Nobel per la guerra e per l'opportunismo

1) Nobel per la guerra:
Il bellicismo nel Premio Nobel della Pace

2) Nobel per l'opportunismo:
La Serbia e il Nobel

Sulla questione del discreditatissimo "premio Nobel per la pace", assegnato quest'anno all'attivista per la disgregazione della Cina Liu Xiaobo, si veda anche:


=== 1 ===


Il bellicismo nel Premio Nobel della Pace

di Manuel E. Yepe*

su www.argenpress.info del 17/12/2010


Traduzione di l'Ernesto online

*Manuel E. Yepe, giornalista cubano specializzato in temi di politica internazionale, scrive sulle più autorevoli testate di tutto il mondo

Il Comitato del Premio Nobel per la Pace dal 2009 sta mettendo in pratica l'agenda strategica militarista del suo presidente, il norvegese Thorbjoem Jagland. e le sue dichiarazioni più recenti.

E' ciò che sostiene in un articolo diffuso dall'organizzazione pacifista Global Network Against Weapons & Nuclear Power in Space il giapponese Yoichi Shimatsu, specialista in tema di energie rinnovabili, che abitualmente scrive su pubblicazioni riguardanti questioni europee e che è stato editore del settimanale giapponese Japan Times Weekly di Tokyo e giornalista della catena Bon Ocean di Pechino.

Thorbjoem Jagland è stato primo ministro, ministro degli esteri, presidente del Storting (parlamento norvegese) ed è attualmente presidente del Consiglio d'Europa, un organismo che ha sostenuto l'Unione Europea e la NATO durante la Guerra Fredda. E' un veterano del Partito Laburista Norvegese che, secondo Shimatsu, ha assunto una posizione simile a quella del britannico Tony Blair come promotore dell'integrazione dell'Unione Europea nella stretta alleanza con Washington, per assicurare una forte leadership occidentale negli eventi internazionali.

Ha fatto parte del Comitato permanente della difesa ed è stato insigne partecipante alle conferenze parlamentari della NATO, e in questa organizzazione promotrice di guerre si è identificato sempre nel corso della sua carriera politica.

Sebbene la Norvegia sia un paese relativamente piccolo, svolge un ruolo militare significativo, data la sua posizione strategica, vicino a quella che è stata la Flotta Sovietica dell'Artico (oggi Flotta del Mare del Nord), a Murmansk, nella penisola di Kola.

Shimatsu ricorda che in Norvegia tutti gli uomini sono soldati e possiedono un fucile, e che la frontiera della Norvegia con la Russia nel Mare di Barents ha costituito la linea del fronte durante la Guerra Fredda.

Attualmente, la Norvegia svolge un ruolo rilevante nelle contraddizioni che si manifestano tra i paesi tecnologicamente avanzati e quelli del terzo mondo, perché ha truppe di terra in Afghanistan, navi che custodiscono le coste della Somalia contro la pirateria nella regione, partecipa alla corsa spaziale del Pentagono come parte dei sistemi missilistici anti-balistici, e possiede la tecnologia anti-sottomarini più avanzata del mondo.

La Norvegia possiede una quantità di soldati nella NATO proporzionalmente maggiore di qualsiasi altro dei 28 Stati membri. Jagland è portavoce degli strateghi della NATO, e in tale funzione, reclama l'ampliamento dell'alleanza occidentale per evitare il risorgere delle potenzialità militari della Russia e della Cina e l'avvicinamento ad esse del Brasile e dell'India poiché ritiene che le sfide dell'Occidente siano cambiate dopo il collasso dell'URSS, poiché ora il nuovo nemico potenziale è la coalizione economica che è nota come BRIC, di cui fanno parte, Brasile, Russia, India e Cina.

Shimatsu riferisce che, in una conferenza di parlamentari europei che ha avuto luogo lo scorso anno, l'attuale presidente del Comitato del Premio Nobel per la Pace ha sostenuto con crudezza: “Quando non siamo capaci di fermare una tirannia, la guerra comincia. E' per questo che la NATO è indispensabile. La NATO è l'unica organizzazione militare multilaterale che si radichi nel diritto internazionale. E' un'organizzazione che le Nazioni Unite possono usare, quando è necessario, per fermare una tirannia, come abbiamo fatto nei Balcani.”

Jagland si riferiva naturalmente alla campagna di bombardamenti, invasione, occupazione, alla fine dell'ultimo decennio del XX secolo, contro la ormai scomparsa Repubblica Federativa di Jugoslavia.

Per riassumere il suo pensiero, Jagland ha detto qualcosa di totalmente incompatibile con il suo incarico alla testa del Comitato del Premio Nobel per la Pace: “Se in qualsiasi parte del mondo i tiranni non possono essere rovesciati con mezzi pacifici, la guerra è inevitabile e la NATO avvierà questa guerra.”

Da far rabbrividire come queste sono state le sue parole all'annuncio dell'assegnazione del Premio Nobel per la Pace al cinese Liu Xiaobo: “Noi abbiamo il dovere di parlare quando altri non lo possono fare. Dobbiamo avere il diritto di criticare la Cina per far avanzare le forze che vogliono che la Cina sia più democratica.”

Yoichi Shimatsu segnala che l'espressione “far avanzare” sulla bocca di Jagland gli ricorda gli eufemismi nei testi giapponesi che parlavano di “avanzate” delle truppe giapponesi nel territorio di altri paesi dell'Asia continentale. Così si maschera una mentalità militarista.

Secondo quanto sostiene lo scrittore giapponese, selezionando i suoi premiati più recenti, Barack Obama e Liu Xiaobo, il Comitato del Premio Nobel della Pace ha inteso proporre un'agenda strategica che coincide con il pensiero politico di Thorbjoem Jagland., suo presidente dal 2009, conosciuto dai suoi avversari in Norvegia come “il nostro George Bush”.



=== 2 ===


La Serbia e il Nobel


14 dicembre 2010 


All’inizio le autorità di Belgrado avevano annunciato che la Serbia non avrebbe inviato un suo rappresentante alla cerimonia del premio Nobel assegnata al dissidente cinese Liu Xiaobo, che sta scontando una pena a 11 anni nella prigione di Jinzhou, per “istigazione alla sovversione” e per aver promosso il manifesto ‘Carta’08, il documento favorevole alla democrazia firmato da 2000 cinesi. E che la decisione era stata presa da Vuk Jeremić, il ministro degli Esteri, senza alcuna consultazione con il presidente Boris Tadić che a sua volta dichiarava di non voler rilasciare nessun commento ufficiale visto che la sua opinione personale non coincide con la decisione di Jeremić.
Successivamente era anche stato sottolineato che i diritti umani sono una priorità della Serbia che spera di far parte dell’Unione europea, ma che la tutela dei rapporti con la Cina fosse ancora più importante.
Alla fine, dopo le dure critiche dell’Unione europea e la “incomprensione” di un gesto simile da parte di un paese che è candidato ad entrare nell’Ue, la Serbia ha fatto marcia indietro e ha inviato alla cerimonia l’ombudsman Saša Janković. Così, ancora una volta, si è venuta a creare una situazione in cui la Serbia si è presentata come un paese indeciso e diviso, fortemente influenzato dagli interessi economici e dagli alleati storici da una parte, ma anche dalla Unione europea dall’altra. Un paese che fa un passo avanti e due indietro. E che non sa da che parte stare.

Diritti umani sì, ma la Cina è più importante


Sin dallo scorso 8 ottobre il governo di Pechino, dopo aver definito la scelta operata dal Comitato per il Nobel un’“oscenità” nonché un’interferenza negli affari giuridici cinesi, aveva messo in atto pressioni politiche e ricatti economici a livello mondiale per far sì che in tanti disertassero la cerimonia.
Inizialmente i paesi che non avrebbero dovuto partecipare alla consegna erano 19, tutti “amici” della Cina e legati ad essa da interessi economici, tra i quali anche la Serbia. Il ministro degli Affari esteri serbi, Vuk Jeremić, aveva dichiarato che non ci sarebbe stato nessuno alla cerimonia perché anche se la Serbia presta un’attenzione  particolare alla difesa dei diritti umani, i suoi rapporti con la Cina rappresentano uno dei primi interessi nazionali della politica estera di Belgrado .
“La Serbia presta grande attenzione al rispetto e alla difesa dei diritti umani che sono uno dei requisiti per l’integrazione del paese nell’Unione Europea, tuttavia i rapporti con la Cina sono troppo importanti e tutte le decisioni prese dalle autorità statali sono legate agli interessi nazionali del paese. La Cina è anche uno dei quattro pilastri della nostra politica estera, insieme a Russia, Usa e Unione europea”, aveva dichiarato il ministro serbo.
Questa sua decisione aveva diviso sia l’opinione pubblica sia i partiti politici in Serbia. Jelko Kacin,rapporteur  del Parlamento europeo per la Serbia ha dichiarato che il paese si dimostra ancora una volta troppo “servile” verso la Cina e che un candidato per l’Unione europea non si può permettere un comportamento simile, manifestando a tal punto il proprio servilismo.


Critiche al comportamento della Serbia


Čedomir Jovanović, leader del partito serbo LDP, aveva interpretato la decisione di Jeremić come una vergogna per il paese.“Russia e Cina sono due potenze che il mondo accetta così come sono, ma non accetteranno mai una piccola Serbia grazie a questo comportamento ed anche la Cina non ci apprezzerà di più per questo gesto”, sottolineava Jovanović. Critiche alla decisione di Belgrado di disertare la cerimonia sono venute anche dal Comitato dei giuristi per i diritti umani (Yucom), secondo il quale la Serbia, intendendo di boicottare la cerimonia, mostra di essere ancora lontana da una posizione di autentico rispetto dei diritti umani e dei valori caratteristici delle società europee moderne e democratiche. [SIC]
Laszlo Varga, Presidente della Commissione per l’integrazione europea dell’Assemblea nazionale serba, aveva definito la decisione della Serbia come catastrofica, aggiungendo che se la Serbia mira a far parte della comunità europea non dovrebbe mettersi al fianco dei paesi che in nessun modo rispondono ai criteri di paesi democratici. “E’ un messaggio estremamente negativo” aveva sottolineato Varga, ribadendo che “in Serbia non è ancora maturata l’idea che l’Ue non è solo un’unione economica ma soprattutto un’unione di valori”. 
Štefan Füle, Commissario europeo per l’allargamento e la politica europea di vicinato, si era dimostrato preoccupato e deluso per la decisione della Serbia perché tutti i paesi dell’Unione europea avrebbero partecipato alla cerimonia. Invece il capo della delegazione per i Balcani del Parlamento europeo, Eduard Kukan riteneva che il boicottaggio del premio Nobel, come anche l’ultimo rapporto sulla “non collaborazione” della Serbia con il tribunale dell’Aja, sono solo delle informazioni negative che arrivano a Bruxelles. Con una nota Bruxelles, infatti, aveva ricordato a Belgrado che democrazia e diritti umani sono valori fondanti del Vecchio continente, da tutelare ovunque nel mondo.
“In Europa ci sono dei valori. Chi non li rispetta, non può farne parte”, forse è proprio questa dura posizione di Bruxelles nei confronti dei paesi che avrebbero boicottato la cerimonia, che alla fine ha spinto Serbia a mandare il suo rappresentante. Il primo ministro Mirko Cvetković aveva deciso l’invio dell’ombudsman dopo essere stato a Bruxelles per incontrare alti esponenti dell’Ue. “Spero che la Cina capirà che sono stato alla cerimonia non per portare un messaggio politico ma perché i diritti umani e la democrazia sono importanti per la Serbia”, ha dichiarato Saša Janković.

Addio Jeremić?


Il settimanale “Vreme”  scrive che Belgrado ancora una volta si è dimostrata poco seria e soggetta alle pressioni di tutti: da una parte Bruxelles per quanto riguarda la risoluzione sul Kosovo davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e dall’altra la Cina, quando c’è qualcosa che non piace a Pechino. E poi, aggiunge il settimanale belgradese, “E’ poco serio che la Serbia prima non voglia partecipare alla cerimonia ma alla fine accetti, con l’ombudsman Saša Janković che era lì come emissario personale del premier Mirko Cvetković e non in qualità di rappresentante ufficiale dello Stato. Così si crea l’immagine di un paese che ancora una volta non sa cosa vuole.”
Il 18 dicembre in Serbia ci saranno le elezioni nel Partito democratico (Ds). Il leader democratico e  presidente, Boris Tadić, ha ripetuto tante volte di non essere soddisfatto del lavoro di alcuni ministeri e che è urgente ridimensionare il governo. Le ultime notizie che arrivano da Belgrado confermano l’intenzione di Boris Tadić di sostituire Jeremić per “aver preso decisioni importanti per il paese senza prima consultarlo”.
“Si parla di una mia sostituzione da quando sono diventato ministro. Io sto solo facendo il mio lavoro e penso siano dannose queste speculazioni perché inviamo un segnale negativo al mondo e il messaggio è ancora una volta quello della mancanza d’unità sugli obiettivi e le priorità della politica estera della Serbia”, ha dichiarato Jeremić.
Si riscaldano così i vecchi stereotipi sulla Serbia come un paese che non ha abbastanza coscienza quando si tratta di diritti umani. E che vorrebbe far parte dell’Europa ma non è ancora pronta fino in fondo ad accettare i valori della comunità europea. [SIC]

---

Commenti

nemmeno gli stereotipi hanno lo stesso valore...

Martedì, 14 Dicembre 2010 15:45:02
Jasmina

Perdonami Sanja, quali valori europei? Quelli che arestano Assange ma poi vorebbero insegnare la Cina e Russia i diritti umani? Non è che anche tu hai uno stereotipo sui valori europei?