Albania: la rinascita nazionalista
Per la prima volta nella storia recente dell'Albania il nazionalismo estremo ha una sua rappresentanza politica: l'Alleanza Rossonera. Un'intervista all'antropologa Armanda Kodra
Armanda Kodra, antropologa di Tirana, si occupa di balcanologia comparata, storia urbana e rapporti interetnici nei Balcani. Ha svolto una ricerca sull'eredità dei bazar ottomani e ha lavorato per diversi anni presso l'Istituto albanese di studi antropologici. Attualmente è ricercatrice presso la School of Slavonic and East European Studies di Londra, dove ha vinto la borsa Alexander Nash in Albanian Studies. Sta svolgendo una ricerca sulle ragioni che hanno portato all'aumento del nazionalismo albanese nei Balcani e sugli scambi transfrontalieri con particolar enfasi sul recente fenomeno dei matrimoni misti serbo-albanesi.
Il nazionalismo è sempre più presente nel discorso pubblico in Albania. E’ una novità?
Il nazionalismo nel discorso pubblico albanese non ha mai smesso di esistere, ma si è intensificato in particolar modo dopo la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo. Negli ultimi anni, inoltre, è emerso l’interesse dei media a espandere il mercato vendendo i propri prodotti agli albanesi oltre confine. Il fenomeno si è intensificato con l’emersione delle nuove tecnologie digitali introdotte dal gruppo Top Media, il maggiore gruppo mediatico del paese, che ha cominciato a nutrire il nazionalismo per attirare gli albanesi fuori dall’Albania. Questo esempio è stato seguito da altri media, e ha fatto sì che il nazionalismo diventasse anche merce di consumo.
La novità dell’ultimo anno è che per la prima volta nel discorso politico si è iniziato a parlare apertamente con un linguaggio nazionalista estremista, con forti elementi sciovinisti.
Dopo il crollo del comunismo Tirana si è però sempre vantata di essere un fattore di pace e stabilità nei Balcani, archiviando il sogno della Grande Albania e proclamando ufficialmente che gli albanesi si sarebbero riuniti solo all’interno dell’Unione europea...
Questo è stato parte del discorso ufficiale dei partiti, però non vi è mai stato un momento in cui si sia parlato in termini non nazionalisti sul tema della patria, della storia degli albanesi, della storia nazionale, della letteratura o delle arti. Non abbiamo avuto un’alternativa civica, con poche eccezioni, e la storia nazional-comunista non è mai stata messa in discussione.
Ad esempio non è mai stata messa in discussione la narrazione nazionalista sulle origini illiriche e pelasgiche degli albanesi, o il concetto delle terre etniche albanesi “rimaste ingiustamente fuori dai confini dell’Albania”. Il testo "Storia albanese", pubblicato dall’Accademia delle Scienze dell’Albania all’inizio del 2000, si distingue poco dall’edizione del 1959. L’espressione invece che ci riuniremo nell’UE non cela più di tanto “l’irrisolta causa nazionale albanese”.
Attualmente esiste secondo lei un progetto politico segreto di riunificazione?
Non sono in grado di affermare una cosa del genere. Non credo. Sono sempre scettica riguardo ad eventuali progetti segreti, non perché non esistano, ma perché non si può mai sapere quanto facciano sul serio i loro ideatori.
Dubito fortemente anche che la nostra élite politica abbia degli ideali, a parte il profitto personale. Se vi sono stati progetti del genere in passato si sarà trattato probabilmente di un piano B da attuare nel caso in cui le altre manipolazioni non fossero state più sufficienti per mantenere il potere.
Per quanto riguarda gli intellettuali, invece, la questione è diversa. Sono sempre stati motivati da una prospettiva del genere. In Albania viene considerato un intellettuale degno di questo nome solo chi si impegna al servizio della nazione.
Perché quest'apertura senza veli al nazionalismo avviene proprio ora? Non è un paradosso dato che l’Albania sta uscendo sempre più dall'isolamento del passato: i rapporti con i vicini sono molto costruttivi, il libero movimento nei Balcani e nell’area Schengen...
Avviene ora perché l’indipendenza del Kosovo ha dato la libertà ai kosovari di pretendere quello che le élite di Tirana avevano promesso: essere un'unica nazione. Queste idee vengono oggi articolate sempre più anche perché non vi sono più gli ostacoli che impedivano di mettere in piedi attività comuni. Abbiamo mass media in comune, dalla parte kosovara arriva il messaggio di volersi riunire, e in Albania non vi è opposizione a questo poiché in fondo tutti a scuola hanno imparato che la causa albanese è tuttora irrisolta.
Inoltre, la sostanziale mancanza di differenze tra il Partito democratico, il Partito socialista e le loro clientele fanno del nazionalismo un’alternativa che la gente potrebbe percepire come l’unico ideale in mezzo a tanta mancanza di scrupoli.
Bruxelles non è più una prospettiva attraente?
Bruxelles è sempre una prospettiva attraente per gli albanesi. A mio avviso se avessimo ottenuto una data per l’inizio dei negoziati per l'ingresso UE i toni del premier Sali Berisha non sarebbero ora così nazionalisti, non avrebbe promesso i passaporti albanesi a tutti gli albanesi etnici, perché Berisha sarebbe stato orgoglioso di aver portato il paese più vicino all’UE.
Il premier si è reinventato in veste nazionalista?
No, Berisha fa tutto per il potere. Se il cosmopolitismo fosse un’ideologia che lo legittima a mantenere il potere, lui diventerebbe un filosofo del cosmopolitismo.
Fino a che punto può arrivare con il suo nazionalismo?
Non lo so. Quel poco che si può dire con certezza di Berisha e dei politici albanesi è che sono assolutamente irresponsabili e imprevedibili. Se i rappresentanti UE e USA non si oppongono a queste iniziative, può darsi che continui a fare il nazionalista almeno fino alle prossime elezioni.
Quanto contano UE e USA oggi in Albania?
Riguardo alla loro importanza, direi che è enorme. Ma dovrebbero fare più pressioni. Sono forse gli unici che fanno sì che i nostri politici feudali non ci schiaccino del tutto.
Le reazioni negative di UE e USA però dovrebbero dissuadere gli albanesi dal sostenere leadership nazionaliste...
Credo che Berisha sia diventato un nazionalista per fare in modo che l’Alleanza Rossonera non porti via elettori al suo Partito democratico. La strategia di Berisha per un verso rafforza la sua immagine presso gli albanesi oltre confine, per l’altro conserva degli equilibri elettorali. Per ora non vi sono formazioni politiche non nazionaliste. Alcuni sono più moderati, vogliono la riunificazione ma evitando guerre, altri sono pronti ad andare in guerra.
Ci sono diversi tipi di nazionalismo?
Sì, abbiamo un pluralismo di nazionalismi. Abbiamo un nazional-cattolicesimo, un nazional-islamismo, quelli che dicono che la sinistra ha venduto l’Albania alla Jugoslavia, quello dei socialisti che sostengono che re Zog era un traditore e che i nazionalisti ci hanno venduto ai nazi-fascisti. Ciascuno di essi sostiene naturalmente di essere il vero nazionalismo.
Che tipo di conseguenze può avere questo nazionalismo fuori dall’Albania?
Creerà tensioni nei rapporti etnici in Macedonia e in Serbia. Destabilizzerà la Macedonia facendo aumentare a sproposito le speranze dei kosovari di integrarsi in un unico stato albanese con l’Albania. Il governo macedone ha fatto il possibile per far in modo che la situazione non degeneri tra albanesi e macedoni, ma i rapporti tra i due gruppi sono congelati e vi è scarsa fiducia in un futuro migliore. Nel sud della Serbia non vi sono sforzi seri da parte del governo di Belgrado per migliorare i rapporti interetnici, e il nazionalismo proveniente da Tirana non fa che peggiorare le cose anche a livello micro, nell’interazione tra i cittadini.
Vi è da temere il peggio?
Nessuno può dirlo. Ma quando il male diventa banale, e quindi presente ovunque fino al punto che non ci si accorge più del fatto che esista, è possibile che si crei una galvanizzazione difficile da tenere sotto controllo. E se qualche politico vorrà sfruttare le circostanze per andare al potere, la situazione diventerà esplosiva. Non dobbiamo mai dimenticarci della fine della Jugoslavia.
Pensa che i nazionalisti albanesi abbiano un programma politico concreto quando parlano della riunificazione delle terre albanesi?
Il progetto politico è sempre esistito. E’ il progetto che ha spinto alla rivolta armata in Kosovo, quello che è stato sostenuto anche da Enver Hoxha e dal partito comunista albanese, quello da cui è nato l’UCK in Svizzera, e che oggi viene portato avanti da Vetevendosja in Kosovo e da Koço Danaj in Albania. Non penso però che questo progetto abbia il sostegno dello stato albanese dopo il 1990. Ma non significa che ciò non possa accadere.
Oggi, con un mercato televisivo comune, l’Autostrada della Nazione che accorcia le distanze tra Pristina e Tirana, il libero movimento, gli scambi economici, i social network e numerosi eventi pan-albanesi, ha senso parlare di rimozione di confini?
Non ha senso. Però il nazionalismo albanese è rimasto quello dei tempi di Rilindja, non ha nulla di civico o di pragmatico. Il problema è che il sostegno all’Albania etnica in Kosovo e in Albania è sempre in crescita, in base a quanto rilevano i sondaggi di ICG e Gallup Balkan Monitor. La domanda da porre oggi sarebbe: siete davvero disposti ad affrontare una guerra per l’Albania etnica?
A leggere i commenti nei forum albanofoni c’è da spaventarsi, sembra che ci sia gente che non vede l’ora di andare in guerra. Però nei vari sondaggi non è mai stata posta questa domanda.
Bisogna spiegare che la “riunificazione delle terre albanesi” non si può fare senza una guerra balcanica tra l’Albania, la Grecia, la Macedonia, la Serbia e il Montenegro. Inutile menzionare che tipo di conseguenze distruttive potrebbe avere per l’Albania, e che tipo di disastro umano comporterebbe.
Io penso che l’unica possibilità sia di creare una forma di Benelux balcanica tra tutti i paesi balcanici. Altrimenti saremo sempre una periferia inquieta dell’Europa.