ROSSO XXI°
Periodico del Movimento per la Confederazione dei Comunisti
http://www.confederazionecomunisti.it/ROSSOXXI.htm
N° 11 - GIUGNO 2002
IL "PROCESSO MILOSEVIC" E L'IMPERIALISMO
di Aldo Bernardini
(prima parte)
1. Sullo ?Spiegel? del 25 febbraio 2002 è comparsa una singolare
intervista dell?attuale premier serbo Djindjic, il capo del governo
della
Repubblica federata serba, membro, questa, per ora, insieme al
Montenegro, della (residua) Federazione jugoslava. Una quindicina di
giorni prima, il 12 febbraio, si era aperto formalmente all?Aja il
processo
all?ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, che proprio Djindjic
nell?estate 2001, dietro il ricatto occidentale basato sui promessi
aiuti
finanziari, aveva illegalmente consegnato al carcere di Scheveningen.
Lamenta il premier serbo che, dell?aiuto immediato promesso per 1,3
miliardi di dollari, erano stati consegnati neppure 500 milioni, laddove
i
danni dei bombardamenti NATO ammontavano a 5 miliardi di dollari:
tutto ciò faceva temere proteste della popolazione, per la crescita
enorme
della disoccupazione, la chiusura di industrie, l?impossibilità della
ricostruzione. L?intervistatore obietta che si potrebbe trattare di un
mezzo
di pressione per ottenere una miglior collaborazione con il Tribunale
dell?Aja. A questo punto Djindjic, mentre ritiene impossibili (vedremo,
per
allora?) consegne ulteriori di incriminati dal Tribunale dell?Aja,
perché ciò
?avrebbe determinato sollevazioni popolari?, è indotto a precisare: ?Il
Tribunale senza dubbio non ha più alcuna potenzialità?, pur se ricerca
ancora taluni incriminati serbo-bosniaci e starebbe forse, secondo lui,
allargando le indagini in altre direzioni. Possiamo domandarci: che cosa
è
avvenuto? Lo dice lo stesso intervistatore: ?Il 40% [in realtà sembra si
tratti del 70%, n.d.r.] della popolazione serba è entusiasta
dell?atteggiamento di Milosevic davanti al Tribunale dell?Aja?, al che
Djindjic: ?Il Tribunale ha perduto ogni credibilità fra la nostra
popolazione.
Perfino avversari di Milosevic manifestano ora simpatia per lui e mi
domandano: perché lo abbiamo consegnato? Molti sono addirittura
convinti che egli abbia avuto successo nel mostrare la NATO quale
criminale principale?. Alla fine un (tentato) colpo canagliesco:
Milosevic
si sarebbe reso colpevole di guerre ?etniche? per fondare il proprio
potere,
pur se ?cavallerescamente? Djindjic lo ritiene corresponsabile insieme
ai
leaders di altre Repubbliche: ma vi sarebbe da preoccuparsi che alla
fine
?gli autori (degli asseriti crimini) appaiano vittime e la comunità
internazionale colpevole?.
Abbiamo qui una chiave di interpretazione rivelatrice. Djindjic è l?uomo
dell?imperialismo, particolarmente tedesco, e oggi quella che viene
chiamata la comunità internazionale è semplice metafora per indicare i
centri dell?imperialismo. Djindjic lavora per l?integrazione
(ovviamente,
subalterna) dell?attuale Jugoslavia, forse dal suo punto di vista della
sola
Serbia, nell?Europa. Milosevic aveva partecipato nel 1997 a un incontro
a
Creta di capi di stato e di governo balcanici (vi era anche, per
l?Albania,
Fatos Nano) per promuovere un?integrazione paritaria di tali Paesi,
autonoma rispetto all?Europa. Secondo lo stesso Milosevic (me lo disse
il
16 agosto 2001, quando lo visitai nel carcere), ciò sarebbe stato uno
dei
fattori scatenanti della crisi del Kosovo: fu, così mi ricordò, il
ministro
degli esteri francese Védrine a diramare poco dopo una nota nella quale
si
stigmatizzavano asserite persecuzioni contro i kosovaro-albanesi. Il
processo a Milosevic ha la funzione di deterrente contro tutti i popoli
e i
leaders che contrastano i disegni dell?imperialismo tanto con il rifiuto
di
sottomettersi a integrazioni subalterne, quelle tipiche della c.d.
globalizzazione (in realtà, appunto, imperialismo), e dunque perseguendo
la difesa dell?indipendenza e sovranità statale, quanto sul piano del
mantenimento di elementi di socialismo o di stato sociale, pur
oggettivamente affievoliti. E? il caso proprio della Jugoslavia di
Milosevic.
Più specificamente, il processo dell?Aja tende a consolidare il totale
rovesciamento dei fatti e dei principi fondamentali del diritto
internazionale, su cui si è fondata l?azione distruttiva
dell?imperialismo in
Jugoslavia. Il dilemma posto da Djindjic, colpevole Milosevic, perché
non
può esserlo la comunità internazionale, riflette questa enorme
mistificazione.
Di seguito mi limiterò a segnalare alcune fra le più vistose ipotesi di
stravolgimento dei fatti e del diritto nella vicenda jugoslava. Occorre
premettere talune considerazioni generali e una schematica cronologia di
eventi rilevanti.
2. Una gigantesca e sfrontata campagna alla Goebbels ha, dal 1990 in
poi,
rovesciato fatti, responsabilità, dati e principi giuridici nella crisi
jugoslava
voluta, o almeno fortissimamente favorita e fomentata, dall?Occidente:
crimine contro la pace culminato (ma solo inizialmente) nei
riconoscimenti prematuri delle Repubbliche secessioniste quando ancora
esisteva la Federazione socialista jugoslava. Crimine non a caso omesso
nello Statuto dell?illegittimo Tribunale dell?Aja.
La disgregazione della Repubblica federale socialista jugoslava è stata
provocata - nel quadro di un progrediente degrado economico e sociale,
al
quale non sono rimasti estranei il forte indebitamento e le conseguenti
pressioni e operazioni del Fondo monetario internazionale - da elementi
interni che hanno attizzato umori nazionalistici ed etnicistici per
conseguire obiettivi di dominio politico ed economico, anche con la
depredazione della proprietà sociale, l?eliminazione di ostacoli al
dispiegamento pieno di rapporti capitalistici, la separazione delle
regioni
più ricche da quelle meno sviluppate, con il rifiuto da parte delle
prime di
finanziare il fondo federale di riequilibrio. Ma non vi sarebbero state
grandi prospettive di successo senza l?ingerenza di forze estranee,
anzitutto degli Stati dell?Unione europea, evidentemente non tutti in
eguale
misura e in tempi uguali, e del Vaticano e, sin dall?inizio ma con ritmo
crescente, anche degli Stati Uniti: vi erano, forse vi sono ancora, in
Jugoslavia (la vecchia Jugoslavia) forze unitarie e sinergie
unificatrici:
famiglie miste numerosissime, commistioni di etnie conviventi fianco a
fianco e che stavano realizzando integrazioni, elementi dichiaratamente
?jugoslavisti? e, mai dimentichiamolo, una classe operaia (e lavoratori
in
genere) ora certo frammentata e avvilita, ma, chissà, capace di ripresa
dell?iniziativa contro le ?borghesie? vessillifere di nazionalismi
frammentatori, ma estranei al senso di indipendenza, in quanto del tutto
subalterne ai centri imperialistici. Quell?ingerenza esterna - in primo
luogo, con pressioni politiche ed economiche, con massicce campagne
mediatiche - si è manifestata essenzialmente nell?appoggio multiforme
alle pretese secessionistiche dei gruppi dirigenti di talune Repubbliche
federate, Slovenia e Croazia in prima linea, non per caso le più ricche,
e
ha quindi contribuito in misura decisiva all?esplosione dei virulenti
fenomeni nazionalistici.
Il processo controrivoluzionario europeo, nella congiunzione tra forze
imperialistiche mondiali e borghesie interne rigenerate dall?espansione
degli elementi di mercato promossi dalle dirigenze revisionistiche (si
veda
Stalin, Lettera a Ivanov del 1938), si compie anche in Jugoslavia nei
fatali
1989-91.
La Costituzione titina del 1974 aveva introdotto elementi di forte
indebolimento della compagine federale. Lo stesso Partito che
costituiva,
insieme all?Armata popolare (poi federale), il cemento politico
unitario, la
Lega dei comunisti jugoslavi, risentì delle conseguenti spinte
?regionalistiche?.
Si tratta del frutto estremo del revisionismo jugoslavo titino e
dell?illusione
piccolo-borghese delle autogestioni e delle autonomie comunitarie, non
bilanciate da forti elementi unificatori centrali (nonostante i contesti
e le
formulazioni diverse, anche la realtà sovietica e degli altri Paesi
socialisti
venne gradualmente inficiata da questi elementi: ce lo documenta con
studi pertinenti, fra gli altri, Kurt Gossweiler, con scritti recenti
che fanno
tesoro della sua battaglia comunista nella ex Germania democratica). Fra
gli elementi che si riveleranno gravidi di conseguenze negative nelle
modifiche costituzionali titine degli ultimi anni ?60 e del 1974 vanno
segnalate l?attribuzione di uno status di quasi repubbliche federate a
due
province autonome racchiuse nella Repubblica federata di Serbia, e cioè
il
Kosovo-Metohia e la Vojvodina, risultandone dunque alterata la
situazione
di autonomie di secondo grado simili a quella dell?italiana provincia di
Bolzano (Alto Adige-Südtirol), compresa nella regione Trentino-Alto
Adige e l?attribuzione ai musulmani di Bosnia-Erzegovina della qualifica
di popolo costitutivo (un improbabile ?popolo?, basato su un?identità
religiosa) di quella Repubblica federata, accanto ai serbi e ai croati
ivi
stanziati.
Qui occorre spendere qualche parola, necessariamente sommaria, sulla
struttura costituzionale della Jugoslavia federale socialista. Le
Repubbliche federate (Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina,
Montenegro, Serbia, Macedonia) erano in realtà entità amministrative di
decentramento di autonomia molto larga (eccessivamente accresciuta,
come detto, con la Costituzione del ?74): esse si identificavano
peraltro
con riferimento ?storico? a determinati ?popoli? in esse stanziati,
entro un
quadro variegato, caratterizzato ad es. da un popolo assolutamente
principale (come in Slovenia), da tre popoli (dopo il 1974) costitutivi
(come
detto, Bosnia-Erzegovina), da più popoli costitutivi (così in Croazia e
in
Serbia, dove accanto al rispettivo popolo maggioritario
?identificatore?,
quello che dava il nome alla Repubblica federata, vi erano riconosciuti
rispettivamente e reciprocamente come popolo costitutivo anche, nella
prima, i serbi e, nella seconda, i croati). Veri elementi costitutivi
della
Federazione socialista jugoslava, per i quali la Costituzione parlava di
diritto di secessione, pur se non espressamente regolato, dovevano
considerarsi i popoli costitutivi, non le Repubbliche federate, la cui
secessione non era direttamente neppure prevista in Costituzione:
dunque,
realtà eventualmente anche trasversali fra le varie Repubbliche federate
rappresentavano i reali elementi costitutivi della Federazione.
Particolari
garanzie venivano riconosciute, dentro ogni repubblica, ai vari gruppi
etnici minoritari, diversi dai popoli costitutivi, i più consistenti dei
quali
denominati ?nazionalità?: così, in particolare, i kosovaro-albanesi e
gli
ungheresi, la cui massiccia presenza ha giustificato l?istituzione delle
due
ricordate province autonome serbe di Kosovo-Metohia e Vojvodina (può
notarsi che l?attribuzione di un?autonomia di secondo grado è tipica di
situazioni etniche che fanno riferimento a popoli costituiti in Stati
indipendenti al di fuori da quello di riferimento, nel nostro caso la
Jugoslavia, e questo, evidentemente, per contenere spinte
secessionistiche
fomentate dall?esterno).
3. In un quadro tanto complesso, non può farsi a meno di una lunga, pur
tuttavia sommaria e forse tediosa cronologia, e mi scuso in anticipo di
qualche svista.
Cominciamo proprio da casa nostra. Il 20 settembre 1989, alla Camera dei
deputati, il ministro degli esteri Gianni De Michelis dichiara: ?Il
processo
di integrazione est-ovest si sviluppa principalmente nell?Europa
centro-settentrionale, grazie alla forte attrazione della Germania; è
dunque
interesse e dovere dell?Italia adoperarsi per un equilibrio mediante
l?istituzione di un analogo processo che leghi l?Europa centrale a
quella
meridionale e balcanica?. Lo stesso De Michelis rappresenta l?Italia,
l?11-12 novembre 1989 a Budapest, per la firma insieme ad Austria,
Ungheria e Jugoslavia della c.d. ?quadrangolare? cioè un processo di
integrazione dell?est all?ovest.
Nel gennaio 1990, a fronte di un atteggiamento separatistico di sloveni
e
croati all?ultimo Congresso della Lega, un atteggiamento simile a quello
dei leghisti ?padani? in Italia (almeno sino a qualche tempo fa), anche
i
serbi finiscono per accettare la disgregazione della Lega. Nelle varie
Repubbliche le sezioni ormai autonome di questa si sciolgono poi in
varie
altre formazioni, e nel corso dell?anno si tengono le prime elezioni
multipartitiche: in Montenegro e in Serbia vince il Partito socialista,
principale erede della Lega, guidato in Serbia stessa da Milosevic; in
Slovenia una coalizione liberista (sin dal 27 settembre 1989 vi era
stato
proclamato un diritto di secessione a modifica della Costituzione
repubblicana e contro quella federale); in Croazia, il 30 maggio, si
afferma
il partito di Tudjiman, che addirittura si ricollega agli ustascia di
Ante
Pavelic. Un elemento di ulteriore complicazione risulta dalla questione
del
Kosovo, provincia autonoma della Serbia a (sempre crescente)
maggioranza albanese, sulla quale si dovrà tornare.
E? questo il quadro favorevole all?ingerenza dall?esterno. Nel maggio
1990 De Michelis presiede riunioni della quadrangolare, alla quale si
aggiungono Bulgaria, Romania, Ucraina e Bielorussia e (udite, udite!)
Croazia e Slovenia, mentre ne viene estromessa (!) la Jugoslavia.
Il 2 luglio 1990 il Parlamento di Lubiana e il 25 luglio quello di
Zagabria
introducono modifiche costituzionali, quelle slovene di particolare
gravità,
nel senso della preminenza delle normative locali sulle federali e
l?abolizione della qualifica di ?socialista? per la Repubblica: il 1°
agosto la
Bosnia-Erzegovina si proclama ?stato sovrano democratico?; il 28
settembre in Serbia si approva una nuova Costituzione che, fra l?altro,
introduce il multipartitismo e consacra la restrizione dell?autonomia
delle
due province autonome: su ciò si ritornerà, anche per aspetti positivi.
Ecco poi il prestito alla Croazia (4 ottobre 1990), ad interesse 0, di 2
miliardi di dollari, restituibili entro 10 anni e 1 giorno, da parte del
Sovrano
Ordine di Malta (Vaticano!): le parti interessate hanno smentito il
fatto, ma
ne esisterebbero precisi riscontri. Ancor più: con la legge 101/513 del
5
novembre 1990 il Congresso USA decide di finanziare direttamente le
nuove formazioni jugoslave ?democratiche?, cioè secessioniste, e non per
nulla un rapporto della CIA ?profetizza? la rapida fine della Jugoslavia
(la
notizia verrà pubblicata il 29 novembre, ricorrenza della Festa
nazionale
jugoslava). Il 22 dicembre il Sabor (Parlamento) croato emana la nuova
Costituzione della Croazia, ?patria dei Croati? (e non più dei popoli
costituenti croato e serbo, come nella Costituzione della Repubblica
federata!) e proclama il diritto di secessione.
1991: l?11 gennaio, in seguito ad elezioni, Milosevic diviene presidente
della Serbia. Già nello stesso mese, si formano ed armano milizie
irregolari in Croazia (in Slovenia ciò stava avvenendo da tempo: la
Presidenza federale il 9 gennaio decreta, senza esito, lo scioglimento
di
tali milizie) e si diffondono notizie circa i preparativi di aggressioni
contro
membri dell?esercito federale e in generale contro cittadini di
nazionalità
serba ?sgraditi?. Il 10 febbraio il Parlamento di Lubiana dichiara la
secessione; il 23 quello di Zagabria la preminenza della normativa
croata
su quella federale. A fronte di questi eventi, il 1° marzo viene
annunciata
l?autonomia dei serbi di Krajina, Slavonia, Baranja e Srem occidentale
(in
Croazia); il 12 maggio il referendum in Krajina richiede l?annessione
alla
Serbia. In questi mesi si verificano scontri tra forze croate e federali
e si
attuano misure croate e slovene di consolidamento del distacco dalla
Federazione. Il 15 maggio la votazione sul candidato croato Mesic nella
Presidenza federale collegiale finisce in uno stallo: lo stesso Mesic
rientra
a Zagabria e si autoproclama presidente federale. Il 13 giugno inizia la
?guerra doganale? tra Slovenia e governo federale. Il 25 giugno i
Parlamenti di Slovenia e Croazia proclamano l?indipendenza (il Papa
parla in quei giorni delle ?legittime aspirazioni del popolo croato?: il
25
maggio aveva ricevuto Tudjiman in Vaticano), il 27 giugno l?Armata
jugoslava (federale) si stanzia sulla frontiera esterna (con l?Italia),
conflitti
armati si sviluppano in Slovenia e Croazia (forze croate attaccano
centri
serbi). Una violenta campagna di disinformazione antijugoslava si
scatena
da parte di ambienti italiani e in genere occidentali filosecessionisti.
Il 30
giugno, dietro pressioni occidentali, risulta eletto presidente federale
il
nazionalista croato Stipe Mesic (attuale presidente della Croazia), il
quale
però si adopera complessivamente per la distruzione della Federazione
(se ne è vantato, come viene ricordato da taluno, nel libro ?Come
abbiamo
sfasciato la Jugoslavia?). Alla Conferenza di Brioni, il 7 luglio, gli
occidentali promuovono una sospensione di tre mesi delle dichiarazioni
di
indipendenza di Slovenia e Croazia. Il 6 luglio Milosevic si era
espresso
nel senso che ?senza i paesi che hanno deciso per l?indipendenza, la
Jugoslavia potrà svilupparsi meglio; l?esercito deve difendere solo quei
popoli che accettano di vivere in Jugoslavia?. Ciò entrava in
dialettica,
forse non in diretta contrapposizione, con le persistenti tendenze di
jugoslavismo integrale, presenti soprattutto nell?Armata federale: si
noti
comunque che il riferimento è, in definitiva, ai ?popoli?, non alle
Repubbliche federate. Il Parlamento europeo, invece, il 10 luglio
afferma,
con grave atto di ingerenza, il ?diritto all?autodeterminazione e alla
secessione di tutte le Repubbliche jugoslave?. Il 18 luglio la
Presidenza
federale jugoslava decide per il ritiro militare dalla Slovenia. Dalla
Slavonia (in Croazia) vengono nell?ottobre cacciati 25.000 serbi;
Vukovar
è occupata da milizie irregolari croate nel novembre, ma ripresa
dall?Armata federale dopo qualche settimana (reciproche accuse di
atrocità: ma vi sono elementi che accusano i paramilitari croati). L?8
settembre si era svolto il referendum per l?indipendenza della
Macedonia,
pronta però a rientrare in una Federazione. Tra fine agosto e settembre
si
hanno azioni dell?Aviazione e Marina federali nei confronti della
Croazia:
questa viene definitivamente dichiarata indipendente dal Sabor l?8
ottobre
(scadenza della moratoria di Brioni; lo stesso per la Slovenia). La
Corte
costituzionale federale dichiara illegittime le indipendenze
repubblicane. Il
10 ottobre il Parlamento europeo, rivedendo la precedente posizione,
rigetta la richiesta dell?Unione Europea (organi politici) di
riconoscere
Slovenia e Croazia. Il 15 ottobre il Parlamento bosniaco prefigura,
contro il
voto dei serbi, la secessione della Bosnia-Erzegovina.
I processi di disgregazione non avrebbero potuto mancare di colpire i
supremi vertici statali: il 3 ottobre 1991 a Belgrado i rappresentanti
del
?blocco serbo? (Serbia, Vojvodina, Kosovo e Montenegro) nella
presidenza federale collegiale, in assenza degli altri e quindi agitando
il
pericolo di paralisi, si erano attribuiti i pieni poteri: il 5 dicembre
Mesic si
dimette affermando che ?la Jugoslavia non esiste più? e viene imitato il
20
dicembre dal primo ministro federale Markovic. Ciò non implica
giuridicamente la fine della Jugoslavia (di allora): si veda il rifiuto
serbo
(alla Conferenza dell?Aja, ripresa il 18 ottobre) del piano Carrington,
che
prevedeva un vincolo molto flessibile fra Stati indipendenti per la
Federazione ed entro le singole Repubbliche ampie autonomie ?nazionali?
per le etnie regionalmente maggioritarie: la Jugoslavia non può essere
cancellata con un tratto di penna, le autonomie ?regionali? sono
questione
puramente interna, opposero i serbi; e vi era pur sempre l?azione
unitaria
dell?Armata federale.
Si mettano queste operazioni in controluce con quanto stava avvenendo
sul piano internazionale: nel quadro delle trattative di Maastricht
(dicembre 1991) venne assunta in definitiva la linea della distruzione
della
Jugoslavia: il documento U.E. 1342, 2° parte, del 6 novembre 1992
confermerà che soprattutto la Germania aveva spinto in quel senso. Già
l?8 novembre 1991 l?U.E. aveva stabilito sanzioni economiche contro la
Jugoslavia (che il 2 dicembre verranno ridimensionate a favore delle
Repubbliche secessioniste), il 10 dicembre la Germania bloccava i
trasporti relativi a Serbia e Montenegro. Si tratta di azioni che
partono dal
presupposto, arbitrariamente assunto, dell?inesistenza dello Stato
federale
jugoslavo.
Il 9 novembre i serbi di Bosnia avevano proclamato di voler comunque
restare in uno Stato unico con Serbia, Montenegro, Krajina, Slavonia
ecc.
e con le nazionalità che avessero espresso simile decisione. Ma il 19
dicembre la Germania decide, e il 23 proclama, di riconoscere, con
effetto
dal 15 gennaio 1992, Slovenia e Croazia nelle loro frontiere
(amministrative!). Lo stesso 19 viene dunque per reazione proclamata, e
il
24 formalmente costituita, la Repubblica serba di Krajina; sempre il 21
dicembre i deputati serbi avevano lasciato il Parlamento di Sarajevo e
proclamavano la Repubblica Srpska di Bosnia con effetto dal Capodanno
ortodosso 1992 mentre il 24 costituiranno l?assemblea del popolo serbo
di
Bosnia-Erzegovina. Profittando di questa situazione, il 24 dicembre
Croazia, Slovenia, Macedonia e Bosnia Erzegovina chiedono alla
Comunità europea il riconoscimento come Stati indipendenti; il 23 un
passo simile era stato compiuto dallo stesso Kosovo entro un quadro che
si
considererà più avanti; il Montenegro annunciava invece di non avere
interesse in proposito.
(Segue. URL: http://www.confederazionecomunisti.it/Il%20processo%20
Milosevic%20e%20l%27imperialismo.htm )
Periodico del Movimento per la Confederazione dei Comunisti
http://www.confederazionecomunisti.it/ROSSOXXI.htm
N° 11 - GIUGNO 2002
IL "PROCESSO MILOSEVIC" E L'IMPERIALISMO
di Aldo Bernardini
(prima parte)
1. Sullo ?Spiegel? del 25 febbraio 2002 è comparsa una singolare
intervista dell?attuale premier serbo Djindjic, il capo del governo
della
Repubblica federata serba, membro, questa, per ora, insieme al
Montenegro, della (residua) Federazione jugoslava. Una quindicina di
giorni prima, il 12 febbraio, si era aperto formalmente all?Aja il
processo
all?ex presidente jugoslavo Slobodan Milosevic, che proprio Djindjic
nell?estate 2001, dietro il ricatto occidentale basato sui promessi
aiuti
finanziari, aveva illegalmente consegnato al carcere di Scheveningen.
Lamenta il premier serbo che, dell?aiuto immediato promesso per 1,3
miliardi di dollari, erano stati consegnati neppure 500 milioni, laddove
i
danni dei bombardamenti NATO ammontavano a 5 miliardi di dollari:
tutto ciò faceva temere proteste della popolazione, per la crescita
enorme
della disoccupazione, la chiusura di industrie, l?impossibilità della
ricostruzione. L?intervistatore obietta che si potrebbe trattare di un
mezzo
di pressione per ottenere una miglior collaborazione con il Tribunale
dell?Aja. A questo punto Djindjic, mentre ritiene impossibili (vedremo,
per
allora?) consegne ulteriori di incriminati dal Tribunale dell?Aja,
perché ciò
?avrebbe determinato sollevazioni popolari?, è indotto a precisare: ?Il
Tribunale senza dubbio non ha più alcuna potenzialità?, pur se ricerca
ancora taluni incriminati serbo-bosniaci e starebbe forse, secondo lui,
allargando le indagini in altre direzioni. Possiamo domandarci: che cosa
è
avvenuto? Lo dice lo stesso intervistatore: ?Il 40% [in realtà sembra si
tratti del 70%, n.d.r.] della popolazione serba è entusiasta
dell?atteggiamento di Milosevic davanti al Tribunale dell?Aja?, al che
Djindjic: ?Il Tribunale ha perduto ogni credibilità fra la nostra
popolazione.
Perfino avversari di Milosevic manifestano ora simpatia per lui e mi
domandano: perché lo abbiamo consegnato? Molti sono addirittura
convinti che egli abbia avuto successo nel mostrare la NATO quale
criminale principale?. Alla fine un (tentato) colpo canagliesco:
Milosevic
si sarebbe reso colpevole di guerre ?etniche? per fondare il proprio
potere,
pur se ?cavallerescamente? Djindjic lo ritiene corresponsabile insieme
ai
leaders di altre Repubbliche: ma vi sarebbe da preoccuparsi che alla
fine
?gli autori (degli asseriti crimini) appaiano vittime e la comunità
internazionale colpevole?.
Abbiamo qui una chiave di interpretazione rivelatrice. Djindjic è l?uomo
dell?imperialismo, particolarmente tedesco, e oggi quella che viene
chiamata la comunità internazionale è semplice metafora per indicare i
centri dell?imperialismo. Djindjic lavora per l?integrazione
(ovviamente,
subalterna) dell?attuale Jugoslavia, forse dal suo punto di vista della
sola
Serbia, nell?Europa. Milosevic aveva partecipato nel 1997 a un incontro
a
Creta di capi di stato e di governo balcanici (vi era anche, per
l?Albania,
Fatos Nano) per promuovere un?integrazione paritaria di tali Paesi,
autonoma rispetto all?Europa. Secondo lo stesso Milosevic (me lo disse
il
16 agosto 2001, quando lo visitai nel carcere), ciò sarebbe stato uno
dei
fattori scatenanti della crisi del Kosovo: fu, così mi ricordò, il
ministro
degli esteri francese Védrine a diramare poco dopo una nota nella quale
si
stigmatizzavano asserite persecuzioni contro i kosovaro-albanesi. Il
processo a Milosevic ha la funzione di deterrente contro tutti i popoli
e i
leaders che contrastano i disegni dell?imperialismo tanto con il rifiuto
di
sottomettersi a integrazioni subalterne, quelle tipiche della c.d.
globalizzazione (in realtà, appunto, imperialismo), e dunque perseguendo
la difesa dell?indipendenza e sovranità statale, quanto sul piano del
mantenimento di elementi di socialismo o di stato sociale, pur
oggettivamente affievoliti. E? il caso proprio della Jugoslavia di
Milosevic.
Più specificamente, il processo dell?Aja tende a consolidare il totale
rovesciamento dei fatti e dei principi fondamentali del diritto
internazionale, su cui si è fondata l?azione distruttiva
dell?imperialismo in
Jugoslavia. Il dilemma posto da Djindjic, colpevole Milosevic, perché
non
può esserlo la comunità internazionale, riflette questa enorme
mistificazione.
Di seguito mi limiterò a segnalare alcune fra le più vistose ipotesi di
stravolgimento dei fatti e del diritto nella vicenda jugoslava. Occorre
premettere talune considerazioni generali e una schematica cronologia di
eventi rilevanti.
2. Una gigantesca e sfrontata campagna alla Goebbels ha, dal 1990 in
poi,
rovesciato fatti, responsabilità, dati e principi giuridici nella crisi
jugoslava
voluta, o almeno fortissimamente favorita e fomentata, dall?Occidente:
crimine contro la pace culminato (ma solo inizialmente) nei
riconoscimenti prematuri delle Repubbliche secessioniste quando ancora
esisteva la Federazione socialista jugoslava. Crimine non a caso omesso
nello Statuto dell?illegittimo Tribunale dell?Aja.
La disgregazione della Repubblica federale socialista jugoslava è stata
provocata - nel quadro di un progrediente degrado economico e sociale,
al
quale non sono rimasti estranei il forte indebitamento e le conseguenti
pressioni e operazioni del Fondo monetario internazionale - da elementi
interni che hanno attizzato umori nazionalistici ed etnicistici per
conseguire obiettivi di dominio politico ed economico, anche con la
depredazione della proprietà sociale, l?eliminazione di ostacoli al
dispiegamento pieno di rapporti capitalistici, la separazione delle
regioni
più ricche da quelle meno sviluppate, con il rifiuto da parte delle
prime di
finanziare il fondo federale di riequilibrio. Ma non vi sarebbero state
grandi prospettive di successo senza l?ingerenza di forze estranee,
anzitutto degli Stati dell?Unione europea, evidentemente non tutti in
eguale
misura e in tempi uguali, e del Vaticano e, sin dall?inizio ma con ritmo
crescente, anche degli Stati Uniti: vi erano, forse vi sono ancora, in
Jugoslavia (la vecchia Jugoslavia) forze unitarie e sinergie
unificatrici:
famiglie miste numerosissime, commistioni di etnie conviventi fianco a
fianco e che stavano realizzando integrazioni, elementi dichiaratamente
?jugoslavisti? e, mai dimentichiamolo, una classe operaia (e lavoratori
in
genere) ora certo frammentata e avvilita, ma, chissà, capace di ripresa
dell?iniziativa contro le ?borghesie? vessillifere di nazionalismi
frammentatori, ma estranei al senso di indipendenza, in quanto del tutto
subalterne ai centri imperialistici. Quell?ingerenza esterna - in primo
luogo, con pressioni politiche ed economiche, con massicce campagne
mediatiche - si è manifestata essenzialmente nell?appoggio multiforme
alle pretese secessionistiche dei gruppi dirigenti di talune Repubbliche
federate, Slovenia e Croazia in prima linea, non per caso le più ricche,
e
ha quindi contribuito in misura decisiva all?esplosione dei virulenti
fenomeni nazionalistici.
Il processo controrivoluzionario europeo, nella congiunzione tra forze
imperialistiche mondiali e borghesie interne rigenerate dall?espansione
degli elementi di mercato promossi dalle dirigenze revisionistiche (si
veda
Stalin, Lettera a Ivanov del 1938), si compie anche in Jugoslavia nei
fatali
1989-91.
La Costituzione titina del 1974 aveva introdotto elementi di forte
indebolimento della compagine federale. Lo stesso Partito che
costituiva,
insieme all?Armata popolare (poi federale), il cemento politico
unitario, la
Lega dei comunisti jugoslavi, risentì delle conseguenti spinte
?regionalistiche?.
Si tratta del frutto estremo del revisionismo jugoslavo titino e
dell?illusione
piccolo-borghese delle autogestioni e delle autonomie comunitarie, non
bilanciate da forti elementi unificatori centrali (nonostante i contesti
e le
formulazioni diverse, anche la realtà sovietica e degli altri Paesi
socialisti
venne gradualmente inficiata da questi elementi: ce lo documenta con
studi pertinenti, fra gli altri, Kurt Gossweiler, con scritti recenti
che fanno
tesoro della sua battaglia comunista nella ex Germania democratica). Fra
gli elementi che si riveleranno gravidi di conseguenze negative nelle
modifiche costituzionali titine degli ultimi anni ?60 e del 1974 vanno
segnalate l?attribuzione di uno status di quasi repubbliche federate a
due
province autonome racchiuse nella Repubblica federata di Serbia, e cioè
il
Kosovo-Metohia e la Vojvodina, risultandone dunque alterata la
situazione
di autonomie di secondo grado simili a quella dell?italiana provincia di
Bolzano (Alto Adige-Südtirol), compresa nella regione Trentino-Alto
Adige e l?attribuzione ai musulmani di Bosnia-Erzegovina della qualifica
di popolo costitutivo (un improbabile ?popolo?, basato su un?identità
religiosa) di quella Repubblica federata, accanto ai serbi e ai croati
ivi
stanziati.
Qui occorre spendere qualche parola, necessariamente sommaria, sulla
struttura costituzionale della Jugoslavia federale socialista. Le
Repubbliche federate (Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina,
Montenegro, Serbia, Macedonia) erano in realtà entità amministrative di
decentramento di autonomia molto larga (eccessivamente accresciuta,
come detto, con la Costituzione del ?74): esse si identificavano
peraltro
con riferimento ?storico? a determinati ?popoli? in esse stanziati,
entro un
quadro variegato, caratterizzato ad es. da un popolo assolutamente
principale (come in Slovenia), da tre popoli (dopo il 1974) costitutivi
(come
detto, Bosnia-Erzegovina), da più popoli costitutivi (così in Croazia e
in
Serbia, dove accanto al rispettivo popolo maggioritario
?identificatore?,
quello che dava il nome alla Repubblica federata, vi erano riconosciuti
rispettivamente e reciprocamente come popolo costitutivo anche, nella
prima, i serbi e, nella seconda, i croati). Veri elementi costitutivi
della
Federazione socialista jugoslava, per i quali la Costituzione parlava di
diritto di secessione, pur se non espressamente regolato, dovevano
considerarsi i popoli costitutivi, non le Repubbliche federate, la cui
secessione non era direttamente neppure prevista in Costituzione:
dunque,
realtà eventualmente anche trasversali fra le varie Repubbliche federate
rappresentavano i reali elementi costitutivi della Federazione.
Particolari
garanzie venivano riconosciute, dentro ogni repubblica, ai vari gruppi
etnici minoritari, diversi dai popoli costitutivi, i più consistenti dei
quali
denominati ?nazionalità?: così, in particolare, i kosovaro-albanesi e
gli
ungheresi, la cui massiccia presenza ha giustificato l?istituzione delle
due
ricordate province autonome serbe di Kosovo-Metohia e Vojvodina (può
notarsi che l?attribuzione di un?autonomia di secondo grado è tipica di
situazioni etniche che fanno riferimento a popoli costituiti in Stati
indipendenti al di fuori da quello di riferimento, nel nostro caso la
Jugoslavia, e questo, evidentemente, per contenere spinte
secessionistiche
fomentate dall?esterno).
3. In un quadro tanto complesso, non può farsi a meno di una lunga, pur
tuttavia sommaria e forse tediosa cronologia, e mi scuso in anticipo di
qualche svista.
Cominciamo proprio da casa nostra. Il 20 settembre 1989, alla Camera dei
deputati, il ministro degli esteri Gianni De Michelis dichiara: ?Il
processo
di integrazione est-ovest si sviluppa principalmente nell?Europa
centro-settentrionale, grazie alla forte attrazione della Germania; è
dunque
interesse e dovere dell?Italia adoperarsi per un equilibrio mediante
l?istituzione di un analogo processo che leghi l?Europa centrale a
quella
meridionale e balcanica?. Lo stesso De Michelis rappresenta l?Italia,
l?11-12 novembre 1989 a Budapest, per la firma insieme ad Austria,
Ungheria e Jugoslavia della c.d. ?quadrangolare? cioè un processo di
integrazione dell?est all?ovest.
Nel gennaio 1990, a fronte di un atteggiamento separatistico di sloveni
e
croati all?ultimo Congresso della Lega, un atteggiamento simile a quello
dei leghisti ?padani? in Italia (almeno sino a qualche tempo fa), anche
i
serbi finiscono per accettare la disgregazione della Lega. Nelle varie
Repubbliche le sezioni ormai autonome di questa si sciolgono poi in
varie
altre formazioni, e nel corso dell?anno si tengono le prime elezioni
multipartitiche: in Montenegro e in Serbia vince il Partito socialista,
principale erede della Lega, guidato in Serbia stessa da Milosevic; in
Slovenia una coalizione liberista (sin dal 27 settembre 1989 vi era
stato
proclamato un diritto di secessione a modifica della Costituzione
repubblicana e contro quella federale); in Croazia, il 30 maggio, si
afferma
il partito di Tudjiman, che addirittura si ricollega agli ustascia di
Ante
Pavelic. Un elemento di ulteriore complicazione risulta dalla questione
del
Kosovo, provincia autonoma della Serbia a (sempre crescente)
maggioranza albanese, sulla quale si dovrà tornare.
E? questo il quadro favorevole all?ingerenza dall?esterno. Nel maggio
1990 De Michelis presiede riunioni della quadrangolare, alla quale si
aggiungono Bulgaria, Romania, Ucraina e Bielorussia e (udite, udite!)
Croazia e Slovenia, mentre ne viene estromessa (!) la Jugoslavia.
Il 2 luglio 1990 il Parlamento di Lubiana e il 25 luglio quello di
Zagabria
introducono modifiche costituzionali, quelle slovene di particolare
gravità,
nel senso della preminenza delle normative locali sulle federali e
l?abolizione della qualifica di ?socialista? per la Repubblica: il 1°
agosto la
Bosnia-Erzegovina si proclama ?stato sovrano democratico?; il 28
settembre in Serbia si approva una nuova Costituzione che, fra l?altro,
introduce il multipartitismo e consacra la restrizione dell?autonomia
delle
due province autonome: su ciò si ritornerà, anche per aspetti positivi.
Ecco poi il prestito alla Croazia (4 ottobre 1990), ad interesse 0, di 2
miliardi di dollari, restituibili entro 10 anni e 1 giorno, da parte del
Sovrano
Ordine di Malta (Vaticano!): le parti interessate hanno smentito il
fatto, ma
ne esisterebbero precisi riscontri. Ancor più: con la legge 101/513 del
5
novembre 1990 il Congresso USA decide di finanziare direttamente le
nuove formazioni jugoslave ?democratiche?, cioè secessioniste, e non per
nulla un rapporto della CIA ?profetizza? la rapida fine della Jugoslavia
(la
notizia verrà pubblicata il 29 novembre, ricorrenza della Festa
nazionale
jugoslava). Il 22 dicembre il Sabor (Parlamento) croato emana la nuova
Costituzione della Croazia, ?patria dei Croati? (e non più dei popoli
costituenti croato e serbo, come nella Costituzione della Repubblica
federata!) e proclama il diritto di secessione.
1991: l?11 gennaio, in seguito ad elezioni, Milosevic diviene presidente
della Serbia. Già nello stesso mese, si formano ed armano milizie
irregolari in Croazia (in Slovenia ciò stava avvenendo da tempo: la
Presidenza federale il 9 gennaio decreta, senza esito, lo scioglimento
di
tali milizie) e si diffondono notizie circa i preparativi di aggressioni
contro
membri dell?esercito federale e in generale contro cittadini di
nazionalità
serba ?sgraditi?. Il 10 febbraio il Parlamento di Lubiana dichiara la
secessione; il 23 quello di Zagabria la preminenza della normativa
croata
su quella federale. A fronte di questi eventi, il 1° marzo viene
annunciata
l?autonomia dei serbi di Krajina, Slavonia, Baranja e Srem occidentale
(in
Croazia); il 12 maggio il referendum in Krajina richiede l?annessione
alla
Serbia. In questi mesi si verificano scontri tra forze croate e federali
e si
attuano misure croate e slovene di consolidamento del distacco dalla
Federazione. Il 15 maggio la votazione sul candidato croato Mesic nella
Presidenza federale collegiale finisce in uno stallo: lo stesso Mesic
rientra
a Zagabria e si autoproclama presidente federale. Il 13 giugno inizia la
?guerra doganale? tra Slovenia e governo federale. Il 25 giugno i
Parlamenti di Slovenia e Croazia proclamano l?indipendenza (il Papa
parla in quei giorni delle ?legittime aspirazioni del popolo croato?: il
25
maggio aveva ricevuto Tudjiman in Vaticano), il 27 giugno l?Armata
jugoslava (federale) si stanzia sulla frontiera esterna (con l?Italia),
conflitti
armati si sviluppano in Slovenia e Croazia (forze croate attaccano
centri
serbi). Una violenta campagna di disinformazione antijugoslava si
scatena
da parte di ambienti italiani e in genere occidentali filosecessionisti.
Il 30
giugno, dietro pressioni occidentali, risulta eletto presidente federale
il
nazionalista croato Stipe Mesic (attuale presidente della Croazia), il
quale
però si adopera complessivamente per la distruzione della Federazione
(se ne è vantato, come viene ricordato da taluno, nel libro ?Come
abbiamo
sfasciato la Jugoslavia?). Alla Conferenza di Brioni, il 7 luglio, gli
occidentali promuovono una sospensione di tre mesi delle dichiarazioni
di
indipendenza di Slovenia e Croazia. Il 6 luglio Milosevic si era
espresso
nel senso che ?senza i paesi che hanno deciso per l?indipendenza, la
Jugoslavia potrà svilupparsi meglio; l?esercito deve difendere solo quei
popoli che accettano di vivere in Jugoslavia?. Ciò entrava in
dialettica,
forse non in diretta contrapposizione, con le persistenti tendenze di
jugoslavismo integrale, presenti soprattutto nell?Armata federale: si
noti
comunque che il riferimento è, in definitiva, ai ?popoli?, non alle
Repubbliche federate. Il Parlamento europeo, invece, il 10 luglio
afferma,
con grave atto di ingerenza, il ?diritto all?autodeterminazione e alla
secessione di tutte le Repubbliche jugoslave?. Il 18 luglio la
Presidenza
federale jugoslava decide per il ritiro militare dalla Slovenia. Dalla
Slavonia (in Croazia) vengono nell?ottobre cacciati 25.000 serbi;
Vukovar
è occupata da milizie irregolari croate nel novembre, ma ripresa
dall?Armata federale dopo qualche settimana (reciproche accuse di
atrocità: ma vi sono elementi che accusano i paramilitari croati). L?8
settembre si era svolto il referendum per l?indipendenza della
Macedonia,
pronta però a rientrare in una Federazione. Tra fine agosto e settembre
si
hanno azioni dell?Aviazione e Marina federali nei confronti della
Croazia:
questa viene definitivamente dichiarata indipendente dal Sabor l?8
ottobre
(scadenza della moratoria di Brioni; lo stesso per la Slovenia). La
Corte
costituzionale federale dichiara illegittime le indipendenze
repubblicane. Il
10 ottobre il Parlamento europeo, rivedendo la precedente posizione,
rigetta la richiesta dell?Unione Europea (organi politici) di
riconoscere
Slovenia e Croazia. Il 15 ottobre il Parlamento bosniaco prefigura,
contro il
voto dei serbi, la secessione della Bosnia-Erzegovina.
I processi di disgregazione non avrebbero potuto mancare di colpire i
supremi vertici statali: il 3 ottobre 1991 a Belgrado i rappresentanti
del
?blocco serbo? (Serbia, Vojvodina, Kosovo e Montenegro) nella
presidenza federale collegiale, in assenza degli altri e quindi agitando
il
pericolo di paralisi, si erano attribuiti i pieni poteri: il 5 dicembre
Mesic si
dimette affermando che ?la Jugoslavia non esiste più? e viene imitato il
20
dicembre dal primo ministro federale Markovic. Ciò non implica
giuridicamente la fine della Jugoslavia (di allora): si veda il rifiuto
serbo
(alla Conferenza dell?Aja, ripresa il 18 ottobre) del piano Carrington,
che
prevedeva un vincolo molto flessibile fra Stati indipendenti per la
Federazione ed entro le singole Repubbliche ampie autonomie ?nazionali?
per le etnie regionalmente maggioritarie: la Jugoslavia non può essere
cancellata con un tratto di penna, le autonomie ?regionali? sono
questione
puramente interna, opposero i serbi; e vi era pur sempre l?azione
unitaria
dell?Armata federale.
Si mettano queste operazioni in controluce con quanto stava avvenendo
sul piano internazionale: nel quadro delle trattative di Maastricht
(dicembre 1991) venne assunta in definitiva la linea della distruzione
della
Jugoslavia: il documento U.E. 1342, 2° parte, del 6 novembre 1992
confermerà che soprattutto la Germania aveva spinto in quel senso. Già
l?8 novembre 1991 l?U.E. aveva stabilito sanzioni economiche contro la
Jugoslavia (che il 2 dicembre verranno ridimensionate a favore delle
Repubbliche secessioniste), il 10 dicembre la Germania bloccava i
trasporti relativi a Serbia e Montenegro. Si tratta di azioni che
partono dal
presupposto, arbitrariamente assunto, dell?inesistenza dello Stato
federale
jugoslavo.
Il 9 novembre i serbi di Bosnia avevano proclamato di voler comunque
restare in uno Stato unico con Serbia, Montenegro, Krajina, Slavonia
ecc.
e con le nazionalità che avessero espresso simile decisione. Ma il 19
dicembre la Germania decide, e il 23 proclama, di riconoscere, con
effetto
dal 15 gennaio 1992, Slovenia e Croazia nelle loro frontiere
(amministrative!). Lo stesso 19 viene dunque per reazione proclamata, e
il
24 formalmente costituita, la Repubblica serba di Krajina; sempre il 21
dicembre i deputati serbi avevano lasciato il Parlamento di Sarajevo e
proclamavano la Repubblica Srpska di Bosnia con effetto dal Capodanno
ortodosso 1992 mentre il 24 costituiranno l?assemblea del popolo serbo
di
Bosnia-Erzegovina. Profittando di questa situazione, il 24 dicembre
Croazia, Slovenia, Macedonia e Bosnia Erzegovina chiedono alla
Comunità europea il riconoscimento come Stati indipendenti; il 23 un
passo simile era stato compiuto dallo stesso Kosovo entro un quadro che
si
considererà più avanti; il Montenegro annunciava invece di non avere
interesse in proposito.
(Segue. URL: http://www.confederazionecomunisti.it/Il%20processo%20
Milosevic%20e%20l%27imperialismo.htm )