www.resistenze.org - popoli resistenti - jugoslavia - 11-11-03


Relazione sulla situazione nella Serbia jugoslava, Ottobre 2003

Al ritorno dall’ultimo viaggio per la solidarietà concreta a nome
dell’Associazione “ SOS Yugoslavia”, i cui risultati potete leggere in
altra parte del notiziario, cerco qui in modo sintetico e breve, di
dare un quadro informativo sulla situazione nel paese. Chiarisco subito
perché scrivo di Serbia jugoslava: perché l’unico paese ancora
completamente multietnico, dove ancora oggi 34 etnie diverse convivono
e hanno pari diritti, è la Repubblica Serba. Tutto il resto può essere
opinabile, questo è un dato di fatto incontestabile.

Dal punto di vista sociale la situazione è in continuo peggioramento,
aumento costante dei prezzi, processi di privatizzazione e svendita
delle grandi aziende pubbliche e delle grandi infrastrutture,
smantellamento dello stato sociale, sanità ormai di fatto privata. Una
riforma della scuola in senso classista; reintroduzione obbligatoria
della religione, rivisitazione della lotta di liberazione nazionale in
chiave revisionista, per cui sempre più spesso i partigiani
antifascisti sono equiparati al banditismo e a semplici episodi
criminali, sicché presto le nuove generazioni avranno dimenticato il
terribile prezzo in distruzioni e vite umane, pagato dai combattenti
antifascisti e dai patrioti jugoslavi per il riscatto della libertà e
della pace. - Mai dimenticare che per la libertà dell’Europa, dopo il
popolo sovietico che pagò con 20 milioni di morti e 40 milioni di
invalidi, sono stati proprio i popoli jugoslavi a pagare il prezzo più
alto in termini di distruzioni e sangue -

Mondo del lavoro

Nella città operaia di Kragujevac la disoccupazione è ormai un
fenomeno endemico. Oggi la situazione è questa: dei 36.000 dipendenti,
ne restano ufficialmente 17.000, gli altri sono stati licenziati o
indotti alle dimissioni. Questi 17.000 lavorano a rotazione, cioè 4-5
mila al mese e poi ne subentrano altri, quando lavorano percepiscono un
salario medio di 165 euro mensili e quando non lavorano 70/80 euro. La
produzione è rimasta ferma da giugno a settembre, nel 2003 era stata di
circa 900 vetture al mese; ora è ripresa con l’azione del governo che
ha anticipato i capitali per comprare i motori e i pezzi di
assemblaggio per tre mesi. Attualmente la produzione è di 300 auto
mensili.

Secondo le statistiche ufficiali il paniere, cioè la spesa per soli
generi di primissima necessità per una famiglia di quattro persone in
Serbia, è oggi di 250 euro.
Essendo privatizzati o in fase di privatizzazione i servizi sociali,
una gran parte delle famiglie non ha più luce e riscaldamento, migliaia
sono sfrattate e si registra il dilagare di malattie dovute, da un lato
alle conseguenze dei bombardamenti all’uranio, che cominciano a
emergere massicciamente (tumori, leucemie e malattie della pelle in
particolare) e dall’altro alle conseguenze di 10 anni di embargo,
sanzioni e guerre. Purtroppo il processo di privatizzazione della
Sanità impedisce alla stragrande maggioranza delle famiglie di comprare
i medicinali (che hanno prezzi occidentali) e quindi di potersi curare,
ed anche in questo caso i bambini sono le vittime più colpite.

Acqua, luce, riscaldamento hanno subito dal 2000 ad oggi aumenti medi
del 60%.
La stragrande maggioranza delle famiglie passa gli inverni senza
riscaldamento non potendo pagare le bollette del teleriscaldamento (con
temperature invernali che arrivano anche a 20° gradi sottozero!).
Infatti, una delle riforme strutturali - sempre ovviamente per
avvicinare il popolo serbo alla “democrazia” - è quella che prevede il
recupero degli arretrati delle bollette energetiche, che il precedente
governo aveva “condonato” in quanto riteneva assurdo far pagare
bollette a famiglie che, tra embarghi  sanzioni e conflitti non aveva
salari sufficienti neanche per il fine mese. Ma ora è arrivata la
democrazia e la libertà dei profitti…e questo si sa,  costa, e qualcuno
deve pur pagarla.  Anche la scuola, in fase avanzata di
privatizzazione, sta diventando un lusso, non avendo le famiglie soldi
per le tasse e il materiale scolastico, che prima erano praticamente
garantiti dallo stato o mantenuti a modici. La stessa università ha
ormai, a seconda delle facoltà, un costo che va dai 700 ai 1.500 euro
di spese.

I dati ufficiali dicono che i 2/3 della popolazione che vive in Serbia
spende meno di 1 euro al giorno pro capite e che di questi 1/3 di essi
spende 0,50 euro al giorno.
Il 60% viene speso per il cibo.

La resistenza operaia cresce

Già da settembre erano scoppiate proteste, cortei sia dei lavoratori
inoccupati che dei disoccupati “totali”, con incidenti, e prima
dell’estate la cacciata del ministro del lavoro dalla città. In seguito
ad uno sciopero della fame sotto il Comune, per non peggiorare lo
scontro sociale in vista delle elezioni presidenziali di novembre, il
governo ha rimandato tutte le decisioni al gennaio del 2004.

Proteste e scioperi anche a Nis, presso le fabbriche MIN e EI, dove da
un totale di 28.000 lavoratori fino al 2000, si è ormai arrivati a soli
7.000 occupati, di cui solo 750 percepiscono un salario intero, il
resto lavora solo a chiamata per alcuni giorni al mese.
Sempre a settembre l’autostrada per Belgrado è stata più volte
bloccata e occupata dai lavoratori della Telekom Serbia, per avere i
salari arretrati e contro un piano di ristrutturazione di totale
privatizzazione, che prevede il 50% di licenziamenti entro l’anno; ora
il governo ha dovuto accettare un nuovo tavolo di trattative, ma
nessuno si illude che cambierà piani e strategie, anche in questo caso
le incombenti elezioni presidenziali sono un freno tattico, a confronti
sociali diretti.

A Smederevo e Sabac, lotte nelle aziende comprate dal capitale USA,
che dopo una SANA ristrutturazione che aveva “licenziato” circa 1.000
lavoratori, ha imposto una paga oraria di 0,40 dollari; i lavoratori
sono scesi in sciopero generale per avere un aumento che porti la paga
oraria a 1,00 dollaro, il reintegro di 450 lavoratori licenziati e le
dimissioni del Manager T. Kelly, responsabile delle fabbriche in loco.

Altre proteste e scioperi sono estesi a tutta la Serbia, dalla
fabbrica Zvevda alla DES, dai lavoratori del Consorzio PKB a quelli dei
Centri Commerciali e così via. Il fermento sociale e la resistenza
operaia sono in crescita quotidiana e secondo il parere dei
sindacalisti incontrati, da dicembre in poi ci potranno essere delle
vere e proprie esplosioni sociali. Perché i programmi di questo governo
sono totalmente supini ai dettami del FMI e della Banca Mondiale, che
sono i loro creatori, e sollecitano misure ancora più drastiche ed
“energiche” per attuare le ristrutturazioni liberiste necessarie ad
aprire le aziende al libero mercato internazionale. Ultima creatura è
stata la nuova “Legge del Lavoro”, partorita in pieno stato di
emergenza seguente all’uccisione del primo ministro la scorsa
primavera, che tra le altre cose, ha di fatto “liberalizzato” i
licenziamenti.

Nell’incontro avuto con un esponente nazionale sindacale, emergeva una
situazione generale di debolezza del movimento dei lavoratori, dovuta
agli eventi degli ultimi dieci anni ed in particolare degli ultimi tre.
Sembra impossibile, ma dati alla mano, sono stati più devastanti, in
proporzione, gli ultimi tre anni che non quelli dell’embargo e delle
sanzioni, per quanto riguarda diritti, potere d’acquisto, servizi
pubblici, ammortizzatori sociali e minime garanzie strutturali. Ma è da
rilevare un dato molto importante: pur in queste condizioni il
Sindacato nazionale ha tenuto; a tutt’oggi ancora il 90% dei lavoratori
sindacalizzati sostiene il Samostalni, nonostante scissioni pilotate,
attacchi e dimissioni forzate di molti dei vecchi quadri, che spesso
vengono poi puntualmente rieletti.

E’ questo il caso del segretario generale della Camera del Lavoro di
Kragujevac; nell’ottobre 2000, picchiato e costretto “democraticamente”
a dimettersi in pubblico da alcuni squadristi della DOS, e rieletto
alle prime elezioni dirette lo scorso anno. Ora è nuovamente una delle
figure di punta del movimento operaio della città e non solo.
All’ultimo consiglio generale nazionale, nonostante gli ostacoli delle
componenti strettamente legate ai partiti governativi (molti di loro
neanche eletti dai lavoratori, ma cooptati direttamente per “
rappresentare la svolta” alla modernità e alla democrazia, nell’ottobre
2000), è passata la proposta di chiedere le dimissioni di questo
governo e lottare per farlo cadere.

Se la dirigenza sana di questo sindacato riuscirà a mantenere il
timone, cosa non facile perché in realtà si tratta di uno scontro non
solo di natura sindacale, ma anche politico, potrebbe essere questo il
primo segnale di una ripresa, anche solo come iniezione di fiducia e
coscienza, da parte del popolo serbo e jugoslavo e del movimento dei
lavoratori e forse potrebbe aiutare l’intera società serba ad uscire da
un tunnel di sconfitte e disperazione sociale. Nessuno è ottimista,
eppure qualcosa si sta muovendo nella direzione di un cambiamento del
vento, finora foriero solo di tempesta e gelo sulla pelle dei
lavoratori.

Situazione politica

Tutto è in continuo movimento, in altra parte riporto le dichiarazioni
del primo ministro Jovanovic che prospetta l’esaurimento
dell’esperienza della coalizione DOS, anche perché nel paese il
malcontento e la rabbia popolare crescono di giorno in giorno e non ci
sono all’orizzonte soluzioni reali e concrete. Un passaggio molto
importante e delicato saranno le elezioni presidenziali, perchè se 
neanche stavolta raggiungeranno il quorum del 51% dei votanti,
innescheranno una crisi politica e un’oggettiva delegittimazione
dell’attuale Parlamento, con presumibili elezioni politiche anticipate.

Questo governo è ormai ridotto ad una consorteria affaristica di
lobby, come molti attenti osservatori della realtà di quel paese
sottolinearono già dall’inizio, dove ognuno rappresenta un interesse
particolare e non si cura di fare politiche nell’interesse generale del
paese e del popolo;  una dirigenza continuamente pressata e diretta da
indicazioni e sollecitazioni di FMI e BM, che dopo essere stati
finanziatori e sostenitori di questa leadership, ora pretendono di
“incassare” politicamente ed economicamente i propri interessi e
strategie nell’area.

Una coalizione continuamente scossa da scandali, traffici illeciti,
speculazioni e dove non passa mese che qualche suo esponente sia
inquisito o denunciato. Gli ultimi a Luglio; i due esponenti
governativi Janiusevic e Kolesar, inquisiti per riciclaggio di denaro.
Per non dimenticare lo scandalo Jugoimport per l’export illegale di
armi, che ha visto coinvolti addirittura l’ex primo ministro Zivkovic e
l’ex ministro degli interni Mihajlovic, poi insabbiato con l’aiuto del
padrone statunitense che ha barattato l’insabbiamento del caso con
“favori” legati ad un lavoro di intelligence relativo all’Iraq, e a
contratti “favorevoli” agli interessi USA  per la produzione di armi
leggere di un settore Zastava. Su questo il settimanale belgradese
Vreme ha prodotto numerose documentazioni.

L’opposizione è sostanzialmente divisa in tre spezzoni: quella che fa
capo a V. Kostunica, dimissionario, ex leader della coalizione, poi
estromesso da Djindjic; il Partito Socialista Serbo che resta,
nonostante tutto, l’unico partito strutturato nell’intera repubblica, e
che dopo aver subito scissioni, spaccature, passaggi sulla sponda Dos
di molti suoi esponenti e “affaristi”, e persistenti divisioni al suo
interno, resta una forza elettorale autonoma maggioritaria; infine vi è
una componente di opposizione che si rifà ad un forte sentimento
identitario serbo e patriottico, con molte connotazioni spesso
nazionaliste. Per non dire della posizione del Sindacato maggioritario
che apertamente ha chiesto le dimissioni del governo, pur non facendo
parte dell’opposizione partitica.

Negli ultimi mesi hanno fatto uscire dal letargo la “creatura” CIA di
Otpor, che era stranamente scomparsa dalla scena da oltre due anni e
che improvvisamente si è ridestata e ricomincia un lavorio “oscuro” di
destabilizzazione, stavolta non si capisce ancora con quali obiettivi
di lunga durata e in funzione di chi sta operando.

Novembre è vicino, qualcosa si definirà negli scacchieri politici
serbi, ma la mia impressione è che purtroppo, molto poco si muoverà
nelle tasche, sulle tavole, nelle case e nelle speranze, per un futuro
migliore del popolo serbo e jugoslavo.

Ma per non essere troppo pessimisti una buona notizia per i
disoccupati, i lavoratori, per il popolo serbo in generale C’E’ :
finalmente in Serbia, tra tappi di spumante e champagne, è stato
inaugurato a Ada Tziganlja sul fiume Sava…..il primo campo da golf
della Serbia e Montenegro. Il popolo serbo con le lacrime agli occhi….
non per disperazione o mancanza di una vita dignitosa e vivibile, ma
per la commozione…. è rimasto….senza parole ! 

Una realtà rimossa e dimenticata, i profughi:

Nella sola città di Kragujevac, che contava circa 170.000 abitanti, i
profughi ufficiali sono 30.000, ma altre migliaia non sono registrati;
essi fanno parte dei 300.000 che hanno dovuto lasciare il Kosovo verso
la Serbia nel 1999, per sfuggire alla pulizia etnica dell’UCK, e parte
di quei 650.000 profughi delle guerre di Croazia e Bosnia. Sfuggiti
anch’essi alle varie pulizie etniche degli ustascia croati di Tudjman e
degli integralisti musulmani di Izetbegovic, vissuti nel criminale
silenzio di tutte le istituzioni occidentali, e che solo nella
Repubblica Federale di Jugoslavia trovarono un lembo di terra per non
soccombere e cercare di sopravvivere.

Le condizioni di vita quotidiane di chi vive la condizione di profugo,
oltre alle tragedie e alle sofferenze che si portano dentro - che per
la psiche dei bambini in gran parte non sono superabili; ma proprio
secondo le statistiche ufficiali la percentuale dei profughi sotto i 18
anni è tra il 50 e il 60% - è soprattutto la mancanza delle condizioni
minime di sopravvivenza il problema più grave: la mancanza di una casa
e di radici sociali, l’assoluta mancanza di lavori fissi,
l’impossibilità di un proprio decoro, l’estraneità al posto in cui si
vive e la  mancanza di progettualità e prospettive future.

Dal punto di vista lavorativo le uniche possibilità sono quelle
giornaliere, in gran parte legate a lavori in campagna, con
retribuzioni che sono mediamente di 5 euro al giorno per 12 ore di
lavoro.

A parte quelle famiglie che coabitano con parenti, in situazioni dove
si arriva a vivere in 10/12 persone in spazi di 2/3 camere; al Centro
collettivo profughi di Kragujevac, emerge la realtà di vita delle
famiglie che vivono in questi centri di fortuna, uno di questi era
precedentemente un supermercato, dove sono poi state messe delle pareti
di compensato, ottenendo così stanze di circa 6 metri quadrati, alcune
senza finestre, dove le condizioni igieniche sono al minimo, nonostante
una autoregolamentazione molto rigida e funzionale. Ogni nucleo
familiare può fare la doccia ogni 12/15 giorni, per andare al bagno
occorre aspettare il proprio turno e così per lavare piatti e
vestiario. Non esiste riscaldamento e topi e scarafaggi convivono
normalmente con i bambini.

L’alienazione e la disperazione favoriscono l’alcoolismo, malattie e
disturbi nervosi, anche nei bambini; non va dimenticato che dopo i
bombardamenti della Nato, secondo studi e ricerche fatte da pediatri e
psichiatri, risulta che circa il 71% dei bambini e adolescenti della
Repubblica Serba hanno disturbi psichici di vario genere. Un dato che
non è mai stato evidenziato è che molte di queste famiglie e relativi
bambini, hanno vissuto la condizione di profughi due volte in pochi
anni, infatti molte migliaia di famiglie sono parte di quei 650.000
profughi mai menzionati, che erano scappati dalle varie pulizie etniche
delle guerre in Croazia e Bosnia, finendo in Kosovo da dove sono stati
nuovamente scacciati. Un’odissea di dolore e tragedie.

Ma nonostante tutto questo, ciò che colpisce tutti coloro che vengono
a conoscere la situazione direttamente è un profondo senso  di grande
dignità e orgoglio.
Un’altra realtà accantonata: le enclavi assediate nel Kosovo Methojia:

La condizione e la quotidianità in cui sopravvivono i serbi e le altre
minoranze del Kosovo nelle enclavi assediate, è a dir poco un incubo a
cielo aperto. Le poche migliaia di non albanesi che non sono scappati
dalla pulizia etnica dei terroristi dell’UCK, vivono barricati in
piccolissime aree, spesso recintate col filo spinato, circondate dalle
forze militari della KFOR o assediati dentro gli ultimi monasteri
ortodossi rimasti (oltre 140 di essi sono stati attaccati e 92
completamente distrutti). Quotidianamente minacciati e continuamente
assassinati, quando vengono trovati fuori dalle enclavi, vere e proprie
prigioni a cielo aperto dell’apartheid etnico nel cuore dell’Europa.

Dalla fine dei bombardamenti nel Giugno 1999, al Giugno 2003, le cifre
ufficiali sono queste: 350.000 profughi di tutte le etnie (tra cui
alcune decine di migliaia di albanesi jugoslavisti), in grande
maggioranza serbi e rom, scappati in Serbia , Montenegro e Macedonia;
1.138 rapiti e scomparsi; 1.194 assassinati, in gran parte serbi e rom;
6.391 attacchi a cose e persone; quasi centomila case ed edifici
distrutti.

Nel Dicembre 1999, l’Agenzia Antidroga Americana, ha definito il
Kosovo : “… un narcostato nel cuore dell’Europa…”. Questa è la realtà
quotidiana ma non è solo questo: essi non hanno spazi esterni da
vivere, se non quelli definiti da logiche e misure di sicurezza, uno
stato di continua tensione e paura interiorizzati per eventi violenti e
traumatici da loro indipendenti, che possono accadere in qualsiasi
istante e di cui devono “accettare” razionalmente il rischio che
possano avvenire e da cui si devono cautelare.

Nelle enclavi si vive una vita quasi surreale, dove tutto ciò che
accade è precostituito; dall’aspettare che vengano portati gli alimenti
da fuori e ogni altro bene materiale, alle modalità di vita che si
possono fare solo se possibili e sicure, alla vita scolastica che è
affidata alla volontarietà e sensibilità dei maestri ed insegnanti
rimasti. La stessa igiene e decoro personale, la cura della salute
dipendono da eventi non determinabili internamente alle enclavi. E la
tragica conferma di quanto descritto sopra è negli avvenimenti accaduti
il 13 Agosto scorso in una di queste riserve indiane, nell’enclave di
Goradzevac dove sopravvivono circa 700 persone, ultima isola
multietnica in un Kosovo occidentale ormai etnicamente pulito.

In un caldo e afoso pomeriggio, un gruppo di ragazzi serbi decide di
“evadere” per poche centinaia di metri dalla “prigione” e andare a
bagnarsi e giocare nel fiume Bistric che scorre a fianco dell’enclave,
ma esternamente. Per qualsiasi ragazzo una pensata normale, ma non per
i ragazzi serbi del Kosovo, per loro non esiste il diritto o la gioia
di compiere un atto così “anormale” per la loro realtà di vita. Il
prezzo per loro, di questa banale gioia è la condanna morte dei
terroristi albanesi, alleati della Nato: due ragazzi serbi, uno di 11
anni e l’altro di 18 anni vengono uccisi da colpi di fucile, un altro
di 15 anni è in coma, altri due sono feriti gravemente e rimarranno
invalidi a vita.

Questa è la “normalità”, questo il risultato della guerra
“umanitaria”che doveva portare pace, serenità e progresso, in una terra
dove fino al Marzo 1999, convivevano 17 etnie diverse, non certamente
un paradiso terrestre, ma sicuramente un luogo dove, chi avesse ucciso
un bambino o una persona solo perché appartenente ad un’altra etnia,
sarebbe “normalmente” stato condannato all’ergastolo. ….!

Perché in questi Balcani che si acclamano come “liberati”,
“democratizzati” si è ridotto un popolo a condizioni di vita e sociali,
portate indietro di 100 anni, e dove anche il solo diritto ad una vita
dignitosa, sembra impossibile ?

Negli incontri che abbiamo avuto costantemente in questi anni, per i
nostri progetti di solidarietà, conosciamo drammi, sofferenze, ferite,
privazioni d’ogni genere, ma ci sono anche speranze, desideri di
serenità, umanità ferite ma ancora vive e profonde, riaffermazione dei
valori e legami dell’amicizia. Come fosse una ricerca di “ponti” con
altri propri simili, per andare al di là del fiume di orrori e
violenze, crudeltà passati e quotidiani, propri delle guerre…anche
quelle “umanitarie”.
“Ponti” che possano far loro ritrovare umanità e sorrisi cancellati in
tutti questi anni, ma anche la speranza, intesa come veicolo per andare
incontro ad un futuro migliore e più giusto, delle loro vite ed
esistenze violentate e calpestate dai signori della guerra. Ed ecco
forse il senso di tutto il nostro modesto ma caparbio lavoro come
Associazione di solidarietà, ma anche come “voce”, di chi non ha più
voce nei nostri giornali, TV, mass media, dibattiti (…tranne rarissime
e nobili eccezioni).

Ma credo che nessuno meglio di uno jugoslavo come I.Andric, Premio
Nobel della letteratura, possa esprimere il senso più profondo di
questa concezione: “…ovunque nel mondo, in qualsiasi posto, il mio
pensiero vada e si arresti, trova fedeli e operosi ponti, come eterno e
mai soddisfatto desiderio dell’uomo di collegare, pacificare e unire
insieme ciò che ci appare davanti…..così anche nei sogni e nel libero
gioco della fantasia, ascoltando la musica più bella e amara…mi
appare…il ponte di pietra tagliato a metà, mentre le parti spezzate,
dolorosamente si protendono una verso l’altra e con un ultimo sforzo
fanno vedere l’unica linea possibile…”.

In fondo alla nostra coscienza e anima, forse, la volontà è anche
quella di contribuire a costruire anche solo piccoli “ponti”, tra i
lavoratori della Serbia jugoslava e la realtà di qui, coscienti che
forse, a guadagnarci in umanità, potremmo essere più noi, abitanti di
questo occidente opulento, distratto e troppo spesso indifferente.

Ottobre 2003,  Vigna Enrico