Siamo giunti all’ultimo appuntamento di quella che abbiamo chiamato “Settimana antirevisionista”, settimana iniziata lo scorso 3 febbraio con la contestazione dell’iniziativa intitolata “Profumo d’Italia” organizzata in occasione del Giorno del Ricordo dalla Consulta degli studenti, organismo retto da una maggioranza di destra che pochi giorni prima aveva ignorato la Giornata della Memoria. L’iniziativa “Profumo d’Italia”, che non ha visto la partecipazione di storici ma solo di politici legati al Pdl, è stata finanziata con denaro pubblico: denaro pubblico, quindi, speso per fare propaganda elettorale ad esponenti della maggioranza, interessati a parlare “sulle foibe”, più che “delle foibe”. Riteniamo che questo modo di parlare di storia affidato a politici, privi di qualsiasi conoscenza sugli argomenti trattati, sia sempre più diffuso e che sia un elemento cardine della cortina revisionista che sta comprendo sempre di più l’Italia.
Ne abbiamo avuto una prova proprio ieri, quando la nostra iniziativa di deporre dei fiori al monumento-sacrario dedicato ai partigiani jugoslavi morti nel centro Italia nella lotta di liberazione del nostro paese è stata condannata da molti esponenti politici, fascisti o post-fascisti, che ci hanno accusato di omaggiare degli infoibatori e che hanno addirittura chiesto al Comune di rimuovere il monumento in questione. Premettendo che abbiamo deciso di omaggiare questi caduti per contrastare quel “mito”, proprio dell’Italia fascista e tornato in auge negli ultimi anni, che vede gli italiani sempre come “brava gente” e gli slavi – o, come spesso si sente dire, gli “slavo-comunisti” - come delle belve assetate di sangue, non capiamo davvero come si possano definire “infoibatori” degli uomini che, dopo essere stati prigionieri nei campi di concentramento fascisti, dopo l’8 settembre sono rimasti in Italia e sono morti – nell’Italia centrale, e dunque a centinaia di kilometri di distanza dal confine orientale - per la liberazione del nostro paese ancora prima che il fenomeno delle foibe si verificasse. Le accuse mosse da questi personaggi dimostrano ancora una volta come il revisionismo legato a celebrazioni come quella del Giorno del Ricordo abbiano comportato un appiattimento della memoria storica al punto che, in modo sempre più palesamene razzista, tutti gli jugoslavi possono essere definiti tout court come “infoibatori”. Si tratta di una vera e propria operazione politica di oblio e di cancellazione, non solo della memoria storica, ma proprio della storia stessa. Basti pensare che il Sottosegretario per la Difesa Mazzola, democristiano, quando nel 1978 inaugurò il monumento, a nome del governo italiano, parlò di “giovani jugoslavi che con spirito di abnegazione e di sacrificio diedero la loro vita per un ideale di libertà e di giustizia che li accomunava con i partigiani e il popolo italiano nella lotta alla dittatura fascista e ad i suoi alleati nazisti” e, ancora, “possa il loro sacrificio servire di esempio a tutti noi, alle giovani generazioni soprattutto, perché imparino sempre più ad apprezzare il valore supremo della libertà”. Davanti a queste parole, risultano evidenti i cambiamenti che, negli ultimi trent’anni, sono avvenuti nel sentire comune degli italiani se oggi esponenti politici, dal dubbio passato (e spesso dal dubbio presente), possono permettersi di dire che sarebbe necessario eliminare questo presunto monumento agli “infoibatori” senza che nessuno, o quasi, gli faccia notare l’assurdità della loro posizione.
E, venendo all’argomento della nostra iniziativa di oggi, che abbiamo intitolato dal titolo “No ai ddl 1360 e 628, no all’uso politico della storia: noi ricordiamo tutto”, possiamo certamente affermare che questo cambiamento nel sentire comune degli italiani sia perfettamente espresso nei disegni di legge 628 (Disposizioni per il riconoscimento della qualifica di ex combattente agli appartenenti alla Guardia Civica di Trieste) e 1360 (Istituzione dell'Ordine del Tricolore e adeguamento dei trattamenti pensionistici di guerra) che sono stati presentanti da alcuni deputati (della maggioranza, ma anche del Partito democratico, anche se questi ultimi hanno in seguito ritirato la loro firma) e di cui è iniziata la discussione nella Commissione Difesa. Questi due disegni di legge che rappresentano un ulteriore, e forse definitivo, passo verso la totale equiparazione tra partigiani e repubblichini, tra coloro che combatterono per la libertà e coloro che scelsero di sostenere gli invasori nazisti. Il ddl 628 si propone di riconoscere come “ex combattenti” i membri della Guardia civica di Trieste, corpo collaborazionista che giurava fedeltà ad Hitler con giuramento bilingue. Il ddl 1360, invece, propone la creazione di una nuova onorificenza, l’Ordine del Tricolore, con cui sarebbero decorati tutti coloro che combatterono durante la Seconda guerra mondiale, compresi gli aderenti alla Repubblica sociale italiana: questo disegno di legge si pone sulla stessa linea di tendenza del ddl 2244, presentato nel 2006, due legislature fa, e fortunatamente mai approvato, sul “Riconoscimento della qualifica di belligeranti a quanti prestarono servizio nella Repubblica sociale italiana (RSI)”.
Questi due ddl si inseriscono in quel processo di pacificazione e di creazione di una innaturale memoria condivisa che ha lo scopo di minare le fondamenta antifasciste della Repubblica Italiana per poter cambiare la Costituzione che ne è alla base. Costituzione che, con il suo portato sociale, rappresenta un ostacolo per quella riorganizzazione dei rapporti economici, politici, istituzionali e sociali in chiave sempre più selvaggiamente capitalista e liberista, se non autoritaria, che è in atto in Italia da oltre venti anni. E, come il capitalismo italiano ha sempre dimostrato anche nel passato, non esita a ricorrere al fascismo (nella sua forma originale, “neo” o “post”), o ad una riabilitazione di esso, per raggiungere i suoi scopi.
Se da un lato si cerca di sfumare l’incommensurabile differenza tra le scelte degli uni e quelle degli altri per indebolire la base antifascista della Repubblica, dall’altro la parte politica che a queste basi si è sempre mostrata avversa cerca di autolegittimarsi, concentrando l’attenzione pubblica sul lato umano dei repubblichini e sui crimini (veri o presunti) commessi dai partigiani comunisti, le cui azioni vengono descritte con toni sempre più truculenti. Non è un caso, quindi, se dopo anni in cui è stato orientato il sentire comunque degli italiani in questa direzione, il presidente del Consiglio può giungere a dire che la Costituzione italiana va cambiata in quanto scritta sotto l’influsso della Costituzione sovietica senza che l’opinione pubblica, spinta ormai ad un cieco odio “anticomunista”, si sollevi in difesa di essa.
In questa temperie politica e culturale si è generata una gara a relativizzare il fascismo, a concentrare l’attenzione su “zone buie” della Resistenza e “triangoli rossi”, a insistere sulle foibe (dando numeri ridicoli, moltiplicando per fattore 100 o 1000 i morti), dimenticando genesi e contesto di quei fatti: un esempio su tutti sono i romanzi storici di Giampaolo Pansa, letti da migliaia di italiani che li hanno considerati come unici saggi “finalmente” attendibili sull’argomento, oppure l’istituzione del Giorno del Ricordo delle foibe o, ancora, la fiction “Il cuore nel pozzo”. Si tratta di quella che lo storico Angelo D’Orsi ha definito come una chiara operazione di “«rovescismo»: «basta prendere un fatto noto, almeno nelle sue grandi linee, un personaggio importante, [...] Poi si afferma che tutto quello che sappiamo in merito è una menzogna, o perché fondata sulla falsità, o perché basata sull’occultamento; di solito, responsabili delle menzogne e dei nascondimenti della verità, sono “i comunisti”». Le colpe del fascismo, invece, vengono sempre più sminuite e le ricerche sul colonialismo fascista e sui suoi crimini, come quelle di Angelo Del Boca o di Davide Conti, rimangono relegate in un circuito ristretto e mai portate all’attenzione dell’opinione pubblica. Documentari come “Fascist Legacy” e film come “Il leone del deserto” vengono censurati e non mandati in onda sulle reti italiani.
Sulla scena pubblica, intanto, alcuni amministratori locali si sono dati da fare con la toponomastica per recuperare alle glorie patrie vecchi arnesi del Fascio, fino al punto di togliere la titolazione dell’aeroporto di Comiso a Pio La Torre, parlamentare comunista ucciso dalla mafia, per riattribuirla a Vincenzo Magliocco, generale nella guerra fascista di Etiopia. E così, giungiamo agli eventi più recenti: “il fascismo non è un male assoluto” sostiene l’ormai sindaco post(?)-fascista di Roma Gianni Alemanno. E il suo compagno di partito Ignazio La Russa, Ministro della Difesa, afferma con nonchalance che farebbe un torto alla sua coscienza se non ricordasse «che altri militari in divisa, come quelli della Nembo [reparto militarmente organizzato della Repubblica di Salò, inserito organicamente nei quadri della Wehrmacht, ndR] dell'esercito della Rsi, soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d'Italia».
Sono questi i motivi per cui oggi è sempre più difficile ricordare ed affermare che, parafrasando Calvino, il repubblichino più onesto, più in buona fede, più idealista, si batteva per una causa sbagliata, mentre anche il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, combatteva per una società più giusta. Ed è tenendo ben salda questa considerazione, ormai scomparsa dall’orizzonte culturale dell’opinione pubblica, che abbiamo deciso di organizzare un’iniziativa in cui poter discutere e riaffermare l’antifascismo e l’opposizione più netta verso ogni forma di revisionismo che miri a sovvertire i valori fondanti della consapevolezza storica e sociale, che miri a pacificare e confondere in una differenza indifferente oppressi ed oppressori. Perché, come ha ricordato ieri il Presidente della Repubblica, “la memoria che coltiviamo innanzitutto è quella della dura esperienza del fascismo e delle responsabilità storiche del regime fascista, delle sue avventure di aggressione e di guerra”.
Resistenza Universitaria (La Sapienza) – Militant – Collettivo Lavori in corso (Tor Vergata) – Collettivi universitari Roma3
UNIVERSITÀ Tensione tra studenti. E oggi nuove polemiche per un dibattito alla Sapienza con Tranfaglia
La polemica arriva anche quest'anno. Puntuale, allo scoccare di ogni anniversario delle foibe. Così capita che a Roma alcuni studenti dei collettivi universitari - ragazzi dell'Onda, altri della sigla Militant e il collettivo Senza Tregua - si rechino pacificamente al cimitero di Prima Porta a rendere omaggio al monumento che ricorda i partigiani jugoslavi, portandosi dietro le ire funeste degli studenti di destra. Che considerano il gesto come un «affronto alla memoria».
Due bandiere rosse, poste ai lati del mausoleo, alcuni garofani e una fascia che recita: «Cosa conta se si muore, partigiano vincerà». E una spiegazione: «Siamo andati a rendere omaggio ai partigiani jugoslavi che, come tanti altri combattenti stranieri, hanno lottato per la liberazione in Italia del nazifascismo. Con la vicenda delle foibe non c'entra niente, tutta la canea mediatica che si è scatenata contro questo gesto è fuori luogo». La «canea mediatica» è scatenata dal tris d'assi della destra studentesca (e non) italiana, Azione universitaria, Blocco studentesco e Casapound. Lo fanno in ordine sparso ma il concetto rimane uno: è una vergogna.
Il dissidio, però, nasce ventiquattrore prima. «Lunedì mattina c'è stata una vera e propria aggressione ai danni di uno studente», denunciano i collettivi. Il pretesto è un manifesto, affisso e sottoscritto dai collettivi stessi, in cui venivano pubblicizzate una serie di iniziative di carattere storico sulle foibe, in occasione della concomitanza della giornata del ricordo delle foibe istriane. «Al tentativo di difendere i manifesti, - continuano gli studenti - i fascisti hanno risposto aggredendo in sette lo studente. Non ci sono state conseguenze fisiche gravi, ma l'aggressione è andata molto oltre il livello verbale». Ma questo è solo l'ultimo di una serie di episodi che, dai famosi fatti di piazza Navona ad oggi, alimenta la tensione nel mondo universitario romano. «Stiamo assistendo a un'operazione politica precisa da parte del Blocco Studentesco - si legge su una nota degli studenti di RomaTre - che guarda ora al nostro ateneo come possibile terreno di aggregazione e propaganda. I loro tentativi di insinuarsi nel movimento studentesco e nella vita politica delle facoltà, è stato ripetutamente respinto in maniera determinata e pacifica dai collettivi e dagli studenti dell'ateneo, nonostante le numerose intimidazioni e minacce che si ripetono di continuo».
E oggi lo scontro potrebbe acutizzarsi ancora di più. Alle ore 16, nell'aula grande di storia della facoltà di Lettere de La Sapienza è in programma infatti un dibattito, a cui parteciperanno, insieme a una rappresentante dell'Anpi Nicola Tranfaglia, professore emerito di storia dell'Europa e del giornalismo nell'università di Torino, Davide Conti, storico, e Sandi Volk, membro della commissione consultiva del Comune di Trieste per il museo della Risiera di San Sabba. Dibattito che alla destra non va giù e che vorrebbe impedire con tanto di appello al rettore.