Da “il Manifesto” del 9 febbraio 2008
«Kosovo, la fretta di D'Alema prepara un altro disastro»
Intervista di Tommaso Di Francesco al generale Fabio Mini, ex comandante della Nato in Kosovo.
Mercoledì, poco prima dello scioglimento delle Camere, Massimo D'Alema ha comunicato alle commissioni esteri di Camera e Senato che l'Italia riconoscerà l'indipendenza unilaterale del Kosovo, annunciando che ci saranno 200 italiani nella «missione civile e di polizia» di 2000 uomini che l'Unione europea vuole dispiegare in Kosovo per gestire l'indipendenza. Il parlamento italiano non l'ha mai discussa e nemmeno il governo in carica per il «disbrigo degli affari correnti» non per attivare processi internazionali delicatissimi.
Di questo abbiamo parlato con il generale Fabio Mini, ex comandante della Nato in Kosovo.
Non le sembra particolarmente azzardato tutto questo, così come considerare che la vittoria di misura di Boris Tadic a Belgrado apra le porte all'accettazione dell'indipendenza unilaterale del Kosovo?
Il processo della definizione dello status del Kosovo è talmente delicato e complesso che è un azzardo persino pensare di liquidarlo con la discussione di qualsiasi Parlamento nazionale. La vittoria di Tadic è una buona notizia per la Serbia che vuole accedere all'Europa ed una altrettanto buona per l'Europa che vede avvicinarsi una nazione che per troppo tempo e di certo non per colpe collettive è rimasta fuori dal circuito degli stati. Ritengo però un errore pensare che Tadic possa o abbia intenzione di barattare il Kosovo con l'ammissione della Serbia all'Unione Europea. Non può sfuggire a lui, e tanto meno a Kostunica, che legare l'accesso della Serbia all'Europa all'indipendenza del Kosovo significa sottostare ad un vero e proprio ricatto. La Serbia di Kostunica non è nuova ai compromessi. Milosevic è stato consegnato in cambio di una congrua ripresa degli aiuti finanziari, ma qui la situazione è diversa: la Serbia non sta cedendo un presunto criminale ad un tribunale internazionale, ma deve cedere la propria sovranità su una parte del paese che verrà gestita da chi deve ancora fare i conti con il tribunale internazionale. Se questo nella nostra logica è equivalente non lo è per quella di nessun serbo anche se smaliziato e desideroso di entrare in Europa come Tadic. Forse da noi la voglia di chiudere le partite in sospeso prima delle ferie induce a passi affrettati, ma in questo caso la fretta è del tutto fuori luogo ed è anche un cambio sostanziale della politica ufficiale. Non dimentico che la posizione italiana è sempre stata per la prosecuzione del dialogo e non per l'avallo delle iniziative unilaterali. Senza soluzione di compromesso tra le parti il problema del Kosovo è destinato a ingigantirsi e a costituire un precedente gravissimo per l'intero diritto internazionale. Il sostegno al dialogo, a prescindere dal tempo necessario, non mi sembrava una posizione assunta per traccheggiare, ma per esprimere una politica forte di rispetto del quadro del diritto internazionale di fronte a pressioni legittime o fuori luogo di altri paesi interessati a modificarlo in maniera subdola e surrettizia. In realtà, proprio con l'elezione di Tadic le prospettive di dialogo e di soluzione positiva e concordata aumentano e, a pensar male ci si coglie sempre, forse la fretta e l'ineluttabilità servono proprio ad evitare che il dialogo riprenda.
Per D'Alema l'indipendenza è «irreversibile» e «siccome i kosovari diranno "siamo indipendenti sotto l'autorità europea" l'Europa deve assumersi questa responsabilità. E intende farlo». Torna la scelta dell'indipendenza controllata del piano Ahtisaari, fallito nel negoziato. Stanno cancellando il ruolo delle Nazioni unite?
Che l'Europa intenda agire in modo unitario seguendo le indicazioni delle Nazioni unite è una buona notizia. Se invece l'unità è ricercata per smantellare quel poco di legittimità rimasta all'Onu, allora ne diventa l'estrema unzione. Ritengo che al di là delle parole apodittiche la stessa Unione Europea non abbia alcuna intenzione di alterare il quadro dell'Onu, anche se questo in Kosovo ha clamorosamente fallito. I motivi sono essenzialmente due: l'Unione non è in grado di sostituirsi alle Nazioni Unite neppure se lo volesse. Non ne ha la forza e non ne ha l'autorità neppure per una situazione regionale come quella del Kosovo proprio per le implicazioni globali che questa ha. Inoltre, l'Unione europea è già parte integrante del fallimento dell'Onu in Kosovo. Il cosiddetto pilastro della Ricostruzione era ed è gestito dall'Ue. Avrebbe dovuto rappresentare anche il perno per un cambio sostanziale di stile di vita delle popolazioni e avrebbe dovuto far decollare un Kosovo non vincolato alle politiche socio-economiche della ex-Jugoslavia. L'economia è il fallimento più grave del Kosovo, quello che ha vanificato un minimo di benessere che avrebbe consentito il ritorno dei rifugiati, l'attenuarsi delle rivendicazioni e delle vendette e il ristabilimento di una vera sicurezza. Tutto questo non è avvenuto e si sono sprecati anni e risorse infinite per essere ancora, e forse peggio, alla situazione del 1999. Se alle ultime elezioni oltre la metà dei kosovari albanesi non è andata neppure alle urne significa che hanno perduto la fiducia in tutte le organizzazioni internazionali che hanno preteso di dettare le condizioni. Oggi più che della negazione di qualsiasi compromesso da parte serba e albanese, bisognerebbe prendere atto della perdita di autorevolezza di tutte le organizzazioni internazionali agli occhi dei kosovari, serbi e albanesi, affrontando il problema con una buona dose di umiltà. Con la tendenza attuale si avalla una posizione estremista ed un atto unilaterale con altrettanto estremismo ed unilateralismo a scapito dell'intero quadro generale istituzionale.
La «missione civile e di polizia», votata dalla Ue martedì con l'astensione di Cipro che teme per la questione della Repubblica turco cipriota (e con i dubbi di Grecia, Slovacchia, Spagna e Romania), sarà sancita il 18 febbraio dai ministri degli esteri della Ue. Quale è il quadro di legalità di questa «missione» in rapporto alla Risoluzione 1244 (votata dal Consiglio di sicurezza Onu con assunzione della Pace di Kumanovo del giugno-luglio 1999) che riconosce invece la sovranità della Serbia sul Kosovo?
Per la sostituzione di una missione Onu con una di un'organizzazione regionale, come l'Unione europea, c'è bisogno di una nuova risoluzione. Invece l'escamotage che mi sembra sia stato adottato è quello di considerare la missione Europea sempre sotto il cappello dell'Onu perché comunque la missione della «presenza militare di sicurezza» rimane invariata sotto il controllo della Nato. In ogni caso senza una chiara presa di posizione del Consiglio di Sicurezza la missione parte malissimo. Tuttavia partirebbe malissimo anche se ci fosse una nuova risoluzione per una volta tanto sincera. Il cambio di responsabilità, la chiusura di Unmik, la decisione di lasciare Kfor e l'orientamento a riconoscere l'atto unilaterale d'indipendenza da parte dei kosovari albanesi dovrebbero essere sanzionati da una risoluzione che ammettesse il fallimento di Unmik e di tutte le iniziative dell'Onu; dovrebbe elencare quali nuovi sviluppi abbiano portato al passaggio di mano, e questi non ci sono. Dovrebbe ammettere l'impotenza internazionale di fronte alle pressioni di alcune lobby, dovrebbe ammettere l'inconsistenza del tessuto istituzionale kosovaro finora realizzato, dovrebbe ammettere che dopo nove anni il Kosovo non è in grado di gestire neppure un'autonomia controllata e nel frattempo lo si considera indipendente. Dovrebbe elencare tutti i paesi e i territori che possono rivendicare lo stesso trattamento di favore a partire da Taiwan, dall'Irlanda del Nord, dai Curdi iraniani, iracheni, turchi e siriani, dai paesi caucasici in lotta con la Russia, da quelli africani, dai Baschi in Spagna e Francia, dagli Uyguri, dagli Hui e dai Mongoli in Cina e così via. Dovrebbe dire quale regola fondamentale rimane valida per dare una parvenza di legittimità ad un ordine mondiale sfasciato. Dovrebbe infine dire cosa vogliono fare dei Balcani i soloni delle nazioni che si agitano nelle varie campagne elettorali. Gli accordi e la logica di Dayton cade e così cade la Bosnia Erzegovina, si riapre la questione della Voivodina, del Sandjak, degli albanesi della Macedonia e di quelli della valle di Presevo in Serbia, di quelli in Grecia, ecc. Ed infine dovrebbe indicare chi si debba far carico di gestire le conseguenze di un tale atto.
La Ue dichiara di muoversi su una «interpretazione creativa» dell'articolo 10 della Risoluzione 1244, quello sul ruolo del Segretario dell'Onu, che però, secondo l'articolo, dovrebbe intervenire per applicare la Risoluzione non cancellarla per accettare l' indipendenza unilaterale?
Creare significa trarre dal nulla. Tutto il mondo pensa che dietro l'Europa ci sia qualcosa di concreto oltre ai sogni della mia generazione e alle fantasie di quelle successive. Se non c'è nulla, allora che creino pure, ma che si preoccupino anche di gestire il casino creato.
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Dal "Corriere della Sera" del 16 febbraio 2008
Il generale Mini: «Il nuovo Stato conviene solo ai clan.
Sarà un porto franco per il denaro che arriva dall'Est»
L'intervista L'ex comandante della Nato in Kosovo: «L'Ue sbaglia. Processo troppo rapido e affidato ai peggiori»
DAL NOSTRO INVIATO
PRISTINA — Generale Mini, ma alla fine a chi conviene quest'indipendenza?
«Ai kosovari. Non parlo della gente comune che non ha più fiducia: alle elezioni ha votato solo il 45% e Hashim Thaci ha preso il 32. No, conviene a chi comanda: allo stesso Thaci che fa affari col petrolio, a Bexhet Pacolli che ha bisogno d'un buco dove ficcare i soldi del suo mezzo impero, a Ramush Haradinaj che è sotto processo all'Aja, ad Agim Ceku che vuole diventare il generalissimo di se stesso... Del Kosovo indipendente, a questi non gliene frega niente. Come non gliene frega ai serbi. Quel che serve ai clan, d'una parte e dell'altra, è un posto in Europa che apra nuove banche. Un porto franco per il denaro che arriva dall'Est. Montecarlo, Cipro, Madeira non son più affidabili. Ecco perché pure Belgrado ci tiene tanto. Altro che terra sacra: non entra nell'Ue, se prima non sistema i soldi da qualche parte».
Fabio Mini sa di che cosa parla: nel 2002-2003, è stato il comandante della Nato in Kosovo. E non ha molta stima della nuova dirigenza di Pristina:
«Da lavarsi le mani, dopo avergliela stretta. Spero che la nuova generazione se ne liberi presto. L'anima nera è un signore di cui non le dico il nome, perché se lo scrive vengono lì e la ammazzano. È il mandante di almeno 28 assassinati del partito di Rugova. Uno che, come molti dei capi Uck, non ha mai spiegato la fine d'un migliaio di rom, serbi e albanesi accusati di collaborazionismo, desaparecidos negli anni del primo dopoguerra. A Pristina, si dice che se i pesci d'un certo lago potessero parlare...».
Però quest'indipendenza è stata pagata con la pulizia etnica. Con anni di apartheid sotto Belgrado. Era impossibile rinviarla ancora...
«Io capisco la fretta dei kosovari. È giustificata. Pensano a se stessi. È legittimo avere uno status definito, dopo anni di prese in giro e tante promesse da Stati Uniti e Gran Bretagna. Quella che non capisco è la fretta della comunità internazionale. Questi processi non si risolvono in pochi anni. E non si affidano a chi ha partecipato allo sfascio. Ci si rende conto che ora all'Aja non testimonierà più nessuno, contro gente che comanda uno Stato? E le modifiche al quadro internazionale? La minaccia d'una proclamazione unilaterale c'è sempre stata. Questa è la quarta volta che il Kosovo la mette in pratica. Quando c'ero io e la proclamò Rugova, dovetti scrivere a mezzo mondo: attenzione, ci saranno conseguenze sul campo... Nei Balcani non sai mai quale mano arma il coltello: al primo incidente, sarà uno scarico di responsabilità. Lo sto notando con le bombe di questi giorni: le bombe non sono tipiche dei Balcani. Le hanno sempre messe personaggi venuti da fuori. Quando scoppiano, è il segnale che qualcuno sta ficcando il naso».
Si teme un effetto domino.
«Certo, questa proclamazione fa saltare il diritto internazionale fondato sulla sovranità degli Stati. Uno scempio voluto dagli Usa, che in questo diritto non credono e l'hanno dimostrato in Iraq. Sotto quest'aspetto, il Kosovo è l'altra faccia dell'Iraq. Se all'Onu passa il riconoscimento, dopo domattina saranno tutti autorizzati a fare lo stesso: l'Irlanda del Nord, i baschi, i ceceni, i catalani... I primi ad agitarsi sono già i serbi di Bosnia: hanno uno status di Repubblica più alto del Kosovo, possono staccarsi subito dalla federazione bosniaca. In fondo, chiedono la secessione che voleva Milosevic. Per bloccare Milosevic, però, sono morte decine di migliaia di persone. E noi ora gliela regaliamo così?».
D'Alema ha detto in commissione Esteri che l'Italia riconoscerà quest'indipendenza.
«Sarebbe un errore fatale, peggio di quando si riconobbe in tempi record la Croazia. Quella almeno era una Repubblica federata, non un territorio sottratto a uno Stato membro dell'Onu. Non credo che l'Italia ci cascherà: il riconoscimento non spetta ai singoli Paesi, basta l'ombrello Ue».
E Putin?
«Dal 1989 i russi non contavano più niente nei Balcani. E oggi non gliene frega niente del Kosovo. Però stiamo facendo loro un regalo grande: la Serbia. Buttiamo via vent'anni di lavoro. Toccasse a me, andrei a Belgrado dal presidente Tadic e lo prenderei per la collottola: concedi l'indipendenza prima che la proclamino i kosovari, ti conviene. Salvi il tuo Paese. E la comunità internazionale».
Francesco Battistini
16 febbraio 2008