L' INTERVISTA 
SOTTO PROCESSO ALL' AJA PER GENOCIDIO, L' IMPUTATO DALLA CELLA RACCONTA LA MEDIAZIONE DI STANISIC, AGENTE DEI SERVIZI DI MILOSEVIC E CONTATTO DELLA CIA

«Un patto segreto con gli Usa» 
Ecco tutta la verità di Karadzic

L' ex leader serbo di Bosnia: «Firmai la resa in cambio dell' immunità» Srebrenica? Non ho mai ordinato che qualcuno venisse ucciso se non durante i combattimenti. La verità deve ancora venire a galla 
L' Europa non conceda altro spazio alla Turchia nei Balcani: diventeremmo un cordone sanitario verso i regimi musulmani

Rinchiuso nel carcere di Scheveningen all' Aja dal luglio del 2008, Radovan Karadzic, l' ex leader dei serbi di Bosnia sotto processo per genocidio, ha concesso al Corriere questa intervista esclusiva dove, per la prima volta, entra nei particolari del presunto «accordo» con Richard Holbrooke, il superdiplomatico americano appena scomparso che negoziò la pace in Bosnia. L' intervista scritta era da una settimana al vaglio del Tribunale internazionale per i crimini nell' ex Jugoslavia ed è stata autorizzata ieri, censurata solo nella parte riguardante le fasi della cattura di Karadzic a Belgrado. 

Radovan Karadzic, lei ha sempre sostenuto che gli americani le garantirono l' immunità. Ci può spiegare come? 

«Il 18 luglio 1996 ci fu una riunione a Belgrado per discutere il mio futuro politico. La chiese Holbrooke a Milosevic. Io non partecipai, ma furono presenti due rappresentanti della Repubblica Serba di Bosnia, Momcilo Krajisnik, presidente del Parlamento, e il ministro degli Esteri Aleksa Buha. Rimasi nel mio ufficio a Pale. Parlai diverse volte al telefono con i nostri inviati e con Milosevic, ma mai con gli americani. I negoziati durarono tutta la sera, diverse proposte vennero discusse al telefono o inviate per fax a Pale. Alla fine, raggiungemmo un accordo. Io mi sarei dimesso da presidente della Republika Srpska, dalla guida del partito Sds, mi sarei ritirato a vita privata senza partecipare alle imminenti elezioni, in cambio della garanzia che non sarei stato perseguito dall' Aja: i termini dell' accordo mi furono comunicati per telefono. Holbrooke schizzò un accordo che comprendeva solo i miei obblighi. Quando vidi la bozza, mi rifiutai. Volevo che anche la sua parte fosse messa per iscritto». 

In che modo l' hanno convinta? 

«Fu quando Milosevic parlò con me per telefono. Mi spiegò che gli Usa non avrebbero mai messo la loro parte dell' accordo nero su bianco per motivi politici. Di più, Holbrooke aveva detto che per un po' dagli Usa dovevo aspettarmi solo dura retorica, e che l' impegno non sarebbe stato reso pubblico: l' America non poteva rovinarsi le sue relazioni nella regione. Quando insistetti ancora, Milosevic mi rassicurò che queste persone rappresentavano le grandi potenze, e che le grandi potenze non mettono la loro firma su ogni pezzo di carta. Disse che tutto ciò che Holbrooke ci aveva promesso in passato l' aveva onorato. Bisogna anche ricordare che Holbrooke parlava non solo in nome degli Usa, ma dell' intera "comunità internazionale": era l' inviato del Gruppo di Contatto, "benedetto" dall' Onu. In base a queste rassicurazioni, acconsentii. Nella notte tra il 18-19, Jovica Stanisic capo dei servizi segreti di Milosevic, ma anche contatto della Cia, come si scoprì al suo processo, ndr volò da Belgrado a Pale. In qualità di messaggero, come sempre. Era un uomo di Stato, tutti i suoi contatti erano ufficiali. Firmai e lui tornò a Belgrado. Allora, non avevo nessun dubbio sulla promessa che non sarei stato perseguito dall' Aja e che Holbrooke avesse l' autorità per mantenerla. Mi sono fidato e ho eseguito la mia parte». 

Quando ha parlato per l' ultima volta a Milosevic? 

«Nel 1998, o forse 1997. Politicamente, eravamo totalmente differenti. Era intelligentissimo, ma ideologicamente vicino al comunismo, ed io sono stato un dissidente per quattro decenni. Credeva nell' autorità e agiva unilateralmente, mentre io cercavo il dialogo e il consenso. Nondimeno, ci rispettavamo. Ho imparato molto guardando il suo processo, ha fatto un buon lavoro, ma molti testimoni hanno mentito». 

Come vede le relazioni tra la Serbia e il Kosovo? 

«Sono stupefatto dal precedente creato dal Kosovo. Gli albanesi sono andati lì in massa fuggendo dal regime di Enver Hoxa, e in virtù di questo è stato consentito loro di prendersi il Kosovo. Se i messicani continueranno a riversarsi in California, la potranno strappare agli Stati Uniti?». 

Molti dicono che Sarajevo, la città che per lo scrittore Danilo Kis viveva «nel sottile equilibrio di religioni e nazioni, nella loro reciproca diffidenza e attrazione», sia morta con la guerra. Cos' è per lei Sarajevo? 

«La gente della mia regione andava a studiare a Belgrado: io scelsi Sarajevo perché mi piaceva. E mi piace ancora, ma senza il marchio fondamentalista sopra. La gente nata a Sarajevo non la riconosce più, non c' è equilibrio. Sarajevo in passato era una città totalmente serba, costruita su suolo serbo. Non rinunceremo mai a Sarajevo, è nostra, l' amiamo». 

Lei parlava di islamizzazione ben prima dell' 11 settembre... 

«Non era affatto difficile vedere questo sviluppo. Soprattutto dopo che avevamo visto dove Izetbegovic leader dei musulmani, ndr stava portando la sua comunità. Non c' era possibilità di sopravvivere. Non ho mai sospettato il musulmano bosniaco medio di essere un terrorista, ma se anche uno su mille lo fosse stato, questo significa duemila terroristi in Bosnia, oltretutto con aspetto europeo. La comunità internazionale ha fatto un grosso errore nel sostenere uno Stato islamico in Bosnia». 

Come vede la sempre maggiore influenza della Turchia nei Balcani e soprattutto in Bosnia? 

«Non vorrei ci fosse l' intenzione di concedere spazio alla Turchia nei Balcani come consolazione per le chiusure alla sua entrata in Europa. In questo caso il Sud-Est europeo con la Turchia diventerebbe una sorta di Europa di "terza classe" e un "cordone sanitario" verso i regimi islamici». 

Srebrenica. Si rimprovera qualcosa? 

«Niente, perché non ho voluto, né saputo, tanto meno ordinato che qualcuno venisse ucciso se non durante i combattimenti. E la verità deve ancora venire a galla». 

Cosa legge e cosa scrive in cella? 

«Non ho tempo, purtroppo, per la buona letteratura. Sono alle prese con il terzo milione di pagine del mio processo». 

La Chiesa ortodossa l' ha protetta? 

«Non avevo contatti, se non andando a messa. Ma chi mi conosceva non sapeva dov' ero, chi sapeva dov' ero non sapeva chi ero. Se sei veramente religioso, non puoi separare le tue azioni da Dio. Quando ero di fronte a un dilemma, ho chiesto a Dio cosa voleva che facessi. Provatelo, e troverete una risposta nel vostro cuore». 

Come crede che la ricorderà la storia? E tra tutti i ruoli che ha avuto - medico, poeta, guaritore olistico, uomo politico - quale sarà il ruolo che ricoprirà in futuro? 

«Non ho mai pensato al futuro. Come disse Gesù Cristo, basta a ciascun giorno il suo affanno. Quanto ai ruoli, tranne quello del medico e poeta, non li ho mai voluti. Li ho dovuti assumere come un obbligo, perché quando la tua libera volontà appartiene a qualcuno come io appartengo al mio popolo serbo, non devi sottrarti al tuo dovere. Quanto al futuro, il mio spero sia quello di nonno. Anzi, di un ottimo nonno». 

Mara Gergolet 
Marzio G. Mian 

Pagina 19 (16 dicembre 2010) - Corriere della Sera


[Sulle posizioni di Karadžić si veda anche: 
Parla Radovan Karadžić - estratti dal libro IL CORRIDOIO. Viaggio nella Jugoslavia in guerra, di Jean Toschi Marazzani Visconti