Proseguiamo la rassegna di contributi sul tema dei secessionismi anticinesi. Molti altri articoli sul tema sono raccolti alla pagina: https://www.cnj.it/documentazione/cina.htm 



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Tibet: lanceranno gli USA una nuova guerra segreta sotto il «tetto del mondo»?
 
17.03.2008
di Andrej Аreshev

 

Continuano ormai da una settimana i disordini scoppiati (a prima vista inaspettatamente) nella Repubblica popolare cinese all'interno della regione autonoma del Tibet. Le manifestazioni iniziate dai monaci buddisti in occasione dell'anniversario dell'unione del Tibet con la Cina sono sfociate in scontri di massa con la polizia e pogrom. I tragici avvenimenti, coincisi con la sessione ordinaria dell'Assemblea Nazionale dei rappresentanti del Popolo[1], hanno assunto dimensioni serie, causando diversi morti e costringendo Pechino a mobilitare per placare i disordini anche parte dell'esercito regolare.

 

Fonti occidentali informano di un'estensione dei moti alle province vicine al Tibet (in particolare lo Sichuan[2]) e di repressioni di massa da parte delle autorità cinesi, raffigurando queste ultime con un taglio estremamente negativo. La mente corre subito a un fatto analogo, ovvero la rappresentazione da parte dei media occidentali dell'intervento della polizia ed esercito jugoslavi in Kosovo nel 1998, immediatamente prima dell'aggressione da parte della Nato. Le informazioni di prima mano, di cui è difficile attestare veridicità e completezza, provengono principalmente dai circoli tibetani che hanno sede nei Paesi vicini e dalle ONG occidentali che difendono i diritti umani.

 

Così, secondo il portavoce del «governo tibetano in esilio» Thubten Samphel, ci sono già 80 morti e 72 feriti durante le azioni di protesta. Queste cifre sarebbero confermate da molti testimoni oculari in Tibet che avrebbero contato i cadaveri. Fonti ufficiali cinesi parlano di 10 morti. Alcune informazioni provenienti da fonti pro-tibetane rappresentano apertamente scenari tragici: parlano di massacri di tibetani da parte di soldati cinesi e riportano che “i tibetani che vivono nella storica provincia di Amdo[3], non sono intenzionati ad arrendersi e continueranno strenuamente le azioni di protesta persino fino all'inizio delle Olimpiadi di Pechino”[4].

 

Gli sviluppi di questa vicenda, di fatto, possono arrecare un danno non da poco alla Cina alla vigilia delle Olimpiadi estive di quest'anno. L'agenzia Associated Press scrive: “Le manifestazioni a Lhasa hanno rappresentato per il governo di Pechino la sfida più seria degli ultimi vent'anni in Tibet, scatenando un'ondata di proteste in tutto il mondo e mettendo la Cina in cattiva luce alla vigilia dei Giochi olimpici”[5]. Tuttavia, quanto sta accadendo sul tetto del mondo, assume un significato geopolitico ben più ampio

 

Gli esperti, di fronte ad avvenimenti che ormai accadono in più continenti – in Africa[6] piuttosto che in America Latina, in Birmania[7], in Asia Centrale, nel Medio Oriente o in Pakistan – sottolineano una presenza ormai ricorrente di elementi riconducibili alla contrapposizione fra USA e Cina, non sempre evidente, ma non per questo meno forte. In particolare, una della cause dell'intervento contro l'Iraq e delle minacce rivolte incessantemente all'Iran, è il tentativo di rinchiudere la Cina nella gabbia della sua fame energetica[8].

 

Di sicuro anche le difficoltà di questi giorni, in cui versa il suo avversario geopolitico fondamentale, saranno oggetto da parte di Washington di tentativi di totale strumentalizzazione e di direzione del corso degli eventi verso scenari a esso favorevoli. Il Segretario generale USA Condoleeza Rice ha già richiamato Pechino alla «moderazione» per superare l'attuale crisi politica nella regione autonoma del Tibet. Esprimendo cordoglio per le vittime civili a causa dei disordini occorsi a Lhasa, capoluogo del Tibet, successivamente alle proteste pacifiche, la Rice si è detta preoccupata per le informazioni di un crescente concentramento di polizia ed esercito nei luoghi degli scontri e ha chiamato entrambe le parti a rinunciare alla violenza. Su come incendi e devastazioni su vasta scala male si attaglino all'etichetta di “proteste pacifiche”, la signora Segretario di Stato ha preferito non fare menzione. Non ha perso occasione però per ricordare che il presidente Bush “richiama di continuo il governo cinese a un dialogo costruttivo” con l'autorità spirituale dei buddisti tibetani, il Dalai Lama, sia direttamente, sia tramite suoi rappresentanti. In nome dell'amministrazione USA la Rice ha fatto appello a Pechino perché corregga quegli aspetti della sua politica verso il Tibet, “che hanno condotto a tensioni nelle sfere della religione, della cultura e dei mezzi di sostentamento locali”.

 

Si deve tener conto che negli ultimi anni il movimento nazionalista tibetano si è radicalizzato notevolmente: non sarà facile per Pechino scendere con esso a patti. Ne danno testimonianza indiretta le dimensioni e la buona organizzazione delle proteste, compresa l'ondata di dimostrazioni anticinesi occorse contemporaneamente in molti Paesi, dagli USA alla Francia, dal Nepal all'Australia. Le vicende legate all'indipendenza del Kosovo non potevano non ispirare i fautori della piena indipendenza tibetana dalla Cina. A Washington lo sanno e stanno continuando a puntare sul Dalai Lama come fautore di «forme di protesta non violenta», un novello «Ibrahim Rugova tibetano». Il capo spirituale tibetano gode in Occidente di ampio sostegno; a questo proposito basti ricordare il suo incontro con George Bush senior in occasione della cerimonia di premiazione in cui il Dalai Lama fu conferito della medaglia d'oro del Congresso USA nell'Ottobre del 2007.

 

Il Dalai Lama ha già chiesto un'inchiesta internazionale per la repressione degli atti di protesta in Tibet. “Le organizzazioni internazionali competenti devono investigare sulla situazione in Tibet sempre più complicata e chiarirne le cause”, così si è pronunciato in una sua dichiarazione a Dharamsala[9], definendo le azioni delle autorità cinesi come «genocidio culturale»[10].

 

Di fatto, il Dalai Lama volente o nolente sta preparando il terreno per forze ben più radicali, che son già ora pronte a colpire, avendo dalla loro il sostegno politico, propagandistico e di altro genere, anzi tutto da oltreoceano.

 

Il coinvolgimento USA negli affari interni del popolo tibetano e nei suoi rapporti con Pechino risale a diversi decenni fa. In pratica, subito dopo l'unificazione del Tibet alla Cina nel 1949 e l'annessione delle province di Kham e Amdo[11] nel 1956 la CIA, su iniziativa del governo USA, iniziò fra quelle montagne una «guerra segreta». Nell'ottobre 1957 da un aeroporto vicino a Dacca si alzò in volo un aeroplano senza segni di riconoscimento, con a bordo i primi due tibetani, addestrati per un mese dalla CIA. Atterrarono nell'area loro assegnata non lontano da Lhasa e presero subito contatto con il capo dei rivoltosi locali. Iniziò l'insurrezione a Lhasa e il Dalai Lama lasciò il Paese. Nel 1958 oltre 30 tibetani nella massima segretezza iniziarono l'addestramento nella base USA di Camp Hale in Colorado. A oggi per quel campo di addestramento ne sono passati oltre 300. Nel luglio del 1959 la CIA iniziò il rifornimento aereo di armi, munizioni e soldati addestrati che arrivavano in Tibet grazie a C-130 che partivano da una base segreta in Thailandia. Così, dal 1957 al 1960 furono trasportate circa 400 tonnellate di merce. In una di queste operazioni diversive condotte dai guerriglieri tibetani rimase ucciso il comandante del distretto militare del Tibet occidentale, il quale recava con sé documenti importantissimi del PCC. Fu così che a Langley[12] finirono informazioni preziose sulla situazione interna in Cina, sulla consistenza del suo esercito, sul suo programma nucleare e sui primi attriti nei rapporti fra Mosca e Pechino. All'inizio degli anni '60 le spese dell'intelligence a stelle e strisce in Tibet ammontavano a 1,7 milioni di dollari all'anno, di cui $ 500.000 erano per il mantenimento di 2100 ribelli (fra cui 800 guerriglieri armati), con base principalmente in Nepal, e $ 180.000 «per le necessità personali del Dalai Lama». Successivamente, quando i rapporti fra Washington e Pechino migliorarono, l'attività dei servizi segreti in Tibet fu temporaneamente sospesa. Alla popolazione tibetana questa avventura della CIA costò complessivamente 87.000 morti fra moti di piazza repressi e scontri armati…[13]

 

Si presti attenzione al fatto che in quegli anni il ruolo della Cina e dell'economia cinese[14] negli affari mondiali non era ancora così chiaramente espresso come oggi. Ciò nondimeno Washington non ha mai smesso di esercitare un'interferenza attiva negli affari interni della RPC e, nella fattispecie, in uno fra i suoi più «difficili» territori di confine. Ciò è ancor più emblematico al giorno d'oggi, quando la lotta per l'influenza nel mondo e per le sue risorse è divenuta ancor più aspra. Al posto del Dalai Lama, quando avrà compiuto la sua missione, verranno altre persone le quali, appoggiandosi all'aiuto esterno, cercheranno di minacciare l'unità statuale e territoriale della Cina. Oltre al Tibet si troveranno altri punti di «applicazione della forza»: lo Xinjiang, o Regione autonoma uighura, piuttosto che la Mongolia interna... Complicazioni con l'estero inoltre non si faranno attendere molto. Si può concludere che l'attuale situazione si ripercuoterà sui rapporti fra Cina e India[15], quest'ultima oggetto da parte di Washington di un forte tentativo di attrazione nella propria orbita[16], e non solo.

 

I disordini in Tibet possono aver un'imprevedibile eco in Russia, particolarmente in regioni con una presenza significativa di fedeli buddisti. Manifestazioni di solidarietà per i dimostranti tibetani[17] potrebbero aver luogo in regioni russe come la Kalmykia, Burjatija e Tyva. Choj-Dorzhi Budaev[18], presidente della comunità buddista «Lamrim» (Burjatija) e dell'Autorità spirituale centrale buddista, ha già espresso il proprio auspicio che i fatti in Tibet portino a mutamenti democratici nella società cinese. A suo dire, la democrazia prese piede in Russia soltanto in seguito ai famosi fatti degli anni '90 che tanta eco internazionale suscitarono. Ha detto Budaev: “Voglio credere che anche i fatti allarmanti in Tibet a cui noi oggi siamo testimoni, in ultima analisi portino alla democratizzazione della società cinese”[19].

 

Tali tentativi di forze esterne di proporre in Cina scenari di «democratizzazione» alla maniera di Gorbachev e El'cyn, portano direttamente quanto accade in Tibet nella sfera della politica interna ed estera russa.

 

Per la scrittura di questo lavoro sono stati impiegati frammenti dell'articolo di Melinda Liu “CIA: una guerra segreta sul tetto del mondo” (CIA: a secret war on the roof of the world” (Newsweek, 16 agosto 1999 [20]).

 

Traduzione dal russo per www.resistenze.org di Paolo Selmi
 

 

[1]    L'Autore rimanda a un lungo articolo apparso sullo stesso sito in due puntate: “La Cina nel 2007-2008: bilanci,problemi, prospettive” (Китай в 2007-2008 годах: итоги, проблемы, перспективы (I-II) http://fondsk.ru/article.php?id=1287 e http://www.fondsk.ru/article.php?id=1290), sfortunatamente non ancora disponibile né in inglese né in italiano, che riprende e commenta i lavori dell'ultima sessione dell'ANP. L'ANP, in cinese Quánguó Rénmín Dàibiǎo Dàhuì (全国人民代表大会), corrisponde al nostro Parlamento. Per un approfondimento sul suo funzionamento, cfr. “Le istituzioni "parlamentari" della Repubblica Popolare Cinese” di Alessandra Lavagnino, in http://www.tuttocina.it/mondo_cinese/106/106_lava.htm ; il sito ufficiale dell'ANP è http://www.npc.gov.cn/npc/xinwen/index.htm con un ampia sezione in inglese comprendente fra l'altro la traduzione dei lavori svolti durante l'ultima sessione (marzo 2008).
[2]    La Repubblica Popolare Cinese, in cinese Zhōnghuá Rénmín Gònghéguó (中华人民共和国), ha una suddivisione amministrativa che utilizza termini presenti anche nella nostra classificazione, assegnando loro tuttavia significati diversi: in pratica il territorio è ripartito a un primo livello (che noi definiremmo “regionale”) in 33 suddivisioni di diversa denominazione secondo lo status politico e il grado di capacità amministrativa riconosciuto loro dal governo centrale. Per questo 22 suddivisioni si chiamano “province” (省 shěng), 5 “regioni autonome” (自治区 zìzhìqū), 4 “municipalità” (直辖市 zhíxiáshì) e 2 “regioni amministrative speciali” (特别行政区 tèbié xíngzhèngqū). Per un ulteriore approfondimento cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Suddivisione_amministrativa_della_Cina , che comprende anche una buona carta regionale della Cina.
[3]    Amdo (in cinese Ānduō, 安多) è una “provincia culturale” (wénhuà dìqū文化地区), ovvero storicamente mai stata un'entità amministrativa a sé stante, che si colloca fra la regione autonoma del Tibet e le provincie di Qinghai e Sichuan. Per una breve scheda cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Amdo
[4]    Nota dell'Autore che riporta una frase dal sito http://savetibet.ru/2008/03/16/people_killed_in_tibet.html, in cui si scrive di otto cadaveri di tibetani portati entro le mura del monastero di Ngaba Kirti. 
[5]    La fonte è ripresa da un articolo di savetibet.ru (http://savetibet.ru/2008/03/16/dalai_lama_about_protests.html) che rimanda però a un collegamento dell'originale in inglese ormai scaduto.
[6]    Cfr. dello stesso Autore, “USA e RPC nel continente africano: due strategie a confronto” (США и КНР на Африканском континенте: две стратегии) in http://www.fondsk.ru/article.php?id=173
[7]    Cfr. di Andrej Volodin, “Myanmar: il contesto geopolitico della «rivoluzione zafferano»” (Мьянма: геополитический контекст «шафрановой революции») in http://www.fondsk.ru/article.php?id=1157
[8]    L'Autore in nota cita di К. Simonov, “La guerra energetica globale (Глобальная энергетическая война), Mosca, Algoritm, 2007. pp. 130 e segg.
[9]    L'Autore nota come “fra l'altro, non molto tempo fa, anche Levon Ter-Petrosian promosse un appello per una commissione d'inchiesta internazionale sui tragici fatti in Armenia del 1 e 2 marzo, fra l'altro provocati dai suoi stessi sostenitori. La stessa tipologia di questi eventi, come la tattica adottata in entrambi i casi di affidare le azioni a “dimostranti pacifici”, permette di individuare una similarità di mezzi con l'aiuto dei quali si cerca di creare un “caos controllato” in regioni così diverse come il Caucaso meridionale (ovvero l'area occupata da Georgia, Armenia e Azerbaijan, N.d.T.) e l'Asia orientale”. Quindi cita articoli correlati a questo tema apparsi sullo stesso sito, fra cui il già tradotto in italiano da Resistenze “L'Armenia dopo i moti di piazza” (Армения после мятежа), in http://www.resistenze.org/sito/te/po/am/poam8c18-002824.htm. Per gli altri articoli al momento esiste solo la versione in inglese (“An orange revolution scenario in Armenia: final countdown” in http://en.fondsk.ru/article.php?id=1254 e “Ter-Petrosyan’s Objective: International Inquiry into the March 1 Events in Armenia” in http://en.fondsk.ru/article.php?id=1266 )
[10] Cfr. la campagna di propaganda di seguito alla distruzione delle sculture buddiste da parte dei talebani in Afghanistan nel 2001, propedeutica all'azione NATO in quel Paese.
[11] In pratica la provincia culturale di Kham (in cinese 康, Kāng, una delle tre province culturali tibetane) rientrava nella sua parte occidentale nel territorio della Regione Autonoma del Tibet (che si componeva quindi del suo territorio e di quello della provincia culturale dello Ü-Tsang, in cinese 衛藏 Wèizàng), mentre nella parte orientale si collocava nelle diverse province cinesi a esso confinanti. Per questo l'Autore differenzia sullo stato amministrativo del Tibet, Regione Autonoma e parte contraente l' “Accordo in 17 punti” (十七条协议, Shíqìtiào Xiéyì) siglato a Pechino del 1951 e che prevedeva una gradualità nell'applicazione delle politiche rivoluzionarie, e delle due province culturali di Kham e Amdo, a tutti gli effetti parte di province cinesi e sottoposte quindi all'amministrazione ordinaria, a partire dall'immediata socializzazione dei mezzi di produzione. Per un approfondimento sulle tre province culturali cinesi, oltre alla pagina sull'Amdo già citata, cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Kham e http://en.wikipedia.org/wiki/Amdo , (N.d.T.)
[12] Città in Virginia, sede della CIA (N.d.T.)
[13] Per una cronaca dettagliata di quanto avvenne in quei tragici anni cfr. il paragrafo “Putting Down the Armed Rebellion” in “The Historical Status of China's Tibet”, ed. China Intercontinental Press, testo molto accurato e storicamente valido, gratuitamente consultabile e scaricabile all'indirizzo http://www.tibetinfor.com/english/services/library/serialise/h_status/menu.htm (N.d.T.)
[14] L'Autore cita l'articolo pubblicato sullo stesso sito “Dal “Washington consensus” al “Beijing consensus”: cambiamento di rotta nell'economia mondiale” (Пекинский консенсус – смена вех в мировой экономике, http://www.fondsk.ru/article.php?id=721) purtroppo non disponibile né in italiano né in inglese.
[15] L'Autore rimanda a un articolo pubblicato sullo stesso sito e di cui esiste la versione in inglese: “China - India - Russia: “forgotten tune” of world politics” (http://www.fondsk.ru/article.php?id=1273)
[16] L'Autore cita un interessante articolo sullo stesso sito, purtroppo non ancora tradotto né in italiano né in inglese, dal titolo “Il fattore India nella geopolitica USA” (Индийский фактор в геополитике США)
[17] Sempre l'Autore rimanda all'interessante articolo pubblicato sullo stesso sito e dal titolo “Lo spettro del pan-mongolismo a Est degli Urali” (Призрак панмонголизма к востоку от Урала, http://www.fondsk.ru/article.php?id=1286 ), purtroppo ancora solo accessibile nell'originale russo.
[18] Per un'intervista a Choj-Dorzhi Budaev (Чой-Доржи Будаев), ma soprattutto per la foto che lo ritrae insieme al Dalai Lama e per la riflessione che suggerisce sull'immensa ricchezza di etnie che popolano lo sterminato territorio russo, cfr. http://baikal-media.com/2006/09/04/choi-dorzhi-budaev-buryatskii-narod-nedoumevaet
[19] Frase pronunciata in un'intervista concessa al sito savetibet.ru http://savetibet.ru/2008/03/16/buryatia_and_tibet.html
[20] L'originale si trova in http://www.newsweek.com/id/89265 e nelle 4 pp. successive (N.d.T.)