Kosovo. Quello “Stato Islamico” voluto dalla Nato a due passi dall'Europa
di Sergio Cararo
Mercoledì, 2 Dicembre 2015
Do you remember le bombe su Belgrado e la “guerra umanitaria?” A cavallo tra il 1998 e il 1999, il progetto di disintegrazione della Jugoslavia – ostacolato dalla sola Repubblica Serba – portò la guerra in Europa e l'Europa in guerra per la prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale. Le potenze della Nato, Usa e governi europei, decisero che la Serbia andava punita definitivamente per essersi opposta alla dissoluzione della federazione jugoslava avviata unilateralmente dalla Germania (e dal Vaticano) ed imposta al resto dei paesi nel 1991.
In questo progetto un ruolo decisivo le ebbero le milizie croate nella prima fase e le milizie islamiche nella seconda. Prima in Bosnia e poi in Kosovo, i militari e i servizi segreti statunitensi, tedeschi, francesi, inglesi e italiani, addestrarono e supportarono militarmente i jihadisti locali e i foreign fighters che l'Arabia Saudita aveva arruolato prima in Afghanistan e poi in Cecenia. Dal 1993 in Bosnia e dal 1998 in Kosovo, gli uomini della Jihad globale hanno combattuto contro la Serbia per conto della Nato. L'Uck, l'armata delle ombre, erano esattamente questo. Quando poi è diventato indispensabile, hanno potuto usufruire direttamente dei bombardamenti della Nato contro le città della Repubblica Serba di Bosnia nel 1995 e contro Belgrado e le principali città serbe nel 1999.
Alla fine di un lungo e sanguinoso conflitto, una volta diradata la polvere, sul terreno rimaneva una Jugoslavia fatta a pezzi, una grande base militare statunitense in Kosovo (Campo Bondsteel), un nuovo stato indipendente e islamizzato (il Kosovo), gruppi armati jihadisti attivi in Bosnia, in Macedonia, in Albania e, ovviamente al governo, in Kosovo dove sono diventate le forze armate ufficiali di un narcostato.
In pratica con diversi anni di anticipo, le potenze della Nato hanno creato un precedente statuale di quello che oggi è lo Stato Islamico in Medio Oriente, il terribile regno dell'Isis. Lo hanno fatto coscientemente in funzione antiserba prima e antirussa subito dopo. Il risultato è che adesso a ridosso delle frontiere dell'Unione Europea (e nel prossimo futuro addirittura dentro), c'è un Isis giù fatto stato e riconosciuto internazionalmente, dove i gruppi jihadisti godono di basi di addestramento, appoggi logistici e possibilità di movimento. La cellula jihadista a cavallo tra l'Italia e il Kosovo, non è la prima che viene scoperta, e si scavasse appena un po' più in profondità se ne scoprirebbero molte di più. A confermare questo scenario è l'articolo di Enrico Piovesana, comparso ieri su Il Fatto Quotidiano e l'articolo di oggi del gen. Fabio Mini, che conosce assai bene la materia essendo stato il comandante del contingente Nato in Kosovo (la Kfor) per alcuni anni, anni in cui si è scontrato direttamente con la rete di complicità di cui gli jihadisti in Kosovo godevano da parte dei governi in Europa e negli Stati Uniti. In Siria si è ripetuto esattamente questo scenario e adesso, come allora, arrivano i bombardamenti della Coalizione Internazionale.
Il Kosovo “dimenticato dalla Nato” diventa il primo centro di reclutamento dell’Isis
di Enrico Piovesana (da Il Fatto Quotidiano del 1 dicembre)
L’operazione dell’Antiterrorismo e della Digos di Brescia, che ha portato all’arresto di quattro sospetti terroristi kosovari legati all’Isis, è un campanello d’allarme che riaccende l’attenzione su fenomeno pericolosamente sottovalutato e per certi versi incomprensibile. Il protettorato euro-atlantico del Kosovo è diventato il principale vivaio dell’Isis in Europa, nonostante sul suo piccolo territorio siano presenti 5000 soldati della missione Nato Kfor a guida italiana e 1.500 agenti della missione di polizia europea Eulex.
Secondo i dati del Ministero degli Interni di Pristina, sono almeno trecento i kosovari che sono andati in Siria a combattere con il Califfato e che fanno regolarmente avanti e indietro via Turchia e Macedonia, trasformando il Kosovo in una una pericolosa rampa di lancio per azioni terroristiche in Europa. Questo dato fa del Kosovo, che ha solo un milione e 800 mila abitanti, il principale serbatoio europeo pro-capite di foreign fighter dello Stato Islamico.
Referente dei quattro kosovari arrestati dalla polizia italiana è il comandante della ‘brigata balcanica’ dell’Isis formata da kosovari, bosniaci, albanesi, macedoni e montenegrini: il sanguinario jihadista kosovaro Lavdrim Muhaxheri (nome di battaglia, Abu Abdullah al Kosova), originario di Kačanik, ex roccaforte dell’Uck divenuta oggi principale centro di reclutamento dell’Isis in Kosovo – come racconta un recente servizio delle Iene.
Non solo Kačanik si trova a pochi chilometri dalla mega-base militare americana di Camp Bondsteel, ma Muhaxheri in quella base ci aveva anche lavorato fino al 2010 – come altri futuri jihadisti kosovari, tra cui il giovane kamikaze Blerim Heta – per poi continuare a lavorare per la Nato in Afghanistan fino al 2012, subito prima di partire per la Siria. Com’è possibile che tutto questo accada sotto gli occhi dell’apparato militare e di intelligence Nato e Ue che opera in Kosovo? “Kačanik e la storia di Muhaxheri sono solo la punta dell’iceberg – spiega a ilfattoquotidiano.it il generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato in Kosovo – perché tutto il territorio kosovaro, penso alla vale di Dreniča, pullula da anni di imam radicali che predicano la guerra santa e operano come reclutatori nelle centinaia di moschee finanziate dalle monarchie arabe. Questa situazione è potuta maturare nonostante le missioni internazionali presenti sul territorio, perché da tempo l’Europa e la Nato si disinteressano al Kosovo, e ai Balcani in generale, nonostante questa evoluzione fosse chiara da anni”.
L’allarme, in effetti, lo aveva già lanciato in modo molto chiaro nel 2009 Antonio Evangelista, ex comandante de missione Unmik in Kosovo e tra i massimi esperti europei di antiterrorismo. Nel suo libro Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa spiegava come gli orfani delle guerre balcaniche fossero preda, in Kosvo come in Bosnia, di una rete di caritatevoli predicatori wahabiti finanziata da organizzazioni pseudo-umanitarie di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait Qatar e Turchia, che li sottoponevano a un lavaggio del cervello trasformandoli in futuri martiri della jihad. Oggi quei ragazzi sono diventati grandi, pronti a combattere per l’Isis in Siria ma anche a casa loro, in Europa.