Il Profitto “über Alles”! Il Profitto innanzitutto!
Le Corporations Americane ed Hitler 

Review Article
by Dr. Jacques R. Pauwels


Nota Editoriale: Questo articolo è stato pubblicato da Global Research l’8 giugno 2004.                  

Mentre l’America conduce la guerra in Medio Oriente, questo articolo incisivo e frutto di ricerche accurate da parte di Jacques Pauwels fornisce una comprensione storica delle relazioni fra guerra e profitto.

(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)


Negli Stati Uniti, la Seconda Guerra Mondiale è considerata generalmente come “la buona guerra”.  

In contrasto con molte delle guerre dell’America, per ammissione generale ritenute perniciose, come le Guerre Indiane, quasi dei genocidi, e come il feroce conflitto nel Vietnam, la Seconda Guerra Mondiale è largamente celebrata come una “crociata”, nella quale gli USA hanno combattuto incondizionatamente dalla parte della democrazia, della libertà e della giustizia, contro le dittature.  
Non fa meraviglia che il Presidente George W. Bush ami paragonare l’attuale “guerra contro il terrorismo” con la Seconda Guerra Mondiale, insinuando che l’America ancora una volta si colloca dalla parte giusta in un conflitto apocalittico tra il Bene e il Male. 
Comunque, le guerre mai hanno presentato un lato scuro e l’altro completamente candido, come Mr. Bush vorrebbe farci credere, e questo può applicarsi anche alla Seconda Guerra Mondiale. L’America certamente merita credito per il suo contributo importante alla vittoria, dopo strenua lotta, che alla fine ha arriso agli Alleati. Ma il ruolo delle imprese Americane giocato nella guerra è seccamente sintetizzato dalla dichiarazione del Presidente Roosevelt, per cui gli USA erano un “arsenale democratico”. Quando gli Americani sbarcarono in Normandia nel giugno 1944 e catturarono i primi autocarri, scoprirono che questi veicoli erano forniti di motori prodotti da industrie Americane, come la Ford e la General Motors. (1) 
Quindi, era accaduto che il sistema industriale e finanziario Americano era stato utilizzato come arsenale del Nazismo. 

I Fans del Führer

Fin dal momento del suo arrivo al potere, Mussolini aveva espresso una grandissima ammirazione verso il sistema delle imprese Americane in una società che aveva definito dal punto di vista statuale come “una bella e giovane rivoluzione”. (2) D’altro canto, Hitler inviava segnali eterogenei. Come le loro controparti Germaniche, gli uomini di affari Americani da molto tempo erano preoccupati per le intenzioni e i metodi di questi parvenus plebei, la cui ideologia veniva definita Nazional-Socialismo, il cui partito, esso stesso, si identificava come un partito dei lavoratori, e che parlava sinistramente di essere portatore di cambiamenti rivoluzionari. (3) Però, alcuni dei leaders di più alto profilo nel sistema d’impresa Americano, come Henry Ford, vedevano con favore e ammiravano il Führer fin dalle prime fasi. (4)

Altri ammiratori di Hitler della prima ora erano il barone della stampa Randolph Hearst e Irénée Du Pont, a capo del trust Du Pont, che secondo Charles Higham, avevano “appassionatamente seguito la carriera del futuro Führer già dagli anni Venti” e lo avevano sostenuto finanziariamente. (5)

Col passare del tempo, molti dei capitani di industria Americani impararono ad amare il Führer. Si è spesso accennato che l’attrattiva per Hitler era una questione di personalità, materia di psicologia. Si presume che le personalità autoritarie non potevano fare a meno di avere simpatia ed ammirazione per un uomo che predicava le virtù del “principio di supremazia” e metteva in pratica quello che predicava, prima nel suo partito e poi per l’intera Germania. 
Sebbene citi anche altri fattori, essenzialmente è in questi termini che Edwin Black, autore del libro eccellente sotto vari aspetti “IBM e l’Olocausto”, spiega il caso del presidente dell’IBM, Thomas J. Watson, che aveva incontrato Hitler in parecchie occasioni negli anni Trenta ed era rimasto affascinato dal nuovo regime autoritario della Germania.                                                                              

Ma è nel dominio della politica economica, non della psicologia, che possiamo più proficuamente capire perché il sistema economico ed industriale Americano abbia abbracciato Hitler.

Nel corso degli anni Venti, molte corporations Americane particolarmente importanti avevano goduto di considerevoli investimenti  in Germania.                                                                                  Prima della Prima Guerra Mondiale, la IBM aveva insediato in Germania una sua filiale, la Dehomag;  negli anni Venti, la General Motors aveva preso il controllo del più grosso produttore industriale di auto della Germania, la Adam Opel AG; e Ford aveva gettato le basi di un impianto succursale, più tardi noto come la Ford-Werke, a Colonia.                                                                            

Altre compagnie USA contraevano società strategiche con compagnie Tedesche. La Standard Oil del New Jersey — oggi Exxon — sviluppava collegamenti strettissimi con il trust Germanico IG Farben. 

Dall’inizio degli anni Trenta, una élite di circa venti fra le più grandi corporations Americane, fra cui Du Pont, Union Carbide, Westinghouse, General Electric, Gillette, Goodrich, Singer, Eastman Kodak, Coca-Cola, IBM, e ITT  aveva rapporti con la Germania.                                                                 

Per ultimo, molti studi legali Americani, compagnie di assicurazioni e finanziarie, e banche venivano profondamente coinvolte in un’offensiva finanziaria Statunitense in Germania; fra questi, il famoso studio legale di Wall Street, Sullivan & Cromwell, e le banche J. P. Morgan e Dillon, Read and Company, così come la Union Bank di New York, di proprietà di Brown Brothers & Harriman.

La Union Bank era intimamente collegata con l’impero finanziario ed industriale del magnate Tedesco dell’acciaio Thyssen, il cui apporto finanziario aveva permesso ad Hitler di arrivare al potere. Questa banca era gestita da Prescott Bush, nonno di George W. Bush.                                          

Si suppone che anche Prescott Bush fosse un supporter entusiasta di Hitler, visto che a costui Bush travasava denaro via Thyssen, e in cambio realizzava considerevoli profitti col fare affari con la Germania Nazista; con questi profitti aveva lanciato suo figlio, più tardi divenuto Presidente degli USA, negli affari del petrolio. (6)                                                                                                                                              

Le avventure Americane d’oltremare ebbero scarso successo agli inizi degli anni Trenta, visto che la Grande Depressione aveva colpito duramente, in particolare la Germania. La produzione e i profitti erano precipitati in modo pesante, la situazione politica era estremamente instabile, vi erano continuamente scioperi e scontri per le strade fra Nazisti e Comunisti, e molti temevano che il paese fosse maturo per una rivoluzione “rossa”, dello stesso stampo di quella che aveva portato al potere i Bolscevichi nella Russia del 1917.
Comunque, sostenuto dalla potenza e dal denaro degli industriali e dei banchieri Tedeschi, come Thyssen, Krupp, e Schacht, Hitler arrivava al potere nel gennaio 1933, e non solo la politica ma anche la situazione socio-economica mutava drasticamente.
Improvvisamente, le filiali Tedesche delle corporations Americane cominciarono a mietere profitti. Perché? Dopo la presa del potere da parte di Hitler, i leaders affaristici con attività in Germania trovarono a loro immensa soddisfazione che la cosiddetta rivoluzione Nazista conservava lo “status quo socio-economico”. La stigmate del fascismo Teutonico del Führer, come di ogni altra varietà di fascismo, era reazionaria di natura ed estremamente vantaggiosa per gli scopi dei capitalisti.  Portato al potere dagli uomini di affari e dai banchieri Tedeschi, Hitler serviva agli interessi di questi “deleganti”. La sua principale iniziativa era stata di sciogliere i sindacati dei lavoratori e di schiacciare i Comunisti e i tanti attivisti Socialisti, sbattendoli in prigione e nei primi campi di concentramento, che erano stati appositamente impiantati per accogliere la sovrabbondanza di prigionieri politici di sinistra.  
Queste spietate misure non solo rimossero il timore di un cambiamento rivoluzionario — incarnato dai Comunisti Tedeschi — ma anche castrarono la classe lavoratrice della Germania e la trasformarono in una impotente “massa di seguaci” (Gefolgschaft), per usare la terminologia Nazista, che veniva incondizionatamente messa a disposizione dei datori di lavoro, i Thyssen e i Krupp. Inoltre, le imprese Tedesche, comprese le succursali Americane, anche se non tutte, approfittarono di questa situazione e tagliarono di netto i costi del lavoro. Ad esempio, la Ford-Werke, riduceva i costi del lavoro, dal 15% del volume di affari nel 1933 a solo l’11% nel 1938.  (Research Findings, 135–6)
L’impianto di imbottigliamento della Coca-Cola ad Essen accresceva in modo considerevole la sua redditività poiché, sotto il regime di Hitler, i lavoratori “erano poco più che servi ai quali era proibito non solo scioperare, ma anche cambiare lavoro, costretti a lavorare più duramente e più velocemente, mentre i loro salari erano deliberatamente tenuti ai livelli minimi.” (7)
Infatti, nella Germania Nazista, i salari effettivi si erano abbassati rapidamente, mentre i profitti in corrispondenza erano accresciuti, e non era possibile far parola alcuna di problematiche del lavoro, tanto meno cercare di organizzare uno sciopero, senza che immediatamente si scatenasse una risposta armata da parte della Gestapo, con il risultato di arresti e licenziamenti. Questo è stato il caso della fabbrica Opel della GM a Rüsselsheim, nel giugno 1936. (Billstein et al., 25) Come ha scritto dopo la guerra il professore e membro della Resistenza anti-fascista della Turingia, Otto Jenssen, i dirigenti delle imprese della Germania erano felici “ che il terrore per il campo di concentramento rendesse i lavoratori Tedeschi docili e mansueti come cagnolini.” (8)                             

I proprietari e i managers delle corporations Americane con investimenti in Germania erano non meno incantati, e se apertamente esprimevano la loro ammirazione per Hitler — come erano usi fare il Presidente della General Motors, William Knudsen, e il boss della ITT Sosthenes Behn — questo avveniva senza alcun dubbio perché Hitler aveva risolto i problemi sociali della Germania in modo tale da creare giovamento ai loro interessi. (9)


Depressione? Quale Depressione?

Hitler si era accattivato  il sistema delle corporations Americane per un’altra ragione veramente importante: aveva fatto apparire, come per magia, la soluzione al problema immenso della Grande Depressione. Il suo rimedio forniva una sorta di stratagemma Keynesiano, tramite commesse statuali per stimolare la domanda, per rimettere in moto la produzione e fare il possibile in favore delle imprese in Germania — comprese anche le imprese di proprietà straniera — per incrementare in modo assoluto i loro livelli di produzione ed acquisire un livello di redditività senza precedenti. 
Però, quello che lo stato Nazista ordinava all’industria Tedesca era materiale bellico ed era piuttosto chiaro che la politica di riarmo di Hitler avrebbe portato inesorabilmente alla guerra, dato che solo il bottino risultante da una guerra vittoriosa avrebbe permesso al regime di pagare i conti enormi presentati dai fornitori. 
Già di per sé, il programma di riarmo Nazista si rivelava come una meravigliosa vetrina di opportunità per le imprese fornitrici Statunitensi.                                                                                                 Ford pretende che la sua Ford-Werke abbia subito delle discriminazioni da parte del regime Nazista, per il fatto che la proprietà era straniera, ma ammette che per tutta la seconda metà degli anni Trenta la sua filiale di Colonia era stata “formalmente legalizzata dalle autorità Naziste...essendo la sua origine Tedesca” e quindi “con i requisiti per ricevere contratti governativi.”                                        

Ford trasse profitto da questa opportunità, anche se le commesse del governo erano quasi esclusivamente per forniture militari. La filiale Tedesca di Ford, la Ford-Werke , che nei primi anni Trenta aveva incassato pesanti perdite, grazie ai contratti lucrativi con il governo, derivati dalla spinta Hitleriana al riarmo, vedeva un aumento spettacolare dei propri profitti annuali, dai 63.000 marchi (RM-Reichsmarks) nel 1935 a 1.287.800 RM nel 1939. (Research Findings, 21)            

La fabbrica Opel della GM a Rüsselsheim, nei pressi di Mainz, mieteva un successo ancora migliore. La sua quota di mercato Tedesco dell’automobile balzava dal 35% nel 1933 a più del 50% nel 1935, e la succursale GM, che aveva perso denaro all’inizio degli anni Trenta, divenne estremamente redditizia grazie al boom economico prodotto dal programma di riarmo di Hitler.         

Nel 1938 venivano registrati profitti per 35 milioni di marchi RM — quasi 14 milioni di dollari (USA). (Research Findings, 135–6; e Billstein et al., 24) (10)  Nel 1939, alla vigilia della guerra, il Presidente della GM, Alfred P. Sloan, pubblicamente motivava il fatto di fare affari nella Germania di Hitler, sottolineando la natura altamente vantaggiosa delle operazioni della GM sotto il Terzo Reich.  (11)

Ancora un’altra corporation Americana che aveva trovato un filone d’oro nel Terzo Reich di Hitler è stata la  IBM. La sua filiale Tedesca, la Dehomag, ha fornito ai Nazisti l’apparecchiatura a schede perforate — antesignana del computer — necessaria ad automatizzare la produzione del paese, e con questo la IBM-Germany realizzava un sacco di soldi. Nel 1933, l’anno della presa del potere da parte di Hitler, la Dehomag realizzava profitti per un milione di dollari, e durante i primi anni del regime di Hitler versava alla IBM negli USA qualcosa come 4.5 milioni di dollari di dividendi.         

“Nel 1938, ancora in piena Depressione, i profitti annuali si aggiravano sui 2.3 milioni di marchi RM; nel 1939 i profitti della Dehomag aumentavano in modo spettacolare a circa 4.0 milioni di marchi RM”, scrive Edwin Black. (Black, 76–7, 86–7, 98, 119, 120–1, 164, 198, and 222)

Le imprese Americane con succursali in Germania non erano le uniche a guadagnare fortune inaspettate dalle spinte di Hitler al riarmo. La Germania, in preparazione della guerra, stava immagazzinando petrolio e molto di questo petrolio veniva fornito da imprese Americane. La Texaco realizzava grandi profitti dalle vendite alla Germania Nazista, e non fa sorpresa che il suo Presidente Torkild Rieber, fosse diventato un altro dei potenti imprenditori Americani che ammiravano Hitler. Un membro dei servizi segreti Tedeschi riportava che costui era “assolutamente filo Tedesco” e “un sincero ammiratore del Führer”. Sta di fatto che Rieber era divenuto amico personale di Göring, lo czar economico di Hitler. (12)
Questo valeva anche per Ford, la cui impresa non solo produceva per i Nazisti nella stessa Germania, ma anche esportava autocarri parzialmente assemblati direttamente dagli USA in Germania. Questi veicoli venivano poi completamente assemblati nella Ford-Werke a Colonia ed erano pronti ad essere usati al momento giusto nella primavera del 1939, quando Hitler occupava la parte della Cecoslovacchia che non gli era stata ceduta nell’infame Patto di Monaco dell’anno precedente. Per giunta, negli ultimi anni Trenta, Ford aveva inviato in Germania materie prime strategiche, a volte tramite sue società consociate in paesi terzi; solo all’inizio del 1937, queste spedizioni comprendevano quasi 2 milioni di libbre di gomma e 130.000 libbre di rame. (Research Findings, 24, e 28)

Le corporations Americane facevano il pieno di denaro nella Germania Hitleriana; questa è la ragione, e non il presunto carisma del Führer, per cui i proprietari e i managers di queste imprese lo adoravano! Per contro, Hitler e i suoi compagnoni si compiacevano di molto per le performances del capitale Americano nello stato Nazista. Infatti, la produzione di materiale bellico da parte delle consociate Americane onorava e addirittura superava le aspettative della dirigenza Nazista. 
Berlino pagava pronta cassa ed Hitler in persona mostrava il suo apprezzamento, assegnando prestigiose decorazioni a gente come Henry Ford, Thomas Watson della IBM, e James D. Mooney, direttore delle esportazioni della GM. Lo stock di investimenti Americani in Germania era accresciuto enormemente dopo la conquista del potere da parte di Hitler nel 1933. La motivazione principale di tutto questo era che il regime Nazista non consentiva ai profitti realizzati da imprese straniere di rientrare nelle nazioni di origine, almeno in teoria. In realtà, i centri operativi delle corporations potevano eludere questo embargo tramite stratagemmi, e così alle filiali Tedesche venivano pagate le fatture in  “royalties”  e con ogni sorta di “parcelle”. Ancora, le restrizioni comportavano che i profitti venivano largamente reinvestiti all’interno del paese delle grandi opportunità, che a quel tempo la Germania dimostrava di essere, per esempio nella modernizzazione di impianti esistenti, nella costruzione o nell’acquisizione di nuove fabbriche e nell’acquisto di obbligazioni del Reich e di beni immobili.                                                                                                   

Così, la IBM reinvestiva i suoi considerevoli guadagni in una nuova fabbrica a Berlino-Lichterfelde, in un allargamento delle sue strutture a Sindelfingen, vicino Stoccarda, in numerosi uffici succursali in tutto il Reich, e nell’acquisto di appartamenti a Berlino, di altre proprietà immobiliari e di strutture per attività materiali. (Black, 60, 99, 116, e 122–3)
Conseguentemente a queste circostanze, il valore del capitale di IBM in Germania era aumentato in modo considerevole, e alla fine del 1938 il valore netto della Dehomag era raddoppiato, dai 7.7 milioni di marchi RM del 1934 ad oltre i 14 milioni di marchi RM. (Black, 76–7, 86–7, 98, 119–21, 164, 198, and 222)                                                                                                                                          

Negli anni Trenta, il valore delle proprietà complessive della Ford-Werke cresceva come i funghi, dai  25.8 milioni di marchi RM del 1933 ai 60.4 milioni di marchi RM del 1939. (Research Findings, 133)                                                                                                                                                   

Sotto Hitler, gli investimenti Americani in Germania continuarono ad espandersi, e al tempo di Pearl Harbor ammontavano a circa 475 milioni di dollari. (Research Findings, 6) (13)


Meglio Hitler di "Rosenfeld"

Per tutti i “tempestosi anni Trenta” i profitti delle imprese negli USA si erano mantenuti sul depresso; le società come la GM e Ford potevano solo sognarsi di realizzare in patria il genere di ricchezze che le loro affiliate in Germania stavano realizzando grazie a Hitler.  Inoltre, in casa, il sistema imprenditoriale  Americano stava vivendo problemi con attivisti sindacali, Comunisti, e altri radicali. Cosa pensavano i nervosi detentori di questi marchi di fabbrica della personalità e del regime del Führer? I leaders delle imprese Americane subivano per questo qualche turbamento? All’apparenza non molto, se non proprio affatto. Ad esempio, l’odio razziale profuso da Hitler non offendeva eccessivamente la loro sensibilità. Dopo tutto, il razzismo contro i non-Bianchi rimaneva sistemico in tutti gli Stati Uniti e l’anti-Semitismo era comune nella classe imprenditoriale. Nei clubs esclusivi e negli hotels di gran classe patrocinati dai capitani di industria, gli Ebrei vi erano raramente ammessi; e molti alti dirigenti delle imprese Americane si dichiaravano apertamente  anti-Semiti. (14)

Agli inizi degli anni Venti, Henry Ford fece pubblicare un libro virulentemente anti-Semita, “L’Internazionale Giudea”, che veniva tradotto in molte lingue; Hitler ne lesse la versione Tedesca e in seguito ammise che il testo gli aveva fornito ispirazione ed incoraggiamento. Un altro magnate Americano, notoriamente anti-Semita, era Irénée Du Pont, anche se la famiglia Du Pont aveva avuto antenati Ebrei. (15) L’anti-Semitismo del sistema imprenditoriale Americano assomigliava fortemente a quello di Hitler, il cui punto di vista sull’Ebraismo era interconnesso intimamente con il suo giudizio sul Marxismo, come Arno J. Mayer ha argomentato in modo convincente nel suo libro “Why Did the Heavens not Darken – Perché il Cielo non si è oscurato?” (16)

Hitler dichiarava di essere un socialista, ma era sottinteso che il suo era un socialismo “nazionale”, un socialismo solo per i Tedeschi di razza pura. Quanto all’autentico socialismo, che predicava la solidarietà internazionale fra le classi lavoratrici e trovava la sua ispirazione nell’opera di Karl Marx, questo veniva disprezzato da Hitler come un’ideologia Giudaica che si proponeva di rendere schiavi o addirittura annullare i Tedeschi e gli altri “Ariani”.  Hitler detestava come “Giudaiche” tutte le forme di Marxismo, ma nessuna più del Comunismo (o “Bolscevismo”) e denunciava l’Unione Sovietica come patria del socialismo “Giudaico” internazionale. 
Negli anni Trenta, con le stesse modalità, l’anti-Semitismo del sistema imprenditoriale Americano si manifestava come l’altra faccia della medaglia dell’anti-socialismo, anti-Marxismo, e del disprezzo dei rossi. Molti uomini d’affari Americani condannavano pubblicamente il New Deal di Roosevelt come un’interferenza “socialistica” in economia. Gli anti-Semiti del sistema imprenditoriale Americano consideravano Roosevelt come un cripto-Comunista ed un agente degli interessi degli Ebrei, se non addirittura di essere lui stesso un “Giudeo”; di routine si faceva riferimento a lui come “Rosenfeld”, e il suo New Deal veniva storpiato con “Jew (Giudeo) Deal”. (17)

Nel suo libro“ The Flivver King”, Upton Sinclair ha descritto l’anti-Semita dichiarato Henry Ford come sognante un movimento fascista Americano, che “si impegnava nel paese ad abbattere i Rossi e a preservare gli interessi padronali; ad estromettere il Bolscevico [Roosevelt] dalla Casa Bianca e tutti i suoi professori progressisti dalle cariche di governo... [e] a considerare un illecito penale degno della fucilazione il parlare di comunismo o la proclamazione di uno sciopero.” (18)                                               

Anche altri magnati Americani desideravano ardentemente un Salvatore fascista che potesse sbarazzare l’America dai “Rossi” e quindi ridonarle prosperità e redditività. Du Pont forniva generosi contributi finanziari per sostenere le organizzazioni fasciste presenti negli Stati Uniti, come la famigerata “Black Legion – la Legione Nera”, ed era anche coinvolto nei piani di un colpo di stato fascista a Washington. (Hofer and Reginbogin, 585–6) (19)


Perché preoccuparsi per la Guerra Incombente? 

Era del tutto ovvio che Hitler, riarmando la Germania fino ai denti, prima o dopo avrebbe scatenato un grave conflitto. Potessero avere avuto i capitani di industria Americani qualche timore a riguardo, presto le loro apprensioni venivano fugate, visto che negli anni Trenta gli esperti di diplomazia internazionale e di economia, senza eccezioni, si aspettavano che Hitler avrebbe risparmiato i paesi occidentali, e avrebbe attaccato e distrutto l’Unione Sovietica, come promesso nel “Mein Kampf”. Ad incoraggiarlo e a sostenerlo in questa impresa, che egli considerava la grande missione della sua vita, (20) veniva il segreto obiettivo dell’infame politica di acquiescenza perseguita da Londra e Parigi, e tacitamente approvata da Washington. (21)

I leaders del sistema imprenditoriale in tutti i paesi occidentali, più nettamente negli USA, detestavano l’Unione Sovietica, poiché questo stato era la culla dell’“antisistema” comunista in contrapposizione all’ordine capitalista internazionale e una fonte di ispirazione per gli stessi “rossi” Americani. Inoltre, trovavano particolarmente offensivo che la patria del comunismo non fosse caduta preda della Grande Depressione, ma sperimentasse una rivoluzione industriale, che in seguito è stata favorevolmente paragonata dallo storico Americano John H. Backer al tanto decantato “miracolo economico” della Germania Ovest dopo la Seconda Guerra Mondiale. (22)

La politica di pacificazione e di acquiescenza era un progetto ambiguo, i cui reali obiettivi dovevano essere celati all’opinione pubblica della Gran Bretagna e della Francia. In modo spettacolare si ottenne un effetto contrario, dato che i contorcimenti di questa politica alla fine resero Hitler diffidente verso le effettive intenzioni di Londra e Parigi, e lo indussero a sottoscrivere un accordo con Stalin, e lo portarono a scatenare la guerra della Germania contro la Francia e la Gran Bretagna, piuttosto che contro l’Unione Sovietica.                                                                                                      

Tuttavia, il sogno di una crociata Tedesca contro l’Unione Sovietica comunista nell’interesse dell’Occidente capitalistico non rinunciò a morire. Londra e Parigi scatenarono semplicemente una “Guerra Fasulla” contro la Germania, sperando che Hitler alla fine si sarebbe rivolto contro l’Unione Sovietica. Questa era anche l’idea che informava le missioni quasi-ufficiali a Londra e a Berlino intraprese da James D. Mooney della GM, che cercava insistentemente — come aveva fatto l’ambasciatore USA a Londra, Joseph Kennedy, padre di John F. Kennedy — di convincere i dirigenti della Germania e della Gran Bretagna ad appianare i loro inopportuni conflitti, in modo che Hitler potesse dedicare la sua completa attenzione al suo grande “Progetto Orientale”.                            

In un incontro con Hitler nel marzo 1940, Mooney lanciava un appello di pace per l’Europa Occidentale, dichiarando che “gli Americani erano comprensivi del punto di vista Tedesco rispetto alla questione dello spazio vitale” — in altre parole, che loro non avevano nulla in contrario rispetto alle pretese territoriali Tedesche nei riguardi dell’Est Europeo. (Billstein et al., 37–44) (23)              

Queste iniziative Americane, comunque, non avrebbero prodotto i risultati sperati. Senza ombra di dubbio, i proprietari e i managers delle corporations Statunitensi con filiali in Germania si rammaricarono che la guerra scatenata da Hitler  nel 1939 fosse una guerra contro l’Occidente, ma in ultima analisi questo rammarico si palesava non più che tanto. Quello che era di sicura importanza consisteva in questo: aiutare Hitler a preparare la guerra significava fare buoni affari e la guerra stessa apriva, ancor di più, prospettive inimmaginabili di fare affari e realizzare profitti.  


Imporre il Blitz alla Guerra Lampo

I successi militari della Germania del 1939 e del 1940 si fondavano su una nuova ed estremamente mobile forma di muovere guerra, la Blitzkrieg, la Guerra Lampo, che consisteva di attacchi estremamente rapidi e altamente sincronizzati dall’aria e per terra. 
Per intraprendere la Guerra Lampo, Hitler necessitava di macchine belliche, carri armati, autocarri, aeroplani, carburanti ed oli per motori, benzina, gomma e sistemi di comunicazione sofisticati per assicurare agli Stukas di colpire in tandem con i Panzers. Molto di questo equipaggiamento veniva fornito da imprese Americane, soprattutto dalle affiliate Tedesche delle grandi corporations Americane, ma molto veniva anche importato dagli Stati Uniti, sebbene solitamente attraverso paesi terzi. Senza questo tipo di supporto Americano, nel 1939 e nel 1940 il Führer poteva solo sognarsi di “guerre lampo”, seguite da “vittorie lampo”. La maggior parte dei mezzi da trasporto e degli aeroplani di Hitler venivano prodotti dalle filiali Tedesche della GM e della Ford. Alla fine degli anni Trenta queste imprese avevano gradualmente rimosso la produzione civile per impegnarsi esclusivamente sullo sviluppo di apparecchiature militari per l’esercito e per l’aviazione militare della Germania. 
Questo mutamento, richiesto— se non ordinato — dalle autorità Naziste, non solo era stato approvato, ma anche attivamente incoraggiato dai centri direzionali delle imprese negli USA. La Ford-Werke a Colonia procedeva non solo a fabbricare senza limiti mezzi di trasporto per materiali ed uomini, ma anche macchinari bellici e parti di ricambio per la Wehrmacht. La nuova fabbrica Opel della GM nel Brandenburgo avviava la produzione degli autocarri “Blitz” per la Wehrmacht, mentre la fabbrica principale a Rüsselsheim produceva principalmente per la Luftwaffe, assemblando aeroplani come lo JU-88, il cavallo di battaglia della flotta di bombardieri della Germania. Ad un certo punto, la GM e Ford insieme si aggiudicavano non meno della metà dell’intera produzione Tedesca di carri armati. (Billstein et al., 25,) (24)
Intanto la ITT aveva acquisito la quarta parte dei titoli azionari della fabbrica di aeroplani Focke-Wulf, e così contribuiva alla costruzione di aerei da combattimento. (25) Forse i Tedeschi avrebbero potuto assemblare veicoli ed aerei senza l’assistenza Americana. Ma la Germania necessitava disperatamente di materie prime strategiche, come gomme e petrolio, che erano indispensabili a combattere una guerra che si basava sulla mobilità e la velocità. Le corporations Statunitensi andarono in soccorso. 
Come abbiamo fatto menzione in precedenza, la Texaco aiutava i Nazisti ad immagazzinare carburanti. Per giunta, quando in Europa la guerra era sul punto di scoppiare, grandi quantità di gasolio, oli lubrificanti, e altri prodotti petroliferi venivano spedite via mare in Germania non solo dalla Texaco ma anche dalla Standard Oil, specialmente attraverso i porti della Spagna. (Fra l’altro, la Flotta Tedesca veniva rifornita di carburante dal petroliere Texano William Rhodes Davis.) (26) Negli anni Trenta, la  Standard Oil aveva assistito la IG Farben nello sviluppo di carburanti sintetici come alternativa al petrolio naturale, di cui la Germania doveva importare anche una singola goccia.  (Hofer and Reginbogin, 588–9)
Albert Speer, l’architetto di Hitler e Ministro degli Armamenti per il tempo di guerra, dopo il conflitto dichiarava che senza certi tipi di carburante sintetico realizzati con l’aiuto delle industrie Americane, Hitler “non avrebbe mai preso in considerazione l’invasione della Polonia”.(27) Questo valeva per i Focke-Wulfs e per altri aerei veloci da combattimento Tedeschi, che non avrebbero potuto acquisire la loro implacabile velocità senza un additivo nel loro carburante, il piombo tetraetile di sintesi; i Tedeschi stessi, in seguito, ammisero che senza il piombo tetraetile il concetto globale di Blitzkrieg sarebbe risultato inconcepibile.
Questo magico ingrediente era stato sintetizzato da una impresa, la Ethyl GmbH, una affiliata del trio formato da  Standard Oil, da IG Farben, partner Tedesca della Standard, e da GM. (Hofer and Reginbogin, 589)(28)                                                                                                                                           

La guerra lampo, la “Blitzkrieg”, prevedeva attacchi da terra e dall’aria perfettamente sincronizzati, e questo richiedeva un sistema di strutture per le comunicazioni altamente sofisticato. La filiale Tedesca della ITT forniva la maggior parte della strumentazione, mentre l’altro stato-dell'-arte tecnologica essenziale agli scopi della Guerra Lampo faceva l’onore della IBM, attraverso la sua filiale Tedesca, la Dehomag. Secondo Edwin Black, il know-how della IBM permetteva alla macchina bellica Nazista di “acquisire dimensioni, velocità ed efficienza”; e concludeva che “la IBM aveva apportato il “lampo” alla guerra della Germania Nazista.” (Black, 208)                            

Secondo le prospettive del sistema delle imprese Americane non era una catastrofe che la Germania dall’estate del 1940 avesse stabilito la sua supremazia sul continente Europeo. 
Molte affiliate Tedesche delle imprese Americane — ad esempio la Ford-Werke e l’impianto di imbottigliamento della Coca-Cola ad Essen — andavano espandendosi nei paesi occupati, approfittando delle vittorie della Wehrmacht. Il Presidente della IBM, Thomas Watson, era sicuro che la sua associata Tedesca avrebbe conseguito vantaggi dai trionfi Hitleriani.                                         

Black scrive: “Come molti uomini di affari Statunitensi, Watson confidava che la Germania sarebbe rimasta egemone in Europa, e che la IBM avrebbe beneficiato di questo, con il predominio sui centri di calcolo e di elaborazione dei dati, fornendo alla Germania gli strumenti tecnologici per un controllo globale.”  (Black, 212)
Il 26 giugno 1940, una delegazione commerciale Tedesca organizzava una colazione di lavoro al  Waldorf-Astoria Hotel di New York per applaudire alle vittorie dell’Esercito Tedesco nell’Europa Occidentale. Molti importanti industriali presenziarono, compreso James D. Mooney, direttore responsabile delle operazioni Tedesche della GM. Cinque giorni più tardi, sempre a New York, venivano nuovamente celebrate le vittorie Tedesche, questa volta ad un party offerto dal filo-fascista Rieber, boss della Texaco. Fra i leaders delle imprese Americane erano presenti James D. Mooney e il figlio di Henry Ford, Edsel.(29)


Che guerra meravigliosa!