorità locali.

“L’UNEP ha anche detto alle autorità della Republika Srpska e della
Federazione, durante un seminario di formazione, che avrebbe potuto
offrire consulenza sul campo presso i siti da decontaminare” ha
affermato “ma nessuno ha presentato alcuna richiesta”.

Il buco nero dell’informazione alimenta le paure

I medici bosniaci affermano che la mancanza di ricerca degli effetti
sulla salute dell’uranio impoverito ha creato un clima di sfiducia.

“La cosa che mi confonde è che il rapporto dell’UNEP afferma che il
livello di radiazioni nelle aree contaminate non è rischioso” ricorda
ad IWPR Zehra Dizdarevic, assessore alla salute di Sarajevo.

“Ma, dall’altro lato erano inserite nel rapporto 24 raccomandazioni su
come ci si dovrebbe tutelare e su come decontaminare le aree in
questione”.

“E’ difficile stabilire se qualcuno si sia ammalato di cancro perché
viveva o vive vicino ad aree contaminate. Comunque senza indagini
specifiche nessuno è in grado nemmeno di confutare quest’eventualità”.

“Il rapporto dell’UNEP afferma come sia necessario altro lavoro di
indagine scientifica. Questo non è ancora successo”.
Lejla Saracevic, direttrice dell’Istituto di radiologia di Sarajevo,
concorda sul fatto che manchino statistiche ed informazioni affidabili
e che questo è un grave problema. “Non ci è mai stata alcuna ricerca
seria su questa questione”, ha affermato.

“Anche se il governo della Federazione ha istituito un gruppo di
esperti, del quale io faccio parte, mancano i fondi e l’interesse
generale per far luce sulla vicenda. E questi significa che ad ora
nulla è stato fatto”.

Anche i dottori della RS condividono ampiamente queste preoccupazioni
in merito alla mancanza di informazioni. “C’è stato un sensibile
incremento di malattie legate a tumori a Han Pijesak a partire dalla
guerra, ma senza una ricerca seria in merito non si può sapere se siano
legate all’uranio impoverito” afferma Ljuboje Sapic, specialista di
malattie ai polmoni presso il centro sanitario di Han Pijesak.

“La poca ricerca che è stata fatta sull’uranio impoverito è ancora
legata a supposizioni e congetture” ha aggiunto Sapic “abbiamo bisogno
di statistiche e fatti concreti”.
Tutti i medici intervistati da IWPR hanno affermato che la mancanza di
dati statistici è uno dei principali ostacoli nello stabilire le
correlazioni tra i bombardamenti NATO e la mortalità per cancro.
L’assenza di tali statistiche implica sia difficile stabilire il tasso
di incremento di tumori nel dopoguerra bosniaco.

“Posso affermare che abbiamo avuto un incremento dei casi di tumori ma
non posso né confermare né smentire un collegamento con l’uranio
impoverito” ha affermato Bozidar Djokic, direttore del centro sanitario
di Han Pijsak “non abbiamo dati statistici e quindi non possiamo fare
comparazioni con il passato”.

I colleghi della Federazione affermano la stessa cosa. “Quando diciamo
che c’è stato un incremento di persone ammalate di tumore non significa
nulla” afferma il dottor Saracevic “come facciamo a quantificare
quest’incremento se non sappiamo quanti sono gli ammalati attualmente e
quanti erano negli anni scorsi?”.

“Inoltre molti di coloro i quali vivevano ad Hadzici durante il
bombardamento vivono ora nell’Entità serba. Dovrebbero essere esaminati
anche loro, se vogliamo arrivare ad una conclusione in questa storia”.

Gli Accordi di Dayton che nel 1995 hanno posto fine alla guerra ha
riconosciuto Hadzici come parte della Federazione, molti dei serbi che
vi risiedevano se ne andarono a vivere in Republika Srpska. Molti di
loro vivono ora nella piccola città di Bratunac, nella Bosnia orientale.

IWPR si è recata a Bratunac. Anche se anche qui non erano a
disposizioni statistiche che testimoniassero l’incremento dei casi di
tumore i medici del posto hanno riportato molte evidenze aneddotiche.

Secondo Svetlana Jovanovic, medico presso l’ospedale di Bratunac, dal
1996 circa 650 dei 7.000 sfollati originari di Hadzici, sono morti e
sono stati seppelliti nel cimitero della città, che è andato presto
riempiendosi.

Secondo la Jovanovic, dopo aver esaminato i corpi, almeno 40 di questi
650 erano deceduti per cancro o leucemia.
“Se circa 7.000 persone si sono trasferite da Hadzici, possiamo stimare
che il tasso di tumori sia inusualmente alto comparandolo con i tassi
dell’intero Paese”, ha affermato la Jovanovic.

“Ma non abbiamo statistiche rilevanti da altri posti per fare confronti
ufficiali ed arrivare a qualche conclusione”.
Quello che è fuor di dubbio è che il tasso di mortalità a Bratunac è
molto superiore, nel complesso, a quello della Bosnia Erzegovina. Nel
2002 il tasso di mortalità era di 7.9 ogni mille abitanti. A Bratunac,
nel periodo che va dal 1996 al 2003, era di 11.9. Più persone muoiono a
Bratunac che nel resto della Bosnia Erzegovina. La domanda è perché.

Lo scetticismo sui rischi derivanti dall’uranio impoverito

Il rapporto UNEP del 2003 non entra nel merito sul rapporto tra DU e
casi di tumore. Citando la mancanza di informazione adeguata conclude
infatti che “a causa della mancanza di registri dei tumori in Bosnia le
affermazioni in merito ad un aumento dei casi di tumore legato
all’uranio impoverito non possono essere sostanziate”.

Anche gli scienziati dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità, OMS,
sono scettici sul fatto che l’uranio impoverito rappresenti un rischio
per la popolazione bosniaca.
“Dalle informazioni che abbiamo al momento non crediamo che i civili
siano in pericolo” ha affermato Mike Repacholi, coordinatore del
programma sulle radiazioni con base a Ginevra dell’OMS.

Ha ammesso, ciononostante, che la mancanza di ricerca rende in ogni
caso difficile trarre conclusioni. “Vi sono dei gap nella nostra
conoscenza e necessitiamo di ricerca specifica per fare una valutazione
migliore dei rischi per la salute”, ha affermato.

L’Autorità Internazionale sull’Energia Atomica, IAEA, ha adottato una
linea molto simile. Tiberio Cabianca, del dipartimento sulla pubblica
sicurezza dell’IAEA, ha preso parte alla missione investigativa di
dieci giorni dell’UNEP, nel 2002.
“Da un punto di vista radiologico la IAEA non considera l’uranio
impoverito una minaccia per la salute della popolazione civile in
Bosnia Erzegovina”, afferma.
“Dai nostri campioni abbiamo rilevato come le munizioni all’uranio
impoverito abbiano contaminato le scorte d’acqua ed abbiamo trovato
particelle di polvere d’uranio impoverito sospese in aria.
Ciononostante i livelli di contaminazione erano molto bassi e non
rappresentavano alcun rischio radioattivo diretto”.

In ogni caso Pekko Haavisto, dell’UNEP, tara queste conclusioni
ricordando il relativamente lungo lasso di tempo intercorso dal momento
dei bombardamenti, quando la contaminazione ha toccato il suo apice, al
momento di quest’indagine scientifica.

“Quando abbiamo effettuato il nostro studio di dieci giorni gli esperti
non hanno rilevato alcun rischio di impatto diretto sulla salute
pubblica. Ma questo è avvenuto nel 2002, e così non siamo in grado di
dire quale sia stato l’impatto sulla salute negli anni precedenti” ha
affermato. “Non abbiamo effettuato alcun test se non ad otto anni dal
bombardamento”.
“Il rapporto dell’UNEP è basato su una teoria che va per la maggiore
che afferma che l’uranio impoverito ha un impatto limitato sulla salute
al di fuori dell’area specifica di contaminazione. Ma c’è un gruppo di
esperti che ritiene che anche bassi livelli di radiazioni di uranio
impoverito possono avere gravi effetti, e per questo hanno criticato il
nostro rapporto”.

In disaccordo su come misurare la contaminazione

Alcuni scienziati affermano che il problema sta tutto nel metodo di
misurazione. Uno tra chi ritiene che l’uranio impoverito sia molto più
pericoloso di quanto si sia supposto è Chris Busby, del comitato del
Ministero della difesa britannico istituito per monitorare le questioni
legate all’uranio impoverito.
Il dottor Busby ha condotto i propri studi in un'altra area dove è
stato utilizzato il DU, il Kossovo. “L’UNEP afferma che piccole
quantità di uranio impoverito nell’aria non sono pericolose, ma non è
il caso del Kossovo” ha affermato ad IWPR aggiungendo che secondo lui
“hanno utilizzato i modelli di rischio sbagliati”.

“Il modello convenzionale di rischio è basato sul rapporto tra l’intero
organismo ed una particella di uranio impoverito” ha spiegato.

“Ma quando la particella di uranio impoverito viene inalata accade che
viene esposto a quest’ultima solo una minima parte di tessuto. Non
sull’intero organismo dovremmo calcolare i suoi effetti ma solo sulle
cellule direttamente colpite”.

Malcolm Hooper, professore emerito di chimica presso l’università di
Sunderlan concorda come questo sia un metodo migliore per misurare la
forza della contaminazione.
“L’uranio impoverito è un rischio per la salute della popolazione
civile perché le particelle di DU finiscono inizialmente nelle acque.
Poi, con il sole, la luce ed il caldo stimola nuovamente le particelle
che vengono sospese nuovamente nell’aria”, ha detto ad IWPR.

“Il rapporto dell’UNEP è poco credibile. Sono arrivati con sette anni
di ritardo ed i siti bombardati, quanto vi si sono recati, erano già
stati parzialmente decontaminati: i veicoli distrutti e la maggior
parte delle munizioni erano state rimosse”.

Infine il professor Hooper ha ricordato la controversia che riguarda i
militari italiani che sono stati in missione sia in Bosnia che in
Kossovo. Le prime ipotesi di un collegamento tra le morti per cancro e
l’uranio impoverito sono emerse proprio in seguito alle morti
misteriose di giovani soldati italiani che erano stati di servizio in
quelle terre.

La TV italiana l’ha subito chiamata la “sindrome dei Balcani” e la
stampa straniera ha ripreso la storia.

Le paure sull’uranio impoverito in Bosnia sono emerse quindi per la
prima volta nel dicembre del 2000, con la morte per cancro di Salvatore
Carbonaro, di 24 anni.

Carbonaro era il sesto veterano dei Balcani a morire di cancro e si
differenziava dai cinque precedenti perché era stato solo in Bosnia e
non in Kossovo.

Sino ad allora la NATO non aveva mai nemmeno ammesso di aver utilizzato
proiettili all’uranio impoverito in Bosnia. Ma nel dicembre del 2000 il
Ministro alla difesa italiano, Sergio Mattarella, ha ammesso che
l’Alleanza li aveva usati, aggiungendo di esserne stato solo allora
informato.

Mattarella ha poi ordinato un’inchiesta, guidata dal professor Franco
Mandelli, per investigare il potenziale collegamento tra l’incidenza di
tumori nell’esercito e l’uranio impoverito.

Uno dei membri del gruppo di Mandelli, il dottor Martino Grandolfo, ha
affermato ad IWPR di aver riscontrato un eccesso statistico di linfomi
di Hodgkin, una forma di leucemia.

“La percentuale di casi di linfoma di Hodgkin tra le truppe italiane
che sono state in Bosnia e Kossovo è più del doppio di quelli
riscontrati tra i soldati che sono rimasti in Italia”, ha affermato ad
IWPR “ma al momento non sappiamo perché questo avvenga”.

Nel luglio del 2004 erano arrivati a 27 i veterani italiani dai Balcani
morti per cancro ma chi si batte per i loro diritti afferma che la
cifra è addirittura più alta.

“Ci si aggira sui 32 o 33, ed il numero di veterani ammalati di cancro
è sul centinaio” ha affermato ad IWPR Falco Accame, ex ufficiale della
marina e ricercatore militare, che presiede l’Anavafaf, associazione di
veterani.

Le reazioni sdegnate dell’opinione pubblica ha obbligato il governo a
creare una commissione parlamentare presso il Senato sull’uranio
impoverito che dovrà compiere ulteriori indagini.

Ma Accame ha affermato ad IWPR che lo Stato, nonostante abbia pagato un
indennizzo alle famiglie dei militari morti, non ha riconosciuto alcun
legame tra queste morti e l’uranio impoverito.

“Come accade nel caso dei problemi di salute legati alle sigarette o
all’amianto, anche con l’uranio impoverito non possiamo essere certi
che ci sia correlazione con la morte dei soldati” ha aggiunto Accame
“quello con cui abbiamo a che fare qui sono solo probabilità”.

Ciononostante la non volontà di riconoscere ufficialmente alcun legame
tra DU e cancro potrebbe cambiare.

In una sentenza molto significativa, nel luglio 2004, una corte di Roma
ha ordinato al ministero per la difesa di risarcire con 500.000 euro la
famiglia di Stefano Melone, un veterano dei Balcani morto di cancro nel
2001.

La corte ha dichiarato che Melone è morto “in seguito all’esposizione a
sostanze radioattive e cancerogene” ed ha elencato l’uranio impoverito
tra queste.

La vedova del soldato deceduto, Paola Melone, ha affermato ad IWPR che
quest’ultimo è stato “un caso storico” aggiungendo che una corte civile
ha ora “riconosciuto che l’uranio impoverito è un agente cancerogeno
l’ha elencato in una lista di possibili cause” della morte di suo
marito.

“Questo caso costituisce un precedente e stiamo organizzando una
conferenza qui in Italia, a favore di altre famiglie di veterani o
deceduti, per aiutarle nei casi giudiziari che hanno in corso”, ha
aggiunto.

In Bosnia, si continua a morire

Ritornando in Bosnia non si parla di casi giudiziari, commissioni
parlamentari e bonifiche.

Mentre il dibattito divampa in Italia su cause ed effetti, la gente
locale in Bosnia continua ad affermare che molte persone muoiono
inspiegabilmente.

Ahmed Fazlic-Ivan, vice-presidente del distretto di Grivci, vive a 300
metri dal deposito per carri armati bombardato.
“Siamo venuti a conoscenza dell’uranio impoverito nel 2002, quando sono
arrivati qui gli ispettori dell’ONU”, ha affermato ad IWPR.

“Mio padre è morto di un tumore ai polmoni nel marzo di quest’anno. Vi
sono 700 persone che vivono a Grivci e 56 di questi sono morti negli
ultimi due anni, molti dei quali di cancro o diabete”.

“Qui diciamo spesso che Aezrael, l’angelo della morte, è venuto a
Grivci e che porterà via tutti”.


Vedi anche:
Uranio impoverito: animali con otto zampe
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3190
Uranio Impoverito: tutto da rifare
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/3269
Uranio impoverito: si faccia chiarezza
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/2659
Uranio impoverito, gli errori di Mandelli
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/258