[Riceviamo e volentieri diffondiamo]


Per chi vuol andare a Praga

Care compagne, cari compagni,


come certamente saprete, il Prc ha aderito e partecipa al
controvertice di Praga contro la Nato (19 novembre) e
alla manifestazione europea contro la guerra e contro la
Nato che si svolgerà nel cuore di Praga il giorno dopo.

Data la scarsa informazione che su questi eventi è
apparsa finora sulla stampa italiana, penso di fare cosa
utile inviandovi alcuni materiali, pregando ognuno di voi
di fare il possibile a sua volta per divulgarli
ulteriormente; anche attraverso le vostre mailing-list
personali e/o quelle delle organizzazioni o associazioni
di cui fate parte, in modo da determinare una
moltiplicazione virtuosa dell'informazione.

Si tratta di favorire la massima partecipazione, dopo
quella del 9 novembre a Firenze, alla manifestazione
europea del 20 novembre a Praga. "Il movimento - ha
scritto bene Gennaro Migliore in un editoriale di
Liberazione - sta dandosi una stabile dimensione europea,
e si ritroverà a Firenze il 9 novembre per opporsi alla
guerra ed a Praga per avversare l'allargamento della
Nato".

Il Prc, così come le altre organizzazioni italiane
aderenti o che decideranno di aderire alle iniziative di
Praga, sono impegnate - ognuna in forme proprie - ad
organizzare la partecipazione e ad esse ci si può
utilmente rivolgere.

Il viaggio in auto, per 4 persone, andata e ritorno,
calcolando la partenza dal Nord Italia, viene a costare
circa 60 euro a testa in carburante e spese autostradali
(circa 10-12 ore di viaggio - tutta autostrada - da
Milano a Praga, per una distanza di circa mille Km.).

Il pernottamento a Praga in alberghi economici, ma
decorosi, costa circa 15-20 euro per notte a persona,
inclusa prima colazione. Sconti per gruppi di almeno 15
persone.

Chi fosse interessato ad avere ulteriori informazioni
logistiche per un alloggio economico a Praga, per una o
più notti, può rivolgersi a Claudio Buttazzo, grande
conoscitore di tutti i segreti di Praga, che può essere
contattato, a partire da domenica 3 novembre, ai seguenti
recapiti:

cell. 347-6925813
e-mail : cbuttazzo@...

Un caro saluto a tutti
Fausto Sorini

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PRAGA

20 NOVEMBRE 2002 ore 14,30
Piazza della città vecchia (Staromestske namesti)

In occasione del vertice atlantico che si terrà il 21-22
novembre nella capitale ceka per decidere un nuovo
allargamento ad Est della Nato e il suo coinvolgimento
nella dottrina di Bush della "guerra preventiva"

MANIFESTAZIONE EUROPEA

Contro la guerra all'Iraq, contro le guerre di Bush
Contro la NATO e il suo allargamento ad Est
Per un'Europa di pace, di giustizia sociale e di
amicizia tra i popoli
Per un'Europa autonoma e neutrale, senza basi militari
straniere


La manifestazione è promossa dal Partito comunista della
Repubblica ceka (Kscm) con altre organizzazioni
giovanili, pacifiste, sindacali del Paese, e dal Forum
europeo per la pace, con l'adesione- per la prima volta
congiunta, dopo il 1989- delle maggiori forze comuniste e
di sinistra alternativa di tutta l'Europa (dell'Est e
dell'Ovest), rappresentative di decine di milioni di
cittadini europei. Hanno aderito finora : BELGIO (Pc e
Partito del lavoro), BIELORUSSIA (i due partiti
comunisti), BOSNIA (Pc dei lavoratori), BULGARIA (Pcb),
CIPRO (Akel), CROAZIA (Partito socialista del lavoro),
DANIMARCA (i due partiti comunisti), FINLANDIA (Pc),
FRANCIA (Pcf), GERMANIA (Pds e Dkp), GRECIA (Pc-Kke e
Synaspismos), ITALIA (Prc e PdCI), LATVIA (Partito
socialista), MOLDAVIA (Pc), POLONIA (Unione comunisti
polacchi - proletariat), PORTOGALLO (Pcp), RUSSIA (Pc
della Federazione russa), ROMANIA (i due partiti
socialisti), SLOVACCHIA (Pc-Kss), SPAGNA (Pce e Izquierda
Unida), SVEZIA (Pc), TURCHIA (Pc), UCRAINA (Pcu),
UNGHERIA (Partito del lavoro), YUGOSLAVIA (Partito
socialista serbo, Partito dei comunisti yugoslavi e Nuovo
Pc yugoslavo)?Dagli STATI UNITI aderisce l'International
Action Center di Ramsey Clark. Aderisce anche la
Federazione mondiale della gioventù democratica. E le
adesioni continuano?

La manifestazione è aperta a tutte le realtà politiche,
sociali, culturali, religiose, di movimento che si
riconoscano nelle sue parole d'ordine: contro la guerra,
contro la NATO.

Per adesioni e maggiori informazioni, politiche e
logistiche (viaggio e alloggio a Praga),
rivolgersi alle rispettive organizzazioni nazionali

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CONTRO-VERTICE ANTI-NATO

dal Partito Comunista di Boemia e Moravia (KSCM)
Lun 30 sett. 2002
mail a leftnews@... http://www.kscm.cz

Praga, 30 Settembre, 2002

Cari compagni,

Il contro-vertice internazionale organizzato dal KSCM si
terrà il 19 novembre, prima del summit della NATO,
affronterà le questioni chiave della sicurezza europea ed
il lancio di una campagna per attivare un movimento della
pace nel continente europeo.

Siamo convinti che dovrebbe essere dedicata attenzione
continua al tema della sicurezza europea. Per questo
proponiamo che per attivare un movimento per la pace e
per progettare l'architettura della sicurezza europea,
l'incontro internazionale di novembre dovrebbe avere una
continuità di lavoro permanente nel tempo. Il lavoro
relativo, fra un incontro e l'altro, potrebbe essere
coordinato da un comitato di coordinamento europeo. Al di
là dei vari punti di vista, con questa campagna l'Europa
potrebbe trasmettere un segnale contro la guerra al mondo
intero.

Vi chiediamo di raccogliere adesioni a sostegno della
bozza di appello che vi alleghiamo; siamo sicuri che
userete tutti i mezzi disponibili per attivare e
coordinare un movimento per la pace a livello europeo.

Vi invitiamo a segnalarci idee, suggerimenti e
osservazioni sul testo, entro il 1° novembre 2002, in
modo che esse possano essere incluse nel summit
internazionale di novembre a Praga.

Dott. Ing. H. Charfo, DrSc.
Responsabile del dipartimento esteri
Comitato Centrale - Partito Comunista di Boemia e Moravia



Bozza dell'appello internazionale di Praga

La NATO aumenta i rischi per la sicurezza e minaccia la pace.

L'esistenza della NATO è stata giustificata dai suoi
fondatori come "alleanza difensiva " contro " la minaccia
sovietica". Logicamente il crollo dell'Unione Sovietica e
la dissoluzione del patto di Varsavia avrebbero dovuto
portare anche allo scioglimento della NATO. E' accaduto
l'opposto. La NATO invece di smobilitare si sta
rafforzando.

Contrariamente a quanto dichiarato nel trattato fondativo
di Washington, la NATO ha ufficialmente assunto il
diritto di intervenire militarmente contro chiunque, in
qualsiasi parte del mondo e in qualunque momento. Questo
viola non soltanto il proprio statuto, ma sfida
apertamente il diritto internazionale, e la NATO usurpa
l'autorità della Comunità internazionale delle Nazioni
Unite e del suo Consiglio di sicurezza.

La guerra contro la Yugoslavia del 1999, intrapresa senza
un mandato del Consiglio di sicurezza Onu, in spregio
anche della convenzione di Ginevra, è la prova
convincente di una nuova strategia aggressiva ed
interventista che per la prima volta dal 1945 porta una
guerra di aggressione in Europa.
Un altro esempio lampante è l'attacco anglo-americano
all'Afghanistan, come parte di quella cosiddetta "guerra
contro il terrorismo", condotta e sostenuta da alcune
nazioni NATO. L'attacco non ha rispettato i principi
umanitari fondamentali e non ha risparmiato la
popolazione civile, le infrastrutture, le vite e i
diritti dei prigionieri di guerra.
Il cambiamento dell'elite dirigente dell'Afghanistan che
è stato imposto non risolverà i problemi di base della
popolazione afgana.

Influenzata in modo determinante dagli USA, la NATO è
sempre più chiaramente un patto politico-militare che va
ben oltre il carattere difensivo. Sta trasformandosi in
uno strumento di espansione e di consolidamento
dell'influenza mondiale degli Stati membri più
importanti. È uno strumento fondamentale per perseguire i
programmi degli Stati Uniti nel mondo intero, la loro
influenza e i loro interessi sul continente europeo.
L'egemonia degli Stati Uniti nella NATO si basa sullo
status privilegiato e sull'autorità USA, sul controllo
che gli Usa esercitano sugli apparati militari e di
sicurezza, sull'industria della "difesa" e sulla
tecnologia militare degli Stati membri dell'alleanza.
Le strutture militari integrate della NATO hanno una
operatività che agisce, specialmente nei momenti di
crisi, al di fuori dell'effettivo controllo delle
istituzioni nazionali, particolarmente negli Stati
europei.

Le armi nucleari, il cui uso è contrario alle
Costituzioni di diversi paesi membri, sono soggette di
fatto alle decisioni degli Stati Uniti e al controllo
politico-militare delle loro autorità, anche quando le
basi nelle quali sono schierate sono sul territorio di
questi Stati. Questo significa che c'è un crescente e
peculiare pericolo per tali paesi di essere trascinati in
uno scenario di guerra senza che ciò sia sottoposto alla
valutazione e al controllo delle legittime autorità
nazionali.
Sotto la pressione degli Stati Uniti, vi è così un
crescente pericolo per l'Europa e per il mondo di essere
trascinati in una nuova corsa al riarmo.

L'umanità è minacciata dalla militarizzazione dei
rapporti internazionali, dalla militarizzazione dello
spazio cosmico, dall'interventismo militare crescente che
sempre più domina la politica degli Stati Uniti.
La NATO, come strumento politico dell'egemonia USA, dà
priorità all'escalation militare e all'uso della forza,
anziché alle soluzioni pacifiche nelle controversie
internazionali e ai metodi civili di risoluzione dei
problemi economici e sociali che si acutizzano nel mondo
contemporaneo.
La NATO non è all'altezza di risolvere questi problemi
politicamente.

Per assicurare la pace sul continente e l'istituzione di
rapporti pacifici con le altre nazioni del mondo,
l'Europa non ha bisogno di un'alleanza aggressiva che
insidia e in pratica sfida il ruolo delle Nazioni Unite.
La NATO è inaccettabile nella sua forma attuale e
chiedere oggi il suo scioglimento è un fatto politico di
grande rilievo.

Noi pensiamo che la decisione, da parte degli Stati
europei, di sospendere la propria appartenenza alle
strutture militari integrate della NATO possa essere un
primo passo realistico di procedere nella direzione del
suo scioglimento. Ed è vitale per l'Europa e per gli
Stati che vogliono mantenere un certo grado di sovranità
nelle decisioni, per evitare di essere trascinati in
nuove avventure militari.

L'Europa ha bisogno di un diverso sistema di sicurezza
rispetto a quello rappresentato dalla NATO. Un sistema
difensivo e non aggressivo, che sulla base del principio
dell' eguale condizione e dignità, comprenda tutti gli
Stati del continente, dal Portogallo agli Urali, dalla
Scandinavia ai Balcani.
Un sistema che sia basato sulla necessità non soltanto
dell'esistenza ma anche della riforma delle Nazioni
Unite.

Un sistema che, nel pieno rispetto della carta delle
Nazioni Unite e dello spirito di Helsinki, si emancipi
dalla pressione degli USA e di altri poteri forti che
agiscono contro le leggi internazionali. Un sistema che
dovrebbe essere basato sulla sovranità di tutte le
nazioni e su rapporti di cooperazione pacifica con gli
altri Paesi. Noi proponiamo che questo concetto sia
implementato sulla base dell'esperienza dell'OSCE, nello
spirito della "Carta di Parigi per una nuova Europa",
firmata alla fine dell'incontro dei leaders degli stati e
dei governi dei Paesi membri della Conferenza sulla
Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE), tenuta a
Parigi il 21 novembre 1990.

L'Europa è stata sempre una delle parti del mondo più
minacciata dalle politiche di riarmo e dallo sviluppo
delle armi di sterminio di massa, nucleari, chimiche,
biologiche e "spaziali".
Essa può svolgere un ruolo determinante per una politica
di disarmo graduale e bilanciato, fino a che queste armi
possano essere completamente eliminate, a partire da
quelle delle grandi potenze. Ciò consentirebbe di
recuperare enormi risorse oggi bruciate nelle spese
militari, che potrebbero essere impiegate per uso
sociale, per risolvere i problemi economici e ambientali
che travagliano il pianeta.

Il patto aggressivo della NATO è incapace di trasformarsi
e porre le fondamenta di un'autentica sicurezza per
l'Europa. Il futuro sta nello sviluppo del processo di
integrazione economica e politica di tutti gli stati del
continente, su basi di pari uguaglianza e sovranità per
tutti i Paesi, contro qualsiasi tipo di oppressione da
parte di alcuni paesi o gruppi sociali nei confronti di
altri, e quindi del tutto diverse da quelle imposte dal
liberismo antisociale e dalla subalternità atlantica.

In occasione del vertice NATO a Praga, in cui ci si
aspetta che l'Alleanza si allarghi ad Est con l'ingresso
di nuovi paesi, i firmatari di questo appello, pur
esprimendo una varietà di posizioni politiche e
ideologiche, sono concordi nella comune volontà di pace,
invitano tutti i Paesi d'Europa e i membri delle Nazioni
Unite a mobilitarsi unitariamente contro la politica di
riarmo e di guerra e a compiere alcuni passi concreti
verso un'Europa di giustizia e di pace.

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In occasione del vertice del Patto atlantico

MANIFESTAZIONE EUROPEA
IL 20 NOVEMBRE A PRAGA
CONTRO LA GUERRA
E PER
LO SCIOGLIMENTO DELLA NATO

di Claudio Buttazzo


Seattle, Praga, Nizza, Gotheborg, Genova, ed ora di nuovo
Praga. Dopo quello del settembre di due anni fa contro il
Fondo monetario internazionale, un altro appuntamento di
lotta internazionale e' fissato nella capitale ceka per
il 20 novembre prossimo.
In quei giorni, esattamente il 21-22 novembre, si terra'
a Praga, presso il Centro Congressi sul colle di Vyserad,
il vertice di tutti i paesi della Nato per decidere
l'ulteriore allargamento ad Est del Patto atlantico. Vi
parteciperanno 46 capi di Stato o di governo dei paesi
aderenti alla Nato e dei paesi della "Partnership per la
pace" e circa 200 "ospiti speciali", cioè ministri di
vari governi con consorti al seguito. I delegati saranno
2.500, mentre sono circa 2.000 i giornalisti accreditati.
Nel programma del Summit non sono previsti incontri, in
precedenza dati per certi, tra Nato e Russia e neppure
della Commissione Nato con l'Ucraina.
I paesi interessati all'allargamento sono i tre Stati
baltici (Estonia, Lettonia e Lituania), la Slovacchia, la
Romania e la Bulgaria, tutti confinanti con la Russia o,
comunque, con paesi dell'ex-Unione sovietica. Un
allargamento che, pur non aggiungendo nulla alla gia'
terrificante potenza militare e aggressiva del blocco
imperialistico guidato dagli Usa, ha due fondamentali
obiettivi politico-strategici: stringere in un'ulteriore
morsa la Russia, completando l'accerchiamento attorno a
tutti i suoi confini piu' "caldi"(sul versante europeo e
su quello mediorientale e caucasico) e imprimere il
marchio dell'egemonia statunitense sui paesi dell'Europa
centro-orientale e balcanica prima ancora del loro
ingresso, se mai avverra', nell'Unione europea. La
portata dell'operazione, dal punto di vista degli
equilibri mondiali, e piu' che evidente e risulta ancora
piu' drammaticamente accentuata dal particolare tipo di
ruolo che questi paesi si offrono a svolgere all'interno
della Nato. Si tratta di una questione poco dibattuta e
generalmente, purtroppo anche a sinistra, sottovalutata.
Si tratta, intanto, di paesi che hanno scelto, in campo
politico ed economico, le piu' estreme ricette
neoliberiste, legandosi mani e piedi al modello e
all'egemonia del capitalismo d'oltreoceano. I governi di
questi paesi, indifferentemente dal tipo di coalizioni
che si sono succedute, hanno sempre e indiscriminatamente
seguito una politica di totale allineamento alla politica
estera, e alle guerre, americane, anche in contrasto o in
difformità rispetto alle posizioni assunte dall'Unione
europea o da alcuni dei suoi paesi piu' importanti. E
alcuni di essi (in particolare Romania, Lituania e
Lettonia), pur non facendo parte della Nato e addirittura
senza che alcuno glielo richiedesse, si sonno offerti per
la partecipazione ad operazioni di guerra, in particolare
nelle operazioni nei Balcani e in Afganistan.

Si tratta, inoltre, di paesi quali, vivendo una
situazione economica disastrosa, cercano di offrire un
diversivo al malcontento delle popolazioni,
indirizzandolo verso l'esterno (alimentando i contrasti
con la vicina Russia) o verso le minoranze etniche
interne, particolarmente consistenti in tutti i paesi
dell'Est. Nel fare questo, vengono non di rado
rispolverate vecchie argomentazioni prese a prestito
dall'armamentario fascista e nazista. E' il caso dei tre
paesi baltici, in particolare della Lettonia, dove la
popolazione di nazionalita' russa (circa il 40% del
totale) viene sistemataticamente e pesantemente
discriminata, privata di diritti e spesso anche
volgarmente provocata nei suoi sentimenti antifascisti
con la riproposizione di simboli, ricorrenze e
celebrazioni in uso nel periodo del nazismo, con
pubbliche riabilitazione e decorazioni dei cambattenti
della Wermacht e con uno spudorato revisionismo storico
eletto a ideologia ufficiale dello Stato.

Questo e', dunque, lo scenario dentro al quale va a
espandersi la Nato, con tutte le inquietanti prospettive
e interrogativi che questo apre non solo per gli
equilibri mondiali, ma per la configurazione che potra'
assumere la stessa costruzione europea. E, a corollario
di tutto cio', c'e' la guerra infinita di Bush e
l'imminente guerra all'Irak. Dire di no a tutto questo,
fermare questa deriva distruttiva si puo'. E si deve.

Il Partito comunista di Boemia e Moravia, uno dei piu'
forti partiti comunisti in Europa (ha ottenuto il 18,6%
dei voti alle politiche del giugno scorso) si e'
opportunamente fatto promotore di un controvertice
internazionale in risposta al summit della Nato e per far
esprimere, con un forte no alla guerra infinita del
governo americano, la volonta' di pace dei popoli
europei. Ma il controvertice vuole andare ancora piu' in
la', ponendo una questione oggi ineludibile e preliminare
per qualsiasi prospettiva di pace e di sovranita' dei
popoli in Europa: la questione dello scioglimento della
Nato.

Va detto che questa iniziativa si svolge in un paese che,
per la sua collocazione nel centro dell'Europa, e' in una
posizione chiave per l'organizzazione strategica della
Nato. Non a caso esso e' stato scelto dal governo Usa
come il luogo prioritario per la realizzazione del
famigerato progetto di scudo spaziale. E pero' va anche
detto che e' proprio questa prospettiva a inquietare
ancor piu' i Ceki, tanto che l'opposizione alla Nato,
gia' maggioritaria presso l'opinione pubblica (tanto che
i governanti hanno sempre respinto la proposta di un
referendum sull'adesione), va ora ulteriormente
crescendo. E cresce, di pari passo, l'irritazione verso
l'atteggiamento servile del presidente della repubblica
Havel, che qui ormai chiamano "krvavy humanista"
(l'umanista sanguinario), per via della sua entusiastica
adesione a tutte le guerre Usa. Il presidente ceko non si
e' smentito neanche nell'attuale vecenda della
preannunciata guerra all'Irak. E' stato, dopo Blair, il
primo capo di Stato europeo a recarsi a Washington per
dare la piena adesione della Repubblica ceka ai piani di
guerra della Casa Bianca. Naturalmente, non aveva titolo
per farlo, non avendo preventivmente consultato ne' il
governo ne' il parlamento ed essendo a capo di una
Repubblica parlamentere, e non presidenziale. Questo la
dice lunga sul tasso di democrazia di questo celebrato
campione dell'anticomunismo.

Il controvertice di Praga si svolgera', dunque, il 19 e
20 novembre. Il 19 ci sara' un convegno, cui sono stati
invitati a partecipare tutti i partiti comunisti e
numerose forze di sinistra antagonista che agiscono sul
nostro continente dove si cercherà per la prima volta di
elaborare una posizione comune di tutti coloro che ad Est
e ad Ovest sostengono la necessita' dello scioglimento
della Nato e di un sistema alternativo di sicurezza
europea. E dove si cerchera' di dar vita ad un
coordinamento europeo permanente, che colleghi le
iniziative in questo campo e lanci una petizione in tutta
Europa contro la guerra e per l'abolizione del patto
nordatlantico.

Sono gia' una trentina le organizzazioni che da tutta
Europa hanno dato l'adesione al controvertice e ancor più
quelle che parteciperanno alla manifestazione :
organizzazioni che complessivamente rappresentano decine
di milioni di cittadini di ogni parte d'Europa, "dal
Portogallo agli Urali".

Il 20 novembre, alle ore 14.30, il controvertice si
trasformera' in una grande manifestazione, cui
prenderanno parte migliaia di persone da tutta Europa e
che sara' conclusa a Staromestske namesti (piazza della
Citta' vecchia), nel cuore della citta' antica.

Il governo ceko e la maggioranza dei media stanno già
alimentando un clima di terrore psicologico nella città,
dipingendo i manifestanti che verranno a Praga come
soggetti pericolosi e violenti. E' annunciata la presenza
di 12 mila poliziotti e di 240 soldati con idranti e
autoblindo e altri reparti dell'esercito. Il ministro
degli Interni ha affermato che le misure di sicurezza
saranno superiori a quelle adottate nel 2.000 in
occasione del vertice del Fmi.

Una "zona rossa" sarà creata attorno al Centro Congressi
e interesserà gran parte del centro di Praga, in
particolare i distretti 1,2,3,4 e 6, e non si esclude la
chiusura di altre zone e strade. Il governo, per
scoraggiare i giovani praghesi dal prendere parte alla
manifestazione anti-Nato, ha deciso la chiusura delle
scuole per i gioni del Summit e ha consigliato gli
studenti ad andarsene in vacanza. Molte scuole hanno
organizzato proprio per quei giorni delle gite
scolastiche, per tenere sotto sorveglianza i ragazzi.
Mentre diversi istituti scolastici hanno organizzato per
i giorni precedenti il Summit dei corsi di "formazione",
con la partecipazione di importanti personaggi politici e
politologi di regime che dovranno illustrare ai giovani
le straordinarie "virtù" dell'Alleanza atlantica.

E' dunque indispensabile che, dopo le giornate del Forum
Sociale Europeo di Firenze, tutti gli sforzi del
movimento contro la guerra e il neoliberismo si
concentrino sulla partecipazione, per quanto possibile
ampia, dal nostro paese alla manifestazione europea del
20 novembre a Praga.

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Sulla manifestazione di Praga vedi anche la manchette al sito:
http://www.lernesto.it

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Verso un nuovo movimento mondiale di "partigiani della pace" ?

Una battaglia da vincere


di Fausto Sorini

Non abbiamo ancora la certezza, mentre scriviamo (23
ottobre 2002), se vi sarà la guerra all'Iraq. E' in atto
nel Consiglio di Sicurezza (CdS) delle Nazioni Unite un
braccio di ferro che ci dice che la partita non è chiusa;
che l'Onu non è un guscio vuoto, privo ormai di ruolo
internazionale (anche se ovviamente, come ogni
istituzione, esso riflette i rapporti di forza reali che
esistono nel mondo); che Francia, Russia e Cina non sono
burattini alla corte di Bush; e che non esiste alcun
"direttorio mondiale unificato", nessun "asse strategico"
tra Usa, Russia e Cina, tutto interno e omogeneo alla
globalizzazione capitalistica, che ormai governerebbe il
mondo.

E se guerra comunque sarà, non conosciamo le forme
concrete né gli scenari politico-militari entro cui essa
si produrrà, per non parlare delle conseguenze sullo
scenario globale e segnatamente mediorientale ("si
apriranno le porte dell'inferno? ").

Non sappiamo neppure, nel caso, se essa avverrà come
attacco unilaterale degli Usa e di qualche fedele
alleato, senza l'avallo dell'Onu, o se viceversa essa
riceverà, al di là delle risoluzioni formali, un qualche
tacito, ambiguo "disco verde" da parte di quei membri del
CdS con diritto di veto (Francia, Russia e Cina) che fino
ad ora hanno agito per evitare uno sbocco militare.

Forse non ci rendiamo conto che questa stessa incertezza,
che in misura maggiore o minore alberga in ognuno di noi,
rappresenta di per sé un fatto politico enorme. Essa è il
segno, a oltre un decennio dal crollo dell'Urss, del
carattere non onnipotente dell'imperialismo Usa (uscito
vincente dalla competizione del '900) e delle sue
velleità di fare del 21° secolo il secolo dell' "impero
americano". (1)

Non è invincibile la linea dei settori più aggressivi
dell' imperialismo Usa: quelli che puntano a vincere la
competizione globale con le altre potenze emergenti
perseguendo una linea di unilateralismo assoluto, di
schiacciante superiorità militare sul resto del mondo.
Una prospettiva che Fidel Castro, già all'indomani
dell'11 settembre 2001, aveva definito di "dittatura
militare planetaria". E che ha indotto un uomo acuto e
intelligente come Luigi Pintor a scrivere : "la mia
generazione è convinta di aver vissuto in un secolo
tragico, ma può dirsi fortunata. Il genocidio era in
fondo ancora episodico e circoscritto e non ancora
duraturo e pianificato su scala planetaria". E' decisivo
sottolineare questo aspetto: non siamo in presenza di una
iniziativa inarrestabile della maggiore potenza
imperialista mondiale (la cui gravità non è certo il caso
di ribadire nell'editoriale di una rivista che ne ha
intravisto per tempo le linee portanti) (2). Siamo di
fronte ad una linea di tale pericolosità per l'insieme
della comunità mondiale, di tale disprezzo del diritto
internazionale e dei diritti sovrani dei popoli e delle
nazioni, da suscitare una opposizione - diversamente
graduata - non solo nelle componenti più progressive
dell'opinione mondiale, ma tale da suscitare riserve
anche in ambienti tradizionalmente conservatori, per
nulla propensi al pacifismo o a qualsivoglia cultura di
pace. Si pensi ai gruppi dominanti di paesi come la
Germania, la Francia, il Giappone, che sono parte
integrante del sistema imperialistico, membri della Nato
o affini, che fino a ieri hanno condiviso, taluni anche
operativamente, l'aggressione alla Yugoslavia (senza uno
straccio di mandato Onu), o l'intervento militare in
Afghanistan, ma che non accettano un unipolarismo
americano che pretende di sottometterli alle velleità
egemoniche di un solo padrone (Lenin le avrebbe definite
"contraddizioni inter-imperialistiche"?). (3) Dubbi e
riserve si manifestano persino all'interno
dell'amministrazione Bush. La strategia dei "falchi" di
Washington, così inquietante e densa di incognite per i
suoi stessi promotori (chi si ricorda la fine del Terzo
Reich ?), suscitare una opposizione così diffusa nel
mondo, da far ritenere non solo necessario, ma possibile,
che essa venga imbrigliata e almeno in parte fatta
retrocedere. Una opposizione così diffusa da aprire spazi
immensi ad un "nuovo movimento mondiale di partigiani
della pace", che in queste contraddizioni sappia
inserirsi per far pendere l'ago della bilancia dalla
parte della pace e del disarmo.

Parliamo innanzitutto del disarmo graduale e bilanciato
delle maggiori potenze, ampiamente dotate di armi
nucleari, chimiche e batteriologiche, di cui non si
comprende perché dovrebbero avere il monopolio. Per cui
un paese come l'Iraq, che sulla base di prove mai
fornite, lavorerebbe per poter disporre tra qualche anno
(come dice la Cia) di alcune testate nucleari
rudimentali, dovrebbe essere bombardato
"preventivamente", mentre uno Stato "canaglia" come
Israele, che non rispetta da decenni le risoluzioni
dell'Onu, massacra impunemente il popolo palestinese e
dispone, come è noto, di alcune centinaia di testate
nucleari, non dovrebbe essere chiamato a render conto dei
suoi atti, e sottoposto - perché no - a rigorosissime
ispezioni Onu per verificare la consistenza delle armi di
sterminio di cui esso già dispone in abbondanza nei
propri arsenali.

Ha detto bene in proposito il segretario del Prc, "che
noi qui in Europa, in Italia, dobbiamo trasformare
l'autunno in una straordinaria stagione contro la guerra.
Cercando di allargare il fronte quanto più possibile,
trasformando la battaglia per la pace nella nostra
principale battaglia strategica. Non solo una battaglia
di principio, una battaglia da vincere".

Si aprono spazi grandi per un movimento mondiale
antimperialista (comunque lo si voglia chiamare), che
organizzi uno schieramento più qualificato (certo non vi
troveremo Andreotti o Formigoni, e neppure Schroeder o
Chirac?), ma che per "vincere" non deve separarsi dalle
grandi masse e dalle forze popolari, come ad esempio la
Cgil, che oggi dicono comunque "no alla guerra". Uno
schieramento che comprenda i settori più avanzati dei
movimenti operai e di liberazione, di cui è parte
integrante e propulsiva (non esclusiva né
autosufficiente) il movimento che ha preso avvio a Porto
Alegre e che vedrà nelle giornate di Firenze del Forum
sociale europeo un suo momento importante, anche se
ancora molto parziale e provvisorio, di strutturazione
continentale (4).

Trovo emblematico in proposito l'appello internazionale
contro la guerra, promosso dal premio Nobel Josè
Saramago, con Pedro Almodovar, Carlos Taibo, James
Petras, Julio Anguita e altri 200 artisti e
intellettuali, a nome di una "Alleanza di intellettuali
antimperialisti". Un appello "contro una nuova
aggressione imperialistica che si propone di consolidare,
a qualunque prezzo, l'egemonia nord-americana". Andrebbe
rafforzato e generalizzato in ogni Paese del mondo
(quanti altri Nobel potrebbero firmare?), facendo
convergere il tutto in una grande campagna mondiale per
la raccolta di centinaia di milioni di firme, a tutte le
latitudini. (5)

Grandi spazi si aprono anche alla peculiare iniziativa
dei comunisti - nel quadro della più larga unità contro
la guerra - per riscoprire e diffondere nelle nuove
generazioni, tra i lavoratori e i popoli, la
consapevolezza dei nessi che esistono tra capitalismo e
guerra, "dove l'uno porta l'altra con sé, come la nube la
tempesta". E riscoprire anche per quella via l'esigenza
del socialismo nel mondo contemporaneo, e la
consapevolezza che un sistema sociale che si regge sullo
sfruttamento dell'uomo sull'uomo, un mondo che si regge
su crescenti squilibri economici e sociali tra un pugno
di paesi ricchi (in competizione tra loro) e un oceano di
paesi poveri, non sarà mai un mondo liberato dal pericolo
della guerra.

Nel mese di novembre si terranno in Europa due importanti
iniziative contro la guerra, a carattere continentale. Mi
riferisco al Fse di Firenze, che in particolare vedrà il
9 novembre una importante manifestazione europea contro
la guerra. Ed un secondo meeting europeo, meno conosciuto
ma non per questo meno significativo, che si terrà una
decina di giorni dopo a Praga, in occasione del vertice
della Nato del 21-22 novembre, che deciderà una sua
ulteriore espansione ad Est, con l'ingresso di nuovi
Paesi; e dove i rappresentanti Usa premeranno per un
coinvolgimento dell'Alleanza nella dottrina della "guerra
preventiva". Nei due giorni precedenti si terrà a Praga
un contro-vertice (19 novembre), promosso dal Partito
comunista ceko (Kscm), cui prenderanno parte la quasi
totalità dei partiti comunisti e di sinistra
anticapitalistica di tutta l'Europa, dell'Est e
dell'Ovest (dal Portogallo agli Urali, passando per i
Balcani). Un incontro continentale, il primo di questo
genere dopo il terremoto del 1989, in cui forze politiche
che rappresentano alcune decine di milioni di cittadini
di ogni parte d'Europa, discuteranno di come contribuire
allo sviluppo di un movimento continentale di massa,
articolato e continuativo, paese per paese, contro la
guerra, per lo scioglimento della Nato e la costruzione
di un sistema di sicurezza europea alternativo, non
aggressivo (una sorta di Onu europea), senza basi
militari straniere, coerente con l'idea di un'Europa
autonoma e neutrale, di pace, di giustizia sociale, di
amicizia tra i popoli. Il giorno dopo (20 novembre) le
stesse forze terranno una manifestazione europea nel
centro storico di Praga, aperta a tutte le realtà
politiche, sociali e di movimento che si riconoscono
nelle sue parole d'ordine: contro la guerra, per lo
scioglimento della Nato.

Forse non si è fatto abbastanza per costruire nei mesi
scorsi una adeguata sinergia tra questi due appuntamenti
di grande valore strategico. Auguriamoci che ciò sia
possibile in futuro, a partire dalle prossime giornate di
Firenze e di Praga. E che ogni sforzo sia messo in campo
per superare incomprensioni, distanze, pregiudiziali
ideologiche, piccole logiche di gruppo, che ostacolano la
massima convergenza di tutte le forze che si riconoscono
nelle due fondamentali discriminanti dell'anti-liberismo
e del "no" alla guerra. Vi sono oggi le condizioni, anche
in Europa, senza più muri tra Est e Ovest, per la
costruzione di un grande movimento popolare, con forme
flessibili ma efficaci di coordinamento, collocato su
posizioni socialmente avanzate, aperto alle convergenze
con chiunque sia comunque disponibile a dire "no" alla
guerra. Lo dimostra la straordinaria manifestazione di
fine settembre a Londra contro la guerra (450.000
persone), svoltasi in concomitanza con la riuscita
manifestazione di Roma, promossa e organizzata dal Prc
(dal nostro partito), ma che nei comizi ha dato ampio
spazio ad altri (no-global, sinistra Ds, movimento dei
lavoratori, associazioni di immigrati); la manifestazione
enorme, a metà settembre, del popolo dei "girotondi",
nella quale l'intervento di Gino Strada contro la guerra
è stato accolto da una autentica ovazione; la grande
riuscita dello sciopero generale del 18 ottobre e delle
manifestazioni di piazza, promosse dalla Cgil e dai
settori più avanzati del sindacalismo extra-confederale,
che hanno visto anche una massiccia partecipazione di
studenti, e in cui il tema del "no" alla guerra era
fortemente presente e condiviso; il documento contro la
guerra firmato da 131 parlamentari del Prc, del Pdci, dei
Ds, dei Verdi, della Margherita?che rappresentano insieme
quasi il 15% del Parlamento e che esprimono, senza
ambiguità, un orientamento contrario alla guerra che
tutti i sondaggi ci dicono essere larghissimamente
maggioritario nel paese. Un documento che opportunamente
raccoglie il richiamo di Pietro Ingrao (e persino di un
ex Presidente della Repubblica democristiano come Oscar
Luigi Scalfaro) all'articolo 11 della Costituzione.

Vi è qui un bel pezzo di "sinistra alternativa", sociale,
politica, di movimento, che può crescere e bilanciare la
recente (ennesima) torsione centrista e moderata della
maggioranza del gruppo dirigente dei Ds. A condizione che
si rispetti l'autonomia di ognuno, che si evitino come la
peste ipotesi confuse, velleitarie (e che alla fine
dividono, più che unire) di "nuovi soggetti politici" che
pretenderebbero di fondere o impastare tutte quelle forze
in un unico calderone, invece di operare - senza
forzature organizzativistiche - sul terreno assai più
produttivo dell'unità d'azione, del coordinamento
flessibile di tutte le iniziative condivise, con una
convergente elaborazione programmatica e progettuale.
Dove la piena autonomia politica, teorica e organizzativa
del partito comunista sia non già sinonimo di settarismo
e autosufficienza, bensì fattore propulsivo di più larghe
convergenze a sinistra. Partito comunista che si
conferma, pur con tutti i suoi difetti, strumento sempre
più prezioso e insostituibile di dinamismo politico e
sociale nel contesto italiano, su cui davvero vale la
pena di investire grandi forze ed energie, senza alcuna
boria autoreferenziale, con maggiore spirito di unità e
solidarietà interna, a partire dai gruppi dirigenti e
dalle modalità della loro costruzione.

Noi non abbiamo dubbi o esitazioni (non dobbiamo averne,
pena l'auto-emarginazione dal senso comune del nostro
popolo) su alcune priorità del momento: no alla guerra,
sostegno alle lotte dei lavoratori, opposizione
convergente al governo Berlusconi, intese tattiche -
ovunque possibile - anche sul terreno elettorale, per
battere le destre e le componenti più reazionarie del
quadro politico italiano. Ma sappiamo anche che un abisso
strategico ci distingue dal nuovo craxismo della
governabilità a qualunque costo, che sta nuovamente
prevalendo nell'Ulivo e nella direzione dei Ds. E non
diventeremo - non siamo nati per questo - né l'ala
sinistra, inevitabilmente subalterna e minoritaria, di
questo nuovo Ulivo in gestazione (non faremo la fine di
altri?), né una forza marginale e minoritaria, estranea
al movimento operaio in carne ed ossa e alle componenti
democratiche e progressive che contraddittoriamente
agiscono nel "popolo della sinistra", perché questa
sarebbe un'altra forma, speculare ma non meno
fallimentare, di subalternità.

Condivido in proposito alcune recenti sottolineature del
segretario del Prc (Liberazione, 19.10. 2002). E' vero:
"l'onda lunga oggi è quella del conflitto sociale e del
protagonismo dei lavoratori", dove emerge "una presenza
ricca e composita : classe operaia tradizionale, giovani
studenti e giovani lavoratori precari", con "una forte
volontà di opposizione politica e sociale alle scelte del
governo Berlusconi". Per cui, "dopo il successo di questo
sciopero, la normalizzazione della Cgil e del conflitto
sociale sarà più difficile?nonostante lo spostamento a
destra del centrosinistra ?e del baricentro politico
dell'Ulivo". "Bisogna prendere atto del fallimento
dell'ipotesi di chi aveva puntato tutto sullo spostamento
dell'insieme del centro-sinistra", o di chi puntava ad
una sua "rigenerazione dall'interno, ad una sua
rifondazione programmatica e di leadership : la strada
indicata da Cofferati nell'intervista di agosto al
Corriere". Il punto è quello della "costruzione di una
sinistra di alternativa, stando ciascuno dove sta,
evitando fughe di tipo organizzativistico, e produrre
iniziative e lotte comuni". E riprendere con forza il
tema della "fine della cultura dell'alternanza", con il
"mutamento del sistema elettorale", trovando le forme e
le convergenze necessarie per un " rilancio della
proporzionale".

Sul piano sociale, si impone la vertenza Fiat, e qui
bisogna "far leva su un intervento pubblico?che rompa i
tabù imposti dall'egemonia neo-liberista, sul ruolo dello
Stato e sul Patto di stabilità europeo".
Dove il dibattito sulla "nazionalizzazione" e sul
"rilancio dell'intervento pubblico in economia", allude
prospetticamente alla riapertura di una riflessione non
velleitaria su : "Quale socialismo per il XXI° secolo",
dopo il crollo di un modello di statalismo integrale. E
quindi : quale economia mista, con una prevalenza del
pubblico nei settori strategici, in un processo di lunga
transizione al socialismo, su scala mondiale e nelle sue
articolazioni nazionali e regionali; quale rapporto tra
pubblico e privato. E ancora : come costruire, in un
quadro di regionalizzazione crescente delle relazioni
economiche, un polo pubblico sovranazionale che sappia
reggere la competizione delle multinazionali private.

Si tratta cioè di riaprire, con una visione mondiale,
senza fughe in avanti né regressioni utopistiche, la
questione del socialismo.

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(1) Le due nozioni - imperialismo e logica "imperiale" -
se correttamente intese, possono coesistere e descrivere
fenomeni tra loro complementari, non escludentesi, a
condizione di fuoriuscire dallo schema negriano. La
questione non è nominalistica.

(2) E questo quando altri, anche in Rifondazione,
esitavano a cogliere il salto di qualità e la peculiera
pericolosità per la pace mondiale rappresentati non tanto
e non solo da una generica e indistinta "globalizzazione
capitalistica", senza nome e indirizzo, ma soprattutto
dalle nuove scelte strategiche di politica estera degli
Stati Uniti, fino alle più recenti teorizzazioni sulla
"guerra preventiva", sintetizzate in un opuscolo diffuso
il mese scorso dalla Casa Bianca, e che il quotidiano
Liberazione, unico tra i giornali italiani, ha avuto il
merito di tradurre e pubblicare integralmente (e
tempestivamente) nella sua edizione del 10 ottobre 2002 (
www.liberazione.it ) e che rappresenta un'autentica
miniera di argomenti.

(3) La Stampa (3.9.2002) pubblica in proposito una
significativa dichiarazione di Tareq Aziz, vicepremier
irakeno: "l'animosità americana contro di noi si spiega
con il fatto che se distruggeranno l'Iraq controlleranno
il petrolio di tutto il Medio Oriente, che rappresenta il
65% delle riserve mondiali, e quindi saranno in grado di
governare la crescita economica di ogni nazione del mondo
intero. L'Europa è solidale con noi non solo per ragioni
umanitarie, ma perché così protegge i suoi interessi". E
più recentemente (La Stampa, 23.10.2002) : "la Corea del
Nord ha ammesso di avere un programma nucleare. Gli Usa
non hanno chiesto ispezioni Onu come per l'Iraq. Perché?
Perché due cose mancano in Corea del Nord: il petrolio e
Israele".

(4) Mentre l'Europa occidentale è largamente
rappresentata nel Forum sociale europeo, nonostante
permangano veti assurdi alla presenza dei partiti in
quanto tali, le forze sociali e politiche che nell'Europa
dell'Est, nei Balcani e nei paesi dell'area ex-sovietica,
a partire dalla Russia, rappresentano le istanze
fondamentali del Forum (anti-liberismo e opposizione alla
guerra) sono praticamente assenti, salvo rarissime
eccezioni. Questi paesi, in cui vive circa la metà dei
700 milioni di cittadini che popolano il continente, sono
per lo più rappresentati nel Fse da piccoli o
piccolissimi gruppi, il cui consenso sociale e politico
nei rispettivi popoli è assolutamente marginale. Il caso
più eclatante è quello delle grandi organizzazioni legate
ai comunisti e ai socialisti di sinistra di questi paesi,
dove essi rappresentano in molti casi il 30-40% dei
rispettivi popoli (stiamo parlando - a spanne - di una
sessantina di milioni di persone, di cui una buona parte
solo in Russia, Ucraina, Bielorussia?) e che a Firenze
non saranno in alcun modo rappresentate. Mancanza di
contatti o assurde pregiudiziali ideologiche di alcuni
settori del Forum verso i comunisti dell'Est ? Varrebbe
la pena di discuterne e di saperne di più.

(5) Il testo dell'appello (in spagnolo) e le adesioni,
nonché la lettera aperta di queste personalità europee
agli intellettuali ed artisti statunitensi, firmatari di
un analogo manifesto, sono reperibili in:
www.nodo50.org/csca , oppure scivendo a :
csca@...