Kosovo, Georgia e cattiva coscienza europea
Più trascorrono i giorni, più la crisi apertasi tra Stati Uniti e Russia pare approfondirsi, con conseguenze sul medio e lungo periodo oggi difficilmente calcolabili o anche solo immaginabili. Da diversi mesi Mosca aveva manifestato una crescente insofferenza di fronte alle mire egemoniche di Washington, con particolare riferimento ad un ulteriore allargamento ad est della NATO, al coinvolgimento di Polonia e Repubblica Ceca nel progetto di scudo antimissile, all’indipendenza unilaterale del Kosovo dalla Serbia e alle minacce di intervento militare contro l’Iran. Su tutti questi terreni l’Unione Europea si è rivelata non tanto succube, quanto complice – persino al di là dei propri interessi economici e geopolitici - degli USA. Elemento, questo, che conferma la debolezza politica di Bruxelles, con buona pace di quello che è stato l’asse franco-tedesco della primavera 2003, in occasione dell’aggressione USA all’Iraq. Più l’Europa si allarga, più la subalternità a Washington si rafforza. Tragico destino davvero, quello dell’UE, che da una politica di coinvolgimento e di buon vicinato con la Russia avrebbe davvero tutto da guadagnarci.
La miccia della crisi tra USA e Russia è stata innescata dal presidente georgiano Saakashvili, fido alleato di Washington, che ha aggredito militarmente l’Ossezia del Sud – territorio formalmente georgiano, ma a maggioranza russa - con l’obiettivo di schiacciare le forze indipendentiste, intervento che è costato la vita a 1.500 persone, in maggioranza civili. La reazione di Mosca non si è fatta attendere e l’esercito georgiano ha subito una dura lezione, con il temerario Saakashvili in fuga precipitosa allo scoppio del primo petardo. Reazione, quella russa, giudicata da Mosca e Washington “sproporzionata”. Vale la pena ricordare che, per molto, molto meno, nel marzo 1999 le forze USA, UE e NATO hanno aggredito militarmente la Repubblica Federale Jugoslava, distruggendo un intero paese, hanno favorito un colpo di stato e sostenuto poi l’occupazione militare e la secessione unilaterale di una parte del territorio serbo, il Kosovo a maggioranza albanese, oggi formalmente indipendente. Se Milosevic è stato paragonato addirittura ad Hitler dalla sempre più patetica propaganda occidentale, che cosa si dovrebbe dire oggi di questo Saakashvili, al potere grazie ad un colpo di mano sostenuto dagli USA? Se Milosevic ha subito un processo iniquo e illegale all’Aia, cosa dovrebbe subire il presidente georgiano? Se il governo di centro-sinistra allora in carica in Italia, tra i protagonisti dell’aggressione, ha parlato di “guerra umanitaria”, quale prezzo dovrebbero pagare allora Saakashvili e il popolo georgiano per l’aggressione ad osseti e abkhazi? La reazione russa è stata assai “proporzionata” rispetto a quella di Clinton, D’Alema e soci della primavera del 1999.
Al contrario, gli stessi che allora sostenevano l’intervento militare contro Milosevic e appoggiavano le forze paramilitari fasciste e secessioniste in Kosovo, oggi con un cinismo degno di miglior causa si fanno paladini dell’”integrità territoriale” della Georgia. Gli stessi che hanno favorito con ogni mezzo la disintegrazione violenta dei territori della ex-Jugoslavia per tutti gli anni ’90 dello scorso secolo, gli stessi che hanno sostenuto e sostengono le forze reazionarie in Tibet contro l’integrità territoriale della Cina, gli stessi che hanno aggredito e balcanizzato l’Iraq, gli stessi che hanno utilizzato come una clava la Cecenia contro la Russia, gli stessi che fino all’ultimo hanno giocato la carta della strategia della tensione in Libano, gli stessi, ancora, che hanno orchestrato le “rivoluzioni di velluto” (colpi di stato filo-occidentali) in Bulgaria e Jugoslavia, in Ucraina e Georgia e, pur se con esiti fallimentari, in Uzbekistan, Kyrghyzstan e Libano. USA e UE hanno parlato con lingua biforcuta. Con quale credibilità lo ha chiarito il ministro degli esteri russo, Lavrov, definendo “chiacchiere” i riferimenti di questi ultimi all’integrità territoriale georgiana. Effettivamente, alla luce delle dinamiche sopra ricordate, quelle statunitensi ed euopree sono chiacchiere, chiacchiere interessate. Il principio dell’integrità territoriale o vale per tutti, o per nessuno. Pochi mesi addietro, l’allora presidente russo Putin aveva messo in guardia Washington e Bruxelles sul pericoloso precedente costituito dal riconoscimento del Kosovo secessionista, “etnicamente pulito” sotto gli occhi di USA, UE e NATO con la forza non dai serbi contro la maggioranza albanese, ma dagli albanesi irredentisti a danno di tutte le altre etnie e dei loro compatrioti “collaborazionisti”, ma, evidentemente, non era stato preso sul serio. Sulla base di quale ragionamento il Kosovo a maggioranza albanese può essere indipendente e due regioni contese tra Russia e Georgia ma con la popolazione che si sente assai più vicina a Mosca che a Tbilisi no? I kosovari hanno diritto all’indipendenza perché docile strumento dell’Occidente, mentre ad osseti ed abkhazi, evidentemente, dovrebbero essere riservati la schiavitù e l’apartheid.
Sull’onda forse dell’emozione provocata dall’intervento russo, il fronte interno georgiano parrebbe essersi unito, ma il fallimento di Saakashvili è evidente e non tarderà ad emergere. Anche questo aspetto, forse, preoccupa e irrita non poco Washington. Il parlamento georgiano ha votato per l’uscita del proprio paese dalla Comunità degli Stati Indipendenti, facendo un accorato appello anche al governo ucraino, con il senso di responsabilità di chi lavora forse ad aggravare ulteriormente la crisi. Kiev, al contrario, avrebbe tutto l’interesse a non peggiorare ulteriormente le relazioni già difficili ma comunque costruttive con Mosca, anche per salvaguardare l’unità del paese, profondamente diviso tra la parte occidentale e le regioni orientali e la Crimea, tradizionalmente ostili alla NATO e vicine alla Russia. Su questo terreno, ovviamente, la scelta finale spetta in prima battuta al presidente Yushenko.
Se la risposta di Washington all’intervento russo è stato l’accordo bilaterale – alla faccia delle istituzioni UE, completamente tagliate fuori dalla trattativa, a dimostrazione della debolezza politica di Bruxelles – con la Polonia per l’istallazione dello scudo antimissile, chiarendo così definitivamente le finalità dello stesso e togliendo di mezzo ogni riferimento chiaramente pretestuoso all’Iran, nubi nere si addensano all’orizzonte, e a farne le spese potrebbe essere la stessa Europa, con la sua falsa coscienza. Una nemesi rispetto alle scelte guerrafondaie degli ultimi anni con la sola, e peraltro parziale, parentesi dell’Iraq.
Articolo terminato il 15 agosto 2008.
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« La Georgie est aujourd’hui un phare de liberté pour cette région et pour le monde », disait le président Georges Bush lors de sa visite à Tbilissi en mai 2005. A quoi tient une telle reconnaissance de la part de la Maison Blanche ? Au fait que ce petit pays de 4 millions d’habitants est devenu un avant-poste de la pénétration étasunienne en Asie centrale ex-soviétique : zone d’immense importance à cause de ses réserves de pétrole et de sa position géostratégique entre la Russie, la Chine et l’Inde. C’est le pétrole de la Caspienne qui alimente le « phare de liberté» de la Georgie. C’est là que passe l’oléoduc qui relie le port azéri de Baku, sur la mer caspienne, au port turc de Ceyhan, en Méditerranée : un « couloir énergétique » décidé en 1999 par l’administration Clinton et ouvert en 2005, qui contourne la Russie par le sud, sur une distance de 1800 kilomètres. Pour protéger l’oléoduc, réalisé par un consortium international dirigé par la société britannique BP, le Pentagone a entraîné des forces de sécurité géorgiennes de « riposte immédiate ». Depuis 1997 en effet, le « phare de liberté » de la Georgie est aussi alimenté par Washington d’un flux croissant d’aides militaires. Avec le « Georgian Train and Equip Program », lancé en 2002, le Pentagone a transformé les forces armées géorgiennes en une armée à ses ordres. Pour mieux l’entraîner, un contingent de 2000 hommes des forces spéciales géorgiennes a été envoyé, pour combattre, en Irak, et un autre en Afghanistan. Selon des sources du Pentagone, citées par le New York Times (9 août), il y a actuellement en Géorgie plus de 2.000 citoyens étasuniens, dont environ 130 instructeurs militaires. C’est en Georgie qu’a commencé en juillet dernier l’opération « Immediate Response », une manœuvre militaire à laquelle participent des troupes étasuniennes, géorgiennes, ukrainiennes, azéries et arméniennes. Pour cette opération, dirigée par le Pentagone, sont arrivés en Georgie environ 1000 soldats étasuniens appartenant aux bataillons aéroportés Setaf, aux marines et à la Garde nationale de l’Etat de Géorgie (USA). Ces troupes ont été basées à Vaziani, à moins de 100 kilomètres de la frontière russe. On imagine ce qui arriverait si la Russie déployait ses troupes au Mexique, à la même distance de la frontière étasunienne.
Par ailleurs, le « phare de liberté » a été alimenté par la « révolution des roses » qui, planifiée et coordonnée par Washington, avait provoqué la chute du président Edouard Chevardnadze. Selon le Wall Street Journal (24 novembre 2003) l’opération avait été conduite par des fondations étasuniennes officiellement non gouvernementales, en réalité financées et dirigées par le gouvernement étasunien, qui « éduquèrent une classe de jeunes intellectuels capables de parler anglais, assoiffés de réformes pro-occidentales ». Sur le plan militaire, économique et politique, la Géorgie est contrôlée par le gouvernement étasunien, ce qui signifie que l’attaque contre l’Ossétie du Sud a été programmée non pas à Tbilissi mais à Washington. Avec quels objectifs ? Mettre en difficulté la Russie, vue depuis Washington avec une hostilité croissante du fait, aussi, de son rapprochement avec la Chine. Renforcer la présence des USA en Asie Centrale. Créer en Europe un autre foyer de tension qui puisse justifier une expansion ultérieure de la présence militaire étasunienne, dont le bouclier anti-missiles est un élément clé, et l’élargissement de l’OTAN vers l’est (sous peu la Georgie devrait justement entrer dans l’Alliance qui est sous commandement US). Ce que Washington craint, et essaie d’éviter, c’est une Europe qui, en réalisant son unité et en acquérant, ensuite, une force économique plus grande, puisse un jour se rendre indépendante de la politique étasunienne. D’où sa politique de diviser pour régner, qui est en train de conduire l’Europe à un climat de guerre froide. D’où aussi sa politique des deux poids deux mesures : tandis q u’elle revendique, reconnaît et défend l’indépendance du Kosovo, contre la souveraineté serbe, au détriment du respect des frontières internationales – qu’on imagine ce qui se serait passé si la Serbie avait attaqué Pristina en février juste après la proclamation unilatérale d’indépendance par le Kosovo- Washington refuse celle de l’ Ossétie du sud, en affirmant « le soutien de la communauté internationale à la souveraineté et à l’intégrité territoriale de la Géorgie ».
Traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizio
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http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/10-Agosto-2008/art11.html
COMMENTO
Georgia, la libertà made in Usa
T. Di Francesco
M. Dinucci
«La Georgia è oggi un faro di libertà per questa regione e il mondo», diceva il presidente George Bush in visita a Tbilisi nel maggio 2005. A cosa si deve un tale riconoscimento della Casa bianca? Al fatto che questo piccolo paese di 4 milioni di abitanti è divenuto un avamposto della penetrazione Usa nell'Asia centrale ex sovietica: area di enorme importanza sia per le riserve di petrolio e gas naturale del Caspio, sia per la posizione geostrategica tra Russia, Cina e India.
E' il petrolio del Caspio che alimenta il «faro di libertà» della Georgia. Da qui passa l'oleodotto che collega il porto azero di Baku, sul Caspio, al porto turco di Ceyhan sul Mediterraneo: un «corridoio energetico» promosso nel 1999 dall'amministrazione Clinton e aperto nel 2005, lungo un tracciato di 1.800 km che aggira la Russia a sud. Per proteggere l'oleodotto, realizzato da un consorzio internazionale guidato dalla britannica Bp, il Pentagono addestra forze georgiane di «risposta rapida». Dal 1997 infatti il «faro di libertà» della Georgia è alimentato da Washington anche con un flusso crescente di aiuti militari. Con il «Georgia Train and Equip Program», iniziato nel 2002, il Pentagono ha trasformato le forze armate georgiane in un esercito al proprio comando. Per meglio addestrarlo, un contingente di 2mila uomini delle forze speciali georgiane è stato inviato a combattere in Iraq e un altro in Afghanistan. Secondo fonti del Pentagono citate dal New York Times (9 agosto), vi sono in Georgia oltre 2.000 cittadini Usa, tra cui circa 130 istruttori militari. Il mese scorso è iniziata in Georgia la «Immediate Response» 2008, esercitazione militare cui partecipano truppe di Stati uniti, Georgia, Ucraina, Azerbaijan e Armenia. Per l'esercitazione, diretta dal Pentagono, sono arrivati in Georgia circa 1.000 soldati Usa appartenenti alle truppe aviotrasportate Setaf, ai marines e alla guardia nazionale dello stato Usa della Georgia. Sono stati dislocati nella base di Vaziani, a meno di 100 km dal confine con la Russia. Immaginiamo cosa accadrebbe se la Russia dislocasse proprie truppe in Messico a ridosso del territorio statunitense.
Allo stesso tempo il «faro di libertà» della Georgia è stato alimentato con la «rivoluzione delle rose» che, pianificata e coordinata da Washington, ha portato nel 2003 alla caduta del presidente Eduard Shevardnadze. Secondo il Wall Street Journal (24 novembre 2003), l'operazione fu condotta da fondazioni statunitensi formalmente non-governative, in realtà finanziate e dirette dal governo Usa, che «allevarono una classe di giovani intellettuali, capaci di parlare inglese, affamati di riforme filo-occidentali». Sul piano militare, economico e politico, la Georgia è controllata dal governo statunitense. Ciò significa che l'attacco contro l'Ossezia del sud è stato programmato non a Tbilisi ma a Washington. Gli scopi? Mettere in difficoltà la Russia, vista a Washington con crescente ostilità anche per il suo riavvicinamento alla Cina. Rafforzare la presenza Usa nell'Asia centrale. Creare in Europa un altro focolaio di tensione che giustifichi l'ulteriore espansione della presenza militare statunitense, di cui lo Scudo antimissile è un elemento chiave, e l'allargamento della Nato verso est (tra poco dovrebbe entrare nell'Alleanza, sotto comando Usa, proprio la Georgia). Ciò Washington teme, e cerca di evitare, è un'Europa che, unendosi e acquistando ulteriore forza economica, possa un giorno rendersi indipendente dalla politica statunitense. Da qui la politica del divide et impera, che sta riportando l'Europa in un clima da guerra fredda. Da qui anche i i due pesi e due misure: mentre rivendica, riconosce e difende l'indipendenza del Kosovo dalla Serbia in spregio al rispetto dei confini internazionali - pensate se Belgrado avesse attaccato in armi Pristina a febbraio subito dopo la sua proclamazione unilaterale d'indipendenza -, Washington nega quella dell'Ossezia del sud, ribadendo «il sostegno della comunità internazionale alla sovranità e integrità territoriale della Georgia».
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http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=7616
Saakashvili ha commesso un grave errore politico - 13/08/08
Intervista di Antonella Marrone con Giulietto Chiesa - da Liberazione La Russia ha aggredito la Georgia. Così dice il presidente Mikhail Saakashvili, così le notizie che arrivano. Ma Giulietto Chiesa, che conosce benissimo la Russia, la sua storia, la storia di un impero che si chiamava Urss, nega decisamente. È stato in Ossenzia, quest'anno, ha tanti amici da quelle parti, ascolta quotidianamente i tg russi. Siamo di fronte all'ennesima bufala mediatica? Qualcosa che ricorda le tristi armi di distruzione di massa “scoperte” in Iraq? Questa è una notizia falsa a cui non bisogna credere. I Russi non hanno occupato un bel niente, si sono sono attestati sulla linea del accordo del 1992 di Dagomys e non hanno nessuna intenzione di uscire da quei contorni Che cosa sta succedendo allora? Provocatoria con quale obiettivo? E perché proprio adesso? Resta il fatto che questa guerra ci ha colto alla sprovvista, a parte gli osservatori attenti alla geopolitica dell’ex impero... Non ci sono anche questioni economiche importati. Per esempio il petrolio?
Siccome i georgiani continuano a bombardare con l’artiglieria i centri dell’Ossezia del Sud, evidentemente i Russi devono impedire questi bombardamenti e andranno con l’aviazione sui punti di concentramento delle truppe georgiane al di fuori della frontiera dell’Ossezia del Sud. Non possiamo nasconderci dietro un dito. Qui c’è una guerra dichiarata contro una popolazione di meno di 100 mila abitanti colpita a freddo. Fatto assolutamente inspiegabile se non con un’operazione politica provocatoria.
Il presidente Saakashvili ha dichiarato:«Noi interveniamo per ristabilire l’ordine costituzionale». Questa frase è una confessione, perché l’ordine costituzionale che il presidente georgiano vorrebbe ristabilire in Georgia non esiste dal 1991 quando l’Ossezia del sud si è dichiarata indipendente contemporaneamte alla dichiarazione di indipendenza della Georgia dall’Unione Sovietica. Quale ordine costituzionale vuole ricostruire? Chiunque capisce che questa cosa non sta in piedi. Sono stati massacrati migliaia di civili, ci sono 70 mila profughi su una popolazione di 100 mila. Che cosa doveva fare la Russia, ritirare le sue truppe? La Russia sta lì sulla base di un accordo politico firmato anche dalla Georgia, tanto è vero che c’erano le forze di interposizione. Ritirarsi quando gran parte di questi 100 mila individui, tutti cittadini russi (perché in questi anni hanno chiesto e ottenuto la cittadinanza russa) non vogliono rimanere sotto la giurisdizione georgiana ... Ma lasciamo stare. Questa è un’operazione politica interamente costruita dagli Stati Uniti
Perché proprio adesso?
Per creare uno stato di guerra in Europa. Questa è l’unica risposta politica a questa situazione. Il contesto è semplicissimo: la Georgia vuole entrare nella Nato domani e nell’Unione Europea dopodomani. Siccome ritiene di avere questa chance a portata di mano, sta forzando gli eventi. Io ritengo che il calcolo sia stato sbagliato, forse potrà entrare nella Nato, ma certo in Europa... tirarsi dentro un paese che è in con la Russia....
La Russia non ha accettato la proposta di tregua europea
La Russia si fermerà quando i georgiani se ne andranno dal territorio che hanno occupato. Lo ha ripetuto oggi (ieri ndr) Medvedev: porteremo l’operazione alle sue logiche conclusioni. La tesi secondo cui la Georgia è occupata dalla Russia è una menzogna clamorosa. Non c’è stato un solo attacco, una sola bomba su città georgiane.
Però arrivano immagini di guerra...
Le immagini che arrivano si riferiscono a Tskhinvali e alla zona dell’Ossezia. Guarate la cartina, anche se è complicata...
Beh, insomma... diciamo che siamo tutti un po’ distratti. Io sapevo che la guerra stava per cominciare, ho scritto anche un lungo articolo per La Stampa. Non c’è la minima ombra di dubbio: c’è stata una valutazione sbagliata da parte della Georgia e degli Stati Uniti. Hanno fatto l’attacco pensando che Putin e Mendevev avrebbero abbozzato come hanno fatto tante volte nel decennio scorso. Ma la Russia non è più quella di 10 anni fa, né quella del 1999. La Russia è un grande, potente paese che ha in mano tutte le risorse cruciali del futuro. Che non ha più debito con l’estero, un paese che ha riconquistato il senso della sua dignità nazionale. Poi si può discutere che non c’è democrazia... ma questo non c’entra. Secondo me Saakavili ha commesso un errore politico tremendo. Ora la Russia non si muoverà più di lì, restaranno sulla frontiera stabilita dagli accordi di Dagomys, proteggeranno l’Ossezia del Sud, Putin ha già dichiarato che spenderà 10 miliardi di euro per ricostruire Tshinvali e questo farà.
Torniamo all’Europa. Che cosa fare, come trovare una via d’uscita?
L’Europa deve decidere semplicemente se sta dalla parte degli americani o se vuole evitare una nuova guerra fredda con la Russia. Mi spiego: avere dentro paesi come l’Ucraina e la Georgia, ostanzialmente moltiplicatori con cui gli Usa introducono in Europa i loro vassalli, come con Polonia, Bulgaria Romania, Slovenia... tutti paesi che lavorano in Europa contro l’Europa a favore degli americani, vuol dire creare una situazione di guerra con la Russia. L’ Europa deve decidere se vuole cambiare politica. Da questo momento la Russia non si ritirerà più da nessuno dei fronti di tensione che gli sono creati intorno: non dall’Ucraina - e se cercheranno di portare l’Ucraina nella Nato spaccherà l’Ucraina - non dall’Ossezia e se cercheranno di portare via l’Ossezia con la forza la Russia interverrà per difenderla. La diplomazia può fare solo una cosa realistica: dire ai georgiani di tornare sulle linee precedenti.
No. Ho letto delle sciocchezze clamorose tipo che i russi non hanno bombardato l’oleodotto. Certo, l’oleodottoè assolutamente fuori dall’area di interesse ed è la prova provata che si stanno mantenendo nei limiti del ritorno alla linea precedente. Se avessero voluto bombardare avrebbero bombardato Tiblisi. Non c’è una sola prova di un intervento militare russo al di fuori dei confini dell’Ossezia del Sud.
I media sembrano decisamente schierati per la Georgia. O no?
Io considero il comportamento dei media internazionali una vergogna mondiale. Anzi dovrebbe essere questo il segnale di guardia che dimostra come tutti possiamo essere trascinati nella guerra con una falsificazione generalizzata delle cose.