Cattiva Memoria
1) Trieste 18/2: LA CATTIVA MEMORIA
2) M. Seleni: Caro amico romano, ecco il mio augurio per il Giorno del Ricordo
=== 1 ===
Trieste, martedì 18 febbraio 2014
alle ore 18 in via Tarabocchia 3, sala PRC
Il Gruppo di Resistenza Storica,
la Redazione di www.diecifebbraio.info,
il Coordinamento Antifascista di Trieste,
la Redazione di www.diecifebbraio.info,
il Coordinamento Antifascista di Trieste,
con la collaborazione e l’adesione
del Partito della Rifondazione Comunista
e del Partito dei Comunisti Italiani
promuovono il convegno
LA CATTIVA MEMORIA.
Le falsificazioni storiche
attorno ai giorni
della Memoria e del Ricordo
martedì 18 febbraio 2014 ore 18
via Tarabocchia 3, sala PRC primo piano.
La memoria di Trieste e l’amnesia sulla sede dell’Ispettorato Speciale; la recensione dello spettacolo Magazzino 18 e la costruzione di una finta memoria; il linguaggio delle cerimonie e degli articoli; le ripercussioni internazionali; il recentissimo video curato dalla Guardia di Finanza.
Partecipano:
Vincenzo CERCEO, Claudia CERNIGOI,
Claudio COSSU, Alessandra KERSEVAN,
Samo PAHOR, Federico TENCA MONTINI.
Seguirà dibattito.
per contatti: Claudia Cernigoi <nuovaalabarda @ gmail.com>
evento Facebook: https://www.facebook.com/events/1466236380264774/
del Partito della Rifondazione Comunista
e del Partito dei Comunisti Italiani
promuovono il convegno
LA CATTIVA MEMORIA.
Le falsificazioni storiche
attorno ai giorni
della Memoria e del Ricordo
martedì 18 febbraio 2014 ore 18
via Tarabocchia 3, sala PRC primo piano.
La memoria di Trieste e l’amnesia sulla sede dell’Ispettorato Speciale; la recensione dello spettacolo Magazzino 18 e la costruzione di una finta memoria; il linguaggio delle cerimonie e degli articoli; le ripercussioni internazionali; il recentissimo video curato dalla Guardia di Finanza.
Partecipano:
Vincenzo CERCEO, Claudia CERNIGOI,
Claudio COSSU, Alessandra KERSEVAN,
Samo PAHOR, Federico TENCA MONTINI.
Seguirà dibattito.
per contatti: Claudia Cernigoi <nuovaalabarda @ gmail.com>
evento Facebook: https://www.facebook.com/events/1466236380264774/
=== 2 ===
A seguito di questo semplice e giusto articolo, l'autrice Martina Seleni è stata sottoposta a virulenti attacchi sul suo blog da parte di Simone Cristicchi - si vedano i commenti alla pagina:
Una triestina a Roma
di Martina Seleni
Caro amico romano, ecco il mio augurio per il Giorno del Ricordo
Caro amico romano, che non conosci la storia della mia terra, ora cercherò di spiegarti che cosa sia, per me, il Giorno del Ricordo.
Vivo a Roma da quattro anni, ma non ho mai perso il mio accento triestino, di cui vado molto fiera e che coltivo con cura. Sentendomi parlare, spesso la gente di qua all’inizio mi prende per straniera: tedesca o francese. Allora, io spiego che vengo da Trieste. E a questo punto, la risposta del mio interlocutore si lega inesorabilmente ad una di queste due reazioni. PRIMA REAZIONE (mi guarda con occhi gioiosi ed esclama entusiasta): “Ah, che bello, ci sono stato: ricordo quella grandissima piazza sul mare, i palazzi austriaci, il castello…”. SECONDA REAZIONE (mi guarda con aria grave e contrita, e balbetta come se fosse assolutamente certo di andare a riaprire mie antiche ferite): “Oh… la città delle foibe… ho visto anche la fiction su Rai1… qual è, se non ti turba troppo parlarne, la tua esperienza della violenza slavo-comunista perpetrata contro noi italiani?…”.
Bene. A questo punto, io di solito prendo un bel respiro, e racconto la mia storia. La storia del mio essere italiana. Che però è molto diversa da quella che si aspetta il mio interlocutore. Racconto che i miei nonni paterni, sloveni, erano commercianti: avevano una bottega di alimentari in via San Lazzaro. E che durante il fascismo erano stati “invitati” – diciamo così – a rinunciare alla loro nazionalità, perché a Trieste in quel periodo bisognavaessere italiani. E quindi, per evitare ritorsioni, per non subire violenze, mio nonno, che si chiamava “Ivan Zelen”, aveva accettato che il suo nome venisse trasformato in “Giovanni Seleni”, ed aveva abbandonato lo sloveno per l’italiano. La rinuncia alla sua identità gli era valsa, in quel frangente, di aver salva l’attività commerciale… ma i miei nonni avrebbero vissuto la snazionalizzazione con un senso di colpa che li avrebbe accompagnati per tutta la vita, portandoli quasi alla follia.
Poi, c’erano stati anche degli slavi che non si erano piegati, per quieto vivere, a questo tipo di ricatti. Oddio, non solo slavi, eh? Era un gruppo di persone eterogeneo, di nazionalità, appartenenza politica e credo religioso diversissimi, accomunate solo dall’aver partecipato alla resistenza al nazi-fascismo. Resistenza ad un mostro che ti ringhiava contro: “non puoi essere ebreo, non puoi essere omosessuale, non puoi essere questo e non puoi essere quello!”. Dalle mie parti, ringhiava pure “non puoi essere slavo”. Molte delle persone che fecero resistenza per poter essere slave, pagarono un prezzo ben più alto dei sensi di colpa che tormentarono i miei nonni fino alla morte. E a me piace che queste persone vengano ricordate molto bene, quando si parla della mia terra.
Così, finisco di raccontare la storia della mia famiglia al mio interlocutore romano. E sapete che cosa accade a questo punto? Accade che il malcapitato mi guarda stordito, senza parole… senza capire bene quello che io gli stia dicendo. Forse, gli sta addirittura frullando per la testa il dubbio che io sia una violenta slavo-comunista che mangia i bambini.
Perché?
Ecco, il punto è questo. Ogni 10 febbraio, quando nel resto d’Italia si parla della storia della Venezia Giulia, i riflettori vengono puntati quasi esclusivamente sui drammi dell’Esodo e delle Foibe. E questo, soprattutto laddove lo strumento utilizzato sia una rappresentazione artistica destinata al pubblico di massa (mi vengono in mente certe fiction televisive o opere teatrali), rischia di creare fraintendimenti. Credo infatti che certi spettacoli, che magari non hanno la pretesa di sostituirsi a documenti storici, ma si propongono di suscitare nel pubblico emozioni forti, possano confondere le idee a chi non conosce la storia della Venezia Giulia.
Il ricordo dei drammi dell’Esodo e delle Foibe è sacrosanto. Per questo, caro amico romano, se desideri conoscere la storia della mia terra, ti invito a guardare i programmi che le reti televisive vorranno oggi dedicare all’argomento. Ma ti prego di considerarli per quello che sono: solo uno spunto di riflessione, da cui partire per una ricerca più completa.
A mio avviso, infatti, per capire davvero bene la storia della Venezia Giulia, bisognerebbe parlare anche della persecuzione nazi-fascista nei confronti della popolazione slava. Credo che questo pezzo di storia non possa essere ignorato (o sintetizzato frettolosamente in cinque minuti di orologio), da chi decide di divulgare in Italia rappresentazioni artistiche sull’argomento. E credo anche che queste rappresentazioni non dovrebbero ignorare il ricordo della lotta partigiana, compiuta da slavi ed italiani, per la liberazione dal mostro del nazi-fascismo nelle nostre terre.
La legge istitutiva del Giorno del Ricordo prevede che il 10 febbraio vadano approfondite, oltre alla questione dell’Esodo e delle Foibe, “le più complesse vicende del confine orientale”. Il mio augurio, caro amico romano, è che lo si inizi a fare per davvero. E che, magari, lo si faccia basandosi su solide fonti storiche, piuttosto che sull’emozione che può suscitare uno sceneggiato TV o una canzonetta più o meno orecchiabile.
Bene. A questo punto, io di solito prendo un bel respiro, e racconto la mia storia. La storia del mio essere italiana. Che però è molto diversa da quella che si aspetta il mio interlocutore. Racconto che i miei nonni paterni, sloveni, erano commercianti: avevano una bottega di alimentari in via San Lazzaro. E che durante il fascismo erano stati “invitati” – diciamo così – a rinunciare alla loro nazionalità, perché a Trieste in quel periodo bisognavaessere italiani. E quindi, per evitare ritorsioni, per non subire violenze, mio nonno, che si chiamava “Ivan Zelen”, aveva accettato che il suo nome venisse trasformato in “Giovanni Seleni”, ed aveva abbandonato lo sloveno per l’italiano. La rinuncia alla sua identità gli era valsa, in quel frangente, di aver salva l’attività commerciale… ma i miei nonni avrebbero vissuto la snazionalizzazione con un senso di colpa che li avrebbe accompagnati per tutta la vita, portandoli quasi alla follia.
Poi, c’erano stati anche degli slavi che non si erano piegati, per quieto vivere, a questo tipo di ricatti. Oddio, non solo slavi, eh? Era un gruppo di persone eterogeneo, di nazionalità, appartenenza politica e credo religioso diversissimi, accomunate solo dall’aver partecipato alla resistenza al nazi-fascismo. Resistenza ad un mostro che ti ringhiava contro: “non puoi essere ebreo, non puoi essere omosessuale, non puoi essere questo e non puoi essere quello!”. Dalle mie parti, ringhiava pure “non puoi essere slavo”. Molte delle persone che fecero resistenza per poter essere slave, pagarono un prezzo ben più alto dei sensi di colpa che tormentarono i miei nonni fino alla morte. E a me piace che queste persone vengano ricordate molto bene, quando si parla della mia terra.
Così, finisco di raccontare la storia della mia famiglia al mio interlocutore romano. E sapete che cosa accade a questo punto? Accade che il malcapitato mi guarda stordito, senza parole… senza capire bene quello che io gli stia dicendo. Forse, gli sta addirittura frullando per la testa il dubbio che io sia una violenta slavo-comunista che mangia i bambini.
Perché?
Ecco, il punto è questo. Ogni 10 febbraio, quando nel resto d’Italia si parla della storia della Venezia Giulia, i riflettori vengono puntati quasi esclusivamente sui drammi dell’Esodo e delle Foibe. E questo, soprattutto laddove lo strumento utilizzato sia una rappresentazione artistica destinata al pubblico di massa (mi vengono in mente certe fiction televisive o opere teatrali), rischia di creare fraintendimenti. Credo infatti che certi spettacoli, che magari non hanno la pretesa di sostituirsi a documenti storici, ma si propongono di suscitare nel pubblico emozioni forti, possano confondere le idee a chi non conosce la storia della Venezia Giulia.
Il ricordo dei drammi dell’Esodo e delle Foibe è sacrosanto. Per questo, caro amico romano, se desideri conoscere la storia della mia terra, ti invito a guardare i programmi che le reti televisive vorranno oggi dedicare all’argomento. Ma ti prego di considerarli per quello che sono: solo uno spunto di riflessione, da cui partire per una ricerca più completa.
A mio avviso, infatti, per capire davvero bene la storia della Venezia Giulia, bisognerebbe parlare anche della persecuzione nazi-fascista nei confronti della popolazione slava. Credo che questo pezzo di storia non possa essere ignorato (o sintetizzato frettolosamente in cinque minuti di orologio), da chi decide di divulgare in Italia rappresentazioni artistiche sull’argomento. E credo anche che queste rappresentazioni non dovrebbero ignorare il ricordo della lotta partigiana, compiuta da slavi ed italiani, per la liberazione dal mostro del nazi-fascismo nelle nostre terre.
La legge istitutiva del Giorno del Ricordo prevede che il 10 febbraio vadano approfondite, oltre alla questione dell’Esodo e delle Foibe, “le più complesse vicende del confine orientale”. Il mio augurio, caro amico romano, è che lo si inizi a fare per davvero. E che, magari, lo si faccia basandosi su solide fonti storiche, piuttosto che sull’emozione che può suscitare uno sceneggiato TV o una canzonetta più o meno orecchiabile.
Scritto lunedì, 10 febbraio, 2014 alle 18:30