Intellettuali occidentali e reazionari tibetani


1) APPELLO: Un'indegna campagna di demonizzazione della Repubblica Popolare Cinese è in corso
2) SERGIO ROMANO sul carattere del secessionismo tibetano (CdS 10 aprile 2008)
3) Il politologo Bricmont: Tibet e Kosovo, diritti umani o ingerenza camuffata?
4) Fulvio Grimaldi: "Ivan della Mea, non sai un cazzo"
5) Istruzione ed Università in Tibet. L'Università "Xizang Daxue"
6) La "Sinistra" smarrita nell'Altopiano Tibetano (di Michele Franco, da Contropiano)

(Proseguiamo la rassegna di contributi sul tema dei secessionismi anticinesi. Molti altri articoli sul tema sono raccolti alla pagina:

SEGNALAZIONI: 

NUOVO LIBRO

Tibet and the CIA’s anti-China crusade


Has Tibet become the front line of a new national liberation struggle? Or is something else happening there?

Why weren't the Dalai Lama's slaves freed until 1959?

Why was one of Hitler's top Nazis part of the Dalai Lama's inner circle?

Why did the CIA create a Tibetan contra force beginning in the 1950s?

What are the Dalai Lama's connections to the CIA?

How are the Tibetan poor affected by the Chinese Revolution?
What about the ruling class Tibetans who went abroad?

This collection of articles from Workers World newspaper should be read by everyone who wants to look beyond the anti-China hype about Tibet and understand what's really going on.

WW Publishers, 12 pp, Paper cover, spiral bound
*This pamphlet free with the purchase of Through A Glass Darkly by William Hinton

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Begin forwarded message:

From: CentroStudiTransizioneSocialismo  @yahoogroups.com
Date: March 17, 2008 2:42:00 PM GMT+01:00
Subject: Cina e Tibet 
Da: vilici74


Cari compagni,

In queste ore da destra a manca sono diventati tutti sinologi e
difensori della "causa tibetana". Io più umilmente mi permetto di
segnalarvi questo testo, pubblicato nel 1997 e disponibile in rete
all'indirizzo

http://www.tibetinfor.com/english/services/library/serialise/h_status/menu.htm

Il titolo è "The Historical Status of Tibet, China" edito dalla China
Intercontinental Press
. Data la difficile reperibilità del testo
consiglio vivamente i compagni interessati a farsene una copia.

Sviluppo di una precedente monografia, il testo esamina storicamente
la vicenda del popolo tibetano dai primi contatti durante la dinastia
Tang a oggi, con dovizia di dettagli e con uno spessore raramente
riscontrabile nella pubblicistica occidentale sull'argomento.

Di particolare interesse il capitolo 5 relativo alla costruzione del
mito dell'"indipendenza tibetana" e il capitolo 8 relativo al rispetto
dei diritti umani in Tibet sotto il regime lamaista feudale, ma nel
complesso tutto il libro è interessante.

Con saluti comunisti,
Paolo Selmi


CHINA TIBET INFORMATION CENTER

The Historical Status of Tibet, China


Introduction
Chapter I:Relations Between the Han and the Tibetans During the Tang and Song Dynasties
Chapter II:Relations Between the Emperor of the Yuan Dynasty and the Princess of Dharma of the Sagya Sect of Tibetan 
(1)Godan and Sapan 
(2)Kublai and Pagba 
Chapter III:Ming Dynasty's Policy of Enfieffment and Tribute-Related Trade 
Chapter IV The Sovereign-Subject Relationship Between the Qing Dynasty Emperor and the Dalai Lama
(1)Emperors Shunzhi and Kangxi With the 5th Dalai Lama
(2)Emperor Kangxi, Yongzhen and Qianlong With the 6th and 7th Dalai Lama 
(3)Emperor Qianlong, Jiaqing, Daoguang and Tongzhi With the 8th-12th Dalai Lama 
(4)Emperors Guanxu and Xuantong With the 13th Dalai Lama 
Chapter V British Invasion and the Birth of the Myth of "Tibetan Independence"
(1)First British Invasion 
(2)Second British Invasion 
(3)British Move to Cultivate Pro-British Forces in Tibet 
Chapter VI Tibet is Not an Independent Political Entity During the Period of the Republic of China
(1)Yuan Shi-kai and the 13th Dalai Lama 
(2)The Bankrupt "Simla Conference" and the Invalid Convention 
(3)The Tibetan Army's First Eastward Invasion 
(4)Around the Gansu Delegation's Entry Into Tibet 
(5)The 13th Dalai Lama Awakens

(6)Gongjor Zhongnyi and the Tibet Office in Nanjing

(7)The Tibetan Army's Second Eastward Invasion 
(8)The Demise of the 13th Dalai Lama and Huang Musong's Entry Into Tibet 
(9)The Reincarnation of the 13th Dalai Lama and Wu Zhongxin's Entry Into Tibet 
(10)Dagzha Comes to Power and the Razheng Event 
(11)Tibetan Delegates at the Asian Relations Conference 
(12)Visits by the Tibetan "Commercial Delegation" 
(13)July 8 Event 
Chapter VII The Founding of the People's Republic of China and the Peaceful Liberation of Tibet
(1)The Chinese Communist Party's Policy for Nationlities and Policy for Peaceful Liberation of Tibet 
(2)PLA Troops Who Serve the Tibetans Whole-Heartedly 
(3)The Local Government of Tibet Refused Peace Talks and the PLA Was Forced to Fight the Qamdo Battle 
(4)The Signing of the 17-Article Agreement and the Peaceful Liberation of Tibet 

Chapter VIII Armed Rebellion in Tibet Opposed the Democratic Reform Through Which Serfs Win Human Rights
(1)The Tibetans Enjoyed No Human Rights Under Their Feudal Overlords in Old Tibet 
(2)The Reactionary Ruling Class in Old Tibet Refused ti Grant Human Rights to the Broad Masses of Tibetans 
(3)Armed Tibetan Rebels Barbarously Violated Human Rights 
Chapter IX Tibetan People Acquired Ultimate Human Righes Through Quelling of Rebellion and Conducting the Democratic Reform
(1)Putting Down the Armed Rebellion 
(2)Democratic Reform 
Chapter X Tibetan Institutes Regional National Autonomy and Needs No "Self-Determination" 
Chapter XI The 14th Dalai Lama's Illegal "Government-in-Exile" Is a Destabilizing Factor for Asia 
Chapter XII Achievements in Construction and Development
(1)Economic Construction 
(2)Cultural Construction 
(3)Freedom of Religious Belief 
Concluding Remarks   
Postscript 


=== 1 ===


Un'indegna campagna di demonizzazione della Repubblica Popolare Cinese è in corso

 

Appello

 

Un’indegna campagna di demonizzazione della Repubblica Popolare Cinese è in corso. A dirigerla e orchestrarla sono governi e organi di stampa più che mai decisi ad avallare il martirio interminabile del popolo palestinese e sempre pronti a scatenare e appoggiare guerre preventive come quella che in Irak ha già comportato centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi.

Si agita la bandiera dell’indipendenza (talvolta camuffata da «autonomia») del Tibet, ma se questo obbiettivo venisse conseguito, ecco che la medesima parola d’ordine verrebbe lanciata anche per il Grande Tibet (un’area tre volte più grande del Tibet propriamente detto) e poi per il Xinjiang, per la Mongolia interna, per la Manciuria e per altre regioni ancora. La realtà è che, nel suo folle progetto di dominio planetario, l’imperialismo mira a smembrare un paese che da molti secoli si è costituito su una base multietnica e multiculturale e che oggi vede convivere 56 etnie. Non a caso, a promuovere questa Crociata non è certo il Terzo Mondo, che alla Cina guarda con simpatia e ammirazione, ma l’Occidente che a partire dalle guerre dell’oppio ha precipitato il grande paese asiatico nel sottosviluppo e in un’immane tragedia, dalla quale un popolo che ammonta ad un quinto dell’umanità sta finalmente fuoriuscendo.

Sulla base di parole d’ordine analoghe a quelle oggi urlate contro la Cina, si potrebbe promuovere lo smembramento di non pochi paesi europei, quali l’Inghilterra, la Francia, la Spagna e soprattutto l’Italia, dove non mancano i movimenti che rivendicano la «liberazione» e la secessione della Padania.

L’Occidente che si atteggia a Santa Sede della religione dei diritti umani non ha speso una sola parola sui pogrom anticinesi che il 14 marzo a Lhasa sono costati la vita a civili innocenti compresi vecchi, donne e bambini. Mentre proclama di essere alla testa della lotta contro il fondamentalismo, l’Occidente trasfigura nel modo più grottesco il Tibet del passato (fondato sulla teocrazia e sulla schiavitù e sul servaggio di massa) e si prosterna dinanzi a un Dio-Re, impegnato a costituire uno Stato sulla base della purezza etnica e religiosa (anche una moschea è stata assaltata a Lhasa), annettendo a questo Stato territori che sono sì abitati da tibetani ma che non sono mai stati amministrati da un Dalai Lama: è il progetto del Grande Tibet fondamentalista caro a coloro che vogliono mettere in crisi il carattere multietnico e multiculturale della Repubblica Popolare Cinese per poterla meglio smembrare.

Alla fine dell’Ottocento, all’ingresso delle concessioni occidentali in Cina era bene in vista il cartello: «Vietato l’ingresso ai cani e ai cinesi». Questo cartello non è dileguato, ha solo subito qualche variante, come dimostra la campagna per sabotare o sminuire in qualche modo le Olimpiadi di Pechino: «Vietate le Olimpiadi ai cani e ai cinesi». La Crociata anticinese in corso è in piena continuità con una lunga e infame tradizione imperialista e razzista. 

Adesioni

Domenico Losurdo, filosofo
Gianni Vattimo, filosofo
Luciano Canfora, storico
Carlo Ferdinando Russo, direttore della rivista "Belfagor"
Angelo d’Orsi, storico
Ugo Dotti, storico della letteratura italiana
Guido Oldrini, filosofo
Massimiliano Marotta, presidente della Società di studi politici
Federico Martino, storico del diritto
Fosco Giannini, senatore PRC, direttore della rivista “l’Ernesto”
Fausto Sorini, membro del Comitato politico nazionale del PRC, direzione area “l’Ernesto”
Sergio Cararo, direttore della rivista “Contropiano”
Alessandro Leoni, Segreteria regionale toscana PRC
Valter Lorenzi, Rete nazionale “Disarmiamoli!”
Luca Gorlani, educatore, Chiari (BS)
Marco Benevento, Direttivo FIOM Roma Nord
Manlio Dinucci
Luciano Vasapollo, docente Università La Sapienza, Roma
Stefano G. Azzarà, Università di Urbino
Filippo Lai, ricercatore, Cagliari
Pilade Cantini
Vincenzo Simoni, Segretario nazionale dell’Unione Inquilini
Alfredo Tradardi, ISM-Italia
Francesco Zardo, giornalista e scrittore
Marie-Ange Patrizio, psicologa e traduttrice, Marsiglia
Giancarlo Staffolani, Collettivo “B. Brecht”, Veneto orientale
Andrea Fioretti, FLMU-CUB Sirti/assemblea lavoratori autoconvocati
Andrea Martocchia, astrofisico, INAF-IASF Roma
Serena Marchionni, bibliotecaria, Fac. Matematica, Università di Bologna
George Philippou, Atene
Luigi Pestalozza, musicologo
Libero Traversa, della redazione di “Marxismo Oggi”
Sergio Manes, editore (La Città del Sole)
Antonella Ghignoli
Andrea Parti
Aldo Cannas, Cagliari
Hisao Fujita Yashima, professore associato di Analisi Matematica, Università di Torino
Marco Ghioti
Leo Giglio
Armando Gattai, Prato
Niccolò Zambarbieri, Giovani Comunisti di Pavia
Claudio Del Bello, editore (Odradek)
Lin Jie
Mauro Gemma, redazione di Resistenze.org
Antonio Ginetti, Pistoia
Riccardo Fabio Franchi, studente, Bologna

Silvio Marconi, antropologo, operatore di cooperazione allo sviluppo e intercultura, Roma
Francesco Saverio de Blasi, ordinario di Analisi Matematica, Universita' di Roma "Tor Vergata
Claudia Cernigoi, giornalista, Trieste
Z. Shiwei
Edoardo Magnone, chimico, Italy-Japan Joint Laboratory on Nanostructured Materials for Environment and Energy (NaMatEE) and "Research Center for Advanced Science and Technology" (RCAST), University of Tokyo
Rosanna Deste
Marco Costa – PRC, Assessore ai Lavori Pubblici, Comune di Busana (RE)
Fulvio Grimaldi, giornalista
Antonio Casolaro, Caserta
Antonio Caracciolo, ricercatore di Filosofia del Diritto, Università di Roma La Sapienza
Alessandra Orlandini, infermiera, Ancona
Gianni Monasterolo, musicista e poeta
Stefano Franchi, segreteria PRC Bologna
Marina Minicuci, giornalista
Francesco Maringiò, coordinamento nazionale Giovani Comunisti/e
Adriano Benayon, Brasília, Brésil
Francesco Rozza, Caserta
Gian Mario Cazzaniga, professore di Filosofia morale, Università di Pisa
Annie Lacroix-Riz, storica

Simone Bruni, operatore e mediatore socio-culturale per Arci Toscana

Marianna Gorpia, segretario PdCI Empoli
Sergio Ricaldone, redazione della rivista “l'Ernesto”
Luca Sbano
Anna Capecchi
Dante Franchi, capogruppo consiliare PRC Marzabotto (BO)
Rolando Dubini, avvocato del Foro di Milano
Elena Ulivieri, studentessa
Vincenzo Brandi, ricercatore Enea
Emilio Desiderio
Giulietto Chiesa
Yuri Borgianni, Capogruppo PRC Consiglio Comunale Poggibonsi (SI)Loriano Checcucci, Segretario Circolo PRC "G.K. Zhukov", Poggibonsi (SI)
Crocini Rosanna, Pistoia
Comaguer (Comité Comprendre et Agir contre la Guerre), Marseille
Francesco Pappalardo - Medico del lavoro – Piombino
Francesco Romano - RSA Prov. Napoli
Daniel Antonimi, secrétaire international Pôle de Renaissance Communiste en France
Marco Beccari, Roma
Massimo Marcori, Impiegato, Torino
Donato Antoniello, Assessore al lavoro e istruzione del comune di Nichelino (TO)
Artemis Torres, pesquisadora, Brasil
Cesare Allara, Comitato di Solidarietà col Popolo Palestinese di Torino
Massimo Zucchetti, ordinario di impianti nuceari, Politecnico di Torino
Arianna L'Abbate, ricercatrice
Marilisa Verti, giornalista
Walter Ranieri, pittore, Bari
Giuseppe Lanzavecchia, Roma
Clemente Granirei, segretario circolo Lenin PRC NapoliChiara Francesca Mazzei, docente di storia e filosofia
Miriam Pellegrini Ferri Presidente G.A.MA.DI.
Spartaco Ferri, partigiano della Brigata Garibaldi
Paolo Valentini, studente di biologia
Enzo Valentini, segretario G.A.MA.DI.
Stefano Friani, Segreteria PRC Livorno
Luca Rossi, aderente Coordinamento Progetto Eurasia
Francesco Dragonetti, Coordinamento Giovani Comunisti di Bologna
Diletta Marzo, Giovani Comunisti Bologna
Matteo Cavallaro, studente di Scienze Politiche, Torino
Roberto Capizzi, Coordinamento Giovani Comunisti, EnnaAndré Luis Travassos, Ciências Sociais, Universidade Estadual de Londrina - PR

Pino Binda, partigiano comasco, Milano

Enzo Proverbio, antifascista, Milano

...


=== 2 ===


RISPONDE SERGIO ROMANO

LA PROTESTA TIBETANA I MONACI E LA MODERNITÀ


È giusto invitare le autorità cinesi alla moderazione di fronte alla rivolta dei monaci tibetani, ma non si può pretendere che la Repubblica popolare tolleri che una sua regione sia governata da una teocrazia. La Cina, con l' introduzione del mercato, sta sviluppando a tappe forzate la sua economia (e di conseguenza la società) e la modernizzazione del Tibet è parte integrante del progetto. Il boicottaggio delle Olimpiadi inasprirebbe i rapporti con quella che fra pochi decenni sarà la maggiore potenza economica mondiale. D' altronde non sono affatto convinto che il mancato boicottaggio rappresenterebbe, come molti sostengono, un tradimento dei nostri valori; trovo anzi singolare pretendere, in nome della cultura occidentale, che società e civiltà arcaiche vengano trattate come reperti archeologici da conservare a ogni costo per la delizia di turisti e antropologi. Del resto, è proprio il rifiuto da parte di Stati e culture di uscire dal medioevo per entrare nella modernità che spesso costituisce l' ostacolo maggiore al dialogo e alla coesistenza. 

giorgio.vergili@  fastwebnet.it 

Caro Vergili, 

L a sua lettera coglie un punto a cui l' opinione pubblica occidentale non ha prestato molta attenzione. È possibile che gli esuli tibetani, cresciuti lontano dalla madrepatria, stiano facendo una battaglia democratica per i diritti umani e civili del loro Paese. Ed è evidente che il Dalai Lama si accontenterebbe di un Tibet autonomo, soggetto all' autorità politica di Pechino e tuttavia libero, al tempo stesso, di coltivare le proprie tradizioni culturali e religiose. Ma la violenta rivolta dei monaci a Lhasa e in altre province cinesi dove abitano importanti comunità tibetane, è stata una insurrezione conservatrice. Sappiamo che la Cina ha sempre considerato il Tibet una insopportabile anomalia e ha fatto del suo meglio per alterare la composizione demografica della regione favorendo l' insediamento nel territorio di una nuova popolazione han (così hanno fatto, incidentalmente, molti Paesi europei, fra cui l' Italia, quando si sono impadroniti di terre di confine abitate da minoranze che appartenevano a un diverso ceppo nazionale). Ma fu subito evidente che la Repubblica popolare non avrebbe mai tollerato, all' interno dei propri confini, una Santa Sede del buddismo himalayano, un regime feudale e religioso come quello sorto molti secoli fa sull' altopiano tibetano. La situazione si è ulteriormente complicata quando la grande modernizzazione cinese ha finalmente investito il Paese. Quando visitai il Tibet nel 1981, il rapporto fra i tibetani e l' amministrazione cinese era congelato dallo stato di arretratezza economica della provincia. Gli occupanti e i sudditi sembravano avere concluso una tregua che nessuno, in quel momento, aveva interesse a rompere. Ma lo sviluppo economico, da allora, ha creato turismo, commercio, iniziative industriali. Durante una visita organizzata dal governo di Pechino dopo le agitazioni dello scorso marzo, i corrispondenti stranieri hanno fatto due constatazioni interessanti. In primo luogo si sono accorti che i monaci tibetani, contrariamente alla loro reputazione occidentale, non sono cultori della «non violenza» e ne hanno dato la prova con una furia devastatrice che ha colto di sorpresa le forze di polizia. In secondo luogo hanno compreso che la loro rivolta non era diretta soltanto contro i cinesi, ma anche contro una classe emergente di tibetani che stanno sfruttando i vantaggi della modernizzazione. Quello a cui abbiamo assistito, in altre parole, non è, se non in parte, uno scontro fra democrazia e dittatura. È anche il segno di una frattura sociale che si è aperta all' interno della società tibetana. Non è necessario essere marxisti o anticlericali per osservare che la Cina recita in questa faccenda, sia pure con i modi intolleranti di un regime autoritario, la parte della modernità e che i monaci, come si sarebbe detto una volta, quella della reazione.

Romano Sergio

Pagina 43
(10 aprile 2008) - Corriere della Sera


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Il manifesto, 11 aprile 2008

Il politologo Bricmont: Tibet e Kosovo, diritti umani o ingerenza camuffata?

EMANUELA IRACE

Kosovo. Afghanistan. Iraq. «Giustificare la guerra in nome dei diritti umani è la nuova ideologia imperialista». Lo dice il fisico belga Jean Bricmont, scienziato della politica e professore all'Università di Lovanio, autore del saggio pluritradotto Imperialismo umanitario, che abbiamo incontrato a Roma. E non fa sconti. Né all'Ue, né all'Italia, né agli Usa. Secondo Bricmont, allievo di Chomsky e Russell, «la sinistra sta diventando complice delle più grandi secessioni occidentaliste». Sotto l'unico controllo di chi esporta democrazia made in Usa. 

Lei parla di Paternalismo neo-coloniale. Si giustifica la guerra in nome dei diritti umani?

È cambiata l'ideologia ma il colonialismo è radicato nella mentalità corrente. La guerra è impresentabile all'opinione pubblica. Alle lobbies. Da trent'anni la comunicazione è più sofisticata. Si fa scudo delle battaglie umanitarie. I movimenti femministi. Quelli per la liberazione dei popoli oppressi. Stabilendo così un diritto di ingerenza, che è solo il diritto del più forte. La fine del diritto.

Il modello è l'autonomia. Il diritto all'autodeterminazione dei popoli.

No. Il modello è smembrare. De-costruire i nuovi imperi attraverso la secessione: Cina, Russia, ma anche Serbia. Non si tratta di autonomia per il Tibet, Cecenia e Kosovo. La lotta di indipendenza Nazionale deve passare da una fase militare a una propriamente economica. Senza la quale l'indipendenza politica, statuale, è un contenitore vuoto. L'indipendenza di un paese non si misura solo con il gran o e la tecnologia da cui dipende. L'ideologia di diritti umani che possano scavalcare ogni confine di sovranità, è un' ingerenza camuffata. 

Così la politica estera della sinistra diventa simile a quella della destra. 

Esistono due versioni dell'imperialismo. La destra è per la lotta al terrorismo, per la difesa dei propri interessi sul campo. La sinistra per la violazione dei diritti dell'uomo e del diritto internazionale. Ma così facendo la sinistra è diventata più imperialista della destra classica, ha sostenuto la Guerra in Afghanistan e la secessione del Kosovo. Nelle guerre recenti ha fatto poca opposizione e praticamente nessuna alla minaccia di Bush contro l'Iran. Con la fine del comunismo, l'ideologia dei diritti umani e della democrazia da esportare, ha rimpiazzato il marxismo, il socialismo e la lotta di classe. 

Lei per quale versione propende.

Io sono per il negoziato. Non per aggredire uno stato. La guerra in Iraq è stata una catastrofe umanitaria peggio della Palestina e del Darfur. Cina e Russia hanno screditato la politica degli Stati Uniti. L'Europa no. La Commissione europea, Solana, tutto il mondo sa che il Kosovo è in mano a mafiosi, ma nessuno ha il potere per dirlo. È una catastrofe. Che all'Europa non interessa denunciare. Ma così il diritto internazionale è completamente stravolto.

Una catastrofe senza soluzioni

Finchè si ragiona imponendo la verità non si vuole discutere. Si entra nel campodell'opposizione tra bene e male. Occidente e Islam. Scontro di civiltà. Buoni e cattivi. Ma chi lo decide e perché? Non ci guadagna nessuno. I rapporti di forza sono a vantaggio dell'Occidente. Per mezzi e tecnologia. Se i difensori dei diritti umani fossero coerenti, dovrebbero condannare Usa e Israele. L'Italia ha un ruolo importante in funzione euro mediterranea. Insieme alla Spagna. Potrebbe giocare una funzione di pace e mediazione con il mondo arabo e nel conflitto isrelo-palestinese. Ma gli Stati Uniti osteggiano questa politica. Io sono per stabilire delle relazioni, non per diabolizzare. Ci vuole modestia. Non assolutismo. La Polis greca era democratica con i propri cittadini, ma faceva uso e commercio di schiavi.


=== 4 ===

(A proposito di una "poesia" di Ivan della Mea, pubblicata dal "manifesto" il 20 marzo 2008, a coronamento del suo stracciarsi le vesti bipartisan ed ecumeniche sulla "tragedia del Tibet".)

----- Original Message ----- 
From: Grimaldi Fulvio 
Sent: Friday, March 21, 2008 12:21 PM
Subject: Della Mea Io so

L'autore, che qualche vegliardo ricorda per alcune melense e familistiche canzoncine delm '68, esaurita la vena del cinguettio musicale, si esercita di tanto in tanto in allucinazioni linguistiche, ortografiche, sintattiche su un "manifesto" che con maggiore rigore dovrebbe concedere la sua ospitalità. Ma visto che ci scrivono Giuliana Sgrena (Che schifo questi islamici, Al Qaida è Al Qaida), Rossana Rossanda (Le BR erano le BR, erano interne alla sinistra storica e hanno ammazzato Moro da sole. Il Mose a Venezia è ottima Cosa, Sofri è un martire e un grande intellettuale, votiamo Bertinotti...) e Valentino Parlato (Il boicottaggio della Fiera del libro sionizzata è crimine antisemita), anche della Mea ci può sguazzare.
Anche se standoci, l'uomo dall'ego-mongolfiera (questa volta è riuscito a ripetere "io" trenta volte in trenta "versi") senza dubbio contribuisce al progressivo e inesorabile affondamento del "quotidiano comunista". Con nostro sommo dispiacere, perchè dopo cosa leggiamo? Con chi ce la prendiamo se coloro che al momento resistono sull'orlo della poubelle della storia, poi ci finiscono dentro a raggiungere rifiuti di portata campana quali quelli che, oggi come oggi, sbavano alle porte del parlamento?

Parafrasando, in virtù di una boria giulianferrariana, nientemeno che Pasolini, questa fattucchiera della lingua italiana, per la quale Dante avrebbe inventato un girone più profondo di quello dei traditori, ripete per trenta volte, autentico cilindro da preghiera tibetano, "io so". E con questo proclama mosaico scende la montagna e ci confonde tutti nella lacrimosa valle dei nostri irrimediabili "non so". Sa tutto, l'anziano verisificatore, del Tibet, dei potenti del mercato e degli infami di Cina che lo vogliono uccidere, sa che i soldati cinesi stanno massacrando civili tibetani, sa che l'autodeterminazione è sacra (anche se è di una casta di monaci schiavisti, superstiziosi e pedofili) e che le olimpiadi non s'hanno da fare.
Questo bombardamento di "io so", che ricorda Bush quando farnetica di consapevolezze di vittoria, scaturisce da una centrale nucleare alimentata dall'uranio dell'ignoranza fuso con il plutonio della supponenza. Non sa, l'ex-giullare e oggi New Entry New Age, che, a proposito di autodeterminazione, il popolo tibetano come tale non esiste in quanto è un insieme composito di genti che venute dal'Asia Centrale, dalla Valle dell'Indo, dalle foreste birmane, dalla Valle dello Yangzé e dalla Valle del Fiume Giallo. Che questi popoli hanno fatto parte per mille anni delle varie unioni statali cinesi e solo durante 70 anni se la sono fatta da soli. Non sa, il menestrello stazzonato, che il buddismo dei monaci tibetani è solo un sessantesimo - il più astruso e fomentatore di passività - di tutti i buddismi che, a loro volta, rappresentano il 6% delle religioni nel mondo e che fu questo buddismo particolarmente violento e protervo a introdurre nel Tibet una società feudale. Società in cui, fino all'arrivo della rivoluzione cinese (peraltro assai degenerata da Mao in giù), il potere era suddiviso tra l'aristocrazia tibetana (cara a Hitler) e la comunità monacale e che il 90% della popolazione era ridotta in schiavitù, con nobili e monaci padroni della vita e della morte di questi servi della gleba. Un sistema vagheggiato dai poteri imperialisti di oggi e opportunamente travestito in termini New Age, da vascello di spiritualità, nonviolenza, bontà, pacifismo, melasse paracule varie, tali da neutralizzare eventuali obiezioni di sinistri e democratici un po' più occhiuti del canarino "io so". Una spietata dittatura feudale che la Cia avrebbe voluto perpetuare versando al suo portavoce, un equivalente con gli occhi di sguincio di Padre Pio, alcuni milioni di dollari, armandone i paramilitari e infiltrati, quegli stessi che hanno messo a ferro e fuoco i cinesi dei piccoli negozi (sono il 10% della popolazione tibetana, a proposito delle fantasticate alterazioni etniche cinesi attraverso flussi alluvionali di immigrati). 
Prima il Dalai Lama flirtava con i nazisti, nel segno della comune purezza ariana. Poi, vista la mala parata dei cuginetti hitleriani, si aprì alla colonizzazione-protezione britannica, sostituita dopo la seconda guerra mondiale, come ovunque, dagli Usa in funzione anti-rivoluzione cinese. Il rientro della regione nella madrepatria Cina e la restaurazione di una dignità nazionale coerente con la propria storia, promosse il Dalai Lama, fuggiasco dopo il fallito progrom anticinese del 1959, sconfitto dagli stessi tibetani non partecipi dei fasti monacali (e bisognosi del primo ospedale, della prima scuola, della prima strada, della prima ferrovia...), a una specie di papa alternati

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