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RIFLESSIONI SU BALCANI ED EUROPA

Sarà che io non sono un’esperta di geopolitica, né un’esperta in
economia, né una sottosegretaria, e forse è anche per questo che non
lo sono, però ogni volta che vado a sentire dei convegni che parlano
delle crisi balcaniche e del ruolo dell’Europa nella politica di
sviluppo dei paesi che non sono ancora in Europa, come ad esempio
quelli balcanici, mi chiedo sempre: i Balcani sono in Europa?
L’Europa arriva fino agli Urali o no, dato che non si può pensare di
allargare l’Europa anche alla Russia o all’Ucraina mentre la Turchia
alla fine prima o poi ci entrerà?
O forse bisognerebbe smettere di parlare di Europa e dire invece
Unione Europea, così come si dovrebbe imparare a dire Stati Uniti e
non America, come a suo tempo il mio insegnante di Diritto dei paesi
socialisti usava bacchettare chi parlava di Russia e non di Unione
Sovietica.
Le crisi balcaniche. Già, le crisi. In realtà la crisi è stata una,
lo sfascio della Jugoslavia con tutto quello che s’è portata dietro.
Ma dire che in questo sfacelo l’Unione Europea ha sbagliato a non
intervenire, mi sembra (a me che non sono una esperta, ma cerco
piuttosto di parlare con il buon senso della massaia) poco esatto. Da
quanto ho capito io, l’Unione Europea è invece intervenuta fin troppo
(anche se non solo lei, tanti sono intervenuti, e troppo). Chi ha
convinto l’intellighenzia slovena che se volevano diventare il sud
della Germania invece che rimanere il nord della Jugoslavia; chi ha
dato spago alle provocazioni pseudopacifiste di Janez Jansa; chi ha
foraggiato i gruppi di ultras di destra che poi sono diventati corpi
paramilitari; chi ha garantito alla Bosnia che se dichiaravano
l’indipendenza avevano la copertura europea; chi ha trafficato in
droga, in armi e in prostituzione; chi ha armato l’UCK presentandolo
come un movimento di liberazione e non come un’organizzazione
terroristica che si finanziava con la droga; chi ha criminalizzato un
popolo (quello serbo) per poter giustificare i bombardamenti che
avrebbero definitivamente messo in ginocchio l’ultimo paese europeo
che si opponeva alla globalizzazione.
Come io non capisco, sempre perché non sono una esperta in
geopolitica, perché mai, se “entrare in Europa” era il fine ultimo di
tutti questi staterelli che hanno preteso di sfasciare la Jugoslavia,
facendo pagare un altissimo prezzo di sangue e di distruzione ai
propri abitanti, perché era necessario distruggere tutto quello che
era stato costruito dopo la fine della seconda guerra mondiale, una
confederazione di popoli che vivevano in pace, avevano creato
un’esperienza unica, un socialismo diverso da quello sovietico,
garanzie sociali per tutti, un ruolo internazionale di tutto
rispetto. Perché questo non andava bene per “entrare in Europa”?
Forse perché, e qui comincio a parlare anch’io da politica, anche se
non in sintonia con i geopolitica di oggi, forse perché l’Europa
richiedeva, come richiede ai suoi Paesi membri, che i canoni di
garanzie sociali non fossero così alti come quelli che garantiva la
Jugoslavia (e del resto la non comunista Danimarca s’è rifiutata con
un referendum di “entrare in Europa” perché non accettavano di pagare
meno tasse per avere meno diritti sociali). Forse perché, una volta
distrutto uno Stato che aveva un proprio ruolo internazionale per
sostituirlo con una miriade di staterelli senza spina dorsale, ma
costretti dalle leggi dell’economia a fare quello che vogliono i
detentori dei cordoni della borsa, l’Europa può andare dove vuole a
investire, costruire, depredare tutto quello che vuole in nome del
profitto e non dei diritti dei cittadini.

Claudia Cernigoi, luglio 2007