"TERRORE ROSSO"
Riportiamo, senza bisogno di alcun commento, l'articolo dell'agenzia
di regime italiana ANSA sull'ondata revanscista in atto nella "nuova
Serbia democratica" del dopo-Milosevic.
Si tratta di una riscrittura della storia di segno monarchico,
nazionalista-cetnico e fascista-collaborazionista, oggi in auge in
Serbia analogamente a quanto avviene in tutti i Balcani ed in tutti i
paesi dell'Europa "liberati" dal socialismo e dal comunismo (Italia
compresa: si pensi ai libri di Pansa o alla propaganda
neoirredentista sulle "foibe").
Riportiamo questo articolo come esempio emblematico di "giornalismo"
da Guerra Fredda fuori tempo massimo, con il suo carico di faziosità
anticomunista, omertà mafiosa sulla condizione della Jugoslavia
occupata dalle truppe di Mussolini ed Hitler, retorica grand-
guignolesca, e squisite menzogne secondo la lezione della propaganda
di guerra antijugoslava: quella propaganda che, dopo avere
accompagnato lo squartamento della RFSJ negli anni Novanta, continua
ancora oggi, violentissima, grazie allo zelante contributo di
professionisti del genere come Alessandro Logroscino. (AM)
SERBIA: DOPO 60 ANNI RIABILITATE VITTIME TERRORE ROSSO /ANSA
(di Alessandro Logroscino) (ANSA) - BELGRADO, 27 NOV - Si dischiudono
dopo 60 anni, in clamoroso ritardo persino rispetto alla
destalinizzazione sovietica, le porte della riabilitazione legale per
le prime vittime del terrore rosso jugoslavo in Serbia: scatenato
nella fase iniziale del regime di Tito, all'indomani della presa del
potere a Belgrado. Rese possibili da una legge varata appena 7 mesi
fa, le sentenze destinate a restituire onore postumo ad alcune delle
migliaia e migliaia di persone che caddero nella rete delle
repressioni politiche hanno cominciato a essere formalizzate in
questi giorni. In un clima di nuovi interessi storici, profonda
rivisitazione del passato - e talora di uso strumentale delle vicende
d'allora - che rompe comunque con decenni di censura. A richiamare
l'attenzione dei media contribuisce anche un anniversario che ricorre
proprio oggi: quello legato alla pubblicazione, il 27 novembre 1944,
della lista delle prime 105 persone giustiziate sommariamente dalle
forze partigiane titine subito dopo il loro ingresso a Belgrado. Una
decimazione di gruppo che coinvolse simpatizzanti veri o presunti
della resistenza nazional-monarchica serba dei cetnici (rivale negli
anni precedenti di quella comunista), ma pure intellettuali sgraditi,
figure genericamente sospette, bersagli di classe o vittime di
espropri, saccheggi e vendette pure e semplici. Un'avanguardia di
quella che sarebbe diventata nell'arco di un decennio una schiera di
morti dimenticati: liquidati a carrettate e sotterrate perlopiu' in
fosse comuni negli anni dell'ascesa e del consolidamento del potere
di Josip Broz, detto Tito. Quelli del rigore ideologico e della
spietatezza di regime, ancora lontani dalla rottura definitiva con
Stalin e dalla svolta che avrebbe fatto del maresciallo di Belgrado
l'icona di una sorta di socialismo dal volto umano. O quasi. In
totale, fra il 1944 e l'inizio degli anni '50, la mannaia del
bolscevismo in salsa jugoslava ''chiuse gli occhi per sempre a 65.000
persone nella sola Serbia'', spiega all'Ansa il professor Srdjan
Cvetkovic, docente di storia contemporanea all'Universita' di
Belgrado e autore di un libro fresco di stampa, 'Tra falce e
martello', dedicato alle repressioni di quell'epoca. ''Nello stesso
periodo altri 200.000 serbi finirono nei gulag di Tito'', aggiunge
Cvetkovic, ricordando poi tra gli episodi piu' sanguinosi quello
dell'eccidio di Dedinje: quartiere borghese per antonomasia di
Belgrado - divenuto nei decenni successivi rifugio di lusso della
nomenklatura comunista - dove in un sol giorno la polizia politica
catturo', condanno' sbrigativamente e stermino' piu' di 900 persone.
''Elementi ostili'', secondo il linguaggio rivoluzionario, ai quali
e' stato negato a lungo pure il diritto alla memoria. In una cappa di
silenzio mantenuta saldamente in vigore ancora nella stagione
dell'ultimo despota jugosocialista di Belgrado: quello Slobodan
Milosevic capace negli anni '90 di servirsi del nazionalismo serbo e
di sobillarne anche i lati piu' oscuri, ma senza mai mettere in
discussione i dogmi della vulgata storiografica rossa ne' i miti di
una nomenklatura da cui egli stesso pretendeva di trarre
legittimazione. A cambiare le cose e' intervenuta ora la legge del 25
aprile 2006, approvata dall'attuale parlamento serbo su impulso del
governo del premier Vojislav Kostunica, un nazional-moderato che non
nasconde le sue simpatie per le tradizioni della Serbia monarchica e
ortodossa. E con il consenso di quasi tutte le maggiori forze
politiche odierne, favorevoli - sia pure con accenti diversi - a un
atteggiamento di revisionismo storico. Ecco dunque le prime richieste
di riabilitazione, avanzate in questi mesi dai discendenti di 250
vittime del terrore di 60 anni or sono per cancellare il marchio
d'infamia lasciato in eredita' dai carnefici. Richieste che la corte
distrettuale incaricata di occuparsene ha cominciato a esaminare. Le
prime tre sentenze d'assoluzione post mortem sono arrivate questa
settimana. Tra i beneficiari c'e' Momcilo Nincic, bollato come
traditore per essere stato ministro degli esteri nel governo
monarchico in esilio a Londra durante l'occupazione nazi-fascista
della Jugoslavia. E Miljko Petrovic, un piccolo industriale del legno
di Cacak (Serbia centrale), internato come nemico di classe. Ma c'e'
anche una 'brava comunista', Kosovka Milosevic (niente a che vedere
con Slobo), gia' tenente dell'armata popolare partigiana, finita al
muro solo per aver denunciato nei primi anni '50 il malcontento
generale della popolazione della provincia del Kosovo, inquieta fin
d'allora. Olga Nincic, figlia novantenne di Momcilo, ha accolto
l'evento come ''la riparazione di un'ingiustizia''. E, per quanto
vedova di un convinto militante titino, si e' detta ''felice d'essere
sopravvissuta sino a questo giorno''. Altri, viceversa, attendono
ancora. Come Milica Veselinovic, figlia di Mihajlo Veselinovic, noto
industriale belgradese d'anteguerra ucciso a Dedinje. L'unica
consolazione - dice all'Ansa - e' d'aver potuto dare di recente ''una
sepoltura degna'' al genitore: dopo averne riesumato la salma dal
luogo in cui era stata celata, grazie alle confidenze ricevute 30
anni fa da un ex prigioniero di guerra italiano - ''della provincia
di Napoli'' - costretto a suo tempo dai boia a fare da becchino. Un
''benefattore'' mai identificato che la signora Milica spera ora di
poter ritrovare. Insieme con la redenzione giudiziaria del padre.
(ANSA). LR
27/11/2006 17:41
http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/20061127174134124114.html
Riportiamo, senza bisogno di alcun commento, l'articolo dell'agenzia
di regime italiana ANSA sull'ondata revanscista in atto nella "nuova
Serbia democratica" del dopo-Milosevic.
Si tratta di una riscrittura della storia di segno monarchico,
nazionalista-cetnico e fascista-collaborazionista, oggi in auge in
Serbia analogamente a quanto avviene in tutti i Balcani ed in tutti i
paesi dell'Europa "liberati" dal socialismo e dal comunismo (Italia
compresa: si pensi ai libri di Pansa o alla propaganda
neoirredentista sulle "foibe").
Riportiamo questo articolo come esempio emblematico di "giornalismo"
da Guerra Fredda fuori tempo massimo, con il suo carico di faziosità
anticomunista, omertà mafiosa sulla condizione della Jugoslavia
occupata dalle truppe di Mussolini ed Hitler, retorica grand-
guignolesca, e squisite menzogne secondo la lezione della propaganda
di guerra antijugoslava: quella propaganda che, dopo avere
accompagnato lo squartamento della RFSJ negli anni Novanta, continua
ancora oggi, violentissima, grazie allo zelante contributo di
professionisti del genere come Alessandro Logroscino. (AM)
SERBIA: DOPO 60 ANNI RIABILITATE VITTIME TERRORE ROSSO /ANSA
(di Alessandro Logroscino) (ANSA) - BELGRADO, 27 NOV - Si dischiudono
dopo 60 anni, in clamoroso ritardo persino rispetto alla
destalinizzazione sovietica, le porte della riabilitazione legale per
le prime vittime del terrore rosso jugoslavo in Serbia: scatenato
nella fase iniziale del regime di Tito, all'indomani della presa del
potere a Belgrado. Rese possibili da una legge varata appena 7 mesi
fa, le sentenze destinate a restituire onore postumo ad alcune delle
migliaia e migliaia di persone che caddero nella rete delle
repressioni politiche hanno cominciato a essere formalizzate in
questi giorni. In un clima di nuovi interessi storici, profonda
rivisitazione del passato - e talora di uso strumentale delle vicende
d'allora - che rompe comunque con decenni di censura. A richiamare
l'attenzione dei media contribuisce anche un anniversario che ricorre
proprio oggi: quello legato alla pubblicazione, il 27 novembre 1944,
della lista delle prime 105 persone giustiziate sommariamente dalle
forze partigiane titine subito dopo il loro ingresso a Belgrado. Una
decimazione di gruppo che coinvolse simpatizzanti veri o presunti
della resistenza nazional-monarchica serba dei cetnici (rivale negli
anni precedenti di quella comunista), ma pure intellettuali sgraditi,
figure genericamente sospette, bersagli di classe o vittime di
espropri, saccheggi e vendette pure e semplici. Un'avanguardia di
quella che sarebbe diventata nell'arco di un decennio una schiera di
morti dimenticati: liquidati a carrettate e sotterrate perlopiu' in
fosse comuni negli anni dell'ascesa e del consolidamento del potere
di Josip Broz, detto Tito. Quelli del rigore ideologico e della
spietatezza di regime, ancora lontani dalla rottura definitiva con
Stalin e dalla svolta che avrebbe fatto del maresciallo di Belgrado
l'icona di una sorta di socialismo dal volto umano. O quasi. In
totale, fra il 1944 e l'inizio degli anni '50, la mannaia del
bolscevismo in salsa jugoslava ''chiuse gli occhi per sempre a 65.000
persone nella sola Serbia'', spiega all'Ansa il professor Srdjan
Cvetkovic, docente di storia contemporanea all'Universita' di
Belgrado e autore di un libro fresco di stampa, 'Tra falce e
martello', dedicato alle repressioni di quell'epoca. ''Nello stesso
periodo altri 200.000 serbi finirono nei gulag di Tito'', aggiunge
Cvetkovic, ricordando poi tra gli episodi piu' sanguinosi quello
dell'eccidio di Dedinje: quartiere borghese per antonomasia di
Belgrado - divenuto nei decenni successivi rifugio di lusso della
nomenklatura comunista - dove in un sol giorno la polizia politica
catturo', condanno' sbrigativamente e stermino' piu' di 900 persone.
''Elementi ostili'', secondo il linguaggio rivoluzionario, ai quali
e' stato negato a lungo pure il diritto alla memoria. In una cappa di
silenzio mantenuta saldamente in vigore ancora nella stagione
dell'ultimo despota jugosocialista di Belgrado: quello Slobodan
Milosevic capace negli anni '90 di servirsi del nazionalismo serbo e
di sobillarne anche i lati piu' oscuri, ma senza mai mettere in
discussione i dogmi della vulgata storiografica rossa ne' i miti di
una nomenklatura da cui egli stesso pretendeva di trarre
legittimazione. A cambiare le cose e' intervenuta ora la legge del 25
aprile 2006, approvata dall'attuale parlamento serbo su impulso del
governo del premier Vojislav Kostunica, un nazional-moderato che non
nasconde le sue simpatie per le tradizioni della Serbia monarchica e
ortodossa. E con il consenso di quasi tutte le maggiori forze
politiche odierne, favorevoli - sia pure con accenti diversi - a un
atteggiamento di revisionismo storico. Ecco dunque le prime richieste
di riabilitazione, avanzate in questi mesi dai discendenti di 250
vittime del terrore di 60 anni or sono per cancellare il marchio
d'infamia lasciato in eredita' dai carnefici. Richieste che la corte
distrettuale incaricata di occuparsene ha cominciato a esaminare. Le
prime tre sentenze d'assoluzione post mortem sono arrivate questa
settimana. Tra i beneficiari c'e' Momcilo Nincic, bollato come
traditore per essere stato ministro degli esteri nel governo
monarchico in esilio a Londra durante l'occupazione nazi-fascista
della Jugoslavia. E Miljko Petrovic, un piccolo industriale del legno
di Cacak (Serbia centrale), internato come nemico di classe. Ma c'e'
anche una 'brava comunista', Kosovka Milosevic (niente a che vedere
con Slobo), gia' tenente dell'armata popolare partigiana, finita al
muro solo per aver denunciato nei primi anni '50 il malcontento
generale della popolazione della provincia del Kosovo, inquieta fin
d'allora. Olga Nincic, figlia novantenne di Momcilo, ha accolto
l'evento come ''la riparazione di un'ingiustizia''. E, per quanto
vedova di un convinto militante titino, si e' detta ''felice d'essere
sopravvissuta sino a questo giorno''. Altri, viceversa, attendono
ancora. Come Milica Veselinovic, figlia di Mihajlo Veselinovic, noto
industriale belgradese d'anteguerra ucciso a Dedinje. L'unica
consolazione - dice all'Ansa - e' d'aver potuto dare di recente ''una
sepoltura degna'' al genitore: dopo averne riesumato la salma dal
luogo in cui era stata celata, grazie alle confidenze ricevute 30
anni fa da un ex prigioniero di guerra italiano - ''della provincia
di Napoli'' - costretto a suo tempo dai boia a fare da becchino. Un
''benefattore'' mai identificato che la signora Milica spera ora di
poter ritrovare. Insieme con la redenzione giudiziaria del padre.
(ANSA). LR
27/11/2006 17:41
http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/20061127174134124114.html