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Un articolo del New York Times ha appena rivelato il nome in codice della guerra segreta multinazionale della CIA in Siria: il caso dell’Operazione Legno di Platano (“Timber Sycamore“)...
Dietro la maschera «anti-Isis»
Manlio Dinucci
Quest’anno il Carnevale romano si apre il 2 febbraio, quando si esibisce alla Farnesina lo «small group», il piccolo gruppo ministeriale (23 paesi più la Ue) della «Coalizione globale anti-Daesh/Isis», co-presieduto dal segretario di Stato Usa John Kerry e dal ministro degli esteri Paolo Gentiloni. Ne fanno parte, mascherati da antiterroristi, i maggiori sponsor del terrorismo di «marca islamica», da decenni usato per minare e demolire gli Stati che ostacolano la strategia dell’impero.
Alla testa della sfilata in maschera gli Stati uniti e l’Arabia Saudita. Quelli che – documenta una inchiesta del New York Times (24 gennaio) – armano e addestrano i «ribelli» da infiltrare in Siria per l’operazione «Timber Sycamore», autorizzata segretamente dal presidente Obama nel 2013, condotta dalla Cia e finanziata da Riyad con milioni di dollari. Confermata dalle immagini video del senatore Usa John McCain che, in missione in Siria per conto della Casa Bianca, incontra nel maggio 2013 Al Baghdadi, il «califfo» a capo dell’Isis.
È l’ultima delle operazioni coperte Usa-Saudite, iniziate negli anni Settanta e Ottanta: per destabilizzare l’Angola e altri paesi africani, per armare e addestrare i mujahiddin in Afghanistan, per sostenere i contras in Nicaragua. Ciò spiega perché gli Stati uniti non criticano l’Arabia Saudita per la violazione dei diritti umani e la sostengono attivamente nella guerra che fa strage di civili nello Yemen.
Fanno parte del gruppo mascherato anche la Giordania e il Qatar dove, documenta il New York Times, la Cia ha costituito le basi di addestramento dei «ribelli», compresi «gruppi radicali come Al Qaeda», da infiltrare in Siria e altri paesi. Il Qatar fornisce per tali operazioni anche commandos, come fece quando nel 2011 inviò in Libia almeno 5mila uomini delle forze speciali. «Noi qatariani eravamo tra i ribelli libici sul terreno, a centinaia in ogni regione», dichiarò poi il capo di stato maggiore Hamad al-Atiya (The Guardian, 26 ottobre 2011).
Tra gli «antiterroristi» che si esibiscono alla Farnesina ci sono anche gli Emirati Arabi Uniti, che hanno formato dal 2011 tramite la Blackwater un esercito segreto mercenario di circa 2mila contractor, di cui circa 450 (colombiani e altri latinoamericani) sono ora impegnati nell’aggressione allo Yemen.
C’è il Bahrain che, dopo aver schiacciato nel sangue l’opposizione democratica interna con l’aiuto delle truppe saudite, ora restituisce il favore affiancando l’Arabia Saudita nel massacro degli yemeniti, impresa a cui partecipa il Kuwait, anch’esso membro del gruppo «antiterrorista».
Di cui fa parte la Turchia, avamposto Nato della guerra contro la Siria e l’Iraq, che ha sostenuto l’Isis inviandogli ogni giorno centinaia di tir carichi di armi e altri materiali. Per aver pubblicato le prove, anche video, della fornitura di armi all’Isis da parte dei servizi segreti di Ankara, i giornalisti turchi Can Dündar e Erdem Gül sono stati arrestati e rischiano l’ergastolo.
Tra le presenze occidentali nel gruppo mascherato spiccano la Francia e la Gran Bretagna, che usano forze speciali e servizi segreti per operazioni coperte in Libia, Siria e altri paesi.
Fa gli onori di casa l’Italia, che ha contribuito a incendiare il Nordafrica e Medioriente partecipando alla demolizione della Libia. Dove ora si prepara a ritornare, addirittura col ruolo «guida», per un’altra guerra sotto comando Usa/Nato, che, mascherata da «peacekeeping», mira al controllo delle zone strategiche e delle risorse energetiche libiche. Nei saloni della Farnesina riecheggiano le note di «Tripoli, bel suol d’amore», la canzone che nel 1911 inneggiava alla guerra coloniale in Libia.
(il manifesto, 2 febbraio 2016)
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ADESSO SI CHIAMANO SMALL GROUP
La Farnesina informa la stampa della prossima riunione a Roma, il 2 febbraio, del cosiddetto Small Group of the Global Coalition to CounterDaesh. Ovvero: Gruppo ristretto della Coalizione globale per contrastare Daesh.
La nota per i media elenca i 24 membri dello Small Group, che si suppone essere la crème de la crème, il nocciolo duro e puro della lotta a Daesh. Ebbene, in ordine alfabetico, quasi ironicamente il primo dell’elenco è…l’Arabia saudita. Seguono poi (a parte l’Iraq come paese vittima, e altri paesi arabi; ma la Siria non c’è; e non c’è la Russia, né l’Iran) entità come Emirati, Francia, Kuwait, Qatar, Regno Unito, Turchia, Usa. Insomma proprio quei soggetti, diciamo Nato/Golfo (più i satelliti), che individualmente o in forma aggregata sono stati determinanti nel far esplodere l’atroce fenomeno autodefinentesi Stato islamico o Califfato, in sigla Isis o Is o Isil.
Le petromonarchie lo hanno nutrito sin da piccolo, con dollari e armi quando magari si chiamava con altro nome (i flussi di denaro dal Golfo proseguono). La Turchia ha retto il passeggino agevolando l’andirivieni di “combattenti” in Siria. La Nato gli ha fatto da forza aerea con la guerra in Libia del 2011, regalandogli l’ingresso nel paese nordafricano e in molte aree saheliane. Gli Usa e altri paesi Nato gli hanno fatto da maestri d’armi, addestrando a caro prezzo gruppi armati in Siria, poi sfociati in Daesh o parimenti demoniaci.
Qualcuno dirà: chi rompe paga e chi ha creato (o contribuito a creare) il problema deve essere chiamato a risolverlo, o quantomeno a non peccare più. In questo senso, potrebbe apparire logico il coinvolgimento dei vari Frankenstein nella Coalizione globale per combattere Daesh.
Il punto è che a) questi sono recidivi,tanto da apparire volpi a guardia del pollaio; b) non fanno quello che dicono (ad esempio, che fine ha fatto il Gruppo di contrasto economico all’Isis, creato a Roma nel marzo 2015 sempre con le stesse volpi?); c) non ammettono mai i propri errori, per i quali non pagano mai; d) si spacciano per “comunità internazionale”.
Ma sono sempre gli stessi compagni di merende. Creano alleanze escludenti e belligeranti, in realtà antagoniste alla comunità internazionale e altamente nocive. Si danno dei nomi carini, si riuniscono di continuonei paesi membri,prendono decisioni tossiche e poi,sperando che nessuno se ne ricordi, archiviano i nomi diventati ridicoli di fronte alle tragedie prodotte.
Adesso c’è lo Small Group. Nel 2011, all’inizio dei bombardamenti Nato, gli stessi soggetti -Nato/Golfo, satelliti e “ribelli” locali- si riunironodiverse volte come Gruppo di contatto sulla Libia. Dopo la conquista di Tripoli si rinominarono Gruppo Amici della Libia. Ma parallelamente, nel 2011 e fino al 2013, undici paesi si riunivano anche come Gruppo Amici della Siria, poi diventato Gruppo di Londra.
I compagni di merende danno sempre nomi carini anche alle loro devastanti guerre di aggressione travestite da agnelli. “Operazione di polizia internazionale” (Iraq 1991), “Operazione Forza alleata” (Serbia 1999), “EnduringFreedom” (Afghanistan 2001), “IraqiFreedom” (Iraq 2003), “Protettore unificato” (Libia 2011)…Invece i Saudhanno dato un nome bello deciso alla loro operazione di annientamento dello Yemen – insieme ad altri Stati sunniti loro affiliati. Le bombe che piovono sugli yemeniti, dal 26 marzo 2015, accompagnate da un affamante blocco navale, si chiamano infatti Decisive Storm.
Facciamo sì che questa tempesta sia invece decisiva per la fine del reame Saud.
Marinella Correggia
Il quotidiano statunitense The New York Times ha rivelato un piano segreto tra gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita per equipaggiare e addestrare i terroristi in Siria.
"In base all'accordo, (...) i sauditi offrono tanti armamenti così come come un sacco di soldi, mentre la CIA prende l'iniziativa nella formazione dei ribelli per l'uso di fucili AK-47 e missili anticarro", si legge nel rapporto.
I funzionari degli Stati Uniti, si legge nell'articolo, non hanno rivelato l'importo del contributo saudita, tuttavia, le stime indicano che il programma di inserimento e di formazione dei terroristi è costata miliardi di dollari al regno arabo.
A questo proposito, è stato ricordato che gli sforzi sauditi in Siria sono stati guidati, soprattutto, dal principe Bandar bin Sultan, l'ex capo dell'intelligence saudita, che ha ordinato l'acquisto di migliaia di AK-47 e altre armi che dall'Europa orientale sono arrivate ad i gruppi armati Siria.
Giovedi scorso, il quotidiano libanese Al-Mayadeen ha rivelato in un rapporto, secondo il quale, le armi acquistate dall' Arabia Saudita e da alcuni dei suoi alleati arabi da paesi dell''Europa orientale sono stati consegnate ai terroristi ed ai mercenari stranieri in Siria e Yemen.
Inoltre, Al-Mayadeen cita documenti divulgati alla fine del 2015, da Cyber Berkut e comprendono la vendita di armi e attrezzature militari ucraini a Qatar e Arabia Saudita, per mandarli a gruppi terroristi in Siria.