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A Lisbona il via alla Nato globale |
di Tommaso Di Francesco Manlio Dinucci |
Oggi e domani si tiene a Lisbona il summit dei capi di stato e di governo della Nato, cui partecipano per l’Italia Berlusconi, La Russa e Frattini. Uno dei vertici più importanti di quella che il segretario generale Anders Rasmussen definisce «l’alleanza che ha avuto il maggior successo nella storia». Un «successo» che costituisce la nuova narrazione atlantica, una rinnovata filosofia dell’uso della guerra, per un organismo giustificato all’origine per contenere il Patto di Varsavia. Questa nuova «storia di sé» è l’introduzione necessaria, daparte dei leader occidentali, per motivare ora la sua necessità e attualità. Così Anders Rasmuss spiega che finora la Nato ha attraversato due fasi, quella della guerra fredda e quella del dopo-guerra fredda, ed in entrambe «ha funzionato molto bene». Come negarlo? La terza fase atlantica Terminate la prima e seconda fase, annuncia il segretario Rasmussen, è arrivato il momento della Nato-versione 3.0, una alleanza più moderna, più efficiente e più capace di lavorare con i nostri partner a livello globale. Essa ha «una potenza militare che nessun avversario può eguagliare», basata anche sulle armi nucleari che «la Nato deve mantenere finché vi saranno nel mondo tali armi». La minaccia di un attacco militare su larga scala contro il territorio dell’Alleanza è basso, afferma Rasmussen, ma vi è il rischio di attacchi terroristici e missilistici. Oltre 30 paesi stanno infatti acquisendo la capacità di costruire missili balistici. Viene così annunciato che il summit varerà ufficialmente il progetto dello «scudo» anti-missili, che gli Stati uniti vogliono estendere all’Europa. Progetto cui la Russia si oppone, considerandolo una minaccia nei propri confronti, e che la Nato cerca di far digerire a Mosca: a tal fine ha invitato il presidente Medvedev al Consiglio Nato-Russia che si svolgerà a Lisbona subito dopo il Summit, il 20 novembre, per «approfondire la cooperazione politica e rafforzare la comune sicurezza». Oggi, sottolinea Rasmussen, la difesa del territorio dell’Alleanza e dei suoi 900 milioni di cittadini non è circoscritta all’area delimitata dai confini. La globalizzazione ha reso le nostre economie sempre più dipendenti da forniture provenienti da tutto il mondo. Ciò significa che un attacco a queste linee di rifornimento può avere effetti drammatici sulla nostra sicurezza, nel caso ad esempio che le nostre petroliere non potessero più transitare dallo Stretto di Hormuz (all’imboccatura del Golfo Persico tra Iran e Oman). Occorre quindi investire meno nelle forze statiche, dislocate all’interno dei 28 paesi membri dell’Alleanza, e di più nelle forze mobili, in grado di essere proiettate rapidamente fuori del territorio della Nato. La Nato è già oggi impegnata, sulla scia della strategia Usa, in diverse «missioni» militari fuori della sua area geografica: in Kosovo, dove opera per «costruire la stabilità e la pace»; nel Mediterraneo, dove conduce operazioni navali «contro le attività terroristiche»; in Sudan, dove aiuta l’Unione africana a «porre fine alla violenza e migliorare la situazione umanitaria»; nel Corno d’Africa, dove conduce «operazioni anti-pirateria» controllando le rotte marittime strategiche; in Iraq, dove contribuisce a «creare efficienti forze armate»; in Afghanistan, dove ha assunto con un colpo di mano nel 2003 la leadership dell’Isaf, impantandosi però in una guerra che ora la costringe a cercare una «exit strategy». Tanto che oggi è stato convocato a Lisbona il presidente afghano Hamid Karzai. La Nato non sembra però aver imparato nulla dalla lezione afghana: si prepara infatti a nuove «missioni» fuori area. La mutazione genetica Per capire il passaggio sancito dal summit di Lisbona, occorre ricordare quali sono state le prime due fasi della storia della Nato. Attraverso di essa, durante la guerra fredda, gli Stati uniti mantengono il loro dominio sugli alleati europei, usando l’Europa come prima linea nel confronto, anche nucleare, col Patto di Varsavia (fondato nel 1955, sei anni dopo la Nato). Lo scenario cambia radicalmente quando, nel 1991, si dissolve il Patto di Varsavia, quindi la stessa Unione sovietica. Ne approfittano subito gli Stati uniti, che riorientano la propria strategia con la prima guerra del Golfo. Premendo sulla Nato, perché faccia altrettanto: vi è infatti il pericolo che gli alleati europei effettuino scelte divergenti o ritengano perfino inutile la Nato nella nuova situazione geopolitica. Il 7 novembre 1991 il Consiglio atlantico, riunito a Roma, vara la prima versione del «nuovo concetto strategico», in cui si stabilisce che la «sicurezza» dell'Alleanza non è circoscritta all’area nord-atlantica. Poco tempo dopo esso viene messo in pratica nei Balcani. In Bosnia, dopo il voluto fallimento dell’Onu, la Nato interviene nel 1994 con la prima azione di guerra dalla fondazione dell’Alleanza. Segue la guerra contro la Iugoslavia, nel 1999. Gli Stati uniti riescono così a far scoppiare una guerra (che avrebbe potuto essere evitata) nel cuore dell’Europa, rafforzando la loro influenza in questa regione nel momento critico in cui se ne ridisegnano gli assetti politici, economici e militari. Mentre è in corso la guerra, il vertice Nato convocato a Washington impegna i paesi membri a «condurre operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza». Inizia così l’espansione della Nato nel territorio dell’ex-Patto di Varsavia e dell’ex-Urss. Nel 1999 essa ingloba Polonia, Repubblica ceca e Ungheria; nel 2004 Estonia, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia; nel 2009 Albania e Croazia. Viene inoltre preparato l’ingresso nell’Alleanza di Macedonia, Ucraina, Georgia e Montenegro. Emblematica la pressione Nato sul Caucaso, con il conflitto lanciato dalla Georgia a riconquista dell’Abkhazia e la guerra che ne segue con la Russia nell’estate 2008. Cresce in tal modo l’influenza Usa in Europa, poiché i governi dei paesi dell’ex-Patto di Varsavia e dell’ex-Urss, entrati prima nella Nato e quindi quasi tutti nella Ue, sono legati più a Washington che a Bruxelles. Ora, spiega Rasmussen, si apre la terza fase. Quella di una alleanza che, sotto l’indiscussa leadership statunitense, si propone di estendere il suo dominio su scala globale. Crescerà di conseguenza la spesa militare dei paesi della Nato, che oggi ammonta a circa 1000 miliardi di dollari annui, equivalenti ai due terzi della spesa militare mondiale. (il manifesto, 19 novembre 2010) |
BILANCIO DEL SUMMIT DI LISBONA
L’Europa ingabbiata dagli Usa nella Nato
Tommaso Di Francesco Manlio Dinucci
Nella dichiarazione del summit Nato di Lisbona (20 novembre) si annuncia la creazione di una nuova struttura di comando, più snella ed efficiente. Immutata resta però la gerarchia. Il Comandante supremo alleato in Europa (Saceur) non può essere un militare europeo. Deve, per regolamento, essere un generale o ammiraglio nominato dal presidente e confermato dal senato degli Stati uniti. Solo dopo, formalmente, il Consiglio atlantico viene chiamato ad approvare la scelta. L’attuale Saceur è l’ammiraglio James Stavridis, già a capo del Comando meridionale Usa, la cui area di responsabilità abbraccia l’intera America latina.
Lo stesso criterio vale per gli altri comandi chiave dell’Alleanza. Ad esempio, a capo della Forza congiunta alleata a Napoli c’è l’ammiraglio Sam Locklear III, allo stesso tempo comandante delle Forze navali Usa in Europa e delle Forze navali Usa per l’Africa. Poiché tutti questi alti ufficiali fanno parte della catena di comando statunitense, che per loro ha priorità assoluta, anche le forze alleate europee ai loro ordini sono di fatto inserite nella stessa catena di comando che fa capo al presidente degli Stati uniti. Si capisce quindi perché, anche dopo la guerra fredda, l’Alleanza atlantica sia rimasta così importante per Washington.
L’effetto Nato sull’Europa
Per oltre 60 anni, ha sottolineato il presidente Obama nella conferenza stampa al termine del Summit, la Nato si è dimostrata l’alleanza che ha avuto il maggior successo nella storia: essa ha difeso l’indipendenza dei suoi membri e allevato le giovani democrazie in una Europa unita a libera. Questione di punti di vista. Il successo c’è stato, ma soprattutto a vantaggio degli Stati uniti. Essi sono riusciti a mantenere l’Unione europea, di cui temono la crescente forza economica, sotto la loro tutela politica e militare. Ciò perché i governi europei di ogni segno politico non hanno attuato una politica estera e della difesa diversa da quella degli Stati uniti, ma si sono accodati a loro in cambio di una fetta della torta nell’area di dominio e influenza dell’impero Usa. Come spiega la Commissione europea, la difesa collettiva, in origine di competenza della Ueo, è ora entrata a far parte delle competenze della Nato.
E quelle che Obama definisce le giovani democrazie allevate dalla Nato, ossia i 12 paesi dell’ex-Patto di Varsavia e dell’ex-Urss inglobati nell’Alleanza tra il 1999 e il 2009, sono legate tramite i loro governi più a Washington che a Bruxelles. Ciò ha permesso agli Stati uniti di avere maggiore influenza nella Ue e di estendere la loro presenza militare sul territorio europeo, allargandola verso est, in particolare nelle repubbliche baltiche, in Romania e Bulgaria. E nella dichiarazione del summit si indicano i paesi cui guarda la Nato per un ulteriore allargamento: Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia, Ucraina, Georgia.
La presa militare Usa sull’Europa si rafforzerà enormemente con lo «scudo» missilistico, che i governi europei hanno ufficialmente accettato al summit di Lisbona. L’intera architettura dello «scudo» (batterie missilistiche mobili, radar terrestri mobili, radar e altri sensori su aerei e satelliti) sarà gestita dal Pentagono nel quadro della sua rete globale di comando, controllo e comunicazioni. Le conseguenze sono facilmente immaginabili. Il contenzioso con la Russia è tutt’altro che superato dal clima distensivo, creato ad arte al summit di Lisbona, e sarà acuito dall’ulteriore spinta della Nato verso est. L’Europa rischia quindi di trovarsi ancora una volta in prima linea. Per di più, gli Stati uniti potrebbero un giorno usare l’architettura dello «scudo», da loro controllata, per mettere i paesi europei in allarme su un imminente attacco missilistico (ad esempio da parte dell’Iran) e giustificare così la necessità di un attacco preventivo. Soprattutto a questo è destinato lo «scudo», concepito per proteggere le forze militari proiettate in aree esterne al territorio della Nato.
Questa – ha chiarito al summit il premio Nobel per la pace Barack Obama – resterà un’alleanza nucleare e gli Stati uniti manterranno un efficiente arsenale nucleare per assicurare la difesa di tutti i loro alleati. Ciò significa che gli Usa manterranno le loro bombe nucleari tattiche in Europa e useranno il suo territorio quale base avanzata delle loro forze strategiche nucleari.
L’Italia a stelle e strisce
Ancora più critica diverrà la situazione del nostro paese nel quadro del nuovo concetto strategico, varato dal summit di Lisbona. Acquisterà ulteriore importanza il quartier generale della Forza congiunta alleata a Napoli, che nel 2011 si trasferirà da Bagnoli a Lago Patria in una nuova sede di 85000 m2, con un personale di 2.100 militari e 350 civili. Aumenterà anche l’attività del Comando marittimo alleato e delle Forze navali Nato di supporto e attacco, i cui quartieri generali sono a Napoli, e del Corpo di spiegamento rapido Nato di Solbiate Olona (Varese). A Sigonella entrerà in funzione il sistema Ags, il più sofisticato sistema di spionaggio elettronico non per la difesa del territorio dell’Alleanza, ma per il potenziamento della sua capacità offensiva fuori area, soprattutto in quella mediorientale. A tutto questo si aggiungeranno i missili e altri componenti dello «scudo» Usa e l’Hub aereo militare di Pisa, che sarà messo a disposizione della Nato.
Sarà allo stesso tempo potenziata l’intera rete delle basi Usa. Da quella aerea di Aviano, dove probabilmente saranno concentrate tutte le bombe nucleari Usa in Europa, a quella di Vicenza, base della 173a brigata aviotrasportata e dello U.S. Army Africa (Esercito Usa per l’Africa). Da Camp Darby, la base logistica che rifornisce le forze terrestri e aeree Usa, a quella aeronavale di Sigonella, dove si trova uno dei due centri di rifornimento della U.
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