J. Laughland, N. Clark: Kosovo, indipendenza illegale

1) Kosovo: una crisi scatenata dall’Occidente (Neil Clark)

2) L’indépendance illégale du Kosovo rapelle un triste précédent (John Laughland)


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(the original text, in english:
A crisis of West's own making 
by Neil Clark - The Australian - December 24, 2007


Kosovo: una crisi scatenata dall’Occidente

di Neil Clark
 
Neil Clark collabora regolarmente con The Spectator e The Guardian in Gran Bretagna, ed insegna relazioni internazionali all’Oxford Tutorial College.

Articolo pubblicato dal The Australian il 24 dicembre 2007 
 
Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova
 

La Serbia, supportata dalla Russia, ignora gli ultimatum. Ne consegue la guerra. Questo era lo scenario nell’estate del 1914, quando il mondo piombava nella guerra, che doveva essere la fine di tutte le guerre. Dopo un secolo, la situazione è del tutto simile, in maniera inquietante. 

Malgrado l’Occidente minacci di riconoscere l’indipendenza del Kosovo, Belgrado vi si oppone recisamente. Le forze armate Serbe sono pronte a rivendicare la Provincia con la forza, se necessario. La Russia ha promesso alla Serbia il suo appoggio. 
Se la guerra dovesse scatenarsi, senza ombra di dubbio la Serbia verrebbe accusata dai governi Occidentali di non essersi messa in riga. Ma questa sarebbe un’accusa ingiusta e disonesta. 
La presente crisi nel Kosovo è stata prodotta non tanto dall’intransigenza Serba, ma dalla politica Occidentale di ingerenza negli affari interni di Stati sovrani, che, nel secolo scorso, ha generato caos, non solo nei Balcani, ma in tutto il mondo.
 
Dieci anni fa, il Kosovo viveva una pace relativa. Le richieste Albanesi per una indipendenza da Belgrado venivano incanalate nell’alveo del partito moderato della Lega dei Democratici di
    Ibrahim Rugova, mentre i piccoli gruppi di paramilitari Albanesi erano isolati e ricevevano scarso sostegno da parte della pubblica opinione.
Secondo un rapporto del 1996 dell’agenzia di informazioni Jane, l’UCK, l’Esercito di Liberazione del Kosovo, il più estremista fra i gruppi paramilitari Albanesi, non faceva considerazioni sull’importanza politica o economica delle sue vittime, e comunque non sembrava essere in grado di procurare danni ai suoi nemici. Non era mai arrivato vicino a costituire una sfida agli equilibri del potere militare nella regione. Si poteva valutare che, alla fine del novembre 1997, l’UCK, classificata ufficialmente dagli Stati Uniti come organizzazione terroristica, non contasse più di 200 uomini.
     
Allora, con uno slittamento politico le cui ripercussioni sono oggi sotto gli occhi di tutti, l’Occidente ha cominciato ad interferire alla grande. Gli Stati Uniti, la Germania e la Gran Bretagna sempre più andavano affermando che l’UCK era una forza alleata, che aveva le potenzialità per fare loro acquisire l’obiettivo di destabilizzare ed eventualmente di rimuovere dal potere il regime di Slobodan Milosevic, il quale non mostrava alcuna propensione a collegarsi alle strutture Euro-Atlantiche. 
L’anno seguente, l’UCK fu sottoposta ad una drastica trasformazione. Il gruppo venne depennato dal Dipartimento di Stato USA dalla lista delle organizzazioni terroristiche e, come era avvenuto con i
  Mujahideen in Afghanistan un decennio prima, veniva avvolto da un’aura totale di “combattenti per la libertà”. All’UCK veniva assegnata assistenza su larga scala da parte delle forze di sicurezza Occidentali. La Gran Bretagna organizzava campi di addestramento segreti nel nord dell’Albania. I servizi segreti della Germania provvedevano alle uniformi, agli armamenti e agli istruttori.

The Sunday Times in Gran Bretagna pubblicava un articolo che affermava come agenti dello spionaggio Americano avevano ammesso di avere contribuito all’addestramento dell’UCK, prima dei bombardamenti NATO sulla Jugoslavia.
Nel frattempo, la Lega dei Democratici di Rugova, che sosteneva i negoziati con Belgrado, veniva trattata con freddo distacco.
Quando la campagna di violenza dell’UCK, diretta non solo contro i funzionari di Stato Jugoslavi, i civili Serbi e gli Albanesi desiderosi di collaborare che non appoggiavano l’agenda estremistica, provocò la risposta militare di Belgrado, i Britannici e gli Statunitensi furono subito pronti a lanciare i loro ultimatum.
Durante i 79 giorni di bombardamenti della NATO sulla Jugoslavia, l’Occidente lanciava promesse di indipendenza all’UCK che, otto anni dopo, stanno continuando ad ossessionare.
Con il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo, la Serbia verrà spinta fuori dalla zona di influenza dell’Occidente e si produrrà una reale possibilità di guerra. E questo creerà un precedente: se i diritti di autodeterminazione per gli Albanesi del Kosovo devono essere riconosciuti, allora cosa dire sui diritti di autodeterminazione per i Serbi di Bosnia, che hanno la ferma volontà di unirsi alla Serbia? Però, attuando una conversione ad U, e tentando di rimandare l’indipendenza, si corre il rischio di violenze da parte della maggioranza Albanese del Kosovo. Questo è un enorme pasticcio, comunque confezionato dall’Occidente.
Non si fosse intervenuto negli affari interni della Jugoslavia dieci anni fa, è verosimile che sul problema del Kosovo
  si sarebbe sicuramente trovato un compromesso pacifico fra il governo di Belgrado e la Lega dei Democratici. L’obiettivo di Rugova era l’indipendenza del Kosovo dalla Serbia, ma solo con l’accordo fra tutte le parti. 
Quello che è certo è che, senza il padrinato dell’Occidente, l’UCK non avrebbe mai acquisito il potere che certamente ha conseguito. 
Sostenendo la forza più integralista in Kosovo, l’Occidente non solo ha contribuito a far precipitare la guerra, ma ha reso la questione del Kosovo più difficile da risolvere. Risulta denso di ironia il fatto che per i sostenitori dell’intervento “umanitario” si consideri che le azioni dell’Occidente in Kosovo abbiano conseguito un grande successo.
Era proprio durante il corso della campagna di bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia nel 1999 che l’allora Primo Ministro Britannico, Tony Blair, nel suo famoso discorso a Chicago metteva in risalto la sua dottrina di “comunità internazionale”.
 

Blair argomentava che il principio della non-interferenza negli affari di Stati sovrani – da tanto tempo considerato come un importante principio per l’ordine internazionale – dovesse essere sottoposto a revisione. Blair perorava: “E io vi dico: mai più abboccare alla dottrina dell’isolazionismo!”
Ma, dopo avere sotto gli occhi le macerie prodotte in tutto il globo da un decennio di interferenze Occidentali, dai Balcani all’Afghanistan e Iraq, ci si meraviglia che l’isolazionismo e l’osservanza del principio di non-interferenza negli affari degli Stati sovrani sembrino ancora così tanto attraenti?

Neil Clark


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L’indépendance illégale du Kosovo rapelle un triste précédent

par John Laughland*

20 FÉVRIER 2008

Depuis
Londres (Royaume-Uni)


Les États-Unis et l’Union européenne viennent d’organiser la proclamation unilatérale d’indépendance du Kosovo. Cette décision foule aux pieds les principes d’Helsinki et la Charte de l’ONU. Le politologue briannique John Laughland craint qu’elle n’ait les mêmes conséquences que la fausse indépendance bosniaque au XIXe siècle.


La position de la Russie sur le Kosovo est conséquente, alors que la position de l’Occident est incohérente et contradictoire. L’Occident (Union européenne + États-Unis) soutient l’indépendance du Kosovo mais s’oppose à l’indépendance de la Flandre, de la République (turque) de Chypre du Nord, de la République serbe de Bosnie, de la Transnistrie, de l’Abkhazie, de l’Ossétie du Sud, etc. L’Occident se prononce également contre le partage du Kosovo, bien que le Nord de Mitrovica soit peuplé uniquement par des Serbes. L’indépendance du Kosovo engendrera une vague de semblables appels à l’indépendance dans l’ouest de la Macédoine et dans la vallée de Presevo. Indirectement, ceci pourrait également entraîner des troubles dans le Caucase.

En outre, le Kosovo n’aura aucune indépendance réelle. L’UE y remplacera l’ONU et assurera l’administration comme dans un protectorat. Des plans détaillés ont été élaborés qui prévoient d’envoyer au Kosovo, après la proclamation de son indépendance, des milliers de fonctionnaires de l’UE et de policiers. 16 000 militaires de l’OTAN y seront toujours présents. La province du Kosovo aurait eu davantage d’indépendance au sein de la Serbie qu’elle n’en a sous le protectorat des Nations unies et qu’elle n’en aura sous le contrôle de l’Union européenne.

M. Lavrov a eu raison d’affirmer que l’indépendance du Kosovo marquerait le début de la fin de l’Europe contemporaine, car le statut actuel de la province est fixé dans la résolution 1244 du Conseil de sécurité de l’ONU. Si l’UE et les États-Unis négligent cette résolution, qui précise que le Kosovo fait partie de la Serbie, ils feront preuve, une fois de plus, de mépris envers les normes du droit international et démontreront qu’ils ne sont pas fiables en tant que partenaires internationaux.

Le Kosovo rappelle la Bosnie telle qu’elle était entre 1878 et 1914. La Bosnie fut placée provisoirement sous administration autrichienne en 1878, conformément au Traité de Berlin précisant qu’elle demeurait néanmoins partie intégrante de l’Empire ottoman. L’Autriche viola les conditions de ce traité en annexant ce territoire en 1908. La Serbie éleva des protestations, mais en vain. Six ans plus tard, un patriote serbe assassina à Sarajevo l’archiduc François-Ferdinand. Le reste appartient à l’histoire, comme on dit.


John Laughland est administrateur du British Helsinki Human Rights Group, association étudiant la démocratie et le respect des Droits de l’homme dans les anciens pays communistes, et est membre de Sanders Research Associates.