A Trieste, a pochi metri dal Conservatorio - dove c'è oggi solo una lapide illeggibile a ricordare la strage dell'aprile 1944 (56 impiccati lasciati penzolare nel cortile) - grazie a "generose" elargizioni private è stato aperto un Museo e Centro studi del Fascismo repubblichino. All'inaugurazione sono intervenuti diverse generazioni di reduci fascisti e militanti neo-fascisti.
La cronaca dell'inaugurazione della sede dell'Istituto Panzarasa, con note e appendici, che di seguito riportiamo, è a cura della redazione de La Nuova Alabarda: http://www.nuovaalabarda.org/

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http://ilpiccolo.gelocal.it/dettaglio/trieste-la-storia-dei-vinti-nellistituto-panzarasa/2527947

Trieste. La storia dei vinti nell'Istituto Panzarasa

Cinquemila libri e riviste, divise, cimeli e distintivi, più di ventimila immagini anche inedite per raccontare le vicende storiche e umane di chi, dopo l’8 settembre 1943, scelse di combattere con la divisa dei reparti della Repubblica sociale italiana. Un "museo" che Carlo Alfredo Panzarasa mette a disposizione della città
di Pietro Comelli

TRIESTE. Trecento metri quadrati ospitano l’altra storia. Quella dei ”vinti”. Non vuole essere un museo e nemmeno un covo di reduci: quelle stanze al terzo piano di via Ghega 2 - fra 5mila libri e riviste, divise, cimeli e distintivi, filmati più 20mila immagini anche inedite - vogliono raccontare soprattutto le vicende storiche e umane di chi, dopo l’8 settembre 1943, scelse di combattere “ dalla parte sbagliata”, con addosso la divisa della Decima Mas e degli altri reparti della Repubblica sociale italiana. Un periodo storico, quello della ”guerra civile” e dello scontro fratricida tra fascisti e partigiani, che l’Istituto di ricerche storiche e militari dell’età contemporanea Carlo Alfredo Panzarasa mette a disposizione dell’intera città e non solo. 

Sarà inaugurato sabato alle 15.45 - nel corso di una tre giorni in programma da venerdì, con incontri, conferenze e libri ribattezzata ”tutta un’altra storia” - aprendo ufficialmente le porte a storici, studenti e semplici appassionati che avranno a disposizione non solo i documenti, ma anche una stanza informatica con computer, scanner e fotocopiatrice. 

Un investimento non di poco conto, vicino ai 500mila euro, portato avanti da Carlo Panzarasa, coinvolgendo anche un suo amico e il figlio di un ”Pow-Non”. È la sigla dei prigionieri di guerra non cooperatori, a cui l’istituto riserva una stanza, che dopo quel rifiuto durante il secondo conflitto mondiale finirono nel campo di Hereford in Texas. 

Classe ’26, residente in Svizzera, Panzarasa è un signore distinto e dai modi gentili. È stato un combattente nella Compagnia Volontari di Francia del Battaglione Fulmine: «Sono nato a Parigi, dove la mia famiglia era emigrata nel 1912. Dopo l’8 settembre ’43 raggiunsi la base atlantica Betasom di Bordeaux ed entrai nella Decima Mas - ricorda - Il 28 aprile ’45 mi trovavo a Thiene, io riuscii a tornare a casa mentre altri finirono imprigionati o trucidati dai partigiani...». Ma i libri di Pansa sui ”vinti” non bastano più. Sono storie che loro, i ”repubblichini”, conoscevano già. Panzarasa non ha solo messo mano al portafogli e, infatti, tutto il suo archivio, fotografico e cartaceo, assieme al materiale sulla Decima Mas (riconosciuto dal ministero dei Beni culturali come ”di interesse storico particolarmente importante”) è stato donato all’istituto e utilizzato per la pubblicazione di alcuni libri. Altro materiale storico si è aggiunto e, almeno nella volontà del fondatore,!
 altro arriverà. 

A Trieste, una scelta che Panzarasa spiega così: «Questo è il posto giusto, la città adatta a raccogliere questi documenti proprio per la sua storia - dice - Ho trovato e fatto amicizia con alcune persone di fiducia, qui c’è la sensibilità giusta per raccontare quella scelta. Il confine orientale ha vissuto delle battaglie epiche e così Trieste mi ha adottato». Già, perché i reduci («che brutta parola, diciamo veterani» replica Panzarasa) sono gelosi delle proprie cose. Un patrimonio al quale troppo spesso, però, figli e nipoti non danno un significato storico e così, un giorno, tutto finisce all’asta nei centri di collezionismo, dai rigattieri... Chi offre di più si porta a casa un cimelio del fascismo, fra nostalgia e collezionismo. «Anch’io sono geloso delle mie cose, ma è arrivato il momento di metterle a disposizione di tutti - dice Panzarasa - e sto invitando anche gli altri miei comilitoni a farlo. Almeno lascino un testamento scritto con le loro volontà... ormai non !
siamo rimasti in tanti». Una volontà di aprirsi, specie alle nuove generazioni, dopo aver tenuto per anni tutto per sé. Non è un caso che - accanto alle iniziative da tenere nella sede dell’istituto, che ha una sala conferenze con un’o ttantina di posti a sedere - l’istituto Panzarasa vuole affidare a un gruppo di ricercatori la raccolta di materiale e testimonianze. Ecco che le testimonianze dirette di un centinaio di combattenti della Rsi sono state raccolte in altrettante interviste nel documentario ”Generazione Decima” che sarà proiettato sabato in anteprima. «Siamo convinti che domani uno studente universitario, che si vuole laureare in storia contemporanea, oltre all’istituto storico della Resistenza - dicono in via Ghega 2, mentre gli operai allestiscono scaffali e sistemano l’impianto elettrico - approfondirà la sua ricerca per la tesi attingendo anche da questi archivi». Quasi una ”pacificazione”, delle fonti storiche. 

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(15 ottobre 2010)

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INAUGURAZIONE DELLA SEDE DELL’ISTITUTO CARLO PANZARASA A TRIESTE, SABATO 16 OTTOBRE 2010, ORE 15.45.


Alla presenza di circa un centinaio di persone (per la maggior parte “reduci” di una certa età, ma non mancavano alcuni giovani), è stato inaugurato a Trieste l’Istituto di Ricerche Storiche e Militari dell'Età Contemporanea Carlo Panzarasa (via Ghega 2, a poche decine di metri dalla stazione centrale).

Al tavolo dei relatori erano presenti Carlo Alberto PANZARASA [i], Edoardo FORNARO [ii] e Gianfranco GAMBASSINI [iii].

La presentazione è stata fatta da Marina MARZI[iv], che ha ringraziato le seguenti persone ed associazioni:

tutti gli intervenuti, alcuni dei quali anche dall’estero (Sudafrica, Svizzera, America…) e da altre città italiane;

la Fondazione Cassa di Risparmio di Trieste, per il contributo di 10.000 Euro;

il professor Mario MERLINO [v], che ha seguito da tantissimi anni la creazione dell’Istituto;

Nino ARENA [1], presente all’iniziativa, che ha donato molti dei suoi libri;

i tre giovani Andrea (laureato in storia), Stefano e Nevio, presentati col solo cognome, che hanno fatto i lavori di ristrutturazione dell’appartamento;

le autorità presenti: per il Governo il sottosegretario Roberto MENIA [vi]; per la Regione Autonoma FVG il presidente della Commissione Cultura Piero CAMBER[vii]; per il Comune di Trieste il vicesindaco Gilberto Paris LIPPI [viii].

Prima di dare la parola a questi rappresentanti istituzionali, MARZI ha invitato a parlare l’ausiliaria del Battaglione “Lupo” Fiamma MORINI (figlia di una crocerossina della I guerra mondiale, poi fondatrice del Fascio femminile, e del fondatore del Fascio maschile di Lonigo) che ha donato all’Istituto le medaglie della madre; Carlo PRADERIO (del Battaglione guastatori alpini “Valanga”); ed il triestino, ora trasferito a Genova, Mario Isidoro NARDIN (“Gamma”), che ha narrato le proprie esperienze.

Dopo avere cercato di arruolarsi in Marina a 16 anni e mezzo, venne rimandato indietro e si arruolò a 17 anni nel 1940.

Prima sede la caserma di San Bartolomeo che fu poi la caserma di Junio Valerio Borghese. Successivamente a Marina di Massa, poi nella scuola sommergibilisti, infine in base a Brindisi, dove prese servizio in uno dei 17 “africani” che la Marina fascista volle dare come nomi a propri mezzi: Beilul (tra gli altri il Shirè, l’Adua…).

Mandato in servizio allo “scoglio” di Lero, da dove, dopo una strenua resistenza, furono mandati via a fine luglio 1943, “quando l’Italia era in ginocchio”, dopo avere colpito 2 caccia inglesi; inviato a Monfalcone, vi si trovò l’8 settembre.

Successivamente andò a Verona con altri 5 sommergibilisti: i tedeschi avevano bloccato Verona in quanto passaggio verso il Brennero, nel frattempo il loro comandante aveva affondato il sommergibile, loro furono rimandati a Trieste, città che rientrava nel disegno tedesco del Litorale adriatico, a quel punto si pose il problema di cosa fare, dopo un incontro con il Federale NARDIN fu mandato tra i mezzi d’assalto. Ebbe come comandanti FERRARO, e WOLK; fu arrestato dagli Inglesi (ma su questo punto non è stato molto chiaro, perché ha poi detto di essere stato inviato in un campo di internamento dove conobbe Nino BUTTAZZONI [ix], che però fu arrestato nel dopoguerra).

Il motto dei “Gamma” era “fare e non dire”, cioè un lavoro silenzioso: erano circa 100 persone, 80 delle quali sommozzatori esperti; il loro compito era di sabotare le navi nei porti. I “Gamma” nuotavano, anche per chilometri, di notte, per piazzare le mine sotto le navi. Avevano una base a Valdagno ed una a Venezia (a Venezia attaccarono anche nel porto, anche navi ospedale, ma questo non è chiaro a quando si sarebbe riferito, dato che Venezia rimase nella RSI fino alla fine di aprile 1945).

Gli ordigni consistevano in 12 chili di esplosivo che i Gamma andavano a prendere al confine (quale confine non si è capito) perché non si fidavano di quello che potevano avere in altri (quali?) modi; uno dei Gamma inventò un sistema particolare di mina che esplodeva mediante un meccanismo a croce di S. Andrea che se si avvitava non succedeva niente ma se si svitava esplodeva (o forse il contrario, non sono riuscita ad annotare esattamente). Commento di NARDINI: “una cosa meravigliosa”.

Nel dopoguerra lavorato a recuperi di residuati bellici nella zona di Cavallino, tra Caorle e Venezia, dove era pieno di aerei ed altri mezzi da guerra semidistrutti.

MARZI ha ripreso la sua presentazione con un accenno al fatto che gli Istituti storici sono solitamente “monotematici”, ed ha poi dato la parola ai rappresentanti istituzionali.

MENIA ha affermato la necessità di riconoscere anche a coloro che poi si dirà che stavano dalla parte sbagliata il valore delle loro idee; la necessità della pacificazione sta nel riconoscere con obiettività le scelte altrui.

LIPPI ha ricordato di essere nipote di un prigioniero nel Texas “non collaborante”, ed ha asserito che questo Istituto storico deve servire come messaggio ai giovani.

CAMBER ha ricordato che nella sua famiglia (il padre, avvocato, era stato alpino della Monterosa) venivano spesso a mangiare persone come Spartaco SCHERGAT[x] (cui la medaglia d’oro non procurò altro che un posto di bidello all’Università) e Maria PASQUINELLI [xi], “donna bellissima”, che dopo essere stata rilasciata venne alcune volte a Trieste e si fermò a pranzo da loro.

Tra gli altri ricordi, intorno al 1976 si recò in Germania col padre ad un raduno dei reduci della Monterosa, che avevano fatto l’addestramento nella base militare di Metzingen (nel Baden-Wuerttemberg) nel 1943. CAMBER padre avrebbe voluto entrare a visitare il posto, ma solo dopo avere detto ai piantoni che era stato addestrato lì questi si sono schierati con tutti gli onori e li hanno portati in jeep a visitare il campo.

MARZI ha ripreso il suo intervento dicendo che Trieste “è la città giusta dove doveva nascere” un Istituto come questo.

Ha poi preso la parola GAMBASSINI, che si è presentato come un aderente alla RSI che ha avuto il coraggio di dichiararlo da sempre e di esserne orgoglioso (applausi a scena aperta), ed ha in comune gli stessi ideali di PANZARASA.

Ricorda il comandante Giuseppe PARELLO, “Fulmine”, uno dei “longobardi di Francia” [xii], una memoria comune da onorare, col quale si trovò rifugiato nel Seminario romano maggiore e lì divennero amici di PANZARASA.

Il senso di questo Istituto è di continuare i loro ideali.

L’ingegner Edoardo FORNARO, uno dei tre finanziatori dell’Istituto (il secondo è PANZARASA mentre il terzo vuole mantenere l’anonimato, ha detto MARZI), ha narrato di essere figlio di un prigioniero non cooperante, che insegnava in Libia (dove lui è nato); il padre fatto prigioniero in Tunisia (evidentemente non era solo un “insegnante” fu poi inviato a Hereford nel Texas. FORNARO ha ribadito che a 65 anni di distanza non si dovrebbe più avere remore su cosa dire o non dire perché ormai si tratta di parlare di fatti storici. La storia non la fanno solo i vincitori: ha poi spiegato di abitare a Lugano, a poca distanza da PANZARASA ma di averlo scoperto solo recentemente.

I prigionieri di Hereford pubblicavano un giornale dal titolo “Volontà”, tra di essi c’erano lo scultore Alberto BURRI, lo scrittore Giuseppe BERTO, Gaetano TUMIATI. I libri dei prigionieri, ha aggiunto, sono stati chiosati in modo da dimostrare l’indegno comportamento che i prigionieri avrebbero avuto, questo il motivo per pubblicare i libri per conto proprio.

Avendo necessità di “un posto nostro dove dirigere la nostra memoria”, hanno creato questo l’Istituto, e ringrazia l’ingegnere Emilio COCCIA, presidente dei prigionieri in Sudafrica, lì presente.

Cosa da ribadire, secondo FORNARO, è che non sono state rispettate le convenzioni di Ginevra, ad esempio quando i prigionieri sono stati separati, la truppa inviata in Sudafrica a lavorare dove c’era bisogno di manodopera, mentre gli ufficiali in India. Chi parlava di portare la libertà avrebbe dovuto quantomeno rispettare le convenzioni sui prigionieri.

Osservazione personale: chi non si dichiarava portatore di libertà era forse esente dal rispetto delle convenzioni internazionali, dato che non mi sembra che minare navi ospedale sia rispettoso di alcunché.

FORNARO ha aggiunto che ora “abbiamo una base comune”.

Necessario studiare i 5 anni dal 1940 al 1945 che però sono anni che abbracciano tutto il 900, non per niente una stanza dell’Istituto è sede dell’Associazione culturale 900 [xiii] La II guerra mondiale non è un evento nato per caso o per la follia di qualche dittatore, ma si riferisce alla I guerra mondiale, agli anni successivi ed anche quelli precedenti, quando ci furono tante ingiustizie che rimangono ancora oggi. È per un senso di giustizia, ha detto, che dobbiamo evidenziare le cose che abbiamo fatto.

Infine PANZARASA ha concluso ma si è limitato a ringraziare tutti e ricordare gli altri commilitoni: SAVINO, ROBERTI e Pier Benito FORNARO del “Valanga” e Carlo PRADERIO.

 


[1] Vedi nota in APPENDICE



[i] Carlo Alberto PANZARASA, del battaglione “Fulmine”, “volontario di Francia” (vedi ultima nota).

[ii] Figlio del sottotenente Pietro FORNARO, prigioniero “non collaborante” a Hereford, nel Texas.

[iii] Gianfranco GAMBASSINI: toscano, tra i fondatori della Lista per Trieste, orgoglioso reduce della RSI, ha scritto un libro di memorie in cui rivendica di essere stato un fucilatore, fervente antisloveno.

[iv] Marina MARZI, oggi animatrice dell’Associazione 900 e membro del Consiglio direttivo dell’Associazione X Mas, nel 1990 si trovava, assieme al suo primo marito Giampaolo Scarpa (già esponente di Avanguardia nazionale, pluridenunciato sia per atti di violenza politica che per tentata ricostituzione del partito fascista), nell’auto guidata da Stefano Delle Chiaie, coinvolta in un incidente nel quale perse la vita la convivente di Delle Chiaie, Leda Pagliuca Minetti. Nel 1992 fu candidata a Trieste nella lista della “Lega delle leghe”, creata da Delle Chiaie.

[v] Mario Michele MERLINO, oggi filosofo, nel 1969 infiltrato nei gruppi anarchici romani, sosia di Valpreda, andò in Grecia con Stefano Delle Chiaie ed altri ad imparare le tecniche di infiltrazione.

[vi] . Segretario del Fronte della Gioventù negli anni 80, coinvolto in svariati episodi di tipo squadristico, non si contano le foto in cui viene ritratto mentre fa il saluto romano. Parlamentare di AN, oggi finiano di ferro.

[vii] Il padre di Piero CAMBER, l’avvocato fratello del parlamentare Giulio (Forza Italia)

[viii] Paris Lippi, fratello di Angelo (animatore della “900” assieme a Marina MARZI), militante del Fronte della Gioventù, fu arrestato il 1° luglio 1981 per ordine della magistratura di Bologna per reticenza e falsa testimonianza in merito a soggiorni nel Libano, in campeggi paramilitari dei falangisti assieme ad altri due giovani esponenti di destra, Fausto Biloslavo (oggi giornalista noto soprattutto per i suoi reportages di guerra) ed Antonio Azzano, tutti e tre assistiti dall’Avvocato Bezicheri.
[ix] Nino BUTTAZZONI, comandante dei Nuotatori paracadutisti della Decima.

[x] Nino ARENA, allievo pilota, poi paracadutista della “Folgore” della RSI, combatté in Friuli Venezia Giulia durante la seconda guerra mondiale, autore di vari testi di storia militare, agiografici delle forze armate della RSI.

[xi] SCHERGAT Spartaco, palombaro della Decima, assieme ad Antonio Marceglia fu autore dell’affondamento della corazzata britannica “Queen Elizabeth” nella baia di Alessandria il 19/12/41.

[xii] PASQUINELLI Maria, già insegnante di mistica fascista, si recò come crocerossina in Africa e lì si travestì da uomo per combattere con l’esercito italiano ( per questo motivo fu espulsa dalla CRI); dopo l’8/9/43 giunse nella Venezia Giulia per raccogliere notizie sulle foibe e preparò una relazione “sul problema giuliano” da consegnare alla “Franchi” (l’organizzazione di Edgardo Sogno); funse da ufficiale di collegamento tra i servizi segreti della X Mas e gli occupatori nazifascisti nella Venezia Giulia, e tra il ‘44 ed il ‘45 si impegnò a cercare contatti operativi tra la Divisione partigiana friulana “Osoppo” e la Decima stessa in modo da creare un fronte comune “antislavo” contro la brigata Garibaldi . Il 10 febbraio 1947, in occasione della firma del trattato di pace, andò nella città di Pola dove uccise a bruciapelo il generale britannico Robin de Winton, in “segno di protesta” perché l’Istria e la Dalmazia erano state assegnate alla Jugoslavia. Condannata a morte dalla Corte Alleata, la pena le fu commutata nell’ergastolo e fu trasferita in Italia, dove, alcuni anni dopo, le fu concessa la libertà vigilata. Da qualche anno è in atto una campagna (tramite pubblicazioni, conferenze, addirittura letture sceniche) che vuole dare un’interpretazione eroica del suo esecrabile atto assassino.

[xiii] LONGOBARDI DI FRANCIA

in http://digilander.libero.it/fiammecremisi/eramoderna/altri3.htm

leggiamo:

alla fine dell'estate in Veneto la quarta compagnia composta di Volontari di Francia. Questi uomini erano Italiani emigrati in Francia che si erano presentati volontari dopo l'8 settembre al comando BETASOM (sommergibili italiani) di Bordeaux per essere incorporati nel battaglione Longobardo della Divisione Marina Atlantica della R.S.I.  Alla data del 6 giugno 1944 (sbarco in Normandia) il reparto era diviso in piccoli nuclei nell'artiglieria da costa tedesca che contrastava lo sbarco. 4oo uomini del Longobardo rientravano quindi in Italia il 18 Giugno al comando della Piazza Navale di Venezia. L'impiego in operazioni anti partigiane nella pianura Veneta, ne ridusse per defezioni l'organico di un terzo. I restanti dopo lo scorporo di un gruppo che passava alla Divisione SS italiana andarono a costituire la 4a compagnia del Fulmine. Con questi uomini alla fine del 44 il Fulmine iniziava in Italia Orientale un nuovo ciclo di lotta antipartigiana.  Dopo un primo impiego contro la Osoppo, a metà gennaio 1945 si scontrava a Selva di Tarnova coi partigiani di Tito. Rimasti accerchiati da oltre 2.000 uomini, resistettero per tre giorni fino all'arrivo dei soccorsi. La Divisione era in attesa del cambio quando alle prime ore del 19 Gennaio un numeroso nucleo di partigiani Jugoslavi attaccarono le posizioni tenute dal battaglione Fulmine.

In http://www.decima-mas.net/apps/index.php?pid=98 (si trova anche elenco dei componenti)

Terza compagnia - Volontari di Francia

La Terza Compagnia era formata da giovani italiani figli di emigrati in Francia che avevano sentito il richiamo della Patria tradita, anche se non mancano, tra gli effettivi, militari del disciolto Regio Esercito, che al momento dell'armistizio si trovavano fuori dai confini d'Italia e che videro nel tricolore che sventolava a Bordeaux un punto di richiamo per poter proseguire la guerra con l'alleato tedesco.
Vengono aggregati ad Ivrea nel luglio del 1944 per sopperire ad una notevole diminuzione dell'organico del Btg. manifestatosi nel trasferimento da Pietrasanta al Piemonte. Infatti in concomitanza di questo trasferimento si era appresa la necessità momentanea di condurre operazioni di controguerriglia contro elementi che attentavano all'incolumità delle forze della R.S.I. presenti in quella regione. Molti non accettarono questo, anelando (come tutti) solo di raggiungere il fronte, e se ne andarono. Di qui l'inserimento della Terza Compagnia dei Volontari di Francia.
Questa Compagnia era presente già da qualche mese sul suolo Patrio ed aveva avuto il battesimo del fuoco ed i suoi primi caduti. Avevano avuto un periodo di addestramento in Francia e nonostante la giovane età media, erano tutt'altro che impreparati. Parlavano quasi esclusivamente in francese e questo creava un certo distacco dalle altre Compagnie, ma solo in questo. Parteciparono a tutti i fatti salienti del Btg. dando sempre il massimo ed il loro immancabile tributo di sangue.
La Terza Compagnia si sciolse a Thiene il 29 aprile del 1945.
ARMAMENTO - Mitragliatrici Breda mod. 37 - Fucili mitragliatori Breda mod. 30 - Mortai Brixia da 45 mm - Armi individuali
ORGANICO: La Compagnia era strutturata su tre plotoni.
Possiamo quindi individuare gli stessi a seconda dell'armamento impiegato: un plotone di mitraglieri pesanti e leggeri, uno di mortai da 45 e l'ultimo di fucilieri. Nell'elenco sono compresi tutti coloro che sono transitati per pochi mesi o che ne hanno fatto parte sino alla fine. Qualcuno potrebbe essere rimasto in Francia senza seguire il gruppo, combattendo sino alla fine delle ostilità con le forze armate tedesche.

 

APPENDICE


Si è svolto sabato 29 settembre a Roma, promosso dall’associazione culturale Raido, il convegno dal titolo “Il passaggio del testimone – Dalla Rsi ai militanti del Terzo Millennio”. Presentati da un membro della comunità di Raido, sono intervenuti: Rutilio Sermonti, combattente della Seconda Guerra mondiale, storico e scrittore, Marco Pirina, fondatore del centro studi e ricerche “Silentes Loquimur”, Marina Marzi dell’”Associazione 900” di Trieste, Carlo Panzarasa, combattente Rsi, storico, scrittore e istitutore dell’omonima fondazione e Mario Merlino, poeta e autore teatrale. Hanno presenziato e animato l’evento anche molti reduci nonché delegazioni dei vari corpi dell’esercito repubblicano, dalle fiamme bianche, alle Ausiliarie del SAF, alla associazione Campo della Memoria della X MAS.
Il moderatore, dopo i saluti ed aver sottolineato l’importanza della ricorrenza del 29 settembre, giorno nel quale la Guardia di Ferro romena usava prestare giuramento sul nome dell’arcangelo Michele e genetliaco di Luigi Ciavardini, vittima di una giustizia “alla birmana”, ha dato la parola a Rutilio Sermonti. Uomo d’azione e di lettere, con la sua voce stentorea ed “esplosiva” come lo scoppio di una Srcm, ha dapprima sottolineato la formidabile carica motivazionale che spinge tanti giovani a tutt’oggi, ad “abbracciare” gli ideali del Ventennio. Ancora risuonano le sue parole: “Sessant’anni di antifascismo non sono riusciti a cancellarne venti di fascismo”; ”Essere camicie nere quando tutti le indossavano era facile; esserlo oggi è sintomo di grande coraggio e di temperamento anticonformista”, Subito dopo ha posto l’accento sull’impellente esigenza di “calare” questi ideali nella vita quotidiana. La purezza adamantina, dura e inossidabile va bene, ma bisogna rifuggire dalla facile tentazione di chiudersi in uno sterile narcisismo contemplativo fine a se stesso, in un autocompiacimento snobistico, in una estetica autoreferenziale, improduttiva quanto autolesionistica. L’idea ha bisogno di essere tramandata alle generazioni del Terzo Millennio, e tutto ciò necessita di gente che sappia offrire esempi calzanti di comportamento e di coerenza ideale, vivendo a contatto con coloro che, insofferenti del fondo in cui è precipitata la nostra Patria, possano guardare a noi come a preziosi punti di riferimento. La volontà deve essere la cifra distintiva dell’uomo del nostro schieramento. Volontà che va forgiata con tenacia e perseveranza. Come esempio ha portato se stesso, giovane ufficiale agli esordi sul fronte albanese, che al primo impatto con la guerra dovette ingaggiare una dura lotta per imporsi l’autocontrollo contro l’impulso della paura che attanaglia sempre il “pivello” alle prime armi. Dopo un anno di fronte, ormai corazzato e con addosso la scorza del veterano rotto a tutti i cimenti, il giovane Rutilio era riuscito così bene nel temprare la virtù del coraggio che la paura non solo non l’avvertiva più, ma veniva addirittura ripreso dai superiori perché considerato un temerario, suscitando l’ammirazione dei commilitoni del Terzo Reich. Sermonti, dopo avere colpito con possenti bordate dialettiche l’idea di democrazia, stigmatizzando l’esistenza dietro le quinte parlamentari, di una nascosta ed intelligente elite - pur se non nominato, Pareto era il convitato di pietra nella lucida analisi dell’oratore - ha anche ammonito la dispersa galassia della destra radicale a ritrovare compattezza e unità di vedute. L’attuale panorama di frammentazione e l’alto tasso di litigiosità non sono di aiuto a nessuno: “che volete che conti, nel panorama politico, uno 0,1% o l’1%? Anche nel nostro ambiente il viziettopartitocratico ha contagiato e infettato anime e corpi col virus della sterile polemica”, contribuendo anzi alla perdita di credibilità di un ambiente che, monolitico, avrebbe molte più possibilità di successo. In rappresentanza dell’Istituto Storico della Rsi, la camerata Elisa ha svolto un breve presentazione ed ha invitato i presenti a sostenere l’attività e visitare gli archivi dell’istituto a Terranuova Bracciolini (Ar). Il relatore successivo, Marco Pirina, ha dapprima narrato con parole struggenti le sue amare vicissitudini di bimbo reso precocemente orfano dalla mano vigliacca e assassina di un partigiano. Successivamente ha illustrato all’uditorio le ultime missioni felicemente portate a conclusione, tra mille difficoltà, dal centro ricerche da lui fondato, “Silentes Loquimur”. Si è trattato dell’individuazione, nelle campagne di Poviglio (Reggio Emilia), dei poveri resti di uomini e donne uccisi a tradimento, a guerra ormai finita, nel famigerato “triangolo della morte” dai banditi rossi successivamente insigniti del rango di “resistenti”. Quindi ha rivendicato il contributo al recupero delle salme di un manipolo di guardacoste del Nord catturati e infoibati vivi - sui loro corpi fracassati non sono stati rilevati fori di proiettili - dagli “eroici” partigiani della brigata “Cichero” in una forra vicino Campastrino (La Spezia). Carlo Panzarasa ha, a sua volta, narrato l’avventurosa scoperta e il recupero in Slovenia dei brandelli di un manipolo di soldati della RSI fatti prigionieri e massacrati dai titini in seguito alla battaglia di Tarnova. Dilaniati dal filo spinato e decapitati, quel che ne è rimasto degli sfortunati difensori dei confini orientali d’Italia è stato fortunosamente riesumato, raccolto in un sacco e fatto passare, eludendo i controlli, attraverso i blindati confini della Slovenia da Panzarasa stesso, il quale, sempre personalmente, ha provveduto poi a inumare le reliquie in Patria, a Redipuglia. Un’impresa tanto pericolosa quanto audace, che fa di Carlo Panzarasa un eroico, disinteressato difensore dell’italianità oltraggiata dalla barbarie slavocomunista. Marina Marzi dell’”Associazione 900” di Trieste, ha segnalato ai presenti la prossima apertura, resa possibile grazie al contributo di Panzarasa, di un archivio storico privato e di una biblioteca pubblica sulla Rsi e sui fatti di Trieste del 1953, auspicando l’opportunità di creare una rete fra le varie istituzioni culturali esistenti in Italia per approfondire e diffondere la conoscenza della vera storia Italiana del Novecento. Una storia che nessun libro di scuola riporta, in quanto, in ossequio all’ideologia risultata vincitrice dell’ultimo conflitto, i fatti alle nuove generazioni “devono” essere narrati secondo i canoni della vulgata resistenziale filotitina e filoslava. Canoni assolutamente e politicamente corretti: niente foibe, niente esodo giuliano-dalmata, niente pulizia etnica, niente stragi. L’ultimo esempio di servilismo filoslavo dell’amministrazione Illy è stata l’imposizione del bilinguismo italiano-sloveno nella Provincia di Trieste. “Voi romani” - ha affermato in sostanza la Marzi – “date per acquisite italianità e identità, considerate pressoché sinonimie d’appartenenza, e nessuno, al governo o all’opposizione, può a Roma seriamente dubitare o inficiare l’intangibilità dell’idioma di Dante o la connotazione etnica del ceppo italico sia nella toponomastica sia nell’arena pubblica e politica. A Trieste tutto questo non è ancora dato per scontato”. Nel capoluogo giuliano c’è stato chi, complice il sindaco del caffè, ha pensato bene di appiccicare, accanto alle targhe che in italiano recano l’intestazione di vie, piazze e monumenti, anche pleonastiche patacche in versione slovena. Così, malgrado i grandi problemi cittadini, regolarmente lasciati irrisolti da una giunta inetta, c’è chi considera di gran lunga più importante stabilire che Trieste si chiami soprattutto “Trst”. E, per qualche voto in più, i lecchini filoslavi assisi sugli scranni di Palazzo della Provincia, rischiano di compromettere definitivamente il già sfilacciato tessuto etnico e sociale della città di San Giusto. E poi dicono che il caffè rende più lucide le idee. Mario Merlino, uomo di cultura icona da sempre dell’immaginario sapienziale della cultura non conforme e radicale, ha testimoniato con la sua militanza di “sessantottino della parte sbagliata” la necessità di passare appunto il testimone della tradizione alle nuove generazioni. Il trio Paola, Yuri e Giorgio ha magistralmente declamato brani tratti da memorie di uomini e ausiliarie della Rsi. Attraverso i dialoghi sapientemente interpretati dai tre, è stato possibile tornare con la mente e con il cuore a respirare l’atmosfera disperata ed esaltante della esperienza della Rsi. Le parole dei personaggi narrati promanavano amarezza, stupore, presagio della fine imminente, sorpresa e sconcerto dinanzi a tanto odio e tanta violenza, ma anche la ferma consapevolezza e una ascetica accettazione di un destino di gloria. Una gloria che si sarebbe presto tinta del colore del sangue e del martirio. Una testimonianza dura da accettare, tuttavia necessaria per riscattare l’onore della Patria tradita e per consegnare alle generazioni a venire un’immagine dell’Italia monda dalle lordure badogliane. Da segnalare gli intermezzi musicali che hanno ornato l’evento con atmosfere suggestive ed emozionanti. Mario e Marco degli Hobbit, Francesco Mancinelli, Massimiliano e Fabian degli Imperium, hanno commosso l’uditorio al suono delle ballate che hanno scandito gli anni di eroica militanza e di lotta per le piazze di tutta Italia nel ricordo del sacrificio compiuto dai combattenti dell’onore. Tutte canzoni molto entusiasmanti con, a chiusura della serata il brano più sentito, “Non ho tradito” scritto dal Cap. Bonola, Reg. “Folgore” della R.S.I., presso il campo di concentramento di Coltano nell’estate 1945 e musicato dai NND. Una serata che ha riconfermato il profondo legame tra le diverse generazioni e che ha testimoniato la necessità del ricordo, della memoria, affinché sia chiaro che senza il nostro passato non potremo avere un futuro! L’associazione Raido dà appuntamento ai camerati, sabato 20 ottobre 2007 per una conferenza jungeriana dal titolo “Tempeste d’acciaio” alla quale interverrà Maurizio Rossi.