(english / italiano)

La morale dell’imperialismo

0) Segnalazione: Michael Parenti, The Face of Imperialism

1) La morale dell’imperialismo: “Niente di disumano mi è estraneo” (Michele Basso)
2) Mobilitiamoci contro la partecipazione dell'Italia alla guerra imperialista! (Fosco Giannini)


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The Face of Imperialism

by Michael Parenti

"Michael Parenti's The Face of Imperialism is a powerful, frightening, and honest book. It will be hated by those who run the Empire, and it will be loved by people who are searching for truth amidst the piles of garbage of Western propaganda. Above all, this book will be like a bright spark of hope for billions of men, women, and children who are fighting this very moment for survival, defending themselves against the Empire and against all monstrous faces and masks of imperialism." 

Andre Vltchek, author of Western Terror: From Potosi to Baghdad

In the last half-century we have witnessed a dramatic expansion of American
corporate power into every corner of the world, accompanied by an equally
awesome growth in U.S. military power. These phenomena are often treated as independent developments. Here, Michael Parenti brings them together in a sharp critique aimed as much at errant liberals and former fellow Marxists as at the dominant political actors who have perpetrated the imperial lie.

Parenti adds shocking new evidence to the litany of injustices visited upon victims of U.S. imperialism: expropriation of their communal wealth and natural resources, complete privatization and deregulation of their economies, loss of local markets, deterioration of their living standards, growing debt burdens, and the bloodstained suppression of their democratic movements.

Just as compelling is Parenti’s convincing case that the empire feeds off the republic. He shows how the richly financed corporate-military complex is matched at home by increasing poverty, the defunding of state and local governments, drastic cutbacks in human services, decaying infrastructure, and impending ecological disaster.

In this brilliant new book, Michael Parenti redefines empire and imperialism to connect the current crisis in America to its own bad behavior worldwide.

Michael Parenti (Ph.D., Yale University) is an internationally known, award-winning author, scholar, and lecturer who addresses a wide variety of political and cultural subjects. Among his recent books are God and His Demons (2010), Contrary Notions: The Michael Parenti Reader(2007), The Culture Struggle  (2006), The
Assassination of Julius Caesar 
(2003), and Democracy for the Few, 9th edition (2011).
April • 160 pp • 6 x 9
978-1-59451-918-5 (pb), $19.95 T
978-1-59451-917-8 (hc), $79.00 S
Library E-Book:
978-1-61205-001-0, $79.00 S
World Rights
• Clarifies the political economic context behind the pursuit of imperial power.
• Explains the role of U.S. foreign policy in serving the interests of transnational corporate America.
• Shows that Third World poverty is not a product of “underdevelopment” but of systematic exploitation. 
• Integrates the challenges of global warming into a plan for a sustainable future free of what Parenti calls “the pathology of profit”


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La morale dell’imperialismo: “Niente di disumano mi è estraneo”
 

Se continua così, tra qualche tempo i giornali scriveranno: “La camorra ha portato avanti un’operazione umanitaria contro alcuni noti sovversivi che, in spregio alle consuetudini consolidate, si rifiutavano di pagare il pizzo. Bisogna difendere le basi economiche, democratiche e cristiane del nostro vivere civile. Purtroppo, a causa della reazione violenta dei rivoltosi, si sono verificati effetti collaterali, con la morte di alcuni ribelli e di bambini innocenti”.

Stiamo esagerando? In realtà, il confine tra la malavita organizzata e l’imperialismo è sempre più tenue, e la morale predatoria che li guida è esattamente la stessa.

Comunità internazionale o “liberatori” sono sinonimi di bombardatori imperialisti che castigano il paese malcapitato di turno. La neolingua orwelliana si  afferma sempre più e il suo vocabolario è largamente seguito da governanti e partiti. “La pace è guerra, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” è il passo più noto. Scrive Orwell: “Nessuna parola del vocabolario B era ideologicamente neutra. Gran parte erano eufemismi. Parole, ad esempio, come “svagocampo” (campo per lavori forzati) o “Minipax (Ministero della Pace, e cioè Ministero della Guerra). Talune parole, d’altra parte, manifestavano una schietta e spregiativa comprensione della vera natura della società dell’Oceania. Un esempio era la parola “prolenutro”, che stava ad indicare tutti gli intrattenimenti da pochi soldi e le notizie di varietà che il Partito teneva in serbo per le masse”.(1)

Contrariamente a quanto può apparire a prima vista, Orwell non parla di un mondo creato dalla sua fantasia, ma delle tendenze reali presenti nella nostra società. Con queste differenze: nella realtà, non c’è bisogno di un  partito unico, possono essere moltissimi, purché condividano le stesse posizioni di fondo, anzi la loro pluralità dà l’illusione della presenza di un’opposizione, sempre utile per cambiare i cavalli senza mutare la meta prefissata. E non è utile, come pensavano i dirigenti di Oceania, eliminare dal vocabolario parole come  democrazia, internazionalismo, onore, giustizia, morale, scienza. Basta capovolgerne il significato, e la democrazia sarà un perfetto alibi per giustificare il lancio di missili contro un popolo da “liberare”, l’onore la giustificazione per lanciare un vile attacco con droni, aerei senza pilota. L’attuale società è più orwelliana di Orwell.

L’America è stanca di un guerrafondaio rozzo come G:W. Bush? Ecco pronto un personaggio brillante e rassicurante, capace dei più raffinati discorsi sull’intesa tra i popoli, atteso come il Messia dai popoli dell’Asia e dell’Africa, insignito del premio Nobel da una delle più rinsecchite e inutili istituzioni accademiche del mondo. Risultato: ancor più soldi regalati alle banche, e invece di due guerre, l’America ne  affronterà tre. Il presidente deve fingere di essere entrato nel conflitto tirato per i capelli, e a questo sono  serviti i colpi d’ariete alla Sarkozy. Se l’operazione fallirà, sarà quest’ultimo il capro espiatorio.

L’elettore non può scegliere mai la linea politica del paese, ma soltanto l’involucro, la presentazione, se volete, la coreografia politica. E se la politica effettivamente condotta è proprio l’opposto di quella che ha “scelto”, tanto peggio per lui. Un’altra volta scelga un candidato “sincero e attendibile”. Sembra una farsa, ma è una tragedia. Questa è la democrazia blindata dell’epoca dell’imperialismo. La mano è d’acciaio temprato, il guanto non è neppure più di velluto, ma di plastica dozzinale.

L’inganno è dunque permanente, quotidiano, e la radice della menzogna è da cercare nella realtà, nello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che ha mille forme, e deve essere celato ai più, persino alle vittime dirette, che devono credere che la loro triste situazione è colpa del destino o della propria incapacità, o di un singolo governo, caduto il quale tutto si risolverà, o frutto di volontà divina. L’uomo primitivo non era libero, dipendeva dalla natura, poteva essere violento, persino cannibale. Però, la sua azione era guidata dai suoi bisogni, nel complesso assai limitati, come quelli degli animali. I lupi uccidono i cervi, ma quando non c’è il morso della fame, gli uni e gli altri possono convivere sullo stesso territorio senza ostilità.

L’uomo moderno è assai meno condizionato dalla natura, ma molto di più dal capitale,  la cui fame   di plusvalore è inesauribile. Quando lo sfruttamento nelle fabbriche o nelle fattorie, il normale modo di creazione del plusvalore, non basta più, quando neppure i complicatissimi trucchi  e truffe della finanza sono più sufficienti, allora il capitale torna alle origini, alla guerra corsara, alla rapina. Gli imperialisti, tra i numerosi paesi che reprimono violentemente il dissenso, hanno scelto la Libia per impadronirsi dei suoi ingenti fondi sovrani, come hanno messo in rilievo alcuni giornalisti non embedded.

Il malcapitato paese è tra quelli storicamente avversi a Washington – l’aggiornamento della lista e l’esclusione della Libia dai paesi canaglia si rivela una pura operazione di facciata. Ma diamo tempo al tempo: poiché il disastro finanziario è inevitabile per USA e Inghilterra (la Standard&Poor's ha già declassato il debito pubblico americano), questi paesi dovranno continuare nella loro prassi corsara. Dopo la Libia a chi toccherà? Si può guardare la mappa del petrolio o del gas, e gli stati oggetto di attenzione sono molti. E si può scommettere che, alla fine, toccherà anche all’Arabia Saudita. Luttwak, che è ben informato, più volte l’ha fatta oggetto di pesanti critiche. Si tratta di un’alleata, nei confronti della quale c’è già un forte controllo militare, anche per timore che l’esercito faccia un golpe repubblicano. L’occupazione vera e propria potrebbe avvenire strappando il consenso alla monarchia, e col pretesto di proteggerla dall’aggressione di qualche altro paese o dal terrorismo. Dopo di che, le ingenti riserve finanziarie e petrolifere del paese sarebbero utilizzate per rimandare il crollo degli imperialismi anglosassoni, con la parte del leone per gli USA. E si potrebbe indorare la pillola introducendo una piccola dose di diritti democratici, qualche modesta libertà formale alle donne. Fantapolitica? L’Arabia è amica degli USA? Anche Gheddafi era amico del cuore di Berlusconi, di Tony Blair, di Sarkozy, e non è stato lui a tradirli. Se avesse concesso a Francia, Inghilterra e USA quel che chiedevano, avrebbe avuto licenza di mitragliare gli insorti, esattamente come il Bahrein.

Qualcuno eccepirà che gli Stati Uniti sono in cattive condizioni economiche, e che non possono permettersi nuove guerre. Questo, “secondo ragione”. Ma, ricalcando Pascal, potremmo dire che l’imperialismo ha le sue ragioni che la ragione piccolo borghese non conosce, o che, come un drogato all’ultimo stadio, non può più smettere, pur rendendosi conto delle conseguenze letali. La natura stessa dell’imperialismo non permette di ritirarsi con ordine, e gli USA saranno coinvolti in sempre nuove guerre, fino al crollo. Dana Visalli scrive: “Gli Stati Uniti hanno sganciato 15 milioni di  tonnellate di bombe sulla superficie terrestre negli ultimi 60 anni e 1 milione di tonnellate di napalm su campi e foreste, hanno disperso 20 milioni di galloni di defoliante in alcune delle foreste con più biodiversità del pianeta. In ogni caso, le forze armate USA stanno conducendo una guerra contro la Terra stessa. Uno sforzo così inutile non è avvenuto con poca spesa: il costo totale di tutte le spese militari per il 2012  si stima che ammonti a 1200 miliardi di dollari, un terzo del totale del budget federale. Sono proprio le forze armate che  stanno portando il paese in bancarotta.”  E mette in rilievo anche i costi umani all’interno degli Stati Uniti stessi: ”L’angoscia esistenziale e le disfunzioni dei soldati di ritorno dal fronte è una cosa ordinaria. Un recente studio indica che il 62% dei soldati di rientro dalla guerra in Iraq hanno chiesto una consulenza per la salute mentale, con il 27%  che mostra pericolosi livelli di abuso di alcol. I tassi di suicidio tra i soldati e i veterani sono incrementati drammaticamente negli ultimi anni. Più di 100.000 veterani del Vietnam si sono uccisi, molti più di quelli morti in guerra. Più di 300.000 veterani delle forze armate USA sono al momento senza casa, come rivela un altro studio. (2)

Ripensiamo alle parole di Lenin, per il quale l’imperialismo non è una politica, una scelta spontanea, ma uno sviluppo inevitabile del capitalismo, giunto a un determinato grado di sviluppo. Il paese più potente del mondo non ha scelta, la sua via è quella del capitale finanziario sempre più avventurista e delle guerre predatorie.

Quanto agli imperialismi caudatarii come il nostro, alla tragedia si mescola la farsa. Dopo tante assicurazioni che l’Italia non aveva intenzione di bombardare, Berlusconi ha gettato la maschera. E’ confermato, tuttavia, che a spingerlo a tale passo sono state le pressioni del premio Nobel per la pace Obama (Nobelpax, potremmo chiamarlo, ispirandoci a Orwell).

“Il governo informerà il Parlamento sulle azioni mirate in Libia”, recita uno scarno comunicato. E la Russa ha già detto che non occorre una nuova votazione. Il parlamento “Sovrano”, ridotto a una cassetta delle lettere, è informato dei bombardamenti, prima dai giornali e solo dopo dal presidente del consiglio e dai ministeri degli esteri e della difesa (Il Minipax di La Russa!). Napolitano è d’accordo con i bombardamenti, su questo  non avevamo dubbi.

Il parlamento è ridotto a un talk–show, e ci si aspetta che qualcuno interrompa i dibattiti annunciando: “Pubblicità!”. Dai primi commenti, non pare che sia venuta una vera opposizione alla guerra. Calderoli protesta, non per motivi di principio, ma perché, in cambio dell’impegno militare, non si ottenuto un congruo guiderdone, cioè un valido aiuto alla campagna xenofoba : “Abbiamo già fatto abbastanza mettendo a disposizione le basi e l'appoggio logistico e il pattugliamento anti-radar - prosegue Calderoli -. Personalmente non avrei dato neanche questa disponibilità se non in cambio di un concreto concorso delle forze alleate al respingimento dell'immigrazione clandestina e alla condivisione del peso dei profughi”.

Ancor peggio la Finocchiaro: “Il nostro riferimento continua ad essere la risoluzione 1973 dell'Onu. Se verranno confermati i confini di quella risoluzione il Pd non farà mancare il suo assenso... Quello che troviamo gravi  sono le divisioni irresponsabili che continuano a manifestarsi dentro il governo con la Lega che continua a prendere le distanze dalle decisioni di Berlusconi. Questo è un fatto per noi inaccettabile che testimonia della crisi continua e irreversibile di questo esecutivo”. (Unità.it 25/04/2011)

Trova gravi, non i bombardamenti, ma la presa di distanza della Lega che, sia pure per motivi elettorali, intacca l’Union sacrée.

Geniali le dichiarazioni di Gasbarra, Pd:  “La decisione del governo italiano di partecipare alla missione libica con azioni belliche dirette è grave e in palese contrasto con l'articolo 11 della Costituzione...   Una modifica così rilevante della missione deve essere decisa dal Parlamento che va convocato per votare l'autorizzazione  a bombardare e non può certo bastare una semplice informativa”. Prima parla dell’incostituzionalità dei bombardamenti, poi pensa che il parlamento possa autorizzarli. Questa è alta sapienza giuridica!

Qui si vede che, sui temi essenziali, non c’è differenza tra Pd e Pdl, partiti che hanno sposato in pieno la causa dell’imperialismo. Eppure c’è chi ha ancora il coraggio di parlare di “sinistra” a proposito del Pd.

Non a caso, più lettori dell’Unità  hanno commentato l’articolo con queste parole: “vergognoso il PD, vergognosa la Finocchiaro, questa è la Caporetto di quello che fu la sinistra italiana”. Un altro: “ma la finocchiaro, invece di acquattarsi, pronta a far cadere il governo, che fa? dice che potrebbero anche offrire la solita stampella? ah, dimenticavo, è una questione di ideali interventisti, al cuore non si comanda.”  Un terzo: “Bene, questa è un occasione da non perdere per mandare a casa Berlusconi. Peccato che ci penserà di nuovo il PD a salvarlo. Come per il primo voto sull'intervento contro la Libia, dove senza i voti del PD il governo sarebbe andato sotto. Scommettiamo???” Un quarto grida senza fine: “finocchiara vergognati finocchiara vergognati ...” E un quinto, dalla memoria lunga:  “Gasbarra del PD ha accusato il governo di violare l'art.11 della costituzione. Giusto, come fece D'Alema per il Kossovo.” Ci sono anche commenti interventisti, che vi risparmio.

Le risposte che abbiamo riportato mostrano che esiste nel paese una tendenza antimilitarista, che non trova una rappresentanza in nessun partito del parlamento, e che ha bisogno solo di un centro di riferimento, di un’organizzazione in grado di collegare le proteste e dare all’indignazione e alla collera uno sbocco politico.

Michele Basso

27 aprile 2011
 

Note

1) George Orwell, “1984”, “Appendice, I principi della neolingua”.

2) Dana Visalli, “La guerra globale degli USA contro il pianeta terra. Un’analisi delle forze armate statunitensi”, Globalresearch.ca, in ComeDonChisciotte, 20 aprile 2001.


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Mobilitiamoci contro la partecipazione dell'Italia alla guerra imperialista!

di Fosco Giannini

su l'Ernesto Online del 30/04/2011

In nome della Costituzione, mobilitiamoci contro la partecipazione dell'Italia alla guerra imperialista!

Giovedi 28 aprile 2011: i “ Tornado” italiani decollano dalla base area di Trapani Birgi e si dirigono a Misurata per sganciare bombe e missili su sconosciuti “obiettivi militari”. E’ la missione di guerra con la quale il governo italiano dichiara la resa totale al progetto di aggressione armata degli Usa, della Francia e della NATO contro la Libia. Il premio Nobel per la pace Obama ha piegato e subordinato a sé, alla sua determinata volontà di guerra imperialista, sia Berlusconi che la quasi totalità del Parlamento italiano, passando per lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, peraltro grande amico storico degli USA. La guerra è la tragedia più grande dell’umanità; la guerra imperialista – con la sua dichiarata, ferina volontà di assassinio di un popolo per mano di un altro popolo – ha la forza di evocare tutta la pulsione bestiale che ancora abita nell’essere umano, o per meglio dire che si perpetua all’interno di un sistema, quello capitalistico, che ha come suo valore cardine il profitto e come pulsione maggiore la spoliazione dei popoli. Questa drammatica consapevolezza deve indurci a svelare la verità, anche quand’essa è imbarazzante, difficile. Chi scrive, dunque, non può tacere, non può non ricordare che durante l’ultimo governo Prodi, il fascino “democratico” di Obama colpì anche figure specchiate del movimento pacifista come la senatrice Lidia Menapace che, assieme a diversi altri senatori del PRC e della sinistra, aspettava il futuro Presidente come il liberatore, come colui che avrebbe portato il vento della pace, e in virtù di questa speranza criticava quei senatori e deputati di Rifondazione che si battevano contro la guerra in Afghanistan, definendoli massimalisti e irresponsabili. Obama avrebbe cambiato le cose. Occorreva solo resistere e attendere pazientemente. Oggi, Obama, spinge il nostro intero Paese ad una nuova guerra, all’ennesima, brutale e delinquenziale aggressione imperialista.

Il miserrimo balletto italiano ( “voliamo ma non bombardiamo”) è finito: bombardiamo, distruggiamo, massacriamo, partecipiamo da protagonisti armati al disegno – chiaro a tutti – di smembramento colonialista della Libia e di occupazione militare imperialista della Cirenaica ( dove si trova il 70% del petrolio che appartiene al popolo libico). La nevrotica accelerazione che è stata impressa al disegno di aggressione militare porta in superficie in modo inequivocabile “l’inconscio” imperialista: i padroni del mondo non ne potevano più di accettare passivamente la rivoluzione gheddafiana del ’69, attraverso la quale era stato tolto loro il topo dalla bocca, il petrolio libico. Non ne potevano più di subire tanta mortificazione e hanno ripreso le armi. Il petrolio, il gas e l’acqua della Libia torneranno ai “naturali” padroni del mondo. Per questo grande obiettivo vale la pena praticare ogni orrore, perdere ogni coerenza e moralità: si massacrerà il popolo libico, si costruirà un potere filoamericano, si tenterà di trasformare la Libia in una nuova Arabia Saudita, si tenterà di uccidere l’ex amico Gheddafi ( come dimostrano i ripetuti bombardamenti sul compound di Bal al-Azizya, dove il leader libico risiede) o farlo impiccare successivamente, dopo la scontata condanna di un Tribunale internazionale amico di Obama il pacifista.

Il prossimo ottobre scatterà il centesimo anniversario della prima guerra dell’Italia contro la Libia. Come ricorda Angelo Del Boca quell’attacco imperialista portò alla costituzione di quindici campi di concentramento, ove furono internati 100 mila libici, dei quali 40 mila morirono di stenti e inaudite sofferenze. Si bombardò, si torturò, si utilizzarono contro le popolazioni libiche le armi chimiche, si impiccarono centinaia di oppositori, se ne esiliarono altre migliaia. L’aggressione italiana fu lunga, sanguinaria, maledetta: proseguì dal 1911 sino al 1934, con infinite stragi e bagni di sangue. Ora, a cent’anni di distanza, mentre potevamo illuderci che potesse subentrare nella coscienza delle nostre classi dirigenti il senso delle vergogna, riemerge invece – intatta – la bramosia imperialista del saccheggio e della spoliazione: come se nulla fosse accaduto, come se fossimo immemori dei nostri stessi orrori, ripartiamo con la bava alla bocca per conquistare il nostro pezzo di carne della gazzella libica. E fa davvero male pensare che a capo di questo cruento safari colonialista si sia posto il Presidente della Repubblica, immemore dei nostri orrori colonialisti e primo difensore, stando alle sue stesse parole, della Costituzione italiana contraria alla guerra.

L’Italia bombarda, partecipa alla carneficina, ripete la propria storia sanguinaria e le piazze sono vuote, il movimento pacifista è debole, disperso, non all’altezza del proprio compito. Lo scarto tra la guerra, la qualità predatoria, sfacciatamente imperialista di questa guerra e la debolezza del movimento per la pace è ciò che più di ogni altra cosa colpisce. E’ del tutto evidente che oggi paghiamo il conto finale di una lunga seria di tradimenti, mutazioni, rese, errori, involuzioni politiche e istituzionali che hanno desertificato lo spazio sociale e politico a sinistra e messo in ginocchio anche il movimento contro la guerra. Lo scioglimento del PCI, il fallimento del processo di rifondazione comunista, l’organicità di tanta parte della sinistra al potere e alla concezione del mondo capitalistica ci hanno ridotto in queste condizioni.

La troppo debole risposta del movimento per la pace all’entrata in guerra dell’Italia ci dice come l’ideologia dell’imperialismo umanitario abbia fatto breccia anche in tanta parte del senso comune di sinistra. Le televisioni di Berlusconi e quelle dell' "opposizione", all'unisono, raccontano quotidianamente dei “ massacri di Ghedaffi ” e nessuna controinformazione ha la forza di ripristinare la verità su quella stessa scala di massa o su di una scala anche molto minore, dicendo da chi sono armati gli insorti ( dai francesi, dagli americani, dagli inglesi), da chi sono guidati ( da esponenti ex gheddafiani e filoamericani della classe dirigente libica), da chi sono addestrati ( dai francesi, dagli inglesi, dalla NATO, dalla CIA, ed ora anche dai primi dieci esperti militari italiani, giunti nei giorni scorsi a Bengasi) e qual è il loro progetto strategico ( essere cavallo di Troia per la costruzione di governi quisling filoamericani, filo francesi, filo imperialisti). 

L’egemonia dell’imperialismo umanitario è tanto forte da infiltrarsi anche all’interno di coscienze di grande spessore intellettuale come quelle di Rossana Rossanda, che parteggia così apertamente per gli insorti, al punto di evocare “brigate internazionali” da schierare al loro fianco. E il cedimento di coscienze strutturate come quella della Rossanda ci danno la misura di quanti pacifisti possono essere stati trascinati nel dubbio e nella passività dalla seduzione ideologica dell’imperialismo umanitario.

La guerra è l’evento centrale che, sempre, scopre il quadro politico d’insieme. La risposta insufficiente del movimento contro la guerra mette in luce l’aspetto drammatico dell’assenza di un partito comunista radicato, di quadri, di militanti in grado di uscire immediatamente nelle piazze trascinandovi altre forze della sinistra e pacifiste. E pone all’ordine del giorno la costruzione di un tale partito e di una più grande sinistra di classe. Così come la completa accettazione della guerra da parte del PD mette in luce problemi enormi, non solo legati alla natura intima del partito di Bersani ma anche – naturalmente e in modo drammatico – legati alla politica delle alleanze che i comunisti e la sinistra di classe e di alternativa possono realisticamente condurre in questo Paese.

Ottimismo della volontà e pessimismo della ragione: non possiamo non chiedere ai comunisti, in queste ore, in questi giorni, uno sforzo supremo per svolgere il ruolo d’avanguardia che ad essi compete, chiedendo loro di organizzare celermente, ovunque possibile, evocando tutte le forze disponibili, iniziative e presidi contro la guerra. Rimboccarsi le maniche, essere in piazza, dannarsi l’anima: se non ora quando?

Nel contempo sappiamo che il problema non può essere risolto con un surplus di soggettivismo. Abbiamo tre problemi fondamentali di fronte a noi: la ricostruzione di un partito comunista all’altezza della fase, che sappia riproporsi come motore della lotta, a cominciare dalla lotta antimperialista; la costruzione di una sinistra più vasta in grado di incidere sul quadro sociale e politico complessivo e la delineazione di una progetto politico di respiro che liberi questo Paese dall’egemonia berlusconiana, di destra e subordinata ai disegni di guerra degli USA e della NATO. Un progetto politico che si differenzi nettamente da quello del centro sinistra di Prodi, risultato non all’altezza dei problemi. Un compito estremamente arduo, il delineare un tale progetto, specie di fronte ad un PD incapace di coraggio e svuotato ormai di ogni spinta trasformatrice. 

Ma il compito di delineare un progetto di alternativa credibile non possiamo ( specie noi comunisti) non porcelo, pena la vittoria strategica del berlusconismo e il consolidamento del suo regime di guerra, autoritario, antioperaio e anticostituzionale; pena la consunzione finale delle stesse forze comuniste e di sinistra.

Si tratta, probabilmente, di alzare gli occhi e non pensare più ad una politica di alleanze che si riduca al solo – e molto problematico – rapporto con i partiti e i partitini del centro sinistra, col PD. E’ forse l’ora di allungare lo sguardo, di pensare ad un sistema di alleanze tra le forze sociali più avanzate del Paese, riportando al centro del quadro politico il mondo del lavoro e rompendo il fronte borghese. Questioni qui appena accennate, difficili, problematiche, sulle quali tuttavia vale la pena riflettere.