di Giulietto Chiesa | 18 gennaio 2014
La Syrie loyaliste : grand vainqueur de la Bataille de Montreuxhttp://www.mondialisation.ca/la-syrie-loyaliste-grand-vainqueur-de-la-bataille-de-montreux/5366411
http://www.michelcollon.info/France-elites-et-medias-versent,4439.html
Belges en Syrie : Ni angélisme, ni diabolisation, juste la réalité
http://www.michelcollon.info/Belges-en-Syrie-Ni-angelisme-ni.html
Rapport sur les « crimes de guerre commis contre le peuple syrien » : les pacifistes turcs accusent
http://www.michelcollon.info/Rapport-sur-les-crimes-de-guerre.html
Pour en connaître davantage, voici le livre de Bahar Kimyongür :
Syriana, la conquête continue
http://www.youtube.com/watch ?v=rr13TFvWq10
http://www.youtube.com/watch ?v=jra2o603Bi4
http://www.youtube.com/watch ?v=ACZAIuxDDPc
http://www.youtube.com/watch ?v=114zELUhH2Y
Montreux - Bouthaina Shaaban, conseillère d’al-Assad, répond à Kerry et aux mensonges des opposants
Majda Tatarević
Un trafficante convertito al wahabismo
Legami privilegiati
Kosovo : arrestations de « volontaires pour la Syrie » de retour au pays
Par Vehbi Kajtazi
Genc S. a combattu en Syrie, son nom de guerre est Abu Hafs Al Albani. Il a été arrêté le 6 novembre par la police du Kosovo. D’autres personnes ont aussi été interpellées lors d’une opération menée à Pristina et à Gjilan/Gnjilane, où des armes et des explosifs ont été découverts.
Quatre individus, Valon Sh., Musli H., Ardian M. et Nuredin S. ont été arrêtées. Ces hommes sont soupçonnés de terrorisme, et d’intolérance religieuse et raciale. Un autre homme, Bekim M., est soupçonné d’avoir participé à l’agression, le 3 novembre à Pristina, de deux citoyens américains, membres d’une organisation chrétienne, qui distribuaient des brochures religieuses.
Selon nos informations, les personnes arrêtées auraient des liens très étroits avec certains combattants partis en Syrie. Ces derniers auraient rejoint le Front Al Nosra, une organisation considérée comme « terroriste » par les Nations-Unies, les États-Unis et la Grande-Bretagne. Cent cinquante Kosovars combattraient au sein de ce groupe, lié à Al-Qaïda. Trois d’entre eux ont été tués.
Selon nos sources, de plus en plus de citoyens du Kosovo partent vers la Syrie. Jusqu’à présent, rien n’a été fait pour les en empêcher. Selon certaines administrations d’État, ces combattants représentent pourtant un danger pour le pays. Les services secrets estiment que les volontaires qui se battent en Syrie ont certainement été endoctrinés « pour faire la guerre sainte » et qu’ils pourraient entreprendre des actions terroristes une fois rentrés au pays.
L’organisation humanitaire turque IHH organiserait le recrutement des Albanais. Selon l’agence iranienne FARS, le dernier groupe d’Albanais à être parti vers la Syrie comptait quatre-vingt-dix personnes. Depuis Tirana, ils ont rejoint Istanbul par le vol 1078 de la compagnie Turkish Airlines, le 30 juin 2013. Ils n’ont pas combattu aux côtés de l’Armée syrienne libre, mais ont rejoint des groupes liés à Al Qaïda.
20. 12. 2013 - IL PICCOLO
- Fa paura il ritorno a casa dei ribelli balcanici in Siria
«I cittadini del Kosovo non devono impegnarsi in guerre in giro per il mondo». E il Paese non diventerà «un’oasi sicura» per radicali islamici ed estremisti, la recente promessa della presidentessa kosovara, Atifete Jahjaga. «Non dobbiamo abbassare la guardia, consapevoli che quello terroristico è un contagio possibile laddove ci sono forti ragioni per ideologizzare le minoranze», l’allarme lanciato dal ministro della Difesa italiano, Mario Mauro, subito dopo la visita a Pristina, a inizio settimana.
Due dichiarazioni di alto profilo che lasciano intendere che la questione, sempre più presente sulle pagine dei giornali locali, dei giovani balcanici finiti in Siria a combattere nelle file dei ribelli preoccupa, nei Balcani e oltre. Nessuna sorpresa. Un rapporto dei servizi di sicurezza tedeschi, reso pubblico da “Der Spiegel” già a ottobre, ha confermato che più di un migliaio di «jihadisti» europei «combattono oggi in Siria», quattro volte in più rispetto a fine 2012. Tanti arrivano dal Kosovo, circa 150, ma sono un centinaio anche i bosniaci. Secondo alcune stime della polizia di Belgrado, sarebbero invece una cinquantina quelli partiti dalla regione serba del Sangiaccato. Tutti giovani, spesso appena maggiorenni, reclutati da organizzazioni islamiste ultraradicali. Chi ha abboccato alla loro esca è stato il giovane serbo Mirza Ganic, 19 anni, ex studente modello di Novi Pazar, da mesi in Siria. Giovane assurto agli onori delle cronache dopo aver minacciato di morte via Facebook uno dei vicepremier serbi, Rasim Ljajic, e il ministro bosniaco responsabile della Sicurezza, Fahrudin Radoncic, due «puttane dell’Occidente». Ganic che in Siria combatte con il nome di battaglia di “Ebu Sheheed” e che usa i social network per raccontare la sua quotidianità di ribelle. E per promettere che continuerà a battersi, una volta a casa. «Triste» vedere «come funziona oggi la Bosnia», uno dei tanti commenti del giovane, «in prigione chi l’ha difesa, i criminali di guerra liberi». «Ma non importa più». Un giorno «torneremo» dalla Siria, forse per risolvere la situazione con metodi non pacifici.
Promessa da prendere tuttavia con le molle. Oltre all’episodio dell’attacco all’ambasciata Usa a Sarajevo nel 2011 e alla bomba alla stazione di polizia di Bugojno, nessun grave atto terroristico di matrice islamica è stato registrato in Bosnia e nei Balcani negli anni passati. Ma il pericolo non va sottovalutato, spiega al Piccolo il professor Vlado Azinovic, forse il massimo esperto nei Balcani di sicurezza e terrorismo e autore di “Al Qaeda in Bosnia: Myth or Present Danger”. «Non ci sono prove che persone che hanno combattuto in Siria abbiano commesso crimini in Europa o in Bosnia una volta rimpatriate e una ricerca su combattenti stranieri coinvolti in guerre passate ha svelato che solo uno su nove è stato implicato in qualche crimine» in tempo di pace, esordisce Azinovic. Nondimeno, è gente «addestrata militarmente, radicalizzata ideologicamente, potrebbe in teoria essere assoldata da organizzazioni criminali e terroristiche» e in generale «dobbiamo considerarli come un ragionevole pericolo».
Un pericolo ancora più serio in Bosnia, Paese «disgregato socialmente, eticamente ed economicamente», una «società dove principi e valori» che esistevano prima della guerra «sono scomparsi e dove questi individui hanno la possibilità di diventare modelli per le giovani generazioni, facili da radicalizzare». Così, quando i Ganic torneranno in Serbia, Bosnia e oltre saranno «pericolosi non solo dal punto di vista della sicurezza, ma anche sotto la veste sociale, perché il loro impatto e la loro influenza potrebbero essere molto forti». Ma chi sono i guerriglieri balcanici? Ci sono due generazioni, «quella dei veterani della guerra in Bosnia, al tempo radicalizzati da combattenti stranieri arrivati da Paesi arabi, oggi 40enni, che in Siria continuano la loro guerra santa». Il problema sono però «i teenager», illustra Azinovic. Giovani che arrivano «da famiglie povere, sono senza lavoro e con una formazione limitata, scappano dalla povertà». La religione, come al solito, è la facciata, «ideologia legittimante usata per giustificare la violenza». Violenza che qualcuno di essi, tornato un giorno a casa, potrebbe reimportare.
«I combattenti stranieri sono stati in Bosnia un ostacolo alla pace e lo saranno anche in Siria, saranno un problema per la Siria e per i loro Paesi d’origine» perché è gente per cui «la guerra non ha fine e quando saranno espulsi» dal Medio Oriente «cercheranno un modo per continuare a combattere altrove». O per scappare ancora da una quotidianità di pace, disoccupazione e speranze zero che a volte fa più paura di una guerra.
AC | solidarite-internationale-pcf.over-blog.net/
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
14/01/2014
L'accusa: 45 avvocati, giornalisti, parlamentari, sindacalisti, artisti turchi hanno pubblicato e trasmesso alle Nazioni Unite un rapporto (*) che condanna i "crimini contro il popolo della Siria", che riferisce delle azioni dei gruppi jihadisti e della guerra di aggressione contro la Siria.
L'"Associazione turca per la Pace" e gli "Avvocati per la giustizia" preparano da diversi mesi un rapporto preliminare per intentare procedimenti penali contro i criminali di guerra in Siria e i loro sostenitori. Intendono adire i tribunali turchi e soprattutto la corte internazionale. Il rapporto è stato presentato alla Commissione d'indagine indipendente dell'ONU sui crimini commessi in Siria.
L'idea è quella di creare l'equivalente del Tribunale Russell per i crimini di guerra in Vietnam nel 1960, proseguito per le guerre in Iraq e in Palestina, per giudicare i crimini commessi dall'imperialismo.
A loro credito, gli avvocati e i giornalisti turchi conoscono molto bene il terreno: sia perché esperti delle regioni di confine turco, o come partecipanti di gruppi di inchiesta in visita in Siria o in quanto reporter di guerra in Siria.
Gli avvocati turchi si basano sullo "Statuto di Roma" previsto dalla Corte penale internazionale (CPI) e classificano i crimini commessi in Siria in tre tipi: crimini di aggressione, crimini di guerra e crimini contro l'umanità.
Il primo ordine di crimini fonda l'accusa, gli altri due sono strettamente collegati alle attività delle bande criminali in Siria.
Una guerra di aggressione: un crimine contro il popolo della Siria
L'accusa posa sul concetto di "guerra di aggressione", riconosciuta in un emendamento dello Statuto di Roma del 2005, che riguarda di norma uno Stato aggressore.
Tuttavia la definizione comprende "l'invio, a nome di uno Stato, di bande, gruppi armati, truppe irregolari o mercenari per intraprendere una lotta armata contro uno Stato".
Così per l'Associazione per la Pace, si tratta in primo luogo di denunciare gli istigatori, i cosiddetti "Amici della Siria", riuniti a Tunisi nel mese di febbraio 2012 e a Doha nel giugno 2013, che hanno da subito riconosciuto il Consiglio nazionale siriano, sostenendo in tal modo la ribellione armata.
Nella lista degli imputati, spiccano cinque nomi: Stati Uniti, Arabia Saudita, Qatar, Israele, Turchia.
Non sorprende affatto il coinvolgimento statunitense, sostiene l'Associazione, ricordando i piani per eliminare qualsiasi ostacolo al progetto del "Grande Medio Oriente", passando per Iraq, Siria e infine Iran. Gli USA dialogano con i gruppi armati, i gruppi di coordinamento, forniscono comprovato sostegno finanziario e logistico.
L'Arabia Saudita dal canto suo, cerca di isolare l'Iran e creare una Siria sunnita sotto il protettorato saudita. Lo stato sta investendo miliardi per armare i combattenti, formarli e guidarli direttamente in vista degli obiettivi di potenza regionale.
Per quanto riguarda il Qatar, ha sostenuto la ribellione armata sin dall'inizio, ha ospitato l'incontro di Doha nel giugno 2013. All'epoca il Primo Ministro del Qatar ha dichiarato che il "sostegno armato era l'unico modo per raggiungere la pace". Da allora ha misurato la sua posizione, cercando una conciliazione tramite l'Autorità palestinese.
Infine, l'intervento di Israele non si è limitato a sostenere i gruppi armati: consegna di automezzi ai ribelli, minizioni all'uranio impoverito, soccorso ai combattenti negli ospedali israeliani, progetto di intervento internazionale coordinato da Israele.
La Turchia, in quanto base arretrata della ribellione armata, è il primo paese sul banco degli imputati
Ma è sulla Turchia che il dossier è più dettagliato, trovandosi la sua politica imperialista neo-ottomana sempre più in contrasto con la cosiddetta "politica di zero problemi con i vicini", che aveva precedentemente determinato relazioni pacifiche con la Siria.
La Turchia ha ospitato la nascita del Consiglio nazionale siriano nel mese di agosto 2011, nel maggio 2012 ha sospeso le relazioni diplomatiche con la Siria, escluso i diplomatici siriani.
Infine, nel settembre 2012, Erdogan aveva anche confidato al Washington Post che la Turchia ha fornito supporto logistico ai ribelli, aggiungendo, in analogia con l'intervento americano in Iraq: "Dobbiamo fare quello che è necessario, e lo faremo".
Gli atti di concreta cooperazione tra Turchia e ribelli sono centinaia: i ribelli utilizzano la Turchia come base arretrata di ripiegamento e circuito di rifornimento privilegiato.
Basta ricordare che le basi di addestramento del cosiddetto Esercito libero siriano si trovano nella provincia turca di confine di Hatay, che i campi profughi si rivelano essere le basi di ripiegamento degli jihadisti e che, infine, la Turchia è il paese di transito per le armi dal Golfo.
E' sempre più probabile che sia attraverso la Turchia che i ribelli siano stati in grado di dotarsi di un equipaggiamento chimico, cosa indicata in una lettera di 12 ex alti funzionari dei servizi segreti degli Stati Uniti al presidente Obama.
Ultimo scandalo in ordine di tempo, il 15 dicembre scorso è stato rivelato che secondo un'indagine dell'ONU, dal giugno 2013 una quantità non inferiore alle 47 tonnellate di armi e munizioni sono circolate tra la Turchia e la Siria!
Lo Stato turco ha volontariamente fatto del confine una zona di non-diritto, dove prosperano i traffici di ogni tipo (armi, automezzi). I controlli alle frontiere sono impossibili, il confine è appannaggio delle milizie islamiste, delle bande di teppisti e dei trafficanti di ogni genere.
Tuttavia, il governo turco controlla le informazioni di vitale importanza. Gli avvocati forniscono l'esempio di quel jihadista turco (Burak Yazici) morto in Siria, che le autorità turche avevano individuato ma fatto passare per combattere il regime di Assad.
Gli jihadisti di Al Qaeda pattugliano le strade delle città della Turchia meridionale. Human Rights Watch è indignato dall'ipocrisia turca che "accorda un rifugio sicuro a dei criminali di guerra, persone che hanno violato i diritti umani".
Il 7 novembre ultimo scorso, è stato trovato un camion pieno di lanciarazzi, bombe e armi fabbricate nello stabilimento di Konya in Turchia, destinato alla Siria, guidato da Heysem Topalca, combattente in Siria ma mai indagato... perché vicino ai servizi segreti turchi.
L'"Esercito del crimine": sei gruppi terroristici per un'unica ondata di terrore sotto il pretesto della religione
Al-Qaeda, Esercito libero siriano (ELS), jihadisti e oppositori di tutte le risme: chi sono i ribelli siriani? Chi sono i criminali che agiscono agli ordini dei capi di questa guerra di aggressione contro il popolo siriano?
L'associazione divide questi criminali in sei gruppi, con separazioni complesse e mutevoli. Ha sottolineato che l'ESL e Al Qaeda dirigono questi gruppi, anche se non ritengono siano organizzazioni deboli dal punto di vista strutturale, orbitanti attorno a nuclei combattenti abbastanza addestrati.
Solo le forniture di armi saudite, coordinate dalla CIA, hanno potuto unire per un po' questi gruppi, intenti a regolare le loro rivalità per spartirsi il bottino.
Tra l'altro distinguere le bande prossime all'ESL o ad Al Qaeda è spesso impossibile, operando spesso insieme. Per esempio: Osman Karahan, un avvocato turco che lavorava per Al Qaeda, è morto ad Aleppo nel giugno 2012 mentre combatteva per l'ESL.
Primo gruppo jihadista in Siria: il Fronte islamico siriano, che conta tra 13 e 20.000 uomini, basato sulla Brigata Ahrar Al-Sham. Questo gruppo ha importanti legami con la Turchia, l'Iraq, è collegato con l'ESL e opera soprattutto nelle regioni curde.
Secondo gruppo, il Fronte di Liberazione Islamico, con cinque brigate: quella di Tawhid ad Aleppo legata all'ESL, la Farouk ad Aleppo e Homs vicina alla Turchia, le brigate islamiche (Damasco) e Al Haq (Homs) legate all'Arabia Saudita. Infine, la quinta brigata Suquour al-Sham, vicina ad Al Qaeda, finanziata dal Qatar. Quest'ultima conta 3.000 combattenti, la brigata dell'Islam 10.000.
Terzo gruppo: Ghuraba al-Sham costituito da un gran numero di cittadini turchi e specializzato, naturalmente, negli attacchi contro le zone curde.
Quarto gruppo: la brigata dei martiri di Idlib, sempre più controllata dall'organizzazione islamista radicale Suquour al-Sham finanziata dal Qatar, legata ad Al-Qaeda. La brigata Al-Resul, un'altra organizzazione islamista radicale, istituita e sostenuta dal Qatar.
Si noti che organizzazioni coinvolte oggi nei combattimenti non sono basate in Siria, ma in Libano o in Iraq, come la Brigata Abdullah Azzam, una organizzazione salafita basata in Libano, vicina ad Al Qaeda o Jund al-Sham composta da jihadisti palestinesi.
Si può anche pensare all'Esercito iracheno libero, recentemente formato da persone vicine all'ex presidente iracheno Tarik Al Hashimi. La maggior parte di questi gruppi operano direttamente con al-Qaeda.
Quinto gruppo e non ultimo, il Fronte Al-Nosra, organizzazione fondamentalista islamica che ha giurato fedeltà ad Al Qaeda nel mese di aprile 2013. Da giugno 2013 si stimano 70 attentati commessi da questa organizzazione terroristica, che tende a prendere il sopravvento nella ribellione.
Si può anche aggiungere infine lo Stato Islamico in Iraq e Sham (ISIS), forte a Homs, Ar-Raqqah e Azez, le cui truppe conducono regolarmente attacchi contro i curdi e vanno e vengono dalla frontiera turco-siriana, e anche giordana.
Crimini di guerra, crimini contro l'umanità: una lunga lista di martiri del popolo siriano
Gli avvocati turchi indicano almeno 19 casi di crimini di guerra secondo lo Statuto di Roma e 10 casi di crimini contro l'umanità riconosciuti dall'articolo 7 dello Statuto (le due definizioni sono spesso confuse nella cosiddetta guerra civile in Siria).
Omicidi e massacri: L'Associazione fornisce come prova il caso di 22 attacchi mortali, soprattutto attraverso bombardamenti, direttamente attribuiti ai gruppi ribelli e da loro rivendicati.
Tra i più importanti, si può ricorda l'autobomba esplosa il 28 novembre 2012 in un quartiere multietnico, popolato da cristiani e drusi, a Jaramana. Risultato: 34 morti e 83 feriti.
Il 29 gennaio 2013, sono stati trovati 80 corpi, la maggior parte bambini, le mani legate dietro la schiena, lungo il fiume Quiq ad Aleppo, regione controllata dall'ESL.
Infine, il 21 febbraio 2013, una serie di esplosioni rivendicate da Al Qaeda, a Damasco, con 161 morti e 500 feriti.
Sterminio di gruppi razziali e religiosi: gli attacchi contro le minoranze religiose (cristiani, sciiti) o etniche (curdi, drusi, alawiti) si moltiplicano. Basti citare gli attacchi alle comunità alawita e curda a Latakia.
I militanti di Al-Nosra hanno attaccato otto villaggi il 4 agosto in Latakia. Dopo il bombardamento, gli jihadisti hanno terminato il massacro con asce, coltelli e machete. Centinaia di morti: tutti gli abitanti del villaggio di Hrrata sono morti, 12 sopravvissuti a Nabata.
A Balluta, gli jihadisti hanno prima massacrato i bambini radunati nella piazza del paese, poi gli adulti. Secondo il rapporto di Human Rights Watch, 190 persone sono state trucidate, ma le cifre potrebbero essere sottostimate.
Armi chimiche: il loro uso è dimostrato, almeno per l'attacco nella regione orientale di Guta, Damasco, il 21 agosto. Mentre la Siria di Assad è stata frettolosamente accusata dell'attacco, i fatti indicano una direzione diversa.
La Russia aveva già sottolineato che i missili erano stati lanciati da una zona sotto il controllo di Liwa al-Islam, milizia islamica. Nel mese di maggio 2013, l'esercito siriano aveva già trovato su soldati di Al-Nosra campioni di gas sarin o altre armi di distruzione di massa più raffinate.
Più tardi, nell'ottobre 2013, l'esplosione di una bomba al confine turco, in una zona controllata dai curdi presso Ras al Ayn, potrebbe essere stata accompagnata da armi chimiche a giudicare dai sintomi di avvelenamento di alcuni combattenti e dal fumo giallo dell'esplosione.
Non dimentichiamo che anche Carla del Ponte, membro della Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite, ha confermato che non vi era alcuna prova che il governo siriano avesse usato tali armi, ma poteva essere il caso dei ribelli siriani.
Gli attacchi contro edifici scolastici, religiosi, culturali: sono frequenti, più di 2.000 scuole sono state distrutte nei combattimenti. Nel gennaio 2013, l'ospedale francese di Aleppo è stato vittima di un attentato con autobomba firmato Al-Nosra.
Il 28 marzo 2013, l'Università di Damasco è stato vittima di un attacco di mortaio che ha mietuto 15 persone e ferite 20. Il 21 marzo, la moschea di Eman si è trovata nel mirino durante la preghiera del venerdì, l'imam, pro-Assad, Sheikh Mohammed Said Ramadan al-Buti è stato ucciso, così come altre 42 persone.
I più grandi monumenti della ricca storia siriana, censiti dall'UNESCO, sono stati pesantemente danneggiati, depredati: si può pensare al [castello medievale] Krak dei Cavalieri, Palmyre, alla vecchia città di Damasco, agli edifici di Aleppo, al bazar di Al-Madinah o alla Grande Moschea di Aleppo.
Molestie sessuali e stupri: è stato dimostrato che Al Qaeda e le organizzazioni collegate all'ESL hanno stuprato migliaia di donne e bambini. Secondo la ONG "Donne sotto assedio" vi sono prove che nel 2012 vi sono stati 100 casi di stupro, l'80% nei confronti di donne o ragazze. Le cifre sono grossolanamente sottovalutate.
Tutte le denunce di "Avvocati per la giustizia" in Turchia non hanno portato ad alcuna azione concreta contro i criminali di guerra e contro i loro complici.
Eppure l'attacco islamista a Reyhanli, sul confine turco-siriano nello scorso maggio che ha mietuto 46 persone, ha risvegliato la coscienza del popolo turco. Questo è stato il punto di partenza della "ribellione di giugno", che ha scosso il regime autoritario di Erdogan, ora vacillante sotto il peso degli scandali.
Ora, gli avvocati amanti della giustizia, i giornalisti amici della pace, i parlamentari desiderosi di verità si rivolgono all'opinione pubblica internazionale: bisogna esprimere un grande movimento di solidarietà con il popolo siriano, vittima di una guerra di aggressione. Che la verità sia detta e la giustizia sia fatta contro i criminali di guerra che infuriano in Siria!
* Il rapporto completo (in inglese) è disponibile al link: http://pwlasowa.blogspot.fr/2014/01/war-crimes-committed-against-people-of.html
Par Bahar Kimyongür - Mondialisation.ca, 23 janvier 2014
La guerra dei Saud contro la Siria
Bahar Kimyongür, Global Research, 23 gennaio 2014
Qualsiasi osservatore del conflitto siriano desideroso di saperne di più sulla rivolta anti-regime avrà qualche difficoltà a poterlo fare, data l’inflazione di gruppi armati, oramai oltre un migliaio. La guerra fratricida in cui sono sprofondate le principali milizie jihadiste dall’inizio dell’anno, evidenzia la confusione particolare su ruolo ed evoluzione di al-Qaida nel conflitto. Eppure, al di là delle rivalità economiche e territoriali, la stessa ideologia e la stessa strategia le uniscono e le collegano a un attore chiave nella guerra siriana: il regno dell’Arabia Saudita.
Il wahhabismo siriano prima della guerra
Il movimento religioso fu fondato circa 250 anni dal predicatore estremista Muhammad bin Abdul Wahhab nel Najd in Arabia Saudita, non è una moda apparsa improvvisamente in Siria e favorevole alla primavera araba. Il wahhabismo ha una forte base sociale nei siriani che da diversi anni vivono in Arabia Saudita e altre teocrazie della penisola araba. In Siria, gli immigrati del Golfo sono singolarmente chiamati “sauditi” perché al loro ritorno a casa vengono confusi con i veri sauditi. La maggior parte di tali emigranti di ritorno, infatti, sono impregnati di puritanesimo rituale, di costume, familiare e sociale che caratterizza i regni wahhabiti (1). Ma il wahabismo siriano è anche composto da predicatori salafiti espulsi dal regime di Damasco e ospitati dai regni del Golfo. Nonostante la distanza e la repressione, questi esuli poterono mantenere le reti d’influenza salafite nelle loro regioni e tribù originali. La proliferazione dei canali satellitari wahhabiti in Siria ha rafforzato la popolarità di alcuni esuli siriani convertitisi al “tele-coranismo”. Il più rappresentativo di questi è probabilmente Adnan Arur. Esiliato in Arabia Saudita, lo sceicco della discordia (fitna) com’è soprannominato, anima diversi programmi su Wasal TV e Safa TV, dove ha reso popolari i discorsi anti-sciiti e anti-alawiti, tra cui quello in cui chiede di “macellare gli alawiti e gettarne la carne ai cani.” 
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