(italiano / srpskohrvatski)

Jugoslavenstvo poslije svega

1) Dragan Markovina (autor): Jugoslavenstvo poslije svega (Most Art, 2015)
2) Jugoslavismo oggi. Intervista a Dragan Markovina / Jugoslovenstvo danas


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U najnovijem Mostu Radija Slobodna Evropa razgovaralo se o tome kakav je odnos prema antifašizmu u Srbiji i Hrvatskoj. Sagovornici su bili istoričari - Dragan Markovina, docent na Filozofskom fakultetu u Splitu, i Srđan Milošević, saradnik beogradskog Instituta za noviju istoriju Srbije...

Nekoć fanatični Jugoslaveni, a danas veliki nacionalisti (Emir Imamović Pirke, 3.1.2016)
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Dragan Markovina (autor)

Jugoslavenstvo poslije svega

Izdavač: Most Art (Zemun, Srbija), 2015
Broširani povez – latinica – 21 cm, 155 str.
ISBN 978-86-84149-91-8

Govoriti danas, 25 godina nakon raspada zemlje, o Jugoslaviji i jugoslavenstvu kao takvom, u gotovo svim društvima na postjugoslavenskom prostoru, izlaže autora značajnom riziku od izolacija, preko prešućivanja, do otvorenih napada (...) Istinski demokratska društva u pravilu potiču razgovore o svim bitnim pitanjima koja doista zanimaju javnost. S te strane ova knjiga dokida šutnju o jednom važnom pitanju i realnosti koja se na kulturnom planu događa, sviđalo se to nekome ili ne. Na kraju krajeva, to što se neka tema ne problematizira, ne znači da je nema i da će je se šutnjom ukloniti.

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JUGOSLAVENSTVO POSLIJE SVEGA_14.12.2015_Sarajevo_BiH (DIOGEN pro culture magazine, 15 dic 2015)
Umjetnička galerija BiH, u saradnji sa Asocijacijom nezavisnih intelektualaca Krug 99, DIOGEN pro kultura magazinom i IP MostArt, je organizovala promociju knjige „JUGOSLAVENSTVO POSLIJE SVEGA“, autora Dragana Markovine. Ponedjeljak, 14.12.2015.g. u 18:00 sati
O knjizi su govorili:
Hidajet REPOVAC, član predsjedništva Asocijacije nezavisnih intelektualaca Krug 99, Sarajevo, BiH
Sabahudin HADŽIALIĆ, književnik, gl. i odg. urednik DIOGEN pro kultura magazina, Sarajevo, BiH
Dragan STOJKOVIĆ, urednik izdanja i direktor IP MostArt, Zemun, Srbija
i Dragan MARKOVINA, povjesničar, Split, Hrvatska
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=Tv4aJFlau1k

Promovirana knjiga Dragana Markovine “Jugoslavenstvo poslije svega” u Mostaru (tačno.net, 16.12.2015.)
Još od Alekse Šantića, Mostar nije imao mislioca s kojim se tako vezao kao s  dr. Draganom Markovinom. Mostarski princ, okupio je sinoć civilizovani, ujedinjeni, bivši Mostar, onaj Mostar kojeg nije mogla uništiti ni opsada, ni logori, Mostar koji se odupire teroru izetbegovićevskočovićevske šovinističke politike. Mostar koji je sinoć bio Grad...

Zašto se šuti o Jugoslaviji? (Mirsad Behram, 16.12.2015)
Da li je jugoslavenstvo kao ideja mrtvo i kakva je, zapravo bila Jugoslavija? Zašto se i danas, dvije i po decenije nakon njenog raspada u zemljama nastalim na njenom tlu o tom fenomenu malo govori i ponekad je čak o tome i opasno govoriti? ... Teme su to o kojima piše u najnovijoj, kontroverznoj knjizi „Jugoslavenstvo poslije svega“ splitski historičar mostarskih korijena Dragan Markovina, koja je ovih dana promovisana i u Mostaru...


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Intervista a Dragan Markovina, storico

Jugoslavismo oggi

 

“Queste società, con l’eccezione della Seconda guerra mondiale e di questa ultima guerra, non sono mai state in una situazione peggiore, naturalmente. Ma ciò non significa che non accada qualcosa di nuovo, soprattutto presso i giovani, che riflettono attivamente sull’eredità dello spazio jugoslavo, sul suo presente e soprattutto sul suo futuro. Credo sia ineluttabile, e che nei prossimi decenni questa “realtà parallela”  esisterà accanto a quella istituzionale e che sarà la nuova a divenire quella principale.  Forse sbaglio, ma si tratta di ciò che penso”.

Lo storico e pubblicista spalatino, Dragan Markovina, (Mostar, 1981), è apparso come una meteora sulla scena pubblica e culturale croata, e poi bosniaca. Pubblicamente e senza scuse, ha parlato sulla rete televisiva statale della idea di Jugoslavia e dello jugoslavismo come di fatti storici positivi, il che in Croazia rappresenta il massimo tra i tabù. Trattandosi di un giovane intellettuale, grandi sono state la costernazione e lo stupore nell’opinione pubblica dato che Markovina assume da antinazionalista radicale, le posizioni che i nazionalisti degli anni ottanta definivano riservate solo “ai figli dei militari e dei matrimoni misti”, che soffrivano per “la perdita dei privilegi di quell’epoca passata”.

Markovina ha insegnato storia all’università di Split, ma l’anno scorso è stato licenziato, con la scusa della conclusione del contratto,ma nessuno ci ha creduto. Oggi si occupa di pubblicistica, ed è autore di libri interessanti e il suo studio “Tra il rosso ed il nero: Split e Mostar nella cultura del ricordo” ha ricevuto il premio Mirko Kovač. Presso la casa editrice di Belgrado “Mostart” è di recente usciti il libro “Jugoslavismo dopo tutto (quelloche è successo), in cui in modo chiaro e abbordabile parla della ideadell’unione degli Slavi del sud, ma anche del suo futuro.

“VREME”: Ti chiedi nella introduzione una cosa  che in passato pochi hanno avuto il coraggi di fare – una domanda che in Croazia è stata tabu per molto tempo, e che resta tale ancora nell’odierno contesto: “E’ lo jugoslavismo così forte o sono gli stati di recente costituzione e le loro ideologie di sostegno così deboli che temono chiunque non gli canti le lodi e viva lo spazio jugoslavo come unità culturale?

Dragan Markovina: Penso che questi stati e le loro narrazioni nazionalistiche poggiano su basi coì fragili e povere che ciò è chiaro persino a coloro che li propagandano, e che questo discorso nazionalistico debba temere una vera sinistra e soprattutto l’idea jugoslava. Naturalmente, questa idea non è assolutamente talmente forte dacostituire la possibilità che qualcosa cambi immediatamente, ma sta di fatto che questa idea è affermata dalle persone più dotate di questo territorio. E questo nel profondo è chiaro anche ai nazionalisti: che sono culturalmente inferiori e che a lungo termine il loro discorso non potrà vincere.

V: E’ affascinante come i tempi cambino e insieme la percezione delle posizioni. Boris Buden ha scritto e proposto le stesse posizioni sulla Jugoslavia già negli anni ’90, ma erano così radicali che i la Croazia li ha respinti come follie oppure li ridicolizzava come posizioni marginali. Oggi li proponi tu, e se ne parla perlomeno, e addirittura nel mainstream.

D.M. E’ vero che i tempi sono cambiati. La guerra è stata così brutale che di quello di cui parlava Buden a quell’epoca nessuno si interessava. Dopo venticinque anni è arrivato il tempo di fare i conti e di chiedersi “dove andare”. Il contesto è diverso, Un’altra cosa: mi considero parte di coloro che sono marginali, ma la differenza con Buden è che scriveva con un linguaggio che non poteva venir inteso dalle “grandi  masse popolari”. Inoltre, si è fatto avanti a partire da posizioni attribuibili alla sinistra radicale. Oggi i tempi sono diversi anche dal punto di vista mediatico: per capirci – se non fossi stato ospite alla trasmissione “Domenica alle due” da Aleksandar Stanković, non ci sarebbe stata alcuna eco.  Ciò che ho detto l’ha visto il pubblico croato e non solo, anche quello del territorio jugoslavo, qualcosa che una buona parte della gente pensa, ma non ha occasione di sentire.

V: Quando confronti gli anni ’90 ed oggi, dici che la situazione è assolutamente “promettente”. Non è invece che la situazione è più cinica- cioè si può dire tutto, ma niente in base a quanto detto, cambia?

D.M. Assolutamente. Tuttavia, penso che tutto l’approccio della scena post-jugoslava, di sinistra, civile, dovrebbe essere diverso: dovrebbe ignorare la realtà istituzionale – non così come fanno i piccoli partiti della sinistra radicale che farebbero la rivoluzione – è insensato- ma nel senso di chiarire semplicemente che non è la nostra storia. E che creiamo una realtà parallela, il che sta già avvenendo in realtà.

V: nel tuo libro serpeggia un ottimismo verso la cosa

D.M. Queste società, con l’eccezione della Seconda guerra mondiale e di questa ultima guerra, non sono mai state in una situazione peggiore, naturalmente. Ma ciò non significa che non accada qualcosa di nuovo, soprattutto presso i giovani, che riflettono attivamente sull’eredità dello spazio jugoslavo, sul suo presente e soprattutto sul suo futuro. Credo sia ineluttabile, e che nei prossimi decenni questa “realtà parallela”  esisterà accanto a quella istituzionale e che sarà la nuova a divenire quella principale.  Forse sbaglio, ma si tratta di ciò che penso.

V: Insegnavi all’Università a Split finché non ti hanno mandato via. Hai parlato con gli studenti di questi temi, e che cosa pensano i giovani di quel periodo e della stessa idea?

D.M. La controrivoluzione della HDZ negli anni ’90 dal punto di vista delle idee ha destrutturato Split, con l’aiuto anche se vogliamo del partito socialdemocratico. A tale attacco ad ogni patrimonio sociale e non solo del socialismo, a parte qualche individuo e il “Feral Tribune”, nessuno ha risposto, ed oggi a Split si ha una situazione tale che sul piano culturale, dalle pubblicazioni di libri ai dibattiti, tutto è nella mani della destra clericale. Dall’altra parte non c’è nessuno. Gli studenti nelle facoltà di storia e in generale nelle facoltà umanistiche pensano allo stesso modo, purtroppo. Si tratta delle generazioni nate all’inizio della guerra e dopo. Quelli intolleranti rifiuteranno in toto l’eredità jugoslava, quelli più tolleranti accetteranno qualcosa, ma useranno comunque l’argomento chiave: “I Serbi hanno assalito noi, e non era più possibile tenere insieme la cosa”. Narrazioni mitologiche, peraltro non totalmente errate, ma che non consentono pensiero alternativo. La cosa più tragica forse è stata quando una mia studentessa mi ha detto molto seriamente che nel loro gruppo di una ventina di studenti di Storia, una dozzina festeggiava il dieci marzo (il giorno della fondazione dell’NDH), e quattro di loro erano figli di matrimoni misti…

La Chiesa, che ritengo la più colpevole, i media e la scuola modificano la storia e molti giovani non sanno niente. Una delle prove più bizzarre di questo è che a Split, tra gli affiliati a Torcida (la tifoseria della squadra di calcio Hajduk) e tra i circoli della destra degli anni ’80, esiste la narrazione che afferma che Džoni Stulić (cantante rock jugoslavo e jugoslavista) sia stato un nazionalista croato e che la sua canzone Pavel sia stata composta in onore di Pavelić – e per questo fosse dovuto andare via…

V: Dici che i neo-stati in rotta tra di loro siano unite dalla cultura, dagli scrittori, e caratterizzi questo come positivo. Non ti sembra che molti su questi “legami” ci marcino già da decine di anni, e che il loro modus operandi sia: “noi ci incontriamo e distruggiamo i confini solo perché essi possano continuare ad esistere?”.

D.M. Sì c’è del vero in questo. Uno che la pensa così è Viktor Ivančić. Lui ha un editore a Belgrado e non vuole averne altri. Sicché è difficile trovare i suoi libri in Croazia, Bosnia e Erzegovina o in Slovenia, dato che i mercati sono frammentati, anche in tutto eccetto che nella cultura esiste lo scambio. La sua tesi è che se ha pubblicato un libro in una lingua, sul territorio che ritiene il suo paese, non è necessario avere un editore specifico in Croazia, e non vuole legittimare questa situazione solo per vendere mille libri in più. Hai qui i mondi paralleli dei cosiddetti processi integrativi: uno è il racconto partigiano-antifascista, classicamente nostalgico, che biologicamente sparisce ed esce di scena; l’altro è quello delle ONG che ha manifestato contro le guerre e poi ha cominciato a vivere di ciò, e poi c’è il terzo racconto, collegato con il precedente, , la scena intellettuale, scrittori, film e così via. Solo quando usciranno di scena, una nuova generazione, che non avrà alcun ricordo della Jugoslavia, realizzerà tutto, si legherà secondo la natura delle cose, creando un vero spazio culturale. E’ ineluttabile.

V: Oggi e negli anni passati ci sono stati alcuni intellettuali che hanno avuto se così possiamo dire, la tua stessa linea. Ricordiamo Boris Budenm Vjekoslav Perica, il linguista e radicale seguace della linea vukovista (del linguista Vuk Karadžić) Orsat Ligorio e qualche altro. Si tratta di “cavalieri solitari”, individualisti neppure tra coloro che la pensano in modo simile si trovano a casa. Si tratta di un paradosso: l’autenticità del pensare sullo jugoslavismo implica lasolitudine e la separazione.

D.M. Penso che all’idea jugoslava abbia paradossalmente fatto dei danni la forma statale, perché ha creato della Jugoslavia solo un progetto politico. Non è stato disatteso peraltro, soprattutto se parliamo della seconda Jugoslavia. Tuttavia l’autenticità di tale posizione è nell’isolamento e nell’antinazionalismo come piattaforma. Qualsiasi legame con la massa necessariamente comprometterebbe l’idea, così come è stato per il socialismo quando è arrivato al potere- il potere porta a compromessi e a corruzione che decompongono l’idea. L’idea è fatta propria da individui, che non desiderano essere parte del branco o della comunità. Non diventerà mai “mainstream”, qualcosa che potrebbe essere rappresentato dalla maggioranza della comunità. Nessuna rivoluzione o cambiamento è stato fatto dalla sola massa, ma è stato opera di un lungo lavoro di individui. Così per esempio Viktor Ivančić dice che il “Feral Tribune” si è sempre sentito come corpo separato all’interno della città di Split.

V: Nel trattamento riservato al “Feral Tribune” il giornale che è stato così significativo per molti, nel tuo libro si osserva la totale mancanza di critica. Affermi che il “Feral” sia stato sulla  linea dello jugoslavismo.  Mi pare che sia stato piuttosto sul piano pratico dell’unire ciò che era diviso (cosa comunque impagabile) che sul paino dell’affermare apertamente questo concetto.

D.M. E’ vero se guardiamo le cose fuori dal contesto temporale. Se guardiamo dalla prospettiva odierna,  penso non sia di cruciale importanza l’analisi del fenomeno del “Feral”. Per al semplice ragione che: anche loro si sono evoluti nel frattempo- parlo del nucleo originario.  Erano antinazionalisti dal primo giorno e non per finta, il presidente della SFRJ li aveva citati praticamente per “colpo di stato”. Ivančić in tribunale fu citato per “distruzione dell’ordine costituzionale” già nel 1989, cosa su cui nessuno scrisse nemmeno un rigo. Anche Lučić e Dežulović. E’ difficile aspettarsi che le persone nel giro di tre anni dimentichino le loro esperienze riguardo al sistema in cui vivevano fino a pochi anni prima. Certamente, c’era di tutto tra i collaboratori al giornale. Tuttavia penso che per il fine ultimo in questo modo la loro posizione fosse molto più produttiva. Tuđman aveva paura del Feral.

V: Questo scontro si vide durante i bombardamenti sulla Serbia nel 1999. Un intellettuale orientato a sinistra e filo-jugoslavo Frano Cetinić Petris in quel momento smise di collaborare con loro.

D.M. Ti ricorderai che allora nello stesso “Feral” ci furono delle divisioni. Una buona parte del “Feral” era d’accordo con i bombardamenti, ma lo stesso Viktor Ivančić scrisse alcuni pezzi in cui era profondamente contrario all’intervento della NATO; al punto che scrisse” Se siete così in gamba, perché non scendete a terra, ma bombardate dall’aria?”. Lo stesso Feral dunque aveva dubbi su quale posizione prendere. Il fatto stesso che ognuno di loro scrivesse cosa pensava personalmente ne è la prova.

V: Il libro torna sempre alla Dalmazia, che è il tuo paese. In Serbia oggi vivono la Dalmazia come un posto sciovinistico, e Split come il simbolo del buio e della chiusura mentale.. Si sa poco del fatto che la storia di questa regione è del tutto al contrario, e che lo jugoslavismo è stato laggiù costitutivo ed “organico”, e per lungo tempo.

L’opinione pubblica attuale sa poco di tutto ormai, “eutanasizzata” dai media - e penso che il potere dei tabloids sia più forte in Serbia che altrove-in modo incredibile. Una conoscenza così superficiale compromette il dibattito su qualsiasi tema. Certo, al livello delle istituzioni accademiche e culturali è vero, a Split le posizioni le tiene la destra clericale e la città emana questa immagine, e tutto ciò si trasmette nell’opinione pubblica. Ma esiste un’altra Split che è fortemente divisa, e coì va avanti da tanto.  Il paradosso legato a Split e alla  Dalmazia è che proprio qui l’idea jugoslava – sia di destra sia di sinistra- è stata d’avanguardia e una  delle più forti. Quando pensi a chi è di Split, non sai perché la destra qui ha vinto.

V: Il primo jugoslavismo in Dalmazia, quello prima della prima Jugoslavia, era radicale e estremo. Vladimir Čerina  in un impeto di passione scrive “degli ottantamila abitanti di Zagabria, cinquantamila dovrebbero essere mandati al macello” per mancanza di coscienza unitaria.

D.M. Ci sono alcune ragioni. In generale la Dalmazia è radicale nelle sue espressioni, in qualsiasi direzione si vada, e questo per il codice culturale diverso rispetto alle regioni settentrionali. Ma se parliamo di idea jugoslava, era presente perché tra la Croazia continentale e la Dalmazia, non c’erano contatti importanti come esistevano tra Serbia e Montenegro.  Una regione separata dal monte Velebit, con una diversa eredità legislativa, una altra mentalità e regole differenti, commercialmente e culturalmente legata all’Italia e alla Bosnia. Così l’idea dell’unione jugoslava era naturalmente rivolta a Sarajevo e poi a Belgrado, e non verso Zagabria, che era un corpo estraneo. E inoltre, naturalmente date le pretese territoriali italiane, era logico sentirsi sicuri legandosi alla Serbia che perlomeno aveva un regno e uno stato piuttosto che alla Croazia, che stava sotto l’Austria.

V: In questo pezzo che citi, Čerina alla fine dice che occorre dare a Zagabria l’anima e il cervello della città eroica, Belgrado.

D.M. Il fatto che nel corso della storia ci fossero stati parecchi intellettuali di quel tipo, ha provocato proprio una politica della HDZ negli anni ‘9’ piuttosto rude nei confronti della Dalmazia, e soprattutto nei confronti di Split. Nel fondo della coscienza nazionalistica di Tuđman e di quelli a lui simili, c’era la consapevolezza che lo jugoslavismo è connaturato al territorio della Dalmazia. E’ per questo che oggi si lavora tanto allo scopo di distruggere la coscienza e il ricordo e l’idea attiva. Secondo me, Split ha  rappresentati nella prima e nella  seconda Jugoslavia un legame tra Croati e Serbi più forte che Zagabria. Del resto, le statue davanti al Parlamento federale, le ha fatte uno spalatino. Non è un caso.

V: Anche se si tratta della stessa idea, c’è voluto tempo perché si concludesse (e analizzasse) chepresso i Serbi e i Croati e gli altri c’è una differente concezione dello jugoslavismo, come afferma Predrag Matvejević che tu citi nel tuo libro.

D.M: Potremmo parlare a lungo di questo, tuttavia vi indirizzo a Latinka Petrović, che ha fissato molto bene tale differenza nel suo ultimo libro, ricollegandosi alla discussione e polemica tra Dobrica Cosić e Jože Pirjevac.  Tuttavia, in un nuovo contesto, l’idea di uno spazio culturale unitario sarà qualcosa di diverso, si formerà dal patrimonio culturale di uomini cresciuti e formati a partire dalla fine della Jugoslavia socialista. Le esperienze del mondo accademico, dell’élite e degli intellettuali diventeranno inessenziali, perché non ci sarà una tradizione a cui questi nuovi si potrebbero appoggiare.  Il sentimento jugoslavo che avevano per esempio, i “Šarlo akrobat” e gli “Haustor” (gruppi rock uno serbo l’altro croato della scena jugoslava) era il medesimo. I sentimenti delle élites nel 1918 e nel 1945 erano totalmente differenti, e adesso sono del tutto irrilevanti.

V: “Dove andiamo adesso, fratello?” ti chiedi nell’ultimo capitolo, secondo i versi di Džoni, e quindi ti faccio la stessa domanda.

D.M. Dobbiamo capire alcune cose: viviamo qui dove viviamo, e il nostro ambiente sociale è quello che è. Il compito di ogni essere umano che riflette su questi argomenti è di dare il meglio di sé per cambiare le cose. E dunque, qualcuno lo farà dal punto di vista scientifico, qualcuno politico, o giornalistico, o in qualsiasi altro ambito. E’ l’unica strada per fare il meglio e non comportarsi in modo conformistico. Queste società debbono capire che sono rivolte l’una all’altra, l’esperienza che abbiamo è al stessa, parliamo la stessa lingua, checché qualcuno ne dica.

Đorđe Matić

(trad. di Tamara B. per Jugocoord ONLUS)



--- ORIGINALNI TEKST ---


Intervju – Dragan Markovina, istoričar:


Jugoslovenstvo danas

"Sva ova postjugoslavenska društva nikad nisu bila u goroj situaciji, naravno sa izuzetkom Drugog svjetskog i ovog poslednjeg rata. Ali to ne znači da se ne događa nešto novo, pogotovo kod mlađih ljudi koji aktivno promišljaju i nasljeđe jugoslavenskog prostora, njegovu sadašnjost, a posebno budućnost. Mislim da je to nezaustavljivo i da će sljedećih desetljeća ta ‘paralelna stvarnost’ naprosto postati mejnstrim. Možda grešim, ali to je moje mišljenje"

Splitski istoričar i publicist, doktor Dragan Markovina (Mostar, 1981), pojavio se gotovo "meteorski" na javnoj i kulturnoj sceni Hrvatske, a onda i Bosne i Hercegovine. Javno i bez tipične isprike, progovorio je na državnoj televiziji o ideji Jugoslavije i jugoslavenstva kao pozitivnim historijskim činjenicama, što u Hrvatskoj predstavlja tabu iznad svih drugih. Budući se radi o mladom znanstveniku, tim su veće bile konsternacija i zbunjenost javnosti što Markovina s pozicija radikalnog antinacionalizma zastupa stavove koje su nacionalisti devedesetih označili kao rezervirane za "djecu vojnih lica i miješanih brakova" koji "pate za privilegijama" onoga doba.

Markovina je predavao povijest na splitskom Sveučilištu, ali je prošle godine otpušten, navodno zbog istjecanja ugovora, u što je malo tko povjerovao. Danas se bavi publicističkim radom, autor je nekoliko zapaženih knjiga a za studiju Između crvenog i crnogSplit i Mostar u kulturi sjećanja dobio je Nagradu Mirko Kovač. Kod beogradske izdavačke kuće "Mostart" izašla mu je nedavno knjiga Jugoslavenstvo poslije svega, u kojoj kroz seriju eseja i portreta ličnosti koje su, kako kaže, "plivale protiv struje" govori jasno i pristupačno o prokazanoj ideji jedinstva Južnih Slavena – ali i o njenoj budućnosti. 

"VREME": Pitaš se u uvodu nešto što su se ranije usuđivali rijetki – pitanje koje je u Hrvatskoj dugo bilo tabuoma takvo ostaje i u današnjem kontekstu: "da li je jugoslavenstvo toliko jako ili su novonastale države i njihove potporne ideologije toliko slabe da se boje svakoga tko im javno ne pjeva laude i doživljava jugoslavenski prostor kulturno jedinstvenim"?

DRAGAN MARKOVINA: Mislim da su te države i njihovi nacionalistički narativi na toliko krhkim i jadnim temeljima da je to jasno i onima koji ih propagiraju, i jedina dva neprijatelja kojih se taj nacionalistički diskurs treba realno pribojavati je istinska ljevica a posebno ideja jugoslavenstva. Naravno da ta ideja nije ni blizu toliko jaka da bi se netko trebao stvarno bojati da će se zbog nje odmah nešto promijeniti, ali stoji da ideju, otvoreno ili ne, afirmiraju najtalentiraniji ljudi ovih prostora. I to je negdje u dubini svijesti jasno nacionalistima: da su kulturno-intelektualno inferiorni i da na duge staze taj diskurs ne može pobijediti. 

Fascinantno je kako se vrijeme mijenja i s time i percepcija stavovaBoris Buden pisao je i iznosio iste stavove o Jugoslaviji još devedesetihno oni su bili tako radikalni da ih je Hrvatska tada odbacila kao sulude ili im se smijala kao marginiDanas ih iznosiš tia o njima se bar razgovarai to u mejnstrimu

Istina je da se vrijeme promijenilo. Rat je bio toliko brutalan da o tome što je Buden iznosio u ono doba nitko nije ni razmišljao. Nakon dvadeset i pet godina došlo je vrijeme svođenja računa i pitanja "kamo dalje". Kontekst je drukčiji. Druga stvar: sebe doživljavam isto tako dijelom margine, ali razlika s Budenom je što je on pisao rječnikom koji "široke narodne mase" nisu mogle razumjeti. Osim toga, nastupao je, za to doba, s unaprijed otpisanih pozicija radikalne ljevice. Danas je drugačije vrijeme i u medijskom smislu: da se ne lažemo – da nisam gostovao kod Aleksandra Stankovića u emisiji "Nedjeljom u 2", to ne bi odjeknulo nigdje. Ono što sam tamo rekao vidjela je tada hrvatska i regionalna, jugoslavenska javnost i čula nešto što dobar dio ljudi misli, a nije imao gdje prilike čuti. 

Kad uspoređuješ devedesete i sadakažeš da je situacija "definitivno obećavajuća". Nije li zapravo situacijanaprotivmnogo ciničnija – da se "sve može reći", ali se ništa time ne mijenja?

Apsolutno da. Međutim, mislim da bi čitav pristup cijele postjugoslavenske, lijeve, građanske scene trebao biti drugačiji: morao bi ignorirati institucionaliziranu stvarnost – ne tako kao što čine male radikalne lijeve partije koje bi dizale revoluciju, to je besmisleno – nego ignorirati u smislu da kažemo da to naprosto nije naša priča. I da stvaramo paralelnu stvarnost koja se već spontano događa. 

Uopće u tvojoj knjizi vidi se jedan optimizam spram stvari.

Ova društva, s izuzetkom Drugog svjetskog i ovog poslednjeg rata, nikad nisu bila u goroj situaciji, naravno. Ali to ne znači da se ne događa nešto novo, pogotovo kod mlađih ljudi koji aktivno promišljaju i nasljeđe jugoslavenskog prostora, njegovu sadašnjost, a posebno budućnost. Mislim da je to nezaustavljivo i da će sljedećih desetljeća ta "paralelna stvarnost" postojati pored ove institucionalne i da će ona naprosto postati mejnstrim. Možda griješim, ali to je moje mišljenje.

Predavao si na Sveučilištu u Splitu dok te nisu otpustiliJesi li razgovarao sa studentima na ove temei što ti mladi ljudi misle o onome periodu i samom konceptu?

HDZ-ova kontrarevolucija devedesetih u idejnom smislu destruirala je Split, pri čemu joj je pomogla i socijaldemokratska partija. Na takav atak na socijalnu i svaku drugu baštinu socijalizma, osim par ljudi i "Feral tribunea", nije nitko odgovorio, i danas u Splitu imaš situaciju da na intelektualnom planu, od izdavanja knjiga do tribina, sve vodi klerikalna desnica. S druge strane nema nikoga više. Studenti na povijesti i humanistici razmišljaju, nažalost, u tom smjeru također. To su generacije rođene početkom rata i kasnije. Netolerantniji će odbaciti cjelokupno nasljeđe Jugoslavije, a tolerantniji će prihvatiti nešto, ali će ipak upotrebiti "krunski argument": "nas su Srbi napali i sve je bilo neodrživo". Mitološki narativi, dakle, koji i nisu posve netočni, no koji ne dopuštaju drugo mišljenje. Možda najveća tragedija s kojom sam se sreo bila je kad mi je jedna studentica rekla vrlo ozbiljno da od njih dvadesetak s odsjeka za povijest dvanaestero slavi Deseti travanj (dan osnivanja NDH, op.a.), a pritom četvero su djeca iz miješanih brakova. 

Crkva, koju držim najodgovornijom, mediji i škole iskrivljavaju dakako čitavu povijest i mnogi mladi ne znaju ništa. Jedan od najbizarnijih dokaza toga je što u Splitu, kod dijelova Torcide i krugova desnice osamdesetih, postoji još uvijek narativ koji tvrdi da je Džoni Štulić bio hrvatski nacionalist koji je pjesmu Pavel spjevao – Paveliću, i zato morao otići. 

Kažeš da su posvađane novonastale države danas povezane preko kulturepreko pisaca najvećmai to karakteriziraš kao pozitivnoNe čini li ti se da mnogi na toj "povezanostiuspješno parazitiraju već preko desetljeća i da im je modus operandi "mi se srećemo i rušimo granice samo tako da bi one ostale". 

Ima tu nešto. Jedini čovjek kojeg znam da je to isto ovako formulirao jest Viktor Ivančić. On, recimo, ima izdavača u Beogradu i naprosto ne želi imati druge. Zato je do njegovih knjiga teže doći u Hrvatskoj, Bosni i Hercegovini ili Sloveniji jer su tržišta fragmentirana, iako u svemu osim u kulturi postoji razmjena. Njegova teza je da ako je izdao knjigu na jednom jeziku, na prostoru koji smatra svojom zemljom, nema potrebe imati posebnog izdavača u Hrvatskoj i ne želi zbog hiljadu knjiga više legitimirati ovaj poredak. Svi drugi imaju više izdavača. Tu imaš paralelne svjetove takozvanih integrativnih procesa: jedna je ova partizansko-antifašistička priča, klasično nostalgična, koja biološki izumire i odlazi sa scene; druga je endžioovska koja je iznijela antiratne kampanje a onda počela živjeti od toga, i kao treća, s njom vezana intelektualna scena, pisci, filmovi i tako dalje. Tek kad svi oni odu sa scene – potpuno nova generacija, koja neće imati nikakvo pamćenje na Jugoslaviju, provest će sve, povezati se po prirodi stvari i ostvariti jedinstven kulturni prostor. To je neminovno. 

Danas i prošlih godina izdvojilo se nekoliko intelektualaca iz Hrvatske na tojako se može reći tako, "liniji". Osim tebetu su spomenuti Boris BudenVjekoslav Pericalingvist i radikalni vukovac Orsat Ligorio i par drugihRadi se o redom "usamljenim jahačima", individualistima koji se čak ni među onima sličnih mišljenja ne osjećaju sasvim kao kod kućeTo je paradoks jedne vrsteautentičnost razmišljanja o jugoslavenstvu podrazumijeva dakle osamljenost i izdvojenost neke vrste.

Ja mislim da je jugoslavenstvu kao ideji, također paradoksalno, najviše štetila upravo državotvornost – da se poslužim tim hrvatskim izrazom – jer je od Jugoslavije stvorila "samo" politički projekt. On nije bio promašen, posebno ako govorimo o drugoj Jugoslaviji. Međutim, autentičnost te pozicije je u izdvojenosti i antinacionalizmu kao platformi. Bilo kakvo vezivanje u mase nužno bi dezavuiralo ideju, isto kao sa socijalizmom kad je došao na vlast – vlast vodi kompromisima i korumpiranosti koji ideju razgrađuju. Nju su uvijek zastupali i zastupaju specifični ljudi, koji ne žele biti dio stada ili zajednice. To nikad neće postati mejnstrim, nešto što bi zastupala većina zajednice. Nijednu revoluciju niti društvenu promjenu nije izazvala sama masa nego dugotrajni rad određenih ljudi – individua. Tako na primjer Viktor Ivančić kaže da je "Feral tribune" duž čitavog njegovog postojanja osjećao kao "strano tijelo" u Splitu. 

U tretmanu "Feral tribunea", lista koji je tolikima tako mnogo značiou tvojoj se knjizi osjeća izvjesno odsustvo kritičnostiKažeš i da je "Feralstajao na pozicijama jugoslavenstvaČini mi se da je to bilo više djelovanjem na praktičnom spajanju rastavljenog (što je bila neplativa stvar dakakonego što bi se otvorenodeklarativno spominjao taj koncept.

To je istina promatramo li stvari iz konteksta vremena u kojem su se stvari događale. Ako gledamo iz današnje perspektive pak, mislim da nije presudno značajno za analizu fenomena "Ferala". Iz prostog razloga: i oni su, zaboga, evoluirali u međuvremenu – govorim o jezgri koja ga je osnovala. Bili su antinacionalisti od prvoga dana i to ne ovi fingirani, sami su imali iskustvo da ih je predsjednik Predsjedništva SFRJ tužio, praktično, za "državni udar". Ivančić je na sudu tužen za rušenje ustavnog poretka Jugoslavije još osamdeset devete godine, o čemu nitko nije objavio ni retka. Lucić i Dežulović također. Teško je očekivati da ljudi u roku od tri godine zanemare vlastito iskustvo sistema u kojem su živjeli do prije par godina. Naravno, bilo je i dosta šarenila kod suradnika u tim novinama. Za krajnji cilj pak mislim da je njihova pozicija bila puno produktivnija. "Ferala" se Tuđman bojao. 

Taj sukob se najbolje vidio tokom bombardiranja Srbije 1999Recimojedan vrlo lijevo i jugoslavenski orijentiran hrvatski intelektualacFrano Cetinić Petrisprekinuo je tada suradnju.

Sjetit ćeš se da je i sam "Feral" tada bio podijeljen unutar sebe. Dobar dio "Ferala" bio je na liniji podržavanja toga, ali sam Viktor Ivančić je napisao nekoliko tekstova koji su bili izrazito protiv intervencije NATO-a, čak do te mjere da je napisao: "Ako ste takvi frajeri, što se ne spustite na zemlju, nego bombardirate iz zraka?" Tako da je sam "Feral" imao dilema kako se postaviti. Pri čemu sama činjenica da je svatko od njih napisao samo ono što misli, govori za sebe. 

Knjiga ti se najčešće vraća na Dalmacijukoja je tvoj krajU Srbiji je danas doživljavaju kao izrazito šovinističkua Split kao simbol mraka i zatucanostiMalo je znano da je povijest toga kraja upravo obrnuta i da je jugoslavenstvo tamo bilo upravo konstitutivno i "organičko", i to dugo vremena.

Ovdašnje javnosti znaju sve manje o bilo čemu, ovako eutanazirane tabloidnošću – s tim što mislim da je moć tabloida u Srbiji jača nego drugdje – ona je naprosto nevjerojatna. I takvo površno znanje destruira raspravu o svakoj temi. Na razini razumijevanja institucionalno-akademskog i kulturnog, ta je slika točna, u Splitu pozicije

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