Il profitto über Alles; il profitto innanzitutto!
I proprietari e i managers delle imprese case madri negli USA si preoccupavano poco di quali prodotti venivano sviluppati e prodotti dalle catene di montaggio Tedesche. Quello che contava per loro e per i detentori delle loro azioni era solamente il profitto. Le affiliate delle corporations Americane in Germania realizzavano considerevoli guadagni durante il conflitto, e questo denaro non veniva intascato dai Nazisti. Per quel che concerne la Ford-Werke, sono disponibili dati precisi.
I profitti della filiale Tedesca di Dearborn aumentavano da 1.2 milioni di Marchi Tedeschi (RM) nel 1939 a 1.7 milioni di RM nel 1940, a 1.8 milioni di RM nel 1941, a 2.0 milioni di RM nel 1942, e a 2.1 milioni di RM in 1943. (Research Findings, 136).(45)
Anche le filiali della Ford nella Francia occupata, in Olanda e nel Belgio, dove il gigantesco sistema delle imprese Americane forniva un contributo industriale allo sforzo bellico Nazista, vedevano ugualmente realizzarsi successi straordinari. Ad esempio, la Ford-France, — che prima della guerra non era una struttura troppo fiorente —, divenne veramente redditizia dopo il 1940, grazie alla sua collaborazione incondizionata con i Tedeschi; nel 1941 registrava profitti per 58 milioni di Franchi, un livello di rendimento per cui riceveva le calde congratulazioni da parte di Edsel Ford. (Billstein et al, 106; e Research Findings, 73–5) (46)
Relativamente alla Opel, i profitti industriali erano saliti alle stelle al punto tale che il Ministero dell’Economia Nazista aveva vietato la loro pubblicazione per impedire un bagno di sangue da parte della popolazione Tedesca, alla quale si chiedeva in maniera sempre più pressante di stringere collettivamente la cinghia.(Billstein et al, 73) (47)
La IBM non solo realizzava profitti alle stelle tramite la sua filiale Tedesca, ma, come la Ford, vedeva innalzarsi i suoi guadagni anche nella Francia occupata, soprattutto per merito degli affari generati tramite la zelante collaborazione con le autorità di occupazione Tedesche. Era stato perfino necessario costruire nuove fabbriche. Comunque, su tutto, la IBM prosperava in Germania e nei paesi occupati grazie alle vendite ai Nazisti di strumenti tecnologici richiesti per identificare, deportare, ghettizzare, schiavizzare e, alla fine del percorso, sterminare milioni di Ebrei Europei, in altre parole, per organizzare l’Olocausto.(Black, 212, 253, and 297–9)
È ben lontano dall’essere chiarito cosa sia successo ai profitti realizzati in Germania durante la guerra dalle filiali Americane, ma qualche allettante notizia succosa di informazioni è nonostante tutto emersa. Negli anni Trenta le imprese Americane avevano sviluppato diverse strategie per eludere l’embargo Nazista al rimpatrio dei profitti. L’ufficio della dirigenza della IBM a New York, per esempio, regolarmente fatturava la Dehomag per royalties dovute alla casa madre, per rimborso di prestiti inventati, e per altre competenze e spese; queste pratiche ed altri bizantinismi di transazioni inter-societarie minimizzavano i profitti realizzati in Germania e quindi nel contempo funzionavano come un realistico piano di evasione fiscale. Inoltre, esistevano altri modi di operare per evitare l’embargo sul rientro dei profitti alla casa madre, come il loro reinvestimento all’interno della Germania, ma dopo il 1939 questa opzione non veniva permessa più a lungo, almeno in teoria.
In pratica, le sussidiarie Americane intrapresero questo percorso, di aumentare in modo assolutamente considerevole le loro strutture. L’Opel, ad esempio, nel 1942 assumeva il controllo di una fonderia a Lipsia. (48) Rimaneva anche possibile utilizzare i profitti per migliorare e modernizzare le infrastrutture stesse delle affiliate, cosa che era avvenuta spesso nel caso della Opel.
Inoltre, esistevano possibilità di espansione nei paesi occupati dell’Europa. Nel 1941, la sussidiaria della Ford in Francia utilizzava i suoi profitti per costruire un’industria di carri armati ad Orano, Algeria; con tutta probabilità, questo impianto aveva fornito all’Africa Corps di Rommel le strutture necessarie all’avanzata diretta verso El Alamein in Egitto. Nel 1943, anche la Ford-Werke insediava una fonderia non lontano da Colonia, proprio attraverso il confine con il Belgio, vicino a Liegi, per produrre parti di ricambio. (Research Findings, 133) Per di più, è probabile che una parte del profitto ammassato nel Terzo Reich veniva trasferita in qualche modo direttamente negli USA, ad esempio, attraverso la Svizzera neutrale. Molte corporations USA mantenevano in Svizzera uffici che funzionavano da intermediari fra le case madri e le loro filiali nei paesi nemici od occupati, e quindi erano coinvolti nel “riciclaggio dei profitti”, come scrive Edwin Black a proposito della filiale Svizzera della IBM. (Black, 73) (49)
Allora, allo scopo del ritorno dei profitti alle case madri, le corporations potevano far conto sui servizi sperimentati delle filiali Parigine di alcune banche Americane, come la Chase Manhattan e J.P. Morgan, e di un certo numero di banche Svizzere. La Chase Manhattan faceva parte dell’impero di Rockefeller, così come la Standard Oil, partner Americana della IG Farben; la sua filiale nella Parigi sotto occupazione Tedesca rimaneva aperta per tutto il corso della guerra e realizzava guadagni in modo considerevole grazie alla stretta collaborazione con le autorità Tedesche. Inoltre, da parte Svizzera, si dava il caso che alcune istituzioni finanziarie si impegnavano — senza porsi imbarazzanti domande — a prendersi cura dell’oro sottratto dai Nazisti alle loro vittime Ebree. A questo riguardo, giocava un importante ruolo la banca dei Regolamenti Internazionali (BIS) di Basilea, una Banca internazionale che era stata fondata nel 1930 all’interno della struttura del Progetto Giovani, con l’obiettivo di agevolare i pagamenti delle riparazioni di guerra da parte Tedesca dopo la Prima Guerra Mondiale.
I banchieri Americani e Tedeschi (come Schacht) dominavano la BIS fin dall’inizio e collaboravano con tutta comodità in tutte le sue speculazioni finanziarie.Durante la guerra, era un Tedesco, che era membro del Partito Nazista, Paul Hechler, ad occupare la funzione di direttore della BIS, mentre un Americano, Thomas H. McKittrick, ne era presidente. McKittrick era un buon amico dell’ambasciatore Americano a Berna e di un agente in Svizzera del servizio segreto Americano [l’OSS, antesignano della CIA], Allen Dulles. Prima della guerra, Allen Dulles e suo fratello John Foster Dulles erano stati partners nell’ufficio legale di New York Sullivan & Cromwell, ed erano specializzati nell’affare veramente redditizio di gestione di investimenti Americani nella Germania. Avevano eccellenti rapporti con i proprietari e dirigenti al vertice di imprese Americane, e in Germania con banchieri, uomini di affari e funzionari governativi, compresi alti papaveri Nazisti. Dopo lo scoppio della guerra, John Foster divenne il legale societario per la BIS a New York, mentre Allen veniva arruolato nell’OSS e prendeva servizio in Svizzera, dove si dimostrava amico di McKittrick. È ampiamente conosciuto che durante il conflitto la BIS maneggiava quantità enormi di denaro e di oro provenienti dalla Germania Nazista. (50) Non è irragionevole sospettare che tali trasferimenti potevano riguardare i proventi delle associate Americane destinati agli USA, in altre parole, denaro accumulato da clienti ed associati degli onnipresenti fratelli Dulles!
Procurare il lavoro di schiavi!
Prima della guerra, le imprese Tedesche si erano entusiasticamente avvantaggiate del grande favore loro concesso dai Nazisti, vale a dire dell’eliminazione dei sindacati dei lavoratori e della trasformazione risultante della classe lavoratrice Tedesca, nel passato militante e consapevole, in una mansueta “massa di servitori”. Quindi, non è sorprendente che nella Germania Nazista i salari reali diminuivano rapidamente, mentre i profitti in corrispondenza si incrementavano. Durante la guerra, i prezzi continuavano a salire, mentre gli stipendi venivano gradualmente erosi e l’orario di lavoro veniva aumentato.(51) Questa era anche l’esperienza che dovevano subire le forze del lavoro delle sussidiarie Americane. Per contrastare la deficienza di lavoratori nelle industrie, i Nazisti facevano assegnamento in modo crescente su lavoratori stranieri che venivano deportati a lavorare in Germania sotto condizioni molto spesso disumane.
Insieme a centinaia di migliaia di Sovietici e di altri prigionieri di guerra e di reclusi nei campi di concentramento, questi lavoratori stranieri (lavoratori forzati) costituivano una gigantesca massa di lavoratori che potevano essere sfruttati a volontà da chiunque li prendesse in carico, in cambio di una modesta remunerazione versata alle SS, la Schutzstaffel, la milizia di protezione nazista. Infatti, le SS mantenevano la disciplina e l’ordine d’obbligo con pugno di ferro. Allora, i costi del lavoro crollavano ad un livello tale per cui i programmatori di oggi possono solo sognare, e i profitti delle imprese aumentavano in proporzione.
Anche le filiali Tedesche delle imprese Americane avevano fatto con bramosia uso del lavoro schiavile fornito dai Nazisti, non solo attraverso lavoratori stranieri, ma anche di prigionieri di guerra e di reclusi dei campi di concentramento. Ad esempio, la Yale & Towne Manufacturing Company con sede a Velbert in Renania, da quanto viene documentato, faceva affidamento sul “concorso di lavoratori provenienti dall’Europa Orientale” per realizzare “consistenti profitti”, (52) ed anche viene sottolineato che la Coca-Cola ha avuto vantaggi dall’utilizzo di lavoratori stranieri, e di prigionieri di guerra nei suoi impianti della Fanta.(53) Comunque, gli esempi maggiormente spettacolari dell’uso di lavoro forzato da parte di filiali Americane sono sicuramente forniti dalla Ford e dalla GM, due casi che di recente hanno costituito l’oggetto di un’approfondita inchiesta.
Sulla Ford-Werke, è stato asserito che a partire dal 1942 questa fabbrica “sollecitamente, aggressivamente e con grande successo” aveva perseguito l’uso di lavoratori stranieri e di prigionieri di guerra dall’Unione Sovietica, dalla Francia e dal Belgio e da altri paesi occupati — chiaramente con la conoscenza della casa madre dell’impresa negli USA. (54)
Karola Fings, una ricercatrice Tedesca che con molta attenzione ha studiato le attività in tempo di guerra della Ford-Werke, scrive: “[Ford] aveva fatto meravigliosi affari con i Nazisti, dato che l’accelerazione della produzione durante la guerra dava spazio totalmente a nuove opportunità, mantenendo basso il livello del costo del lavoro. In effetti era dal 1941 che alla Ford-Werke era in atto un generale congelamento dell’aumento dei salari. Comunque, i più alti margini di profitto potevano essere acquisiti per mezzo dell’uso dei cosiddetti Ostarbeiter [lavoratori forzati provenienti dall’Europa dell’Est].(55)
Le migliaia di lavoratori forzati stranieri portati a lavorare nella Ford-Werke venivano costretti come schiavi ogni giorno, eccettuata la domenica, per dodici ore al giorno, e per questo non ricevevano un qualsiasi salario. Presumibilmente anche peggiore era il trattamento riservato al relativamente piccolo numero di reclusi del campo di concentramento di Buchenwald, messo a disposizione della Ford-Werke nell’estate del 1944”. (Research Findings, 45–72)
In contrasto con Ford-Werke, l’Opel non ha mai usato reclusi di campi di concentramento, almeno non nelle fabbriche principali di Rüsselsheim e nel Brandenburgo. La filiale Tedesca della GM, comunque, aveva avuto un insaziabile appetito per altri tipi di lavoratori forzati, per i prigionieri di guerra. “Tipico dell’uso schiavistico del lavoro nelle fabbriche Opel, particolarmente quando venivano utilizzati i Russi”, scrive la storica Anita Kugler, “era lo sfruttamento massimo, il trattamento peggiore possibile, e...la pena capitale anche nel caso di lievi violazioni.” La Gestapo aveva l’incarico di sorvegliare e sovrintendere ai lavoratori stranieri. (56)
Un permesso di lavoro in collaborazione con il nemico
Negli USA, le case madri delle imprese delle filiali Tedesche lavoravano veramente in modo intenso per convincere l’opinione pubblica Americana sul loro patriottismo, in modo che l’uomo della strada Americano non potesse pensare che la GM, ad esempio, che in patria finanziava manifesti anti-Tedeschi, fosse coinvolta in operazioni di banche lontane, sul Reno, in attività che erano equivalenti al tradimento. (57)
Washington era molto meglio informata di “John Doe”, ma il governo Americano osservava la regola non scritta convenuta che “quello che va bene per la General Motors va bene per l’America”, ed evitava di prendere in considerazione il fatto che le imprese Americane accumulavano ricchezze tramite i loro investimenti o i loro affari in un paese con cui gli Stati Uniti erano in guerra.
Questo aveva molto a che fare con il fatto che il sistema delle imprese Americano era diventato ancora più influente a Washington durante il conflitto di quanto lo era stato dapprima; infatti, dopo Pearl Harbor i rappresentanti dei “grandi affari” si erano accalcati nella capitale in modo da prendere il controllo su molti uffici governativi importanti.
Stando alle apparenze, costoro erano motivati da un genuino patriottismo e offrivano il loro servizi per una elemosina, diventando noti per questo come “gli uomini un-dollaro-per-un-anno”. In verità, molti occupavano quei posti per garantire le loro strutture in Germania. L’ex presidente della GM, William S. Knudsen, un esplicito ammiratore di Hitler dal 1933 e amico di Göring, divenne direttore dell’Ufficio Gestionale della Produzione. Un altro direttore esecutivo della GM, Edward Stettinius Jr., divenne Segretario di Stato, e Charles E. Wilson, presidente della General Electric, divenne “il potentissimo numero due del Ministero della Produzione Bellica” (58)
Sotto queste circostanze, desta ancora meraviglia che il governo Americano abbia preferito guardare da un’altra parte, mentre le grandi imprese del paese operavano come falchi da preda nella terra del nemico Tedesco? Nei fatti, Washington effettivamente legittimava queste attività. Appena una settimana dopo l’attacco Giapponese su Pearl Harbor, il 13 dicembre 1941, lo stesso Presidente Roosevelt in via riservata emanava un decreto che consentiva alle imprese Americane di fare affari con le nazioni nemiche — o con paesi neutrali che erano in buone relazioni con i paesi nemici — per mezzo di una speciale autorizzazione. (59)
Questa disposizione chiaramente contravveniva alle norme, supposte estremamente vincolanti, contro tutte le forme di “commercio con il nemico”. Presumibilmente, Washington non poteva permettersi di offendere le grandi imprese del paese, i cui esperti erano indispensabili per portare la guerra al successo finale.
Come ha scritto Charles Higham, “l’amministrazione Roosevelt doveva andare a letto con le compagnie petrolifere (e con le altre grandi imprese) in modo da vincere la guerra” .
Di conseguenza, i funzionari governativi giravano la testa da un’altra parte sistematicamente, per non vedere il comportamento non patriottico dei capitalisti Americani con investimenti all’estero, ma vi sono state alcune eccezioni a questa regola generale. “In ordine di soddisfare l’opinione pubblica”, scrive Higham, nel 1942, in modo simbolico, venivano mosse azioni legali contro la più conosciuta compagnia violatrice della legislazione sui “rapporti commerciali con il nemico”, la Standard Oil. Ma la Standard faceva rilevare “che stava fornendo carburanti per un’alta percentuale all’Esercito, alla Marina e all’Aviazione, quindi rendendo possibile la vittoria della guerra all’America” .
Alla fine, l’impresa di Rockefeller concordava di pagare un’ammenda di poca importanza “per aver tradito l’America”, ma le veniva consentito di continuare il suo redditizio commercio con i nemici degli Stati Uniti. (60) Un tentativo di inchiesta relativa alle attività della IBM in territorio del nemico Nazista, che si potevano configurare come tradimento, veniva allo stesso modo bloccato, visto che gli USA avevano bisogno della tecnologia IBM, tanto quanto facevano i Nazisti.
Edwin Black scrive: “La IBM era per molti versi peggiore della guerra.” Entrambi i contendenti non avrebbero potuto procedere senza la tecnologia assolutamente essenziale della compagnia. “Hitler aveva necessità della IBM. Questo valeva anche per gli Alleati.” (Black, 333, and 348)
In breve, lo Zio Sam ammoniva con il dito la Standard Oil e la IBM, ma la maggior parte dei proprietari e dei managers delle corporations, che facevano affari con Hitler, non dovevano assolutamente preoccuparsi. Le connessioni di Sosthenes Behn della ITT con la Germania Nazista, per esempio, non erano un pubblico segreto a Washington, ma, come risultato di tutto questo, Behn non veniva sottoposto ad alcuna difficoltà.
Nel frattempo, risultava che in Germania i quartieri generali degli Alleati Occidentali facilmente avrebbero avuto la possibilità di accanirsi sulle imprese di proprietà Americana. Secondo l’esperto Tedesco Hans G. Helms, Bernard Baruch, un consigliere di alto grado del Presidente Roosevelt, aveva dato l’ordine di non bombardare certe fabbriche in Germania, o di bombardarle non in maniera pesante; è difficile sorprendersi che le affiliate delle imprese Americane cadessero in questa categoria! Ed infatti, mentre il centro storico della città di Colonia veniva raso al suolo in ripetuti raids di bombardamenti, la grande fabbrica della Ford in periferia poteva godere della reputazione di essere il posto più sicuro della città durante gli attacchi aerei, sebbene alcune bombe naturalmente cadessero occasionalmente sulle sue strutture. (Billstein et al, 98-100) (61)
Dopo la guerra, la GM e le altre imprese Americane, che avevano fatto affari in Germania, non solo non venivano penalizzate, ma anche venivano compensate per i danni subiti dalle loro sussidiarie Tedesche, come risultato dei raids dei bombardamenti Anglo-Americani. La General Motors riceveva dal governo Americano come indennizzo 33 milioni di dollari e la ITT 27 milioni di dollari. La Ford-Werke, durante la guerra, era stata danneggiata relativamente poco e aveva ricevuto più di 100.000 dollari a compensazione dallo stesso regime Nazista; anche la filiale della Ford in Francia si era azionata in modo da ricevere un indennizzo di 38 milioni di franchi dal Regime di Vichy. Nonostante ciò, la Ford si rivolgeva a Washington per ottenere un indennizzo di 7 milioni di dollari di danni, e dopo molto disputare riceveva un totale di 785,321 dollari “per la parte di perdite riconosciute accettabili sostenute dalla Ford-Werke e dalla Ford Austriaca durante la guerra” , che la compagnia aveva rese note in un suo rapporto di recente pubblicazione. (Research Findings, 109)
Il sistema delle imprese Americano e la Germania post-bellica
Quando finì la guerra in Europa, il sistema delle imprese Americano era ben posizionato a contribuire a stabilire esattamente cosa sarebbe dovuto succedere alla Germania in generale, e in particolare alle sue attività Tedesche. Ben prima che le armi tacessero, Allan Dulles dal suo osservatorio di Berna, in Svizzera, stabiliva contatti con le associate Tedesche delle imprese Americane, alle quali egli aveva in precedenza fornito prestazioni come avvocato nello studio Sullivan & Cromwell, e ,quando nella primavera del 1945 i carri armati di Patton si spinsero in profondità all’interno del Reich, il boss della ITT, Sosthenes Behn, indossata l’uniforme da ufficiale Americano, si recava nella Germania in disfatta per ispezionarvi personalmente le sue filiali. Cosa più importante, l’amministrazione nella zona della Germania occupata dagli USA abbondava di delegati di imprese, come la GM e la ITT. (62) Naturalmente, costoro erano presenti per assicurarsi che il Sistema Imprenditoriale Americano potesse continuare ad usufruire della piena rendita dei suoi lucrosi investimenti nella Germania sconfitta ed occupata.
Uno dei loro principali obiettivi era quello di ostacolare la realizzazione del Piano Morgenthau. Henry Morgenthau era Ministro del Tesoro di Roosevelt, ed aveva proposto di smantellare il sistema industriale Tedesco, e con ciò di trasformare la Germania in uno stato ad agricoltura arretrata, povera, quindi in una nazione inoffensiva. I proprietari e i dirigenti delle corporations Americane con attività in Germania erano assolutamente consapevoli che la messa in applicazione del Piano Morgenthau significava la fine per le loro affiliate Tedesche; perciò lo contrastarono con le unghie e con i denti.
Un oppositore particolarmente esplicito del Piano era Alfred P. Sloan, l’autorevole presidente del consiglio della GM. Sloan, altri capitani di industria, e i loro delegati ed amici a Washington all’interno delle autorità di occupazione Americana in Germania, erano favorevoli ad una opzione alternativa: la ricostruzione economica della Germania, in modo che fosse loro possibile fare affari e denaro in Germania, e alla fine arrivarono ad avere quello che volevano. Dopo la morte di Roosevelt, il Piano Morgenthau venne tranquillamente accantonato e lo stesso Morgenthau, il 5 luglio 1945, fu fatto dimettere dalla sua posizione di governo di rango elevato dal Presidente Harry Truman. La Germania — o almeno la parte occidentale della Germania — doveva venire economicamente ricostruita, e le sussidiarie Statunitensi sarebbero state così le maggiori beneficiarie di questo sviluppo.(63)
Le autorità Americane di occupazione in Germania in generale, e gli agenti delle case madri Americane delle filiali Tedesche all’interno di questa amministrazione in particolare, si trovarono di fronte ad un altro problema. Dopo il crollo del Nazismo e del Fascismo, in Europa era diffuso un profondo modo di sentire — che si sarebbe conservato ancora per pochi anni— decisamente anti-fascista e nello stesso tempo più o meno anti-capitalista, dato che a quel tempo si era ampiamente capito che il fascismo era stato una manifestazione del capitalismo. Quasi dappertutto in Europa, ed in particolare in Germania, associazioni radicali a livello popolare, come i gruppi Tedeschi anti-fascisti o Antifas, sorsero spontaneamente e divennero influenti. Quindi avvenne che sindacati di lavoratori e partiti politici di sinistra apparvero sulla scena con buon esito; poterono godere di diffusi appoggi popolari a seguito delle loro denunce dei banchieri Tedeschi e degli industriali che avevano portato Hitler al potere e che avevano strettamente collaborato con il regime, e il consenso era manifesto quando venivano proposte riforme anti-capitaliste più o meno radicali, come la socializzazione di particolari compagnie e di settori industriali.
Comunque, questi piani di riforme violavano i dogmi Americani riguardanti l’inviolabilità della libertà privata e della libertà di impresa, ed ovviamente erano la più importante fonte di preoccupazione degli industriali Americani con interessi in Germania. (64) Infatti, costoro erano atterriti dall’emergere in Germania di “commissioni interne di lavoratori” democraticamente elette, che esigevano di interagire negli affari delle imprese. A peggiorare la situazione, di frequente i lavoratori eleggevano dei Comunisti a far parte di queste commissioni. Questo avveniva nelle più importanti succursali Americane, alla Ford-Werke e alla Opel.
I Comunisti giocarono un ruolo importante nella commissione interna della Opel fino al 1948, quando la GM ufficialmente ripristinò alla Opel la direzione manageriale e mise fine di colpo all’esperimento. Le autorità Americane sistematicamente si opposero agli anti-fascisti e sabotarono i loro progetti di riforme sociali ed economiche a tutti i livelli della pubblica amministrazione e degli affari privati. Ad esempio, nell’impianto della Opel a Rüsselsheim, le autorità Americane collaborarono solo con riluttanza con gli anti-fascisti, mentre cercarono di fare ogni cosa in loro potere per impedire l’instaurarsi di nuovi sindacati di lavoratori e di non riconoscere alle commissioni il diritto di intervenire nelle decisioni della direzione dell’impresa. Invece di consentire lo sbocciare delle progettate riforme democratiche “provenienti dal basso”, gli Americani procedettero ad restaurare strutture autoritarie “calate dall’alto” ogni qualvolta possibile.
Loro misero da parte gli anti-fascisti in favore di personalità della conservazione, autoritarie, di destra, compresi molti ex Nazisti. Alla Ford-Werke a Colonia, la pressione anti-fascista costrinse alle dimissioni il direttore generale, già Nazista, Robert Schmidt, ma grazie a Dearborn e alle autorità Americane di occupazione, Schmidt e tanti altri dirigenti Nazisti ritornarono ben presto saldamente in sella. (65)
Capitalismo, Democrazia, Fascismo, e Guerra
Il Terzo Reich di Hitler era un sistema mostruoso reso possibile dai leaders affaristici al vertice in Germania, e mentre questo procurava una catastrofe per milioni di persone, adempiva ad una funzione da Paradiso, come un Nirvana, per il sistema delle imprese Tedesche. Anche alle imprese di proprietà straniera veniva consentito di godere di sevizi meravigliosi.
Il regime di Hitler era stato redditizio per “das Kapital”, con la cancellazione di tutti i partiti e i sindacati dei lavoratori, attraverso un programma di riarmo, che aveva procurato ai capitalisti immensi profitti, e, mediante una guerra di conquista, aveva eliminato la concorrenza straniera e aveva fornito nuovi mercati, con l’acquisizione di materie prime a prezzi bassi, e che era stata la fonte senza limiti di lavoratori sempre più a buon mercato, dai prigionieri di guerra ai lavoratori stranieri trattati come schiavi e agli internati dei campi di concentramento. I proprietari e i managers delle imprese guida Americane ammiravano Hitler, dato che nel Terzo Reich potevano fare profitti e dove Hitler massacrava i sindacati Tedeschi e giurava di distruggere l’Unione Sovietica, patria del comunismo internazionale.
Questi vantaggi possono essere attesi più propriamente da una dittatura fascista che da una genuina democrazia, da qui l’appoggio ai Franco, ai Suharto, e a tutti i Pinochet del mondo post bellico. Ma anche all’interno delle società democratiche il capitalismo cerca attivamente il lavoro a basso costo e senza conflitti, che il regime di Hitler gli aveva servito su un piatto d’argento, e di recente questo è avvenuto in modo non palese tramite strumenti come la globalizzazione e la riduzione dello stato sociale, piuttosto che attraverso lo strumento del fascismo, a cui il capitale Americano ed internazionale ha fatto ricorso per procurare al sistema imprenditoriale il paradiso del Nirvana, del quale la Germania di Hitler aveva offerto una stuzzicante anticipazione.
Vedi Edwin Black, “IBM and the Holocaust: The Strategic Alliance between Nazi Germany and America's Most Powerful Corporation” – (IBM e l’Olocausto: L’alleanza strategica tra la Germania Nazista e la più potente impresa Americana.) - (London: Crown Publishers, 2001)
Walter Hofer e Herbert R. Reginbogin, „Hitler, der Westen und die Schweiz 1936–1945“ - (Hitler, l’Occidente e la Svizzera 1936-1945), (Zürich: NZZ Publishing House, 2002)
Reinhold Billstein, Karola Fings, Anita Kugler, e Nicholas Levis, “Working for the Enemy: Ford, General Motors, and Forced Labor during the Second World War” – (Lavorare per il nemico: Ford, General Motors e il lavoro forzato durante la Seconda Guerra Mondiale) - ( New York: Berghahn, 2000); Risultati di una ricerca su la Ford-Werke sotto il regime Nazista (Dearborn, MI: Ford Motor Company, 2001)
Note
1 Michael Dobbs, "US Automakers Fight Claims of Aiding Nazis- I produttori di automobili USA contrastano le affermazioni di aver aiutato i Nazisti " The International Herald Tribune, 3 dicembre 1998.
2 David F. Schmitz, "'A Fine Young Revolution': The United States and the Fascist Revolution in Italy, 1919–1925, - ‘Una meravigliosa giovane rivoluzione’: gli Stati Uniti e la Rivoluzione Fascista in Italia, 1919-1925," Radical History Review, 33 (settembre1985), 117–38; e John P. Diggins, “Mussolini and Fascism: The View from America – Mussolini e il Fascismo: Uno sguardo dall’America” (Princeton 1972).
3 Gabriel Kolko, "American Business and Germany, 1930–1941, - Affari Americani e la Germania, 1930-1941". “The Western Political Quarterly, 25 (dicembre1962), 714”, fa riferimento allo scetticismo che si era diffuso nella stampa economica Americana nei confronti di Hitler, dato che veniva considerato “un non conformista dal punto di vista economico e politico”.
4 Neil Baldwin, “Henry Ford and the Jews: The Mass Production of Hate – Henry Ford e gli Ebrei: La produzione di massa dell’odio” (New York 2001), in modo particolare: 172–91.
5 Charles Higham, “Trading with the Enemy: An Exposé of The Nazi-American Money Plot 1933–1949 – Fare affari col nemico: un resoconto dell’intreccio di denaro fra Nazisti e Americani 1933-1949” (New York 1983), 162.
6 Webster G. Tarpley e Anton Chaitkin, "The Hitler Project, - Il piano di Hitler" capitolo 2 in “George Bush: The Unauthorized Biography – George Bush: La biografia non autorizzata” (Washington 1991). Disponibile online a http://www.tarpley.net/bush2.htm .
7 Mark Pendergrast, “For God, Country, and Coca-Cola: The Unauthorized History of the Great American Soft Drink and the Company that Makes It – Per Dio, Patria e Coca-Cola: La storia non autorizzata della grande bibita analcolica Americana e della Compagnia che la produce.” (New York 1993), 221.
8 Citazione da Manfred Overesch, “Machtergreifung von links: Thüringen 1945/46 – La presa del potere da sinistra: Turingia 1945/46 „ (Hildesheim Germany 1993), 64.
9 Knudsen descriveva la Germania Nazista, dopo una sua visita nel 1933, come "il miracolo del ventesimo secolo." Higham, “Trading With the Enemy – Fare affari col nemico”, 163.
10 Stephan H. Lindner, “Das Reichskommissariat für die Behandlung feindliches Vermögens im Zweiten Weltkrieg: Eine Studie zur Verwaltungs-, Rechts- and Wirtschaftsgeschichte des nationalsozialistischen Deutschlands – Il Commissariato del Reich per la gestione del patrimonio nemico durante la Seconda Guerra Mondiale: uno studio sulle questioni di tipo amministrativo, giuridico ed economico nella Germania Nazionalsocialista“ (Stuttgart 1991), 121; Simon Reich, „The Fruits of Fascism: Postwar Prosperity in Historical Perspective – I frutti del Fascismo: prosperità postbellica in una prospettiva storica“ (Ithaca, NY and London 1990), 109, 117, 247; e Ken Silverstein, "Ford and the Führer, - Ford e il Führer " The Nation, 24 gennaio 2000, 11–6.
11 Citazione da Michael Dobbs, "Ford and GM Scrutinized for Alleged Nazi Collaboration, - Ford e la GM sotto inchiesta per una presunta collaborazione con il Nazismo" The Washington Post, 12 dicembre 1998.
12 Tobias Jersak, "Öl für den Führer, - Petrolio per il Führer " Frankfurter Allgemeine Zeitung, 11 febbraio 1999.
13 Higham, “Trading With the Enemy - Fare affari col nemico” xvi.
14 Gli autori di un recente libro sull’Olocausto mettono anche in evidenza che “nel 1930, l’antiSemitismo era molto più visibile e impudente negli Stati Uniti piuttosto che in Germania.” Vedi l’intervista di Suzy Hansen con Deborah Dwork e Robert Jan Van Pelt, autori di “Olocausto: una storia”, a http:/salon.com/books/int/2002/10/02/dwork/index.html.
15 Henry Ford, “The International Jew: The World's Foremost Problem – Il Giudaismo Internazionale: il principale problema mondiale.” (Dearborn, MI n.d.); e Higham, “Trading With the Enemy - Fare affari col nemico” 162.
16 Aino J. Mayer, “Why Did the Heavens not Darken? The Final Solution in History - Perché il Cielo non si è oscurato? La soluzione finale nella Storia.” (New York 1988).
17 Neil Baldwin, “Henry Ford and the Jews: The Mass Production of Hate – Henry Ford e gli Ebrei: La produzione di massa dell’odio”, 279; e Higham, “Trading With the Enemy - Fare affari col nemico”, 161.
18 Upton Sinclair, “The Flivver King: A Story of Ford-America – Il re dei macinini: la storia di Ford-America” (Pasadena, CA 1937), 236.
19 Higham, “Trading With the Enemy - Fare affari col nemico”, 162–4.
20 Vedi Bernd Martin, “Friedensinitiativen und Machtpolitik im Zweiten Weltkrieg 1939–1942 – Iniziative di pace e politica di potere nella Seconda Guerra Mondiale 1939-1942” (Düsseldorf 1974); e Richard Overy, “Russia's War – la Guerra di Russia” (London 1998), 34–5.
21 Vedi Clement Leibovitz e Alvin Finkel, “In Our Time: The Chamberlain-Hitler Collusion – Nella nostra epoca: la collusione Chamberlain-Hitler” (New York 1998).
22 John H. Backer, "From Morgenthau Plan to Marshall Plan – Dal Piano Morgenthau al Piano Marshall," in Robert Wolfe, ed., “Americans as Proconsuls: United States Military Governments in Germany and Japan, 1944–1952 – Americani come proconsoli: I governi militari degli Stati Uniti in Germania e in Giappone, 1944-1952” (Carbondale and Edwardsville, IL 1984), 162.
23 Mooney viene citato in Andreas Hillgruber, “Staatsmänner und Diplomaten bei Hitler. Vertrauliche Aufzeichnungen über Unterredungen mit Vertretern des Auslandes 1939–1941- Uomini di Stato e Diplomatici di Hitler. Appunti riservati sui colloqui con i rappresentanti esteri 1939-1941“ (Frankfurt am Main 1967), 85.
24 Anita Kugler, "Das Opel-Management während des Zweiten Weltkrieges. Di
(Message over 64 KB, truncated)