La lotta di Vicenza va avanti con sempre
maggiore determinazione e i soliti noti, come sempre accade, cercano di
cavalcarla diffondendo poco convincenti Appelli e Comunicati.
Giro l'APPELLO
AUTENTICO... DIFFIDATE DALLE
IMITAZIONI e da improvvisati comitati, controllate le info nel
sito del movimento www.altravicenza.it, inviate le adesioni a
nodalmolin @ libero.it
Mariella Cao
APPELLO ALLA MOBILITAZIONE
17 FEBBRAIO:
MANIFESTAZIONE NAZIONALE A VICENZA
IL FUTURO è NELLE NOSTRE MANI:
DIFENDIAMO LA TERRA PER UN DOMANI SENZA BASI DI GUERRA
Presidio Permanente, Vicenza
23 gennaio 2007
Dopo che per mesi Governo e Comune si sono rimpallati la
responsabilità della decisione, l’Esecutivo nazionale ha
ceduto all’ultimatum statunitense: «il Governo non si oppone alla
nuova base Usa», ha sentenziato Romano Prodi. Dopo appena due
ore, migliaia di vicentini sfilavano per le strade del centro cittadino.
Chi pensava di aver chiuso la partita ha dovuto ricredersi,
perché Vicenza si è mobilitata, ha Invaso le
strade, ha costruito il presidio permanente.
Otto mesi di mobilitazioni, culminate con la grandiosa manifestazione
dello scorso 2 dicembre – quando 30 mila persone sfilarono dalla Ederle
al Dal Molin, hanno dimostrato la forte contrarietà della
popolazione alla nuova installazione militare. Ma il Governo, dopo aver
più volte ribadito la centralità dell’opinione della
comunità locale, ha ceduto agli interessi economici e militari.
In tutto questo pesa come un macigno anche la posizione
dell’Amministrazione Comunale che, forte dell’assenso dato dal Governo
Berlusconi all’operazione, prima ha nascosto ai cittadini il progetto
per tre anni e poi, snobbando la contrarietà della popolazione,
lo ha approvato durante un Consiglio Comunale blindato e contestato;
infine ha negato ai cittadini la possibilità di esprimersi
attraverso il referendum.
Nonostante tutto questo a Vicenza è successo qualcosa di nuovo:
Vicenza non si è arresa alle imposizioni. In questo percorso
abbiamo trovato donne e uomini, studenti e anziani, lavoratori e
professionisti; li abbiamo incrociati nelle mobilitazioni, abbiamo
discusso con loro alle assemblee pubbliche ed ai convegni. Insieme
abbiamo costruito il Presidio Permanente, un luogo attraversato da
migliaia di persone in pochi giorni.
Vicenza non si è arresa alle imposizioni.
Vicenza non vuole una nuova base militare al Dal Molin.
Vicenza si è mobilitata.
Migliaia di persone hanno occupato i binari della stazione appena due
ore dopo la conferenza stampa di Romano Prodi; e nei giorni successivi
una serie di iniziative, dalla manifestazione degli studenti ai presidi
in Municipio e in Prefettura, hanno confermato la determinazione dei
cittadini.
La nostra città ha riscoperto la dimensione comunitaria e
popolare, ha riattivato le reti di solidarietà che in altri
contesti – per esempio a Scanzano Ionico o in Val di Susa – hanno
permesso di fermare dei progetti devastanti.
Da ogni parte d’Italia ci è arrivata un immensa
solidarietà, un caloroso sostegno. Manifestazioni e presidi si
sono svoltI in questi giorni in ogni angolo del Paese. Contro una
scelta contrastata dalla comunità locale ovunque si manifesta e
si discute.
Il nostro cammino è appena all’inizio. Nulla si è
concluso con l’espressione del parere governativo. Cittadini,
associazioni e organizzazioni sindacali hanno deciso di opporsi; molti
parlamentari si sono auto-sospesi. Vicenza vuole fermare questo
scempio, se necessario anche seguendo l’invito di molti a mettere
pacificamente in gioco i propri corpi.
Vogliamo dare una voce unitaria, pacifica e determinata a questo
sdegno. Vicenza chiama tutti a mobilitarsi contro la militarizzazione
di una città, contro la costruzione di una base che
sorgerà a meno di due chilometri dalla basilica palladiana,
consumerà tanta acqua quanta quella di cui hanno bisogno 30 mila
cittadini, costerà ai contribuenti milioni di euro (il 41% delle
spese di mantenimento delle basi militari Usa nel nostro territorio
è coperto dallo Stato Italiano), sarà l’avamposto per le
future guerre.
Vicenza vuole costruire una grande manifestazione nazionale per il 17
febbraio; vogliamo colorare le nostre strade con le bandiere arcobaleno
e quelle contro il Dal Molin, ma anche con quelle per la difesa dei
beni comuni e della terra, del lavoro e della dignità e
qualità della vita. Un corteo plurale e popolare, capace di
aggregare le tante sensibilità che in questi mesi hanno deciso
di contrastare il Dal Molin, perché siamo convinti che le
diversità siano un tesoro da valorizzare così come
l’unità sia uno strumento da ricercare per vincere questa sfida.
Ai politici e agli uomini di partito che condividono la
responsabilità di Governo locale e nazionale rivolgiamo l’invito
a partecipare senza le proprie bandiere; vi chiediamo un segno di
rispetto verso le tante donne e i tanti uomini che in questi giorni si
sono sentiti traditi dai partiti e dalle istituzioni; vi chiediamo,
anche, di valorizzare la scelta di quanti, in questi giorni, hanno
scelto di dimettersi o auto-sospendersi in segno di protesta. Una
protesta che, auspichiamo, dovrà avere ulteriori riscontri se il
Governo non recederà dalle sue decisioni.
Noi siamo contro il Dal Molin per ragioni urbanistiche, ambientali,
sociali; ma, anche, perché ripudiamo la guerra. Proprio per
questo non accettiamo alcun vergognoso baratto con il rifinanziamento
della missione in Afghanistan.
La nostra lotta non si è esaurita. A Vicenza, il 17 febbraio,
contro ogni nuova base militare, per la desecretazione degli accordi
bilaterali che regolano la presenza delle basi, per la difesa della
terra e dei beni comuni, per un reale protagonismo delle
comunità locali e dei cittadini.
Il futuro è nelle nostre mani: difendiamo la terra per un domani
senza basi di guerra.
Il 17 febbraio tutti a Vicenza!
Presidio Permanente
contro il Dal Molin
Per info e adesioni
nodalmolin @ libero.it
Web www.altravicenza.it
--- ---
NO DAL MOLIN: sostieni il Presidio
Permanente
Il Presidio Permanente è il cuore della protesta No Dal Molin;
un luogo di lotta, attraversato in questi giorni da migliaia di
persone. Purtroppo, però, ha anche dei costi molto alti di
gestione: strutture, volantini ecc, tutto è auto-finanziato...
Vuoi fare una donazione al Presidio Permanente?
E' stato aperto un conto corrente! Ecco gli estremi:
NO DAL MOLIN PRESIDIO
PERMANENTE
Banca Popolare Etica
n. 000000120140
ABI 05018
CAB 11800
CIN B
Il futuro è nelle nostre mani: difendiamo la terra per un domani
senza basi di guerra. NO DAL MOLIN!
--- ---
Vicenza chiama, Roma non
risponde.
E allora tutti a
Roma!
I numeri della
manifestazione di Vicenza parlano da soli: oltre 200.000 persone
provenienti da tutta Italia dimostrano che la “variabile indipendente”
del movimento contro la guerra italiano non è stata azzerata. Il
popolo della pace si è mosso imponendo ancora una volta
nell’agenda politica nazionale questioni ineludibili: il rifiuto netto
ad una nuova base U.S.A. al dal Molin, coscientemente legato al no alle
guerre senza se e senza ma, mettendo così in discussione la
collocazione internazionale dell’Italia, le alleanze e le strategie che
vedono impegnate le nostre truppe in Afghanistan, Libano, Balcani, Iraq
(ad addestrare ed armare l’esercito fantoccio di Bagdad) e in altri
scenari prebellici.
Di fronte a questa grande manifestazione di popolo, tutti gli esponenti
di spicco del governo Prodi ribadiscono in questi giorni un si alla
base indorato dalla pillola della “riduzione dell’impatto sulla
popolazione”. Dopo la riduzione del danno per gli afgani siamo ora alla
riduzione dell’impatto per i vicentini. Su questa strada si agita
l’ipotesi della conferenza sulle servitù militari, implementando
così una linea politica di oggettiva contrapposizione al
movimento.
Nelle strade di Vicenza il 17 febbraio abbiamo assistito ad una grande
manifestazione di massa ma nel contempo anche alle prove generali di
una gestione del potere all’insegna della cosiddetta
“governance”, per cui parte dell’esecutivo marcia a braccetto con
un movimento che dice un sonoro NO alle scelte dell’esecutivo stesso.
Schizofrenia di una democrazia mutilata dal maggioritario, dalla fine
della cultura di opposizione e da un trasformismo delle rappresentanze
politiche che ha riportato il paese ai primordi del parlamentarismo
italiano.
Non sappiamo quanto tempo ancora ed in che modo questa mediazione
potrà reggere nelle piazze e nelle mobilitazioni dei prossimi
mesi. Certo è che anche gli obiettivi del movimento espressosi a
Vicenza sono inconciliabili con la tabella di marcia del governo Prodi,
in politica estera come in quella interna.
La parola d’ordine della autonomia e dell’indipendenza del movimento
dal “governo amico” crediamo sia l’elemento imprescindibile per
affrontare i nuovi passaggi che ci aspettano, a Vicenza ed in tutto il
paese.
Il comitato promotore della rete “Disarmiamoli” ha partecipato
attivamente alla manifestazione vicentina, animando un forte spezzone
colorato e combattivo, che ha raccolto molte realtà nazionali
impegnate sui territori contro basi e guerra, coordinatesi intorno agli
obiettivi emersi dal convegno dello scorso 10 febbraio a Bologna.
Occorre ora organizzare un fronte di resistenza alle strategie
belliciste del governo Prodi, portando a sintesi le spinte provenienti
da Vicenza.
La Ederle sarà trampolino di lancio per l’offensiva di primavera
in Afghanistan. Per questo si vuole potenziare la presenza USA al Dal
Molin. Il nostro paese è direttamente coinvolto in quella
guerra, per la quale il parlamento sarà di nuovo chiamato ad
esprimersi nel mese di marzo.
A marzo la forza del movimento dovrà riversarsi nelle strade
della capitale per dire un NO secco alla presenza delle truppe
italiane in Afghanistan e alle basi della guerra.
SU QUESTI OBIETTIVI CHIAMIAMO TUTTO IL MOVIMENTO AD UN CONFRONTO
A FIRENZE, DOMENICA 4 MARZO ALLE ORE 9,30
PRESSO IL DOPOLAVORO FERROVIARIO.
Il Comitato promotore
per la Rete nazionale Disarmiamoli
www.disarmiamoli.org
info @disarmiamoli.org 3381028120
-------- Messaggio Originale
--------
Oggetto: E NON è FINITA QUI...
Data: Mon, 19 Feb 2007 19:51:19 +0100
Da: nodalmolin @ libero.it
A TUTTI COLORO CHE SONO VENUTI A VICENZA: GRAZIE
Decine di migliaia di persone, sabato scorso, hanno sfilato per le
strade della nostra città. Una manifestazione storica che
Vicenza e il Veneto non avevano mai visto. Una manifestazione
determinata nei contenuti e pacifica nelle pratiche, che ha smentito
quanti nei giorni precedenti la sfilata avevano profetizzato
catastrofi.
Vicenza ha detto che resisterà un minuto in più di
chiunque voglia costruire la nuova base militare. Vicenza ha incrociato
migliaia di donne e uomini provenienti da tutta Italia che l'hanno
abbracciata, sostenuta, incoraggiata.
Vogliamo ringraziarvi per il sostegno e la solidarietà che ci
avete dato; vogliamo ringraziarvi per il lavoro che avete fatto nei
vostri territori. Il futuro è nelle nostre mani anche grazie ad
ognuno di voi.
Il 17 febbraio rappresenta una tappa nel lungo cammino che abbiamo
intrapreso. Dai campi di Rettorgole, dove da più di un mese si
trova il Presidio, non ce ne andremo fino a quando non avremo vinto la
nostra lotta.
Vi segnaliamo, quindi, i nostri siti ( www.altravicenza.it e
www.nodalmolin.it) e la nostra radio No Dal Molin che potrete ascoltare
in streaming ( www.globalproject.info/live/live.m3u) dal lunedì
al venerdì dalle 19.00 alle 20.00.
Vi segnaliamo, ancora una volta, anche il conto corrente per chi vuole
contribuire alle spese che abbiamo sostenuto in questi giorni e che
dovremo sostenere nei prossimi mesi:
NO DAL MOLIN PRESIDIO PERMANENTE
Banca Popolare Etica
n. 000000120140
ABI 05018
CAB 11800
Grazie ancora per quel che avete fatto. Il futuro è nelle nostre
mani: difendiamo la terra per un domani senza base di guerra.
Il Presidio Permanente
http://www.workers.org/2007/world/intl-0301/
International news in
brief
By John Catalinotto
Published Feb 24, 2007
8:40 AM
ITALY:
200,000 say ‘no U.S. base expansion’
Some 200,000 people,
far more than organizers expected, marched in Vicenza, Italy, on Feb.
17 to protest plans to nearly double the size of the U.S. military base
in that city, from 2,750 to 4,500 troops. The Pentagon plans to keep in
Vicenza the entire 173rd Airborne, a rapid deployment force now split
between Vicenza’s Camp Ederle and Ramstein in Germany. The 173rd
answers to the European Command, which can send U.S. forces into an
area of almost 22 million square miles, including 90 countries.
Vicenza’s citizens had
been protesting plans to build the larger base for months, as it
threatens their environment and the tranquility of the city. But people
came from all over Italy to join the national protest because the new
base also threatens to make Italy a source of U.S.-NATO aggression
throughout the African continent and nearby Asian countries as well as
Eastern Europe. Many Italians demonstrating have said this also makes
Italy and especially Vicenza a target, since it will house the
aggressors.
In the weeks before
the demonstration, the Italian government and its right-wing opposition
violence-baited the protesters, recalling the anti-globalization
protest in Genoa in the summer of 2001—when demonstrators clashed with
police, who brutally attacked the protest and even shot one youth to
death. These slanders were repeated in the Italian corporate media. The
U.S. Embassy also butted in with a letter “warning” U.S. citizens to
stay away from Vicenza as the demonstrators were “anti-American.”
A group of U.S.
expatriates organized from Florence exposed these slanders with an open
letter to the ambassador, saying the contents of his letter
“disseminate fear and ignorance and are offensive to the intelligence
of U.S. citizens in Italy.” The group, U.S. Citizens Against War
(Florence), also participated in the Vicenza march.
The authorities had a
1,300-person force of local police and carabinieri (federal police) on
hand to repress the marchers, if necessary. This time, despite all the
baiting and provocations from the government, there were no
confrontations.
The massive protest
has also caused problems for the “center-left” government led by Romano
Prodi, because parties that make up his ruling coalition—including the
Refoundation Communist Party and the Greens—joined the protest. These
parties had not broken with the government over its decisions to keep
Italian troops in Afghanistan and send troops to Lebanon.
http://www.contropiano.org/Documenti/2007/Gennaio07/12-01-07Italia_Vicenza.htm
Italia. Vicenza: ci
sarebbe un ultimatum dei militari statunitensi al governo italiano
sulla vicenda della
costruzione della nuova base “Dal Molin”
''Ci giungono notizie secondo le quali il generale statunitense,
incaricato di seguire la vicenda della costruzione della nuova
base
militare presso l'aeroporto 'Dal Molin', avrebbe dato un ultimatum
di
8 giorni al Governo per sciogliere le riserve sull'ampliamento
della
base 'Dal Molin'. Ad affermarlo in una nota e' Severino Galante,
Capogruppo Pdci in Commissione difesa della Camera dei deputati.
E' un fatto di una gravità inaudita. Il territorio nazionale non
può
essere trattato alla stregua di un protettorato americano e non
e'
tollerabile qualsivoglia 'ultimatum' per condizionare la legittima
e
libera scelta del Governo Italiano ''- ha concluso il deputato.
Base Usa Vicenza, Prodi:
decisione del governo è definitiva
mercoledì, 17
gennaio 2007 5.35
SOFIA (Reuters) - Il presidente del Consiglio Romano Prodi ha detto
oggi che il
via libera del governo all'ampliamento della base militare statunitense
di
Vicenza è una decisione ormai presa e il problema semmai
è di carattere
urbanistico più che politico.
"Il governo ha preso una decisione finale e su questo non c'è
nessuna decisione
ulteriore", ha detto Prodi a una conferenza stampa durante una visita
ufficiale
al paese neo membro della Ue.
"La vicenda Vicenza è stata decisa. Poi uno prende decisioni
difficili e sa
benissimo che possono esserci polemiche. Noi ci siamo impegnati a
seguire le
decisioni della comunità locale", ha spiegato Prodi.
"Non era un problema di strategia generale, ma urbanistico", ha
aggiunto il
premier cercando di spegnere la polemica che sta spaccando la
maggioranza dal
suo interno, con la sinistra radicale che promette battaglia contro
l'ampliamento della base militare americana.
Quando i giornalisti gli hanno poi fatto notare, però, che
alcuni membri della
maggioranza come il presidente della Camera Fausto Bertinotti e il
ministro
della Solidarietà Paolo Ferrero hanno posto la questione in
termini politici,
Prodi ha tenuto a ribadire che "un problema politico non si pone certo
per
l'ampliamento della base militare".
"Alla Maddalena c'è stato un cammino inverso", ha fatto notare
il presidente del
Consiglio a sostegno della sua tesi. "Non c'è certo una
strategia di ampliamento
delle basi militari nel Paese".
Il capo del governo ha poi riservato una battuta al precedente governo
che,
sotto Silvio Berlusconi, aveva già autorizzato l'ampliamento.
"Ritengo che Berlusconi sia stato riservato, credo che queste decisioni
debbano
essere prese rendendo partecipe l'opinione pubblica. Un governo si
assume
l'attivo ed il passivo di quanto gli lasciano e lo deve gestire".
http://www.contropiano.org/Documenti/2007/Gennaio07/17-01-07Italia_Sen_Rossi.htm
Italia: Sen. Rossi: "La
vicenda di Vicenza è come per la guerra in Jugoslavia"
"Vicenza come la guerra alla Jugoslavia, una decisione per conto
terzi". E' netto il giudizio del senatore Fernando Rossi, ex Pdci ora
al gruppo misto e fondatore del movimento Officina comunista. Che
aggiunge: "E' tempo che l'Italia metta i pantaloni lunghi - dice Rossi
- abbiamo fatto una figura da repubblica delle banane, con la variante
che, in America del Sud le ex repubbliche delle banane stanno mettendo
in chiaro la loro indipendenza nazionale.
Spero che il governo- aggiunge- possa tornare alle posizioni
equilibrate che aveva tenuto fino a qualche giorno fa". I fatti non
convincono Rossi: "la mancata sospensione dell'accordo militare con
Israele; la decisione di restare nel pantano della guerra afgana ed ora
il raddoppio della base militare americana di Vicenza". Per questo,
Rossi con il suo movimento annuncia l'adesione "alla manifestazione di
venerdi' a Roma" e propone che "le forze pacifiste ed i cittadini di
Vicenza promuovano un referendum popolare autogestito".
Dal Molin, ovvero
IL RE E’ NUDO
Con il placet di Romano Prodi all'insediamento di una base USA nel
cuore di Vicenza si chiude l’ultimo barlume di speranza in una azione
di governo vagamente autonoma dalle strategie politico-militari
statunitensi.
Il servilismo con il quale la decisone è stata presa traspare
dai tempi, in largo anticipo sulla enfatizzata “dichiarazione
chiarificatrice di venerdì 19 gennaio”, e dai modi, esposti dal
ministro degli esteri durante la trasmissione televisiva
“Ballarò” di martedì 16 gennaio , durante la quale
D’Alema ha rivelato una proposta alternativa al Dal Molin,
evidentemente rifiutata dal padrone americano. Il Pentagono ha battuto
forte sul tavolo, ha dettato le condizioni per la realizzazione della
base ora, subito, adesso. Il "governo amico" ha battuto i tacchi.
Alcune affermazioni di Prodi, che addossano ora la
responsabilità della scelta al voto del consiglio comunale di
Vicenza ed al passato governo Berlusconi aggiungono al servilismo un
forte sapore di ridicolo.
Mentre migliaia di cittadini vicentini occupano la stazione di Vicenza,
le trivelle sono pronte a scavare le fondamenta per l’installazione
della 173° brigata aviotrasportata USA, tristemente nota per i
massacri in Vietnam e più recentemente a Falluja..
La strada tracciata è evidente: una reiterata
subalternità dell’Italia alle presenti e future operazioni di
guerra in Medio Oriente. I nostri territori saranno ancora di
più trampolino di lancio per le aggressioni contro
l’Afghanistan, la Siria, l’Iran, il Libano, la Somalia e il corno
d’Africa.
In base a queste scelte politiche decine di civili afgani muoiono
quotidianamente sotto i bombardamenti della NATO, in Libano i soldati
italiani difendono (dichiarazioni di D’Alema e Prodi) gli interessi di
Israele e dell’illegittimo governo Siniora, è stata varata una
finanziaria che - prima volta nella storia repubblicana - investe
più fondi per le spese militari rispetto a quelle sociali.
La cosiddetta “sinistra radicale” di governo si trova ora di fronte ad
una nuova, gravissima scelta presa dal “nocciolo duro” dell’esecutivo
prodiano, contro la quale l’unica strada possibile sarebbe quella di
determinare una vera crisi di governo, con il ritiro dei propri
ministri dall'esecutivo.
Dubitiamo fortemente sulle reali intenzioni di questo ceto
politico, prono sino ad oggi di fronte a scelte guerrafondaie e
liberiste.
La base USA al Dal Molin apre la strada ad una riorganizzazione
strategica dell’esercito statunitense nel nostro paese. Le notizie
trapelate in questi ultimi anni su ipotesi di raddoppio ed ampliamento
a camp Darby, Sigonella, Taranto, Brindisi, Napoli si tramutano oggi in
una drammatica attualità.
Il movimento contro la guerra si trova di fronte ad una sfida a tutto
campo, su tutto il territorio nazionale. Le lotte di questi mesi a
Vicenza indicano però una strada, in grado di far uscire le
mobilitazioni da un generico pacifismo.
Dobbiamo costruire una forte rete nazionale di resistenza attiva sui
territori, contro la militarizzazione della politica e dell’economia,
contro l’occupazione di intere aree da parte di eserciti in guerra oggi
contro i popoli mediorientali, domani contro chiunque metta in
discussione l’ordine delle cose esistente.
Esprimiamo la nostra totale solidarietà alle mobilitazioni di
queste ore a Vicenza, chiamando tutte le realtà coerentemente
pacifiste a scendere in piazza, contro un ulteriore, vergognoso
schiaffo alla dignità nazionale, subìto oggi da un
governo che qualcuno spacciava come “amico”.
Occorre mobilitazione immediata e riorganizzazione strategica del
movimento contro la guerra.
Il convegno nazionale “Disarmiamoli” del
prossimo 10 febbraio a Bologna si porrà al servizio di
queste urgenze.
Il
Comitato nazionale per il ritiro delle truppe italiane
www.disarmiamoli.org --
info @ disarmiamoli.org
No alla base militare USA a Vicenza. La
posta in gioco
Il governo Prodi intende dare il via libera alla costruzione di una
nuova base militare USA a Vicenza che affianchi quella già
esistente nel cuore della città (Camp Ederle).
Sono evidenti a tutti la gravità e le conseguenze di questa
scelta. La decisione del governo pone serissimi problemi di democrazia
e di collocazione internazionale dell’Italia.
1) La nuova base militare USA al Dal Molin infatti sarà una base
pienamente operativa e funzionale alla dottrina della guerra
preventiva. Da essa dovrebbero partire i blitz dei paracadutisti
statunitensi in tutto l’arco di crisi mediorientale e eurasiatico,
sussumendo così Vicenza dentro un sistema operativo di guerra
che vede l’Italia coinvolta pienamente.
La base al Dal Molin diventerebbe uno dei
“santuari” delle aggressioni contro altri popoli.
2) L’ampiezza del dissenso e della mobilitazione popolare contro la
nuova base militare a Vicenza, è stata tale che la decisione del
governo di procedere comunque all’installazione della base al Dal
Molin, cozza frontalmente con la
sovranità
popolare. Questo governo si regge su una coalizione di forze che
oggi sono chiamate a scegliere tra questa e la lealtà ad un
esecutivo orientato su una
scelta
antidemocratica
3) E’ tempo che si apra una vasta e radicale battaglia democratica,
popolare e antimilitarista contro i vincoli e i trattati internazionali
a cui è sottoposto il nostro paese. La “relazione speciale con
gli USA” o la fedeltà atlantica nella NATO, non possono
più essere dei dogmi indiscutibili per l’Italia del XXI Secolo.
Il rapporto di
servilismo e
subalternità agli USA e alla NATO (e la presenza delle
loro basi militari nel nostro territorio) vanno rimessi in discussione
radicalmente. A fronte della continuità della subordinazione
atlantica, diventano risibili e ridicoli i discorsi sulle iniziative
“autonome” dell’Italia in Libano o in Medio Oriente. Al contrario, le
missioni militari in questi teatri assumono il segno della
complicità con la dottrina USA della divisione e della guerra
civile diffusa in quella regione.
E’ necessario avviare una mobilitazione locale e nazionale che prenda
di petto i nodi centrali della politica militare e internazionale del
governo italiano e ne renda sempre più difficile la
realizzazione. La parola d’ordine “disarmiamoli” può indicare
una nuova politica e una nuova etica su cui costruire una alternativa e
una alterità di modelli.
Mettiamo
in campo subito una giornata di mobilitazione in tutte le città
contro la costruzione della nuova base militare USA a Vicenza e a
sostegno del movimento popolare che si oppone alla base
Prepariamo
una grande manifestazione nazionale per il ritiro dei militari
italiani da tutti i teatri di guerra, per lo smantellamento delle basi
militari USA e NATO e per il taglio alle spese militari.
16 gennaio
La Rete dei Comunisti
Interpellanza, alla Camera
dei Deputati, di Alberto Burgio sull'allargamento della Base "Dal Molin"
Interpellanza
firmata dai deputati Gennaro Migliore ed Elettra Deiana del PRC
I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei
Ministri, il Ministro degli Affari Esteri e il Ministro della Difesa,
per sapere
– premesso che:
le autorità militari statunitensi hanno avviato da oltre due
anni le procedure per realizzare, nella città di Vicenza,
attualmente sede della 173a Brigata “Airborne”, un vasto complesso
infrastrutturale destinato ad ospitare nuove unità che dovranno
aumentare considerevolmente le capacità operative di detta
Brigata;
secondo quanto dichiarato il 7 marzo 2006 allo US Senate Armed Services
Committee dal comandante dello US European Command, generale James L.
Jones, una volta completata la riorganizzazione della 173a Brigata
“Airborne” in Airborne Infantry Brigade Combat Team e una volta
ultimato lo scioglimento di altre unità terrestri statunitensi
attualmente posizionate in territorio tedesco, la 173a Brigata
“Airbone” diventerà una delle tre sole unità delle forze
armate Usa stanziate in Europa;
la Brigata di stanza in Italia diverrebbe, al termine di questo
processo, l’unità destinata ad interventi di proiezione della
forza in tutta l’area di competenza dello stesso comando europeo che,
oltre all’Europa, comprende la zona del Caucaso e del Caspio, il Medio
Oriente e tutta l’Africa, continente nel quale le truppe della 173a
Brigata “Airbone” ormai da alcuni anni operano e si addestrano;
dal Construction Programs (C-1) - Department of Defense Budget FY2007,
documento ufficiale stilato dal Ministero della Difesa statunitense nel
febbraio 2006, risulta che il progetto sia già finanziato con
322 milioni di dollari per l’esercizio finanziario 2007, a cui
andrebbero aggiunti ulteriori 680 milioni entro il 2010;
fin dalla primavera del 2005 le autorità militari statunitensi,
con l’assistenza di tecnici del 5° Reparto infrastrutture di
Padova, organo dell’Ispettorato infrastrutture dello Stato maggiore
dell’Esercito italiano, hanno avviato la progettazione esecutiva degli
edifici e delle installazioni che dovrebbero ospitare le nuove
unità all’interno della zona aeroportuale “Dal Molin” di Vicenza;
nello stesso periodo lo Stato maggiore dell'Aeronautica militare
italiana ha disposto la chiusura o il trasferimento di tutti gli enti
dislocati nel citato aeroporto (il Distaccamento aeronautico di
Vicenza, il 27° Gruppo genio campale e il 10° Gruppo
manutenzione elicotteri), al fine di rendere l’area libera da ogni
attività militare italiana;
nella primavera del 2006, nonostante il parere contrario dei servizi
tecnici del Comune di Vicenza, la Giunta comunale della città
veneta ha sottoposto agli organi del Consiglio comunale il progetto
esecutivo;
nell’agosto 2006 il Giornale di Vicenza ha riportato con rilievo la
notizia che un secondo insediamento militare Nato starebbe per essere
attivato a Longare, nelle immediate vicinanze di Vicenza;
il portavoce dell’Ambasciata statunitense a Roma, Ben Duffy, ha
confermato che l’Italia avrebbe dato l’assenso a rendere disponibili,
per il personale militare statunitense, le strutture dell’aeroporto
“Dal Molin”;
il Comandante in carica dell’United States Army Europa, generale B. B.
Bell, ha affermato che le trattative, in corso ormai da oltre due anni,
starebbero per volgere ad un accordo;
l’Assessore al bilancio e all’urbanistica del Comune di Vicenza, Marco
Zocca, ha chiarito che il progetto di insediamento di truppe militari
presso l’aeroporto “Dal Molin” verrà gestito dal Ministero della
Difesa italiano, essendo l’area interessata di proprietà
demaniale, e che il Comune di Vicenza contribuirà al progetto
con circa 40 milioni di euro da destinare ad opere di viabilità
che colleghino il “Dal Molin” con la caserma Ederle;
il vicepresidente del Consiglio dei Ministri, on. Francesco Rutelli,
nel corso della risposta ad un’interrogazione parlamentare rivoltagli
dall’on. Mauro Fabris e avente per oggetto l’utilizzo dell’aeroporto
militare vicentino da parte delle forze armate statunitensi, ha
affermato che «l’ipotesi di concessione in uso dell’area in
questione è stata portata avanti dopo un esame condotto dal
Ministero della Difesa, che ha visto anche il coinvolgimento delle
autorità locali, dalle quali risulta all’amministrazione non
siano stati presentati particolari elementi ostativi alla realizzazione
di una base. Di conseguenza, nella XIV legislatura la Difesa ha
rappresentato al Governo degli Stati Uniti una disponibilità di
massima a questa concessione, a condizione che l’operazione venga
formalizzata con un piano preciso di transizione sulla tempistica, le
azioni da compiere e i costi; un piano – aggiungo – che si rende
necessario, perché l’attività deve coinvolgere tutti i
livelli, innanzitutto gli enti territoriali, perché ne sia
informata, ovviamente, la popolazione locale, oltre che il Governo
della Repubblica, perché si possa pervenire ad una soluzione
condivisa sul progetto, consentendo la continuazione senza restrizioni
delle attività di volo commerciale che insistono sull’aeroporto
“Dal Molin”»;
dai risultati di un sondaggio telefonico condotto, tra il 4 e il 6
ottobre 2006, dalla società “Demos & Pi” su un campione di
1.502 persone residenti nel territorio dei Comuni di Vicenza e
Caldogno, è emerso che 7 cittadini su 10 sono a conoscenza del
progetto e che ben il 61% degli intervistati residenti nel Comune di
Vicenza e il 65% di quelli residenti nel Comune di Caldogno è
contrario;
il sondaggio certifica un dato già chiaramente emerso negli
ultimi mesi, durante i quali sono state organizzate numerose iniziative
e manifestazioni contro il progetto della nuova base Usa, ultima in
ordine di tempo la manifestazione svoltasi a Vicenza il 4 dicembre
scorso, che ha visto la partecipazione di oltre 30.000 persone;
negli stessi mesi sono state raccolte circa 10mila firme a sostegno di
tali iniziative pubbliche avverse al progetto in questione;
l’opinione pubblica vicentina ha in più occasioni motivato la
propria contrarietà al progetto con i rischi di impatto
ambientale che lo stesso produrrebbe nel cuore dei quartieri
residenziali di Vicenza; con le ripercussioni che il progetto avrebbe
in materia di sicurezza, principalmente a causa della concentrazione di
veicoli militari e armamenti in un’area densamente abitata e che ospita
da oltre trent’anni strutture di utilizzo pubblico; nonché con
il rifiuto nei confronti dell’ulteriore militarizzazione di un
territorio che ospita già un imponente insediamento militare
quale quello della caserma “Ederle”;
alla voce delle varie associazioni della società civile si
è aggiunto nelle settimane scorse l’appello di un nutrito gruppo
di autorevoli urbanisti che mettono in evidenza come la nuova base
comporterebbe l’utilizzo di ulteriori 600mila metri cubi di cemento per
la costruzione di caserme e magazzini bellici, in un territorio
già notevolmente segnato dalla dispersione disordinata di
insediamenti industriali, commerciali e residenziali;
risulta chiaro che, come lo stesso appello mette in rilievo, il nuovo
insediamento comporterebbe un notevole incremento del potenziale
bellico statunitense localizzato in Italia, a sessant’anni dalla fine
del Secondo conflitto mondiale, a oltre quindici anni dalla caduta del
Muro di Berlino e dallo scioglimento del Patto di Varsavia, in palese
contrasto con l’impegno più volte ribadito dal Governo e dal
Parlamento di contribuire a costruire un’Europa di pace;
sono consistenti le implicazioni politiche conseguenti al più
che raddoppio delle capacità operative della 173a Brigata
“Airborne”, la quale assumerebbe un ruolo centrale nella strategia
militare Usa, oggi particolarmente aggressiva, in Medio Oriente, Golfo
Persico e Africa – :
– se il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri
interpellati non ritengano che la questione sia di preminente interesse
nazionale ed in quanto tale di competenza del Governo;
– quali siano le valutazioni del Governo sul progettato potenziamento
della presenza militare statunitense in Italia e in particolare sulla
richiesta di ampliamento delle infrastrutture militari americane in
provincia di Vicenza;
– se siano stati raggiunti accordi tra le autorità governative o
militari statunitensi e le autorità politiche o militari
italiane rispetto alla realizzazione del progetto di ampliamento della
base di Vicenza, come sembra evincersi dalle attività messe in
atto dagli organi periferici del Genio militare e dai provvedimenti di
chiusura o trasferimento dei reparti dell’Aeronautica militare italiana
di stanza nell’aeroporto “Dal Molin” di Vicenza;
- se i Ministri interpellati non ritengano necessario tenere nella
debita considerazione i ripetuti pronunciamenti dell’opinione pubblica
vicentina e quindi prendere atto in via ufficiale della
contrarietà al progetto più volte espressa dalle
popolazioni, recedendo dalla sua realizzazione.
DA KABUL A BEIRUT,
PASSANDO PER VICENZA
Contro le mistificazioni,
uniamo le forze verso la manifestazione nazionale a Vicenza del 17
febbraio!
La ridda di ipotesi esposte in questi giorni per “normalizzare” i
rapporti tra le varie anime del governo di centro sinistra e
tranquillizzare l’opinione pubblica, se non riguardassero argomenti che
toccano direttamente le sorti di intere nazioni e la vita di migliaia
di persone, desterebbero sentimenti alterni tra lo sconcerto e
l’ilarità.
Per le nostre truppe impegnate in Afghanistan si passa dall’”exit
strategy” al “change of strategy”, per quelle in Libano la cosiddetta
“equidistanza tra le parti” è condita da continue dichiarazioni
di Prodi e D’Alema al fianco di Israele e dell’illegittimo governo
Siniora, mentre milioni di libanesi scendono in sciopero contro un
esecutivo screditato e ferocemente filo occidentale.
In Iraq le truppe vengono ritirate secondo i progetti del precedente
governo, ma le nostre industrie militari fanno affari d’oro riarmando
il governo fantoccio di Baghdad, mentre istruttori italiani addestrano
gli squadroni della morte delle bande sciite al servizio dell’occupante
USA.
Tutto questo per i nostri governanti non ha niente a che vedere con la
base USA al Dal Molin di Vicenza! Come è risaputo, la 173
brigata d’assalto USA sarà al servizio della protezione civile
in Val Padana….
L’arte della mistificazione, della falsa coscienza e della menzogna
evidentemente non ha limiti per la fantasia dell’intera classe politica
oggi al governo del paese.
I fatti però, come sempre, hanno la testa dura, come quella dei
cittadini di Vicenza, che chiedono a gran voce segnali chiari,
soprattutto da parte del drappello di parlamentari eletti come
“pacifisti” nelle ultime elezioni politiche: NO alla base ed alle
missioni di guerra, voto contrario e dimissioni da ogni incarico di
governo se non si dovessero modificare gli orientamenti espressi in
questi giorni.
Chi è entrato nelle aule parlamentari con un mandato pacifista
non può e non deve fare da stampella a scelte chiaramente
belliciste!
Il segnale è chiaro, viene da Vicenza ma anche da Bologna, dalla
Toscana, dall’Emilia, dalla Campania e da tante altre zone del paese
che in questi giorni hanno visto la mobilitazione di pacifisti ed
antimilitaristi.
Nei prossimi giorni sono previsti altri presidi, iniziative
territoriali, assemblee, riunioni organizzative, con l’obiettivo di
ricostruire un forte ed autonomo movimento contro la guerra.
Il convegno nazionale “Disarmiamoli” del
prossimo 10 febbraio a Bologna in questo clima si trasforma
giorno per giorno in un importante appuntamento, verso il quale molte
realtà convergeranno con l’obiettivo della costruzione di una
rete nazionale contro la militarizzazione dei territori, della politica
interna ed estera italiana.
La manifestazione
nazionale del 17 febbraio a Vicenza, che ci vede sin da ora
tutti impegnati, sarà una prima importante prova di forza di un
movimento che non ha intenzione di recedere di un passo rispetto al No
alla base al dal Molin ed a tutti gli insediamenti USA – NATO , No alle
missioni militari mascherate da “missioni di pace”, No alle politiche
di guerra mascherate da “risanamento economico”.
Il gioco delle parole, delle alchimie e delle mistificazioni, usato in
questi mesi a piene mani dal governo Prodi e dalla cosiddetta “sinistra
radicale”, inizia a mostrare la corda.
Il
Comitato nazionale per il ritiro delle truppe italiane
www.disarmiamoli.org --
info @ disarmiamoli.org
http://www.ecn.org/ponte/guerra/bascrim.php
Basi militari americane
Una storia di crimini e soprusi.
Di Antonella
Randazzo
Gli Stati Uniti hanno oltre 800 basi militari sparse nel mondo. Tale
livello di militarizzazione globale viene giustificato con l'esigenza
di "sicurezza e protezione". Ma da chi? Chi sono i nemici? E se gli Usa
non sono capaci di proteggere nemmeno se stessi da attentati aerei, a
cosa possono servire questi enormi arsenali? Di sicuro gli effetti
della militarizzazione sono devastanti ovunque. Con le basi militari,
gli Usa introducono una cultura di guerra, di dominio e di violenza.
Ovunque avvengono crimini contro la salute, l'ambiente, reati sessuali
e di altro genere. Nell'esercito americano avvengono almeno 14.000 casi
di violenza sessuale ogni anno. Raramente i responsabili subiscono un
processo perché vige ovunque il principio
dell'extraterritorialità.
Nella base della Maddalena, in Sardegna, i danni ambientali sono
enormi. Nel settembre del 2005 è stato rivelato che i
sottomarini di attacco americani avevano gettato acqua radioattiva dai
reattori, inquinando il Parco marino internazionale delle Bocche di
Bonifacio. Invano l'allora deputato Mauro Bulgarelli chiese al Ministro
italiano della Difesa: "Quali i provvedimenti presi durante questa
delicatissima operazione?"[1]
Già nel dicembre del 2003, Bulgarelli aveva sollevato domande
sull'operato dei militari della base, ma incredulo si era trovato di
fronte ad un atteggiamento arrogante: Sapete cosa ci ha risposto il
comando del corpo militare italiano quando ci siamo allarmati per il
modo in cui vengono stoccate le armi atomiche dalla Marina americana
alla Maddalena? E quando ci siamo preoccupati per le procedure relative
allo scarico dei residui radioattivi? Ci hanno risposto: "No comment".
E' un insulto alla nostra sovranità nazionale![2]
Nell'ottobre del 2003 si era verificano un incidente al sottomarino
nucleare Hartford, che aveva prodotto gravi danni. Le conseguenze
dell'incidente sono state tenute segrete, ma gli abitanti avevano
sentito un enorme boato. Anche nel 2000 si era verificato un incidente
nella base di Camp Darby, in seguito al quale furono evacuate diverse
armi, forse nucleari. La popolazione è tenuta all'oscuro di
ciò che avviene nelle basi, e non c'è alcuna protezione
per la salute dei cittadini. In caso di incidenti, lungi dall'avanzare
proposte di giusto risarcimento, gli americani non ammettono nemmeno i
danni prodotti. La Sardegna veniva chiamata dal Pentagono, già
nel 1954, "A pivotal geographic location". Da molti anni il popolo
sardo è privato di parte del territorio e subisce restrizioni e
conseguenze di vario genere a causa delle basi militari americane.
Nella base militare Capo S. Lorenzo-Quirra avvengono esercitazioni e
sperimentazioni di tipo bellico. Il poligono si estende per più
di 11.000 ettari , e le zone interdette o pericolose per la navigazione
sconfinano in acque internazionali e coprono oltre 2.800.000 ettari ,
una superficie più estesa di quella dell'intera Sardegna.
Periodicamente viene organizzato lo "shopping della morte", con aziende
come la Thomson , la Fiat , la Aerospatiale e la Alenia , che
presentano nuovi armamenti e materiali di guerra da testare e di cui
promuovere l'acquisto in tutto il mondo.
Nelle zone limitrofe ai poligoni si sono registrate morti strane e
sospette. Ad esempio, a Quirra, un paesino di soli 150 abitanti, 20
persone sono morte di leucemia o tumori emolinfatici. Anche 10 persone
che avevano lavorato nella base sono morte di cancro. A Escalaplano, un
paesino di 2.600 abitanti, a nord del poligono, 14 bambini sono nati
con gravissime malformazioni genetiche e patologie rarissime. I
militari americani non riferiscono i particolari delle loro
esercitazioni, e si sospetta l'uso di proiettili all'uranio impoverito.
Negli ultimi anni sono aumentati i casi di tumori ossei e alla
mammella, proprio dove si trovano i sommergibili americani a
propulsione nucleare, a La Maddalena. I casi di "anencefalia" e di
"cranioschisi" sono già stati riscontrati in altre zone ad alto
inquinamento radioattivo, come spiega una mamma al giornalista Piero
Mannironi: A cavallo tra il 1987 e il 1988... Ricordo che raccontai al
genetista delle altre due donne della Maddalena che avevano avuto
questo problema insieme a me. E lui mi disse che un'incidenza
così alta di anencefalie, secondo uno studio scientifico
internazionale, era stata riscontrata in una zona del Galles dove si
effettuavano lavorazioni industriali che provocavano l'emissione
continua di radiazioni.[3]
Nonostante i crimini e gli occultamenti da parte delle autorità
militari americane, al ministro Arturo Parisi è bastata una vaga
promessa di ritiro dalla Maddalena, avanzata dal segretario alla Difesa
Donald Rumsfeld, per annunciare la "conferma (del)l'affidabilità
dei rapporti che ci legano agli Usa con la conclusione in amicizia
della presenza alla Maddalena".[4] Ma le cose non sono da considerare
così ottimisticamente come azzarda il ministro. Innanzitutto le
autorità americane, non riconoscendo alcuna
responsabilità di danni all'ambiente e alle persone, non parlano
di bonifica né di risarcimento, e le intenzioni di ritiro sono
vaghe e non escludono il permanere del controllo militare americano
sulla zona. Le dichiarazioni di Rumsfeld sono seguite alle proteste
molto decise da parte della popolazione sarda, che è ormai stufa
dell'occupazione militare che è costretta a subire. La Maddalena
è stata istituita in seguito a trattati conclusi nel 1972, e al
suo interno viene riconosciuta l'extraterritorialità e
l'extragiurisdizionalità, cioè tutto quello che accade
non può essere controllato o penalmente perseguito dallo Stato
italiano. Il trattato è rimasto segreto, né i cittadini
né i parlamentari possono conoscerne tutti i contenuti, in
offesa al potere sovrano democratico del popolo. Dagli anni Settanta
numerosi medici e scienziati denunciano strani fenomeni genetici e una
percentuale elevata di tumori, che sarebbero causati da sostanze
radioattive prodotte dai reattori. Il governo italiano non ha mai
fronteggiato la situazione, e non ha mai autorizzato controlli sanitari
o ambientali. Il nostro governo ha persino negato la presenza di
armamenti atomici nella base della Maddalena, che il Congresso
americano e l'Assemblea Atlantica hanno confermano.
Dagli anni Cinquanta il governo italiano ha dato mano libera
all'installazione di basi militari americane. Il potere attribuito agli
Usa è enorme, se si pensa che non sono tenuti a precisare
né l'ubicazione della base né le attività che si
svolgono all'interno. Ciò è anticostituzionale
perché viola gli articoli 80 e 87, che prevedono la
sovranità su tutto il territorio dello Stato. Il nostro
territorio è disseminato di basi americane: Ghedi, Sigonella,
Aviano, Camp Darby, Pisignano ecc.; le basi sono complessivamente 113.
In Sardegna c'è il triste primato della morte, col 66% delle
installazioni militari. La base militare di Sigonella, in Sicilia,
è fornita di bombe atomiche, e produce un alto grado di
inquinamento, spreco di energie e di acqua. La base, creata nel 1984,
ospita l'Helicopter Combat Squadron Four HC-4 Black Stallion, dotato di
nove elicotteri pesanti MH-53E Sea Dragon per trasportare uomini, mezzi
e munizioni. Lo squadrone partecipa alle operazioni militari americane
in Europa, Africa e Medio Oriente. E' anche impegnato in operazioni
belliche in Afghanistan e in Iraq. Le testate nucleari sono del tipo B
43, B 61, B 83, con potenza distruttiva variabile da 1 kiloton a 1,45
megaton. Sul territorio italiano sono presenti parecchi missili a
testata nucleare. Soltanto nella nave-balia Uss Emory S.Land,
ormeggiata nelle acque di Santo Stefano ci sarebbero ben 34 missili a
testata nucleare.
Nel 2003 sono partiti i missili contro la popolazione irachena in
spregio all'articolo 11 della nostra Costituzione che "ripudia la
guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli
e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali" Nel
luglio del 2006 il governo israeliano chiese agli americani armi
"speciali", che sarebbero partite dalla base italiana di Camp Darby
(base posta fra il porto di Livorno e l'aeroporto di Pisa). Questa base
nacque da accordi fra Italia e Stati Uniti conclusi nel 1951. Da Camp
Darby sono partiti i missili contro l'Iraq e contro la Jugoslavia. Gli
Stati Uniti hanno regalato ad Israele numerose armi di vario genere,
come le bombe a guida laser (Gbu-28 ) che sono state sganciate nei raid
notturni a Beirut durante l'aggressione al Libano del periodo
luglio-agosto 2006. Le bombe partivano da Camp Darby, senza che gli
italiani ne avessero notizia. L'organizzazione statunitense Global
Security ha dichiarato che "il 31° squadrone munizioni che opera a
Camp Darby è responsabile del maggiore e più disseminato
arsenale di munizioni convenzionali delle Forze aeree Usa in Europa,
consistente in 21.000 tonnellate collocate in Italia, e di due depositi
classificati situati in Israele".[5] La base militare di Camp Darby ha
assunto un ruolo importante nelle guerre del Mediterraneo, e
rappresenta uno dei più grandi arsenali che gli Usa hanno
all'estero. Nel 1991 quasi tutte le munizioni utilizzate durante la
"Tempesta del deserto" provenivano da Camp Darby, come anche gran parte
di bombe e granate utilizzate per la guerra in Kosovo e in Iraq. Dal
1990 al 1998 a Camp Darby sarebbero transitate almeno 22 mila
tonnellate di munizioni e 3278 cluster bomb. L'uso bellico delle basi
sul territorio italiano, di cui gran parte della popolazione è
all'oscuro, è una delle tante prove che l'Italia è un
"paese a sovranità limitata", le cui autorità sono
corresponsabili dei crimini che gli Usa stanno commettendo in molti
paesi del mondo. Ovunque nel mondo, in Iraq come in Afghanistan, in
Romania, Bulgaria, Polonia, Italia, Pakistan, Singapore, Malesia,
Filippine, India, Australia e persino in Vietnam, gli Stati Uniti
stanno progettando nuove basi militari per accrescere il loro potere
strategico e il dominio nel mondo. A Vicenza la popolazione è
costretta a subire la creazione di un'altra base americana. Il nostro
governo si è sentito obbligato a rispettare un trattato
stipulato 60 anni fa e che oggi non ha più ragione d'essere. Il
presidente del consiglio Romano Prodi ha sostenuto che l'Italia "deve
rispettare gli accordi presi", ma non ha precisato che si tratta di
accordi stipulati nel dopoguerra, e che appaiono oggi semplicemente
assurdi.
Anche in molti altri paesi del mondo le popolazioni sono costrette a
subire l'occupazione militare americana. L'isola di Okinawa,
nell'arcipelago giapponese, è di fatto una colonia militare
americana da oltre 58 anni, occupata da ben 38 basi militari americane.
Le basi americane assolvono a diversi scopi: sono basi strategiche da
cui far partire le operazioni belliche, ma sono anche punti
militarizzati per controllare la popolazione. Per assolvere
quest'ultima funzione sono maggiormente militarizzati i paesi sconfitti
durante l'ultima guerra mondiale (Germania, Italia, Giappone), e quelli
in cui attualmente gli Usa stanno cercando di sottomettere la
popolazione (Afghanistan, Iraq, alcuni paesi dell'Africa e dell'Asia).
Dal dopoguerra, l'Italia (come la Germania e il Giappone) è
considerato un paese da "proteggere", che nel linguaggio delle
autorità americane significa da tenere sotto stretto controllo.
Nel periodo della "Guerra Fredda" gli Usa giustificarono la
militarizzazione dell'Italia con il pericolo di "minaccia sovietica".
In un rapporto segreto americano del maggio 1962 si legge: La presenza
delle forze americane in Italia garantisce un importante sostegno
psicologico ai governi filo-occidentali di fronte alla minaccia
dell'aggressione sovietica e costituisce l'evidente testimonianza
dell'alleanza americana. Ciò d'altro canto contribuisce alla
stabilità politica. Il ritiro delle forze sarebbe seguito da uno
sviluppo di sentimenti neutralisti.[6] Per "stabilità politica",
le autorità americane intendevano "subordinazione agli Usa". Si
trattava di occupare militarmente zone la cui popolazione doveva essere
costretta a subire la presenza di militari americani, come un continuo
avvertimento su chi avesse il vero dominio del territorio. Di fatto,
dopo la Seconda guerra mondiale, l'Italia cedeva la sua
sovranità alle truppe americane, che potevano commettere
impunemente ogni sorta di illegalità. Così accadde anche
per la Germania e il Giappone. Nella base di Okinawa, da quando
è stata istituita (1945), avvengono ogni sorta di violenze e
crimini. Per giustificare la massiccia militarizzazione del Giappone,
le autorità americane parlavano di "garanzia di sicurezza e
pace", ma le popolazioni vivevano il fenomeno come un'occupazione
militare, che perdura ancora oggi. L'articolo 5 del trattato di
sicurezza nippo-americano sosteneva che lo scopo delle basi militari
era di "difendere il Giappone", ma non si specificava né da chi
né come, ed era implicito che dovessero farlo necessariamente le
truppe americane.
Negli anni Sessanta soltanto ad Okinawa c'erano 117 basi militari,
diventate 42 negli anni Novanta. Fra il 1972 e il 1995 i soldati
americani commisero 4716 crimini, in parte si trattava di violenze
sessuali. I casi di violenza sessuale erano molto maggiori di quelli
denunciati, in quanto molte donne si vergognavano a sporgere denuncia.
Il Pentagono permetteva che i soldati colpevoli di violenze sessuali
non subissero alcuna condanna. La rivista Nation denunciò che
"coprire crimini sessuali è una precisa linea politica del
Pentagono".[7] Nel settembre del 1995 suscitò molta rabbia e
indignazione lo stupro di una bambina di dodici anni da parte di tre
soldati americani. La polizia di Okinawa identificò i tre
colpevoli, ma non poté arrestarli perché doveva
rispettare il principio di "extraterritorialità", secondo il
quale i soldati americani possono essere processati soltanto da
tribunali americani. Ciò permette alle autorità americane
di rendere impunibili i loro soldati. Nonostante le proteste della
popolazione, i soldati americani non pagarono per lo stupro della
bambina, e dopo il 1995 i casi di violenza sessuale aumentarono. Un
insegnante di scuola media superiore, Ben Takara, chiese alle sue
alunne se fossero mai state molestate dai soldati americani e un terzo
delle ragazze rispose di sì.[8] Nella base di Okinawa avvengono
esercitazioni con granate d'obice, che provocano gravi danni ambientali
e incendi nelle foreste. Inoltre, viene prodotto inquinamento acustico,
che ha provocato danni all'udito in molti abitanti dell'isola.
Sull'isola di Torishima, a 100 chilometri da Okinawa, fra il dicembre
1995 e gennaio 1996 sono state esplose 1520 granate all'uranio
impoverito. I cittadini giapponesi non sono mai stati informati del
tipo di munizioni utilizzate nei poligoni. Oggi nelle basi americane
continuano le esercitazioni che producono danni alla salute e
all'ambiente, e le violenze e prepotenze contro la popolazione. La
retorica di Washington vorrebbe far credere che le basi hanno
motivazioni etiche: La nostra presenza preventiva garantisce la
stabilità... La presenza delle forze armate americane...
favorisce anche lo sviluppo democratico... offrendo un esempio chiaro e
tangibile del ruolo apolitico dei militari americani.[9]
Per capire la verità occorre considerare i fatti, cioè
che ogni base americana rappresenta un pericolo per la vita e il
benessere delle popolazioni, e che i militari americani sono posti al
di sopra delle leggi del paese che li ospita. Occorre temere il
proliferare di questi centri della morte e del segreto che aleggia in
essi. Si tratta di luoghi di potere e di guerra. Come osserva lo
studioso Chalmers Johnson: "(C'è) una grande strategia volta a
preservare o addirittura accrescere il potere americano... Ciò
diventa chiaro allorché volgiamo la nostra attenzione ad alcune
delle attività segrete in tutto il globo... di cui il Pentagono
è a perfetta conoscenza ma di cui altri organi del governo e la
popolazione tutta sono completamente all'oscuro".[10]
[1] http://www.forzearmate.eu/dblog/articolo.asp?articolo=82
[2]
http://www.amnistia.net/news/articles/corsdos/soumarin/eauradioact_901.htm
[3] Fonte: La Nuova Sardegna , 13-2-04
[4] Liberazione, 9 settembre 2006.
[5] Il Manifesto, 23 luglio 2006.
[6] Perrone Nico, Perché uccisero Enrico Mattei, Edizioni
L'Unità, Roma 2006, p. 58.
[7] Nation, 1 luglio 1996.
[8] Newsweek, 14 ottobre 1996.
[9] Department of Defence, United States Security Strategy for the East
Asia-Pacific Region, Washington , D.C. , Department of Defense, Office
of International Security Affairs, febbraio 1995, pp. 23-24.
[10] Johnson Chalmers, Gli ultimi giorni dell'impero americano,
Garzanti, Milano 2001, p. 101.
Disarmiamo il militarismo bipartizan
Via le basi USA/NATO
dall’Italia, via le truppe italiane dai teatri di guerra
Il contributo della Rete
dei Comunisti alla discussione e alla mobilitazione No War
E’ tempo che non ci si nasconda più dietro un dito e si cominci
a mettere a fuoco e contrastare con forza il crescente militarismo
bipartizan che sta condizionando la vita politica e democratica
così come le scelte economiche e strategiche del nostro paese.
L’ultimo vertice della maggioranza di governo, ha blindato la
subordinazione dei partiti della sinistra al mantenimento della
missione militare in Afghanistan e alla costruzione della base USA di
Vicenza. Ma questa è solo la quadratura di un cerchio che si
è cominciato a delineare nei mesi scorsi.
Dal momento del suo insediamento il governo Prodi ha inanellato una
serie di decisioni e scelte in materia di riarmo e di collocazione
internazionale dell’Italia nel gioco della guerra permanente, da
lasciare sconcertati e senza parole anche coloro che più erano
generosamente disposti ad una apertura di credito verso il nuovo
esecutivo.
La Legge Finanziaria che prevede l’accrescimento delle spese militari,
l’estendersi della partecipazione alle missioni militari nei teatri di
guerra in altri paesi, l’ulteriore militarizzazione del territorio e la
crescente collaborazione a scopi bellici delle industrie italiane ed
anche dei centri universitari, hanno fatto cadere ogni illusione anche
ai più testardi.
E’ solo continuità con il precedente governo Berlusconi o
subordinazione agli USA? Oppure è il mantenimento degli impegni
con l’alleato americano (seppur con qualche distinguo verbale ogni
tanto), ma anche la volontà autonoma – in un quadro multipolare
– di ambire politicamente a svolgere un ruolo di piccola/grande
potenza, agevolando il complesso militare-industriale-italiano
all’interno della competizione globale? Da qui derivano scelte
concrete e devastanti alle quali i movimenti e la sinistra di classe
devono opporsi con determinazione.
1. Perché
chiediamo lo smantellamento delle basi militari USA e NATO?
La scelta del governo Prodi di non opporsi alla costruzione della base
USA a Vicenza (non allargamento o ampliamento come erroneamente si dice
anche a sinistra) della nuova base militare USA, è una
decisione che pone serissimi problemi di democrazia e di
collocazione internazionale dell’Italia. La cosiddetta “sinistra
radicale” di governo si trova di fronte ad una nuova, gravissima scelta
presa dal “nocciolo duro” dell’esecutivo prodiano e obiettivamente non
sembra potere né volere costituire un ostacolo e un impedimento
a questo nuovo diktat guerrafondaio.
La nuova base militare al Dal Molin infatti sarà una base
pienamente operativa e funzionale alla dottrina della guerra
preventiva. Collegata alle basi aeree di Aviano e Sigonella e a quella
logistica di Camp Darby (senza mai dimenticare che nelle basi di Aviano
e Ghedi ci sono decine di testate nucleari), diverrà un
trampolino di lancio delle operazioni militari statunitensi contro
l’Afghanistan, la Siria, l’Iran, il Libano, la Somalia e il corno
d’Africa. Vicenza e la base al Dal Molin diventerebbero
così uno dei “santuari” delle aggressioni contro altri popoli.
L’ampiezza del dissenso, della opposizione e della mobilitazione
popolare contro la base a Vicenza, è stata tale che l’assenso
del governo all’installazione della base al Dal Molin cozza
frontalmente con la sovranità popolare. Le frasi di Prodi e
D’Alema sul carattere “urbanistico” dell’impatto e delle decisioni
sulla base al Dal Molin sono una provocazione contro questa
volontà popolare.
E’ tempo che si apra una vasta e radicale battaglia democratica,
popolare e antimilitarista contro i vincoli e i trattati internazionali
a cui è sottoposto il nostro paese. La “relazione speciale con
gli USA” o al fedeltà atlantica nella NATO, non possono
più essere dei dogmi indiscutibili per l’Italia del XXI secolo.
Il rapporto di servilismo e subalternità agli USA e alla NATO (e
la presenza delle loro basi militari nel nostro territorio) vanno
rimessi in discussione radicalmente.
2. Perchè chiediamo
il ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan?
In Afghanistan, la NATO e gli Stati Uniti hanno detto che non possono
permettersi nessun fallimento e nessuna sconfitta. Il progetto e
l’obiettivo strategico è quello di consolidare e garantirsi una
stabile presenza militare nel cuore dell’Asia centrale per il controllo
delle immense risorse energetiche racchiuse nei territori delle
Repubbliche ex sovietiche dell’area caucasica, e l’accerchiamento e
contenimento della Russia e della Cina. La Nato ha chiesto ed ottenuto
un rafforzamento dell’intervento militare all’Italia e agli altri paesi
europei in previsione di una escalation militare.
Il governo italiano sostiene che la missione militare ISAF in
Afghanistan non è una missione unilaterale di guerra come
“Enduring Freedom”, bensì una missione multilaterale ONU. Ma non
dice che la natura della missione ISAF è completamente cambiata,
poiché si è “fusa” con Enduring Freedom diventando
anch’essa una missione di guerra.
Il decreto di rifinanziamento della missione in Afghanistan votato dal
Consiglio dei ministri, ha promesso un impegno per una conferenza
multilaterale (sulla quale però, al momento, non c’è
neanche un minimo di consenso internazionale) e per una estensione
della presenza sul piano civile. Torna così quella idea di
“civile e umanitario” come estensione dell’intervento militare che
ricorda tanto il concetto di guerra umanitaria coniato durante
l’aggressione alla Jugoslavia e i bombardamenti su Belgrado e la famosa
“missione Arcobaleno” con i suoi scandali e ruberie.
Ma nonostante queste improbabili furberie, la maggioranza della
popolazione italian (il 56% secondo l’ultimo sondaggio di febbraio)
vuole però il ritiro dei militari italiani dall’Afghanistan, una
percentuale che sale al 70% tra gli elettori dell’Unione. La
maggioranza reale continua così a entrare in contraddizione con
la maggioranza parlamentare.
3. Perché diciamo
anche via le truppe italiane dal Libano?
In Libano siamo di fronte ad un paradosso: più cresce lo scontro
politico, più aumentano i morti per le strade di Beirut,
più diminuisce la credibilità e la
rappresentatività del governo Siniora, più cresce e si
rafforza la coalizione politica di opposizione(Hezbollah, Partito
Comunista, le forze patriottiche e nazionaliste, i cristiani di Aoun
etc.) e più nel nostro paese si tenta di nascondere e
minimizzare la gravità della realtà libanese.
Le esternazioni continue di Prodi e D’Alema in appoggio al governo
libanese si palesano sempre più come una inaccettabile
ingerenza nella dialettica politica interna libanese. La
“sinistra radicale” parlamentare è acriticamente allineata
al governo ed esprime in ogni sede il suo sostegno alla missione
militare in Libano, alimentando colpevolmente la tesi di una missione
“pacificatrice” ed “equidistante” tra i contendenti. Ma anche
all’interno del movimento contro la guerra si fa fatica ad introdurre
nelle piattaforme la parola d’ordine del ritiro dal Libano.
Strano però che questa tesi non sia condivisa da oltre il
sessanta per cento degli italiani che dicono no alla presenza delle
nostre truppe non solo in Afghanistan ma anche in Libano!
Eppure la risoluzione 1701 dell’ONU - figlia della precedente
risoluzione 1559 del 2004 di marca francese e statunitense – è
chiarissima nel suo intento fondamentale che è quello di
garantire la massima sicurezza di Israele e contemporaneamente
frenare,limitare,mortificare le forze della resistenza
anti-israeliana. Il tentativo delle potenze europee di
approfittare della sconfitta degli israeliani nel sud Libano e delle
difficoltà degli americani in Iraq e Afghanistan per rivedere i
rapporti di forza con l’alleato USA, non hanno niente a che spartire
con l’interesse dei popoli mediorientali alla libertà,
indipendenza, pace e giustizia. Già a suo tempo abbiamo
denunciato il rischio che l’Italia faccia il “lavoro sporco” per conto
di Israele e degli Stati Uniti. Trovarsi coinvolti nel teatro du una
nuova guerra civile, significa essere complici del progetto di
“destabilizzazione creativa” e disintegrazione degli Stati su
basi etniche e confessionali in corso in Iraq, Afghanistan, Palestina.
4. Perché l’Italia
sta giocando sporco anche sulla questione palestinese?
Sulla Palestina, quali sono a tutt’oggi gli atti concreti, le
iniziative proposte da questo esecutivo di centrosinistra nelle varie
sedi internazionali per rendere un po’ di giustizia ai diritti storici
del popolo palestinese e per la condanna dell’occupazione israeliana?
Il Ministro D’Alema passa come uno degli uomini politici
più sensibili alla causa palestinese, e questo, ha lasciato
sperare in una qualche sorte di discontinuità con il
precedente governo Berlusconi. Ma chi l’ha vista questa
discontinuità?
Il ministro degli esteri ha ricordato che il governo italiano è
con Israele e mantiene l’embargo che sta affamando e disgregando la
società palestinese, rea di aver eletto democraticamente il
governo di Hamas diversamente da quanto auspicato da USA e Europa.
Anzi, D’Alema e il governo hanno riproposto nella Striscia di Gaza una
forza multinazionale di interposizione come nel Sud Libano. Di
nuovo una proposta militare, una ingerenza inaccettabile per il governo
di Hamas, impegnato in un duro scontro con l’ANP e il presidente Abu
Mazen.
L’Italia ha inoltre confermato l’accordo di cooperazione militare
bilaterale con Israele siglato dal precedente governo Berlusconi (in
gran parte segreto), trovandosi così nella posizione
di un paese alleato con la politica bellicista israeliana e che
minaccia un attacco nucleare contro l’Iran.
Mentre sono stati negati i visti d’ingresso a noti esponenti politici e
ministri palestinesi, Prodi ha ricevuto calorosamente il primo ministro
Olmert. Nessuna sanzione o condanna è stata adottata contro
Israele. Al contrario, prima le parole di Prodi sulla
“intoccabilità” del carattere ebraico di Israele, poi quelle del
presidente Napoletano sull’equiparazione tra antisionismo e
antisemitismo, hanno schierato l’Italia al fianco delle forze
più reazionarie in Israele e nel nostro paese..
Lo Stato di Israele e la società israeliana sono in una crisi
profonda sia dal punto di vista morale che sociale. I più alti
vertici politici e militari sono sotto inchiesta giudiziaria, indagati
dalla magistratura. Sarebbe il momento opportuno per “approfittarne” e
ridimensionare le mire espansioniste e di colonizzazione delle terre
palestinesi. Niente di tutto ciò!
Le reazioni scomposte e l’irritazione con cui nella sinistra e nella
“politica” vengono sopportate iniziative di sostegno alla resistenza
del popolo palestinese, nascondono il malcelato desiderio di espungere
dall’agenda politica il problema Palestina per trattarlo semmai solo
come un problema di carattere umanitario. Oltre a commentare gli
“slogans indicibili” e a criticare chi brucia i pupazzi in piazza, la
“politica” dica qualcosa anche contro l’uso delle nuove armi israeliane
a Gaza o in Libano che dilaniano le persone in carne d’ossa come
è stato ampiamente documentato.
5. Siamo veramente fuori
dal mattatoio in Iraq?
Il ritiro dall’Iraq – concordato peraltro con gli americani –
è avvenuto negli stessi tempi già annunciati dal governo
Berlusconi, ed è stato un atto dovuto alle milioni di persone
che sono scese in piazza negli anni scorsi, ma è stato
accompagnato da continue e rumorose rassicurazioni a Washington sulla
politica estera del governo di centrosinistra.
Non siamo più a Nassyria, ma non è un mistero per nessuno
che sia l’ENI che le nostre industrie militari facciano affari copiosi
riarmando il governo fantoccio di Bagdad o che gli istruttori italiani
partecipino all’addestramento dell’esercito, della polizia e
anche degli squadroni della morte al servizio dell’occupante
statunitense. E poi c’è la collaborazione piena con la
tristemente “famosa” 173° brigata aviotrasportata USA (quella del
massacro di Falluja) che dovrebbe insediarsi a Vicenza capace di
intervenire in poche ore nello scacchiere e nelle operazioni di guerra
in Medio Oriente.
E’ una forzatura affermare che non siamo del tutto fuori dal carnaio
iracheno ?
La parola d’ordine
“Disarmiamoli” lanciata dal convegno di Bologna del 10 febbraio
può indicare una nuova politica e una nuova etica su cui
costruire una alternativa e una alterità di percorso per i
movimenti contro la guerra e il militarismo.
La manifestazione
nazionale del 17 febbraio a Vicenza è una prima importante
prova di forza di un movimento che non ha intenzione di recedere di un
passo rispetto al No alla base al Dal Molin e alle basi USA/NATO nel
nostro paese.
Riteniamo sia urgente una
grande manifestazione nazionale a Roma che prenda di petto il governo
Prodi e il militarismo bipartizan, ponga con forza la richiesta del
ritiro immediato delle truppe italiane dall’Afghanistan, dal Libano e
da tutti i teatri di guerra, la chiusura delle basi USA/NATO e il
taglio alle spese militari
La base USA al Dal Molin
apre la strada ad una riorganizzazione strategica dell’esercito
statunitense nel nostro paese. Il movimento contro la guerra si trova
di fronte ad una sfida a tutto campo e su tutto il territorio
nazionale. Dobbiamo costruire una forte rete di resistenza attiva sui
territori, contro la militarizzazione della politica e dell’economia,
contro l’occupazione di intere aree da parte di eserciti in guerra,
oggi contro i popoli mediorientali, domani contro chiunque metta in
discussione l’ordine delle cose esistenti.
La Rete dei Comunisti
cpiano @ tiscali.it; www.contropiano.org
http://www.aprileonline.info/1697/gli-americani-contro-la-base-di-vicenza
Gli americani contro la
base di Vicenza
A cura di Stefano Rizzo, 09 febbraio 2007
Lettera
aperta
La lettera, in italiano e in lingua originale, della sezione romana
dell'associazione
"US Citizens for
Peace and Justice" che invita a
partecipare alla manifestazione del 17 febbraio contro l'ampliamento
della
Dal Molin
Pubblichiamo in
italiano e in lingua originale la seguente lettera della
sezione romana
dell'associazione "US Citizens for Peace and Justice" che
invita tutti i cittadini
americani presenti in Italia a partecipare alla
manifestazione del 17
febbraio a Vicenza contro l'ampliamento della base
Dal Molin.
L'associazione intende
anche scrivere all'ambasciatore Spogli per
protestare contro il
"warning" emesso dall'ambasciata che "sconsiglia" la
presenza di americani
alla manifestazione e in città in quel giorno.
Dopo la scandalosa
lettera di pressione nei confronti del governo italiano
perché non ritiri
i propri soldati l'Afghanistan, questa è la seconda
grave scorrettezza che
l'ambasciatore Spogli compie in pochi giorni,
questa volta nei
confronti anche dei propri concittadini. Tutti gli
americani presenti in
Italia, qualunque cosa pensino della politica estera
del proprio governo,
sanno di essere i benvenuti e conoscono bene
l'amicizia e la simpatia
che gli italiani provano per loro, a destra come
a sinistra dello spettro
politico. Insinuare, come fa l'ambasciatore
Spogli, che gli americani
corrano dei pericoli in Italia a causa di una
manifestazione politica
è un tentativo neppure troppo nascosto di mettere
il bavaglio ai cittadini
americani che da anni si battono, in America e
nel mondo, contro la
politica guerrafondaia dell'amministrazione Bush; ed
è anche un'offesa
nei confronti del popolo italiano e delle sue
istituzioni democratiche.
Al contrario, anche noi
ci uniamo a US Citizens for Peace and Justice
nell'invitare tutti gli
americani (e sono tantissimi) amanti della pace a
essere presenti a Vicenza
il 17 febbraio e a fare sentire la propria voce.
L'ambasciata americana
certamente rappresenta il proprio governo, ma le
ultime elezioni politiche
negli USA dimostrano che quel governo non
rappresenta più la
maggioranza degli americani, soprattutto per quel che
riguarda la politica
estera e la guerra.
Cari attivisti per la pace,
La lotta contro la nuova base americana a Vicenza continua. Il 17
febbraio
si terrà un'altra manifestazione. Il nostro gruppo, US Citizens
for Peace
and Justice, aderisce alla marcia e parteciperà assieme a US
Citizens
Against War di Firenze.
Vicenza ospita già diverse istallazioni militari americane, tra
cui Camp
Ederle. La nuova base occuperebbe un'area a nord della città
nell'attuale
aeroporto civile di Dal Molin e servirebbe a unificare la 173°
brigata
aviotrasportata che in parte già si trova a Vicenza, mentre
un'altra parte
è in Germania. L'obbiettivo dell'esercito americano è
quello di rendere
possibili un intervento rapido nel Medioriente. Vicenza quindi, in base
a
questo progetto, dovrebbe diventare un importante hub del nuovo ordine
militare.
I residenti della zona stanno conducendo una campagna di protesta da
quando a maggio dell'anno scorso è stato reso noto il nuovo
progetto. Il
punto più alto della protesta è stato la manifestazione
nazionale del 2
dicembre 2006, la più grande manifestazione che mai ci sia stata
a
Vicenza, quando oltre 30.000 persone arrivarono in città da
tutta Italia.
Il 16 gennaio il Presidente del consiglio Prodi ha annunciato che il
governo italiano dava il nulla osta alla costruzione della nuova base e
il
Senato ha di recente approvato la decisione. Ma tutto ciò non ha
fermato
il movimento di protesta contro la base, contro le servitù
militari e
contro la guerra. La gente è più unita e determinata che
mai.
Siamo a fianco degli attivisti italiani nel contrastare la costruzione
di
questa base e chiediamo al governo americano di ascoltare tutti coloro
che
nelle elezioni del 7 novembre hanno votato non per più spese
militari, non
per più basi americane nel mondo, non per interventi rapidi, ma
perché le
cose cambino.
VENITE CON NOI A VICENZA DOVE ANCHE LA NOSTRA VOCE E' NECESSARIA!
Nota: Alcuni di voi forse hanno ricevuto il "warning" dell'ambasciata
americana di Roma che mette in guardia contro "le proteste
antiamericane".
Insieme al gruppo US Citizens Against War di Firenze intendiamo
rispondere
a questo messaggio con una lettera aperta all'ambasciatore Spogli. Se
siete interessati e volete aiutarci a scrivere la lettera, fatecelo
sapere. Non abbiamo molto tempo perché è opportuno che la
lettera parta il
prima possibile
Versione in inglese:
"Dear peace activists,
The struggle against
the new U.S. military base in Vicenza, Italy
continues. Another
national demonstration will be held on February 17.
Our group, U.S.
Citizens for Peace & Justice, has endorsed this march and
will participate,
together with U.S. Citizens Against War in Florence.
National
Demonstration: "Defend Our Land Against Bases of War"
Vicenza, Italy
Saturday, February 17,
2:30pm
Vicenza is already
home to several U.S. military installations,
including Camp Ederle.
The new base would occupy an area north of the
city in the existing
civilian airport of Dal Molin and would serve to
unite the 173rd
Airborne Brigade, part of which is already present in
Vicenza and the rest
in Germany. The objective of the U.S. military is
for rapid intervention
in the Middle East. Vicenza, according to this
plan, is therefore
destined to become an important hub for the new global
military order.
A strong grassroots
campaign has been waged by local residents since the
news of the plan
leaked out last May, culminating in the national
demonstration on
December 2, 2006, with 30,000 people coming from all
over Italy, the
largest protest march ever in the city of Vicenza.
(See write-up, photos,
articles and more on our site:
http://www.peaceandjustice.it/nomilitarybases-post.php)
Prime Minister Prodi
announced on January 16 that the Italian
Government would not
oppose the construction of the new base. The
Senate just voted to
approve. But this hasn't stopped the movement
against the new base,
against military servitude and against war. The
people are more united
and determined than ever.
We join with Italian
activists and citizens in opposing the
construction of this
base, and call on our own government to listen to
the people who, on
November 7, voted not for more military spending, not
for more U.S. military
bases, not for rapid military intervention, but
for change.
PLEASE JOIN US IN
VICENZA WHERE OUR VOICE IS NEEDED!
NOTE: Some of
you may have received the attached "warning" of an
"anti-U.S." protest
from the Embassy in Rome. Together with the group
U.S. Citizens Against
War in Florence we plan to respond to this message
with an open letter to
Ambassador Spogli. If you are
interested in helping
to draft this letter, please let us know at:
info @
peaceandjustice.it We won't have much time for comments as this
needs to be addressed
as soon as possible."
LETTERA APERTA
ALL'AMBASCIATORE STATUNITENSE IN ITALIA,
IN OCCASIONE DELLA SUA PRESENZA A FIRENZE, A PROPOSITO
DELL'"ANTI-AMERICANISMO"
Firenze,
12 febbraio 2007
All'Ambasciatore Ronald Spogli
Ambasciata statunitense, Roma
Egregio Ambasciatore,
Come cittadini statunitensi in Italia Le scriviamo per chiedere una fine
alle ingerenze della nostra Ambasciata nella vita politica dell'Italia.
La sua lettera firmata da altri quattro ambasciatori per fare pressione
sul
Governo italiano perché continui la sua partecipazione alla
guerra in
Afghanistan è stata una inaudita e inaccettabile interferenza
dell'Ambasciata USA nella dialettica democratica di questo paese, oltre
a
suonare offensiva alla grande maggioranza degli italiani che secondo i
sondaggi vorrebbero il ritiro delle truppe italiane anche in rispetto
dell'Art. 11 della Costituzione che dichiara che "L'Italia ripudia la
guerra
come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali."
Poi, pochi giorni dopo, l'Ambasciata USA ha compiuto a parere nostro una
seconda grave scorrettezza. Ha inviata a noi statunitensi in
Italia una
lettera di avvertimento di possibile pericolo per noi qualora volessimo
andare a Vicenza il 17 febbraio per protestare, insieme ai cittadini
italiani, contro la creazione di una megabase USA, la più grande
base
offensiva all'estero. Questa manifestazione viene caratterizzata
come
"anti-statunitense" dalla lettera che consiglia a tutti di stare lontano
dalla città dal 16 al 18 febbraio per evitare di diventare
"bersagli di
manifestanti anti-USA".
I contenuti della lettera non corrispondono alla realtà,
diffondono paura e
ignoranza, offendono l'intelligenza degli statunitensi in Italia
e la
realtà democratica della società italiana.
Prima di tutto, la manifestazione del 17 febbraio non è anti-
statunitense;
è contro la richiesta da parte del Governo USA di costruire una
nuova
megabase statunitense nei pressi del centro della città di
Vicenza, città
riconosciuta dall'UNESCO come patrimonio culturale
dell'umanità. La verità
è che la stragrande maggioranza dei vicentini e del popolo
italiano intero
non vuole questa ennesima base USA (siamo già presenti in Italia
con circa
20 installazioni militari). Il 2 dicembre 2006 circa 30.000
persone hanno
manifestato a Vicenza contro la base con un bel corteo colorato e
pacifico
al quale delegazioni di cittadini statunitensi di Firenze e Roma hanno
partecipato senza mai incontrare episodi "anti-USA". Anzi, la nostra
presenza è stata molto apprezzata.
Distribuire una lettera ai cittadini per dire che corrono dei pericoli
in
Italia a causa di una manifestazione politica è un tentativo
neppure troppo
nascosto di scoraggiare o addirittura mettere il bavaglio ai cittadini
che
vorrebbero esprimere il loro dissenso dalle politiche di guerra e di
occupazione dell'amministrazione Bush.
Lei, Ambasciatore, certamente rappresenta il governo di Bush e Cheney,
ma le
ultime elezioni federali negli USA dimostrano che quel governo non
rappresenta più la maggioranza del nostro popolo, soprattutto
per quel che
riguarda la politica estera e la guerra. La società USA
è profondamente
malata di militarismo e, sempre di più, i nostri concittadini
dicono basta!
Alle manifestazioni contro le basi, come a Vicenza o a Camp Darby o ad
Aviano o a Sigonella, alle manifestazioni contro la guerra, qui
in Italia e
in tanti altri paesi come negli USA (le centinaia di migliaia di
manifestanti a Washington e in altre città USA il 27 gennaio
scorso erano
dei pericolosi anti-americani?), la gente protesta non contro il popolo
statunitense ma contro la violenza delle guerre e delle occupazioni
militari
sostenute dal governo USA in Iraq (più di 655.000 morti
dall'inizio della
guerra) ma anche in Afghanistan e Palestina. Protesta contro la
militarizzazione del territorio e dell'economia, contro la presenza di
basi
straniere con lo stoccaggio di armi nucleari e all'uranio impoverito.
Come
Amnesty International chiede la chiusura del campo di Guantanamo e di
tutte
le carceri segrete e la fine dei voli segreti della CIA (p.e. il caso
di Abu
Omar), oltre alla fine della pratica della tortura e la violazione dei
diritti umani (sono richieste "anti-americane"?). Chiede un altro mondo
possibile con una nuova cultura di pace e giustizia globale.
Noi cittadini statunitensi in Italia, come milioni di altri concittadini
negli U.S.A., ci opponiamo alla politica di guerre all'estero e di
cancellazione dei diritti civili nel nostro paese portata avanti
dal
governo di Bush e Cheney mentre seri problemi sociali vengono ignorati.
Negli USA abbiamo il peggior sistema sanitario del mondo occidentale con
circa 50 milioni di persone senza assicurazione sanitaria.
Abbiamo il più
alto numero di persone in carcere e il più alto tasso di
incarcerazione di
tutto il mondo (siamo 5% della popolazione globale con 25% degli
incarcerati), con più di 4.000 persone nel bracio della morte.
Chiediamo
risorse non per le forze armate ma per la sanità, la scuola,
l'ambiente, il
lavoro, la ricostruzione delle città, il trasporto pubblico, la
solidarietà
con il resto del mondo.
Quarant'anni fa ai tempi della guerra in Vietnam, Martin Luther King
dichiarò: "Siamo al punto, nelle nostre vite, in cui
bisogna agire in prima
persona affinchè il nostro paese soppravviva alla propria
follia. Ogni uomo
con le convinzioni umane deve decidere la protesta che meglio si adatta
alle
sue convinzioni, ma dobbiamo tutti protestare." E aggiunse:
"Viene il
momento in cui il silenzio è tradimento."
Noi cittadini statunitensi in Italia il 17 febbraio saremo presenti a
Vicenza perché a parere nostro la manifestazione contro le basi
e contro le
guerre è una manifestazione di sostegno anche alla maggioranza
dei cittadini
statunitensi che desidera un cambio di rotta nella politica
statunitense –
all'estero e in paese.
Le chiediamo pertanto di inviare una lettera di rettifica
ai nostri
concittadini in Italia per dire che la manifestazione del 17 a Vicenza,
lontano da rappresentare un fenomeno di "anti-americanismo", sentimento
assai poco diffuso in Italia e soprattutto fra il popolo della pace,
rappresenta invece un prezioso esempio di esercizio di un diritto
democratico fondamentale al quale gli statunitensi in Italia
parteciperanno
e sono invitati a partecipare.
Per la pace,
Statunitensi contro la guerra (Firenze)
comiraqusa @ yahoo.it
Statunitensi per la pace e la giustizia (Roma)
info @ peaceandjustice.it
http://www.peaceandjustice.it
P.S. Cogliamo l'occasione per ricordare che il caso dell'omicidio
volontario
a Baghdad dell'agente italiano Nicola Calipari e il tentato omicidio di
Giuliana Sgrena non è chiuso e chiediamo la piena
collaborazione del nostro
governo con le autorità giudiziarie italiane.
Gli appalti 'rossi' da Vicenza a Sigonella
Angelo Mastrandrea
Il Manifesto (da
http://terrelibere.it/terrediconfine/index.php?x=completa&riga=02806)
Gli affari con il Pentagono delle coop legate alla sinistra. Tra i
pretendenti ai lavori della nuova base vicentina la Cmc di Ravenna e la
Cmr di Ferrara. Spuntano anche Pizzarotti e la Ccc del Mose. Nell'ex
aeroporto vicentino Dal Molin per il momento tutto ancora tace, di
ruspe non c'è ancora ombra anche se ieri l'ex generale Luigi
Ramponi ha annunciato che «i lavori cominceranno entro il
2007». E' probabilmente informato, il deputato di An ieri in
visita a Vicenza con la commissione Difesa del senato, visto che il
presidente del suo partito Gianfranco Fini è reduce da un
incontro con la segretario di Stato Usa Condoleezza Rice, con la quale
ha parlato anche della base vicentina. E per questo afferma che
«appena il governo avrà detto di sì partiranno gli
appalti, anche perché ci sono tempi stretti per il finanziamento
statunitense». Per ora l'unico elemento tangibile che mostra
l'avvio del progetto per la costruzione della nuova base è la
lista delle imprese che continuano a iscriversi alla gara d'appalto per
la prima tranche dei lavori. La torta è infatti di quelle
appetitose: 680 milioni (230 nella prima fase, il rimanente in una
seconda) di investimenti previsti dal Pentagono per costruire i 700
mila metri cubi di caserme, impianti militari e logistici; 40 milioni
per la costruzione di 61 villette a schiera, di un albergo (10 milioni)
e un campo da bowling; 52 milioni per tirar su un ospedale che
sarà collegato con quello vicentino. Il progetto prevede infatti
la nascita di una vera e propria cittadella autosufficiente, con centri
commerciali e palestre, case e una grande mensa per 1.300 persone e 454
posti a sedere. A spulciare tra le 73 imprese (23 delle quali venete)
che finora hanno risposto alla «presolicitation notice»,
una specie di invito a partecipare alla gara d'appalto lanciato dagli
Stati uniti il cui bando si chiuderà il 6 marzo, troviamo
infatti «coop rosse» come la Cmc (Cooperativa muratori
cementisti) di Ravenna e la Cmr (Cooperativa muratori riuniti) di
Ferrara, ma anche la contestata Pizzarotti di Parma, la stessa che
nell'83 aveva vinto la gara per l'installazione dei missili Cruise a
Comiso e che da 25 anni costruisce anche a Sigonella. O ancora la Ccc
(Cantieri costruzioni cemento) spa, che tra i suoi fiori all'occhiello
vanta la partecipazione al Consorzio Venezia nuova che sta realizzando
il Mose nella città lagunare. Non che sia una novità
assoluta, la partecipazione di cooperative rosse a lavori per gli
americani. Se è vero che nelle basi Usa in Italia resiste ancora
una «pregiudiziale anticomunista» che impedisce ai
lavoratori civili del nostro paese di iscriversi ad esempio alla Cgil
(come l'altro ieri ha denunciato lo stesso sindacato di Corso
d'Italia), è altrettanto vero che questa appare caduta ormai da
tempo per quel che riguarda il fronte degli appalti, così come,
viceversa, sull'altro versante di fronte ai dollari non c'è
antiamericanismo che tenga. La Cmr lavora infatti da anni e con
successo nelle basi Usa di Aviano, Camp Darby e nella stessa Vicenza.
Mentre la Cmc, la prima cooperativa di costruzioni, la quarta impresa
in Italia del settore, dopo alcuni appalti in Cina, il ruolo da general
contractor per l'ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria e
l'appalto per il tunnel di Venaus che un anno fa provocò la
rivolta della Val di Susa contro l'alta velocità, da almeno un
decennio partecipa agli appalti legati alla base Usa di Sigonella, in
Sicilia. In particolare, ha preso parte al cosiddetto piano Mega II,
quello precedente all'attuale progetto che punta a ridisegnare
l'assetto urbanistico dell'insediamento militare siciliano, che
sarà trasformato «nella base più moderna del teatro
Mediterraneo».
Il Manifesto, 27 gennaio 2007