DISCENDENZA II


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21feb12 - Marchionne tra gli Esuli a Torino

Sorpresa tra gli Esuli giuliano-dalmati di Torino: l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne (madre istriana) ha partecipato ad una delle celebrazioni organizzate dalla ANVGD nel capoluogo piemontese. Si trattava dell'omaggio alla Targa commemorativa distrutta lo scorso anno dai vandali e poi ripristinata. Nelle foto de La Stampa alcune istantanee del suo intervento. Al microfono è il presidente della Consulta ANVGD del Piemonte, Antonio Vatta.
In corso Cincinnato, lì dove una lapide di marmo su un muro di mattoni rossi ricorda i «350 mila istriani fiumani e dalmati» costretti ad abbandonare la «loro terra e i loro morti», Sergio Marchionne è arrivato senza preavviso. Barba bianca, maglioncino nero e qualche uomo della scorta. Un sorriso appena abbozzato, qualche stretta di mano: «Vi porto i saluti della mia mamma». 
All'invito alla cerimonia per il «Giorno del Ricordo» al Villaggio Santa Caterina di Lucento hanno risposto quasi trecento persone. Anziani fuggiti all’odio dei titini, le ultime generazioni delle famiglie dell’esodo e l’ospite dell'ultima ora. «E’ stata una sorpresa - dice Fulvio Aquilante, presidente dell'Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia - è venuto a rendere omaggio alle radici famigliari di sua madre».
Prima di allontanarsi l'ad Fiat ha trovato il tempo per scambiare qualche parola in dialetto istriano. «La prossima auto che producete chiamala Istria...», gli ha proposto un anziano esule.

 

(fonte La Stampa)

GALLERIA FOTOGRAFICA: http://www.anvgd.it/notizie/12633-21feb12-marchionne-tra-gli-esuli-a-torino.html

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La messa Fiat nell’acquario per annullare la dignità operaia

Pomigliano: autoflagellazione e delazione

di Antonio Di Luca* *operaio a Pomigliano ed ex delegato Fiom, quindi cassintegrato


da “il Manifesto” del 21 febbraio 2012

rubrica: “insindacabile”, p.4


Sono poco più di 2000 dipendenti, e solo 1750 gli operai finora richiamati a Pomigliano. In linea con il 40% dichiarato all’esame congiunto di Roma dalla Fiat nel luglio 2011. Passaggio necessario, per rinnovare di un altro anno la cassa integrazione per cessazione di attività per i restanti 3200 operai ancora fuori dal processo produttivo.

A oggi lo stabilimento produce 800 vetture al giorno su due turni per cinque giorni alla settimana. Dalle 6 alle 14 e dalle 14 alle 22. Il turno di notte è saltato, compromettendo anche quel poco di aumento salariale portato dall'indennità notturna. Questo significa concentrare l'innalzamento della salita produttiva solo su due turni anziché tre, e aumentare lo sfruttamento intensivo psicofisico degli operai, costretti a ritmi massacranti oltre ogni limite di ragionevolezza.

La salita produttiva nei prossimi giorni porterà a produrre 420 vetture a turno, una macchina al minuto. Meno di una margherita nel forno di una pizzeria. Una follia, mentre diversi capannoni sono in disuso e oltre 3000 operai in cassa integrazione.

Ma è questo il punto: non poteva essere altrimenti. Quando si produce una sola vettura, per quanto bella ma con un bassissimo valore aggiunto, comprimere i costi per l'azienda diventa necessario. Ed è in questo quadro che i delatori diventano essenziali per annientare la dignità degli operai.


Le testimonianze che ci giungono quotidianamente hanno dell'inverosimile, spesso accompagnate da pianti. Ecco il motivo umano, prima che sindacale o legale che ci spinge a svelare questo abominio.


Da quando è partita la produzione della nuova Panda le pause saltano, senza avvisi, scuse o particolare rispetto delle relazioni minime sindacali: «La pausa dalle 18 alle 18,10 salta», è il freddo ordine del capo.

Per chi aspetta quella pausa, già scelleratamente ridimensionata da «accordi» imposti dal «manager dei due mondi», per riposarsi dalla fatica di una catena che corre all'impazzata, è il baratro. Lavorare ancora due ore in quelle condizioni: con la schiena a pezzi, le gambe pesanti, la bocca secca e dolori alle articolazioni, ti sembra di impazzire.

Ma è a fine turno che si compie l'atto drammaturgico più grave, Sheakespeare e Brecht a confronto sembrerebbero dei dilettanti: «la messa nell'acquario».

Vi ricordate la lettera scritta al Corsera del prof. Ichino su Pomigliano?: « gli uffici con le pareti di cristallo collocati in mezzo al percorso del montaggio, quasi a sottolineare il superamento di ogni distinzione tra operai e impiegati».

Bene, quelle pareti di cristallo, che gli operai chiamano acquario, sono gli uffici che alla fine di ogni turno sono adibiti alla pièce. C'è un microfono, c'è il direttore con tutti i preposti aziendali al cui cospetto sono convocati gli operai.

La riunione si apre con la dettagliata delazione dei capi e/o dei team leader sugli errori commessi durante il turno dagli inconsapevoli operai, tralasciando naturalmente errori e ritardi provocati dal processo o dal prodotto.

L'audizione è obbligatoria per gli operai e lo spettacolo viene rappresentato nella pausa mensa. Quindi senza mangiare, dopo che quei poveracci hanno trascorso 10-11 ore lontano da casa, e dopo un turno massacrante di lavoro. Per espiare i propri peccati, il povero operaio messo in mezzo dalle gerarchie di fabbrica è costretto, al microfono, a scusarsi dinanzi a tutti magari di errori che neanche ricorda, vista la densità delle operazioni cui è stato sottoposto. Deve fornire convincenti prove del suo pentimento, nella speranza che la sua esibizione sia accolta con benevolenza dai capi e dal direttore e che scongiuri l'inevitabile contestazione e la multa.

Provvedimenti che scatteranno comunque in automatico dopo tre «messe», fino a provocare il licenziamento del malcapitato dopo alcune contestazioni disciplinari.

Molti obietteranno che è normale in una grande azienda effettuare un brainstorming, o un semplice feedback della giornata; senza scomodare Marx, credo sia inconcepibile imporlo in queste forme a operai già provati da una giornata alla catena per poche decine di euro al giorno e in un quadro di delazioni tipiche solo in un «universo concentrazionario», dove l'unico obiettivo è l'annullamento della persona umana, prima ancora che dell'operaio.


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Da: "Coord. Naz. per la Jugoslavia" 
Data: 13 gennaio 2011 23.56.06 GMT+01.00
Oggetto: [JUGOINFO] Visnjica broj 855



DISCENDENZA

<< Il padre Concezio fu un maresciallo dei Carabinieri d'origine abruzzese trasferitosi in Istria negli anni trenta, dove risiedette e prestò servizio fino al termine della II guerra mondiale quando venne occupata dalla Jugoslavia. Ivi conobbe la madre, Maria Zuccon, istriana del luogo. Negli anni della guerra la famiglia materna fu colpita da due tragici lutti: nel settembre del 1943 il nonno di Sergio, Giacomo Zuccon, fu sequestrato e infoibato da partigiani titini (i suoi resti verranno in seguito recuperati, assieme ad altri, nella foiba di Terli dai Vigili del Fuoco e riconosciuti dall'altra figlia Anna). Alcune settimane dopo, anche lo zio Giuseppe, fratello della madre, messosi alla ricerca del padre di cui non si avevano più notizie, cadde in un rastrellamento dei militari tedeschi che, scambiandolo per un partigiano o disertore, lo passarono per le armi.
A seguito di questi fatti e della seguente occupazione dell'intera regione da parte delle milizie iugoslave, i genitori di Sergio decisero di rifugiarsi presso i familiari del futuro marito a Chieti, dove subito dopo si sposano e dove nascerà nel 1952, Sergio. Quando Sergio aveva 14 anni, la famiglia Marchionne si sposta ancora, emigrando in OntarioCanada, dove si era già stabilita, esule dall'Istria, Anna Zuccon, zia materna di Sergio. >>


(credits: Serena M.)

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