Un commento di Babsi Jones pubblicato su
http://www.exju.org/comments/590_0_1_0_C/
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[ex-libris] il croato creato e la frattura delle lingue
del nuovo numero di limes [http://www.limesonline.com/doc/navigation/%5d
(il nostro oriente, i balcani alle porte, 12e) non c’è moltissimo da
dire: fatta eccezione per un articolo iniziale di fabio mini (sì, il
generale), di cui scriverò dettagliatamente recensendo “la guerra dopo
la guerra”, l’unico pezzo veramente meritevole di lettura mi è sembrato
quello di luka bogdanic.
“serbo o croato? l’uso geopolitico della lingua” non è che un buon
articolo, intendiamoci, con alcune pecche e parecchi spunti
interessanti. però brilla per originalità in questo numero della
“rivista geopolitica” che ambisce ad essere “da conservare in libreria”
ed invece tende a presentare materiale piuttosto scontato. per parlar
chiaro, sulle questioni sviluppate (la serbia del dopo-djindjic, al
qa’eda in bosnia, il duello lubiana-zagabria, le smanie secessioniste
degli erzegovesi) in rete troverete dozzine di articoli (quando non
completi dossier) scritti con altrettanta competenza, e avrete il
piacere di leggerli senza sborsare dodici pesanti euri: che per una
rivista sono decisamente troppi. l’articolo di bogdanic, però, merita
una lettura: soprattutto se siete interessati agli aspetti meno
conosciuti della disintegrazione jugoslava. tratta un tema complesso,
con il quale gli studenti di serbo e/o croato si confrontano
quotidianamente, che crea e creerà non pochi malintesi culturali quando
le ex-repubbliche jugoslave faranno il loro ingresso in europa. che
lingua si parla in jugoslavia? perché il serbocroato è stato per
decenni una sola lingua ed ora sono due, tre, forse addirittura
quattro? cos’è accaduto?
partiamo dalle origini (ossia quelle che bogdanic trascura, forse per
obbligata brevità del testo, gettando il lettore medio nello sconforto
della mancata comprensione del testo [1]): il serbocroato o croatoserbo
(nelle sue tre recenti scissioni, forse quattro: serbo, croato,
bosniaco o bosgnacco, e qualcuno già parla di montenegrino) è una
lingua unica. lo è da un punto di vista strutturale, grammaticale e
lessicale. i nazionalismi (e questo bogdanic lo spiega con dovizia di
particolari e acutezza) hanno esasperato le minime differenze – vedremo
come – pur di vantare una lingua pseudo-autoctona che avesse meno
assonanze possibili con quella del nemico. in realtà, il tentativo è
–da un punto di vista linguistico- realmente orwelliano
[http://www.online-literature.com/orwell/1984/%5d.
il serbocroato (lingua ufficiale della prima jugoslavia, e quindi della
seconda jugoslavia di tito) nasce nella seconda metà dell’800 dal
lavoro di alcuni linguisti slavi del sud: in particolare, dal lavoro
separato del serbo vuk stefanovic karadzic
[http://www.girodivite.it/antenati/xixsec/_karadzi.htm%5d e del croato
ljudevit gaj [http://www.girodivite.it/antenati/xixsec/_gaj_lju.htm%5d.
come viene alla luce una lingua letteraria? quasi sempre, si evolve da
un dialetto o da un gergo popolare: il serbocroato non fa eccezione.
nell’area che per lungo tempo abbiamo chiamato jugoslavia, ossia l’area
che include la croazia, la bosnia e l’erzegovina, la serbia ed il
montenegro (ed anche la macedonia e la slovenia, dove però si parlano
macedone e sloveno, e le caratteristiche linguistiche specifiche
meriteranno un articolo a parte), erano diffuse tre parlate locali:
quello che chiameremo dialetto stokavo, quello che chiameremo dialetto
cakavo, e quello che chiameremo dialetto kajkavo. i nomi di questi tre
gerghi sono ‘definizioni di comodo’ ad uso dei linguisti e degli
studiosi, germogliate banalmente dal modo in cui le popolazioni locali
formulavano la domanda “che cosa?”: in alcune aree si chiedeva sto?
(es. sto radis?, che cosa fai?), in altre si chiedeva ca? (es. ca
delas?, che cosa fai?), in altre ancora kaj? (es. kaj delas?, che cosa
fai?). in realtà, dei tre vernacoli appena menzionati, il più diffuso
geograficamente era lo stokavo: questa è la ragione per cui i primi
linguisti slavi del sud lo scelsero come base per sviluppare da esso
una futura lingua letteraria che venisse riconosciuta come comune fra i
popoli dell’area jugoslava.
http://www.exju.org/images/uploads/serbocroatoevoluzione.JPG
[immagine] l'evoluzione del serbocroato
il dialetto stokavo era caratterizzato da alcune differenze di tipo
strettamente fonetico, originate da un’ineguale trascrizione della
lettera paleoslava “jat”. per spiegarci meglio, nel corso
dell’evoluzione storica degli idiomi di ceppo slavo [2], una
particolare lettera (corrispondente naturalmente ad un particolare
suono: il suono i/j/e) venne trascritta – e quindi pronunciata – in
modi leggermente dissimili in base alle aree geografiche. venne
trascritta come E in serbia, come IJ in croazia, in bosnia ed in parte
del montenegro, e venne trascritta come I in dalmazia. queste tre
pronunce (izgovor, in serbocroato) sono state battezzate pronuncia
ekava, pronuncia ijekava e pronuncia ikava. questa trascrizione
differente portò la lingua ad avere un certo numero di parole
lievemente disuguali in base alle zone [3]: latte, che in serbia si
scrive e si pronuncia mlEko, in croazia, in bosnia e in montenegro si
scrive e pronuncia mlIJeko, ed in dalmazia mlIko. niente che possa
intralciare la comprensione fra le rispettive popolazioni. tenendo
conto anche delle numerossime e replicate migrazioni all’interno dei
territori slavi del sud, semplicemente in jugoslavia non esiste una
zona linguisticamente pura: se è vero che in croazia prevale la
pronuncia ijekava, è anche vero che a zagabria si tende ad adoprare
quella ekava, proprio come a belgrado; ed in bosnia, i serbi hanno
assimilato la pronuncia ijekava esattamente come in croazia. pronuncia
ekava e ijekava tendono a mescolarsi, entrambe diffusissime; la
pronuncia ikava, invece, è limitata alla costa dalmata, perciò i
linguisti tennero conto solo delle prime due varianti, e stabilirono
che il serbocroato, come lingua letteraria, sarebbe stato il dialetto
stokavo nella sua pronuncia sia ekava che ijekava.
una successiva differenza si evidenziò con la diffusione degli
alfabeti. lo stokavo ekavo/ijekavo è, come si intuisce, una lingua di
ceppo slavo [2]: provenendo dall’est, il primo alfabeto di cui si hanno
tracce somiglia decisamente al cirillico russo. in realtà si chiama
glagolitico [figura 1]. di questo primo, rudimentale alfabeto abbiamo
ritrovato testimonianze storiche in tutte le regioni slave del sud: in
serbia, in bosnia [http://personal.inet.fi/cool/blt/bosancica.jpg%5d ed
in croazia. quando si trattò di alfabetizzare le popolazioni e ‘mettere
in uso una scrittura’, le scuole di pensiero si separarono per ragioni
più culturali che pratiche: in croazia ed in bosnia, da sempre sotto
l’influenza dell’occidente (e della chiesa romana), trascrissero il
glagolitico evolvendolo in un alfabeto identico al latino [4]. nacque
così il serbocroato scritto in latino (latinica). in serbia, dove le
influenze orientali avevano avuto più presa (comprese quelle religiose
della cristianità ortodossa), il glagolitico si trascrisse con un
moderno cirillico. nacque così il serbocroato scritto in cirillico
(cirilica). si tratta della stessa lingua, e nella seconda jugoslavia i
due alfabeti erano intercambiabili: un po’ come accade in grecia, dove
l’uso della lingua inglese ed i frequenti contatti con i paesi del
mediterraneo hanno reso familiare, oltre all’alfabeto greco, quello
latino. come potete osservare in queste tabelle [figura 2 e 3], i
trenta suoni dell’alfabeto sono identici, ed alcune lettere, come fa
notare anche bogdanic nell’articolo, sono simili e si comprendono ad
istinto.
da questo deduciamo che il serbo, il croato, il bosniaco ed il
montenegrino, ovvero le recenti ideazioni dei nazionalismi esacerbati,
sono soltanto un’unica lingua che si distingue per leggere diversità
fonetiche ed inflessioni regionali: esattamente quello che
linguisticamente accadrebbe ad un americano del new jersey se la sua
pronuncia e l’uso di alcuni vocaboli si paragonassero a quelli di un
americano della california. in termini di “mancata comprensione”, fra
un serbo ed un croato può accadere quello che accade fra un palermitano
ed un torinese: entrambi parlano un italiano arricchito da differenze
fonetiche e lessicali autoctone, ma si comprenderanno a perfezione.
ho voluto rimarcare l’espressione “arricchimento” perché il
serbocroato, esattamente come tutte le lingue da sempre soggette ad
influenze esterne differenti (confini adattabili, passaggi storici da
un’area di influenza culturale ad un’altra, spesso antitetiche), era ed
è una lingua splendida nella sua complessità: linguisticamente, si può
parlare di un ponte fra le lingue romanze e quelle slave, con forti
influenze sassoni a nord (nel croato sono presenti molti termini di
origine tedesca e magiara, retaggio della dominazione austroungarica) e
forti influenze turche a sud (nel serbo e nel bosniaco sono presenti
molti termini di origine turca, eredità degli ottomani) che, grazie
alla nazione jugoslava, avevano occasione di mescolarsi e di dar vita
ad una lingua dinamica, con grande potenziale espressivo. quello che
accade con l’avvento dei nazionalismi che risorgono dopo la morte di
tito, è un esperimento esasperato (e fallimentare) di differenziare una
variante linguistica regionale dall’altra, a costo di introdurre
forzate modificazioni, di mettere in atto rettifiche artificiali,
alcune francamente improponibili. accade, va detto, soprattutto nella
croazia di tudjman, dove la classe ‘intellettuale’ (sic) si mobilita
per ideare un’operazione di pulizia e di distinzione linguistica tesa a
costruire il “novi govor”, la nuova lingua. come è possibile
riconvertire una lingua in uso in una sua (impoverita) variazione? con
la strumentalizzazione dei mass media e degli organi ufficiali non è
difficile.
ad esempio, si cominciano - attraverso i giornali, le televisioni, le
autorità - ad imporre sinonimi non molto impiegati in precedenza: come
se in una regione italiana si stabilisse a tavolino che il termine
“scherzo” non può più essere utilizzato e deve essere sostituito
sistematicamente con il suo equivalente “burla”. è chiaro che il
significato di per sé non cambia: la lingua, però, si immiserisce
drammaticamente, perde sinonimi e sfumature perché mette al bando
quelle parole d’uso collettivo che portano in seno la colpa d’essere
“in comune” con il nemico. l’operazione “nuova lingua” prevede tutta
una serie di distorsioni ed amputazioni che nell’articolo bogdanic
spiega nei dettagli: si comincia con le lievi contorsioni (ad esempio,
immaginate una regione italiana in cui, al posto di ‘traduttore’ e di
‘lavoratore’, si comincino ad usare i termini ‘traducente’ e
lavorante’: non solo risulterà grottesco, ma si perderà la sfumatura
fra i due termini, che sono simili ma non identici), si procede con il
rimettere in uso termini antiquati (così in croazia vengono ripescati i
nomi dei mesi di stampo medievale, per sostituire quelli più diffusi di
origine romanza, sicché januar si dirà sijecanj, februar si dirà
veljaca, mart si dirà ozujak e via dicendo, con significati a dir poco
comici nell’ottica di un linguaggio moderno: hanno tutti significati
come “il momento della mietitura”, “il tempo delle foglie cadute”...),
e si finisce – com’è caratteristico di tutti i fascismi - per ripudiare
tutti i forestierismi, specie quelli comuni al nemico. in poco tempo,
in croazia, i termini mutuati da altre lingue e di uso quotidiano nella
seconda jugoslavia (televizija e televizor per televisione, frizider
per frigorifero, ambasador per ambasciatore, aerodrom per aeroporto)
diventano proibiti: come se nel linguaggio di ogni giorno ci
obbligassero a sostituire aeroporto, frigorifero ed ambasciatore con
“porto d’aria, ghiacciaia, grande emissario”. come scrive bogdanic, la
lingua viene modificata “a costo di inventarsene una nuova”, un
“croato” così svincolato dal serbocroato in uso che “agli stessi croati
risulta quasi incomprensibile”.
perché accade, lo comprendete senza bisogno di ulteriori spiegazioni:
il nazionalismo esasperato genera orrori di ogni tipo, sclerosi
culturali e sociali spesso irreparabili. ne abbiamo chiari esempi anche
nel nord italia, e a questo proposito vale la pena di ricordare “la
secessione leggera” di paolo rumiz: gli attori dei secessionismi, dei
tribalismi locali, della filosofia del paesello [5] sono sempre due, in
padania
[http://www.giovanipadani.leganord.org/
argomentofed%2Easp?StringaDaCercare=Lingue&Stringa=Federale] come
nei balcani. come protagonista abbiamo una classe dirigente che ha il
dovere – per conquistare il potere e mantenerlo - di partorire un mito
ingannevole che dev’essere tenuto in vita (“noi pinchi pallini siamo
superiori a loro pallini pinchi per storia e per cultura”, e non di
rado rispuntano le farneticanti supremazie genetiche, del ghenos, ossia
della razza: i razzismi, per farla breve), e come sparring partner sul
palcoscenico dell’esaltazione etnica e tribale abbiamo una popolazione
soggiogata, strumentalizzata e terrorizzata da tutto quel che è altro:
lo straniero, percepito come usurpatore, come invasore, come intruso
che giunge a minare la (fasulla) stabilità e a mettere in pericolo la
(irrilevante) sicurezza. l’incontro di questi due attori – capi
fascistoidi e popolo ammaestrato – è fatale. la croazia ha voluto ad
ogni costo estirpare da sé tutto quello che era stato jugoslavo: così
facendo, ha estirpato buona parte della propria storia e del proprio
bagaglio culturale. in questa follia purificante, non ha fatto ancora i
conti neppure con la credibilità dei miti: basti pensare che ante
starcevic [http://www.geocities.com/i_canjar/history/starcevic.htm%5d,
considerato il padre dalla nazione (e decisamente nazionalista)…
scriveva in ekavo, ossia nella variante fonetica serba del serbocroato
(!); e che miroslav krleza
[http://www.girodivite.it/antenati/xx2sec/_krleza.htm%5d, vate della
letteratura ora (sic) croata, usava dire che “serbi e croati non sono
che la stessa merda di vacca spaccata in due dal passaggio del carro
della storia”.
in bosnia ed in serbia il fenomeno di ripulitura linguistica s’è
verificato con minore incidenza, e più per reazione alla croatizzazione
esagerata che per reale volontà della classe dirigente e
dell’inteligencija. in bosnia, ad esempio, si è voluto e ancora si
vuole ‘calcare la mano’ nell’uso dei termini di origine turca ed araba,
anche aiutati dalla celere diffusione dell’islamismo
[http://www.bosnaislam.com/%5d che certo non ha giovato ad una società
multiculturale. in serbia, a dire il vero, il fenomeno è marginale, e
s’è sentito – solo a livello di movimenti quasi spontanei, non ancora
istituzionali – nelle zone rurali, dove l’ortodossia ha riconquistato
terreno perduto in cinquant’anni di società laica e si è tornati a
rivangare inutili leggende di “grandezze storiche”. in serbia, ad ogni
modo, i libri di testo per studenti stranieri sono ancora quelli di
serbocroato [6], si possono facilmente acquistare dizionari di
serbocroato editi prima dello smembramento della nazione che fu di
tito, e lo stesso aggettivo jugoslavo non è affatto rigettato come
accade da oltre un decennio in croazia. basti pensare all’esistenza, a
belgrado, del museo della storia della jugoslavia
[http://www.muzejistorijejugoslavije.org/%5d, alla composizione sociale
che è concretamente multietnica ed all’uso della lingua nel quotidiano:
è raro trovare un cittadino della serbia che non sappia leggere e
scrivere sia in cirillico che in latino, libri e giornali vengono
stampati in entrambe le versioni. quello che si può temere è che, in
assenza di una classe dirigente improntata al pensiero laico e
multiculturale, ed in procinto di entrare in europa, con l’urgenza di
darsi un’identità nazionale più definita e con la chiesa ortodossa che
comincia ad invadere il campo politico, culturale e filosofico che non
le spetterebbe, anche in serbia prevalga (certo con meno ardore, ma non
per questo con meno rischi) una tendenza alla serbizzazione coatta. ho
osservato con grande delusione alcuni siti internet, ad esempio, venir
riconvertiti da un tranquillizzante ed internazionale latino [7] ad un
improvviso cirillico in queste settimane pre-elettorali. cattivo segno,
nei balcani, dove – grazie ad un’idea di nazione più herderiana che
mazziniana [8] – si continua a ritenere la lingua uno strumento di
discriminazione e di aggressione piuttosto che di comunicazione ed
interscambio.
[seguono note e tabelle >>>]
[1] bogdanic nell’articolo di limes
[http://www.limesonline.com/doc/navigation/%5d spiega così le principali
differenze linguistiche fra serbo e croato: “lo stokavo è la
caratteristica generale del dialetto in quanto il pronome interrogativo
“che” viene espresso con la parola “sto”; ijekavo è la caratteristica
che si riferisce alla pronuncia delle sole vocali” (pagina 230). ho
domandato ad una decina di lettori non avvezzi alle questioni
linguistiche slave se la spiegazione di bogdanic fosse chiara, e mi è
stato detto che non lo è affatto. è un peccato, perché si smarrisce il
senso dell’articolo, che è in realtà molto interessante.
[2] un piccolo esempio basilare che chiarisce quanto sia effettivamente
riconoscibile il ceppo linguistico slavo. in questa tabella si possono
osservare sette lingue slave (serbocroato, sloveno, macedone, bulgaro,
ceco, polacco, russo) paragonate fra loro in vocaboli d’uso comune:
http://www.exju.org/images/uploads/tabellacepposlavo.JPG
http://www.exju.org/images/uploads/glagolitico.JPG
[figura 1]: alcuni esempi di alfabeto glagolitico, progenitore della
scrittura serbocroata. introdotto dai santi cirillo e metodio verso
l’anno 900, rimase l’unico alfabeto in uso in tutte le regioni slave
del sud fino all’avvento del latino (metà del 14esimo secolo).
[3] consideriamole solo sfumature della stessa lingua, come in effetti
sono: immaginate di dover spiegare ad uno straniero in quali aspetti
differisca l’italiano parlato nelle regioni venete dall’italiano
parlato in sicilia o in calabria; trovereste sfumature legate alla
pronuncia di certe consonanti, una cadenza differente e alcuni vocaboli
“locali” dissimili, niente di più.
[4] attenzione, si tratta di un alfabeto latino identico a quello in
uso in italia, ma le lingue slave hanno suoni che nel nostro alfabeto
semplicemente non esistono. proprio come in francese ed in spagnolo la
fonetica ha lettere e segni diacritici aggiuntivi.
[figura 2 e 3]
http://www.exju.org/images/uploads/cirillicolatino.JPG
si noti che l’ordine dell’alfabeto cirillico (qui presentato) non è lo
stesso dell’alfabeto latino.
osserviamo come le stesse parole (knjiga = libro, suma = bosco,
jugoslavija = jugoslavia, ed il già menzionato mlijeko = latte) possano
diversificarsi nelle due varianti cirillica e latina:
http://www.exju.org/images/uploads/cirillicolatino1.JPG
i segni diacritici si aggiungono alle lettere latine per formare suoni
non presenti originariamente, ed alcuni dittonghi (dj, lj, nj, dz)
formano fonemi che in cirillico hanno necessità di un solo segno, così:
http://www.exju.org/images/uploads/cirillicolatino2.JPG
[5] paolo rumiz, la secessione leggera, feltrinelli, 7e; il termine
“filosofia del paesello”, o “filosofia del villaggio” è mutuato (anche
dallo stesso rumiz, nonché da nicole janigro in “l’esplosione delle
nazioni” e da rada ivekovic in “autopsia dei balcani”) da un’opera
tanto sottovalutata quanto amaramente profetica: filozofija palanke di
radomir kostantinovic.
[6] uno dei più diffusi libri di testo editi a belgrado è
“serbocroatian for foreigneres” di slavna babic (che non prevede
neppure una lezione in cirillico), ed anche “srpski za strance (serbo
per stranieri)”, di bozo coric, è concepito per insegnare agli studenti
entrambe le varianti del serbocroato; i testi editi a zagabria, invece,
come “dobro dosli” di jasna baresic, non prevedono in alcun modo né lo
studio del cirillico né alcun vocabolo jugoslavo, e sono completamente
‘ripuliti’ dai vecchi termini, in particolari dalle parole d’uso comune
di origine greca, francese ed inglese.
[7] trovo sciocco che i serbi, che a differenza dei russi o dei greci
hanno un alfabeto alternativo già in uso, identico a quello adoperato
da buona parte del pianeta, debbano limitarsi all’uso del cirillico,
che non facilita i contatti e le comunicazioni internazionali. esistono
siti internet, come questo [http://www.balkantimes.com/%5d, che hanno una
versione serba cirillica ed una serbo[croata] latina, e mi pare la
soluzione più auspicabile.
[8] di johann gottfried herder
[http://www.girodivite.it/antenati/xviiisec/_herder.htm%5d e delle sue
teorie sulle eredità naturali della nazione, contrapposte alle
aspirazioni volontaristiche e dunque politiche di giuseppe mazzini
scrive stefano bianchini ne “la questione jugoslava”, giunti casterman,
8e.
posted by: babsi jones on 20/12/03 | 00:15
http://www.exju.org/comments/590_0_1_0_C/
http://www.exju.org/comments/590_0_1_0_C/
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[ex-libris] il croato creato e la frattura delle lingue
del nuovo numero di limes [http://www.limesonline.com/doc/navigation/%5d
(il nostro oriente, i balcani alle porte, 12e) non c’è moltissimo da
dire: fatta eccezione per un articolo iniziale di fabio mini (sì, il
generale), di cui scriverò dettagliatamente recensendo “la guerra dopo
la guerra”, l’unico pezzo veramente meritevole di lettura mi è sembrato
quello di luka bogdanic.
“serbo o croato? l’uso geopolitico della lingua” non è che un buon
articolo, intendiamoci, con alcune pecche e parecchi spunti
interessanti. però brilla per originalità in questo numero della
“rivista geopolitica” che ambisce ad essere “da conservare in libreria”
ed invece tende a presentare materiale piuttosto scontato. per parlar
chiaro, sulle questioni sviluppate (la serbia del dopo-djindjic, al
qa’eda in bosnia, il duello lubiana-zagabria, le smanie secessioniste
degli erzegovesi) in rete troverete dozzine di articoli (quando non
completi dossier) scritti con altrettanta competenza, e avrete il
piacere di leggerli senza sborsare dodici pesanti euri: che per una
rivista sono decisamente troppi. l’articolo di bogdanic, però, merita
una lettura: soprattutto se siete interessati agli aspetti meno
conosciuti della disintegrazione jugoslava. tratta un tema complesso,
con il quale gli studenti di serbo e/o croato si confrontano
quotidianamente, che crea e creerà non pochi malintesi culturali quando
le ex-repubbliche jugoslave faranno il loro ingresso in europa. che
lingua si parla in jugoslavia? perché il serbocroato è stato per
decenni una sola lingua ed ora sono due, tre, forse addirittura
quattro? cos’è accaduto?
partiamo dalle origini (ossia quelle che bogdanic trascura, forse per
obbligata brevità del testo, gettando il lettore medio nello sconforto
della mancata comprensione del testo [1]): il serbocroato o croatoserbo
(nelle sue tre recenti scissioni, forse quattro: serbo, croato,
bosniaco o bosgnacco, e qualcuno già parla di montenegrino) è una
lingua unica. lo è da un punto di vista strutturale, grammaticale e
lessicale. i nazionalismi (e questo bogdanic lo spiega con dovizia di
particolari e acutezza) hanno esasperato le minime differenze – vedremo
come – pur di vantare una lingua pseudo-autoctona che avesse meno
assonanze possibili con quella del nemico. in realtà, il tentativo è
–da un punto di vista linguistico- realmente orwelliano
[http://www.online-literature.com/orwell/1984/%5d.
il serbocroato (lingua ufficiale della prima jugoslavia, e quindi della
seconda jugoslavia di tito) nasce nella seconda metà dell’800 dal
lavoro di alcuni linguisti slavi del sud: in particolare, dal lavoro
separato del serbo vuk stefanovic karadzic
[http://www.girodivite.it/antenati/xixsec/_karadzi.htm%5d e del croato
ljudevit gaj [http://www.girodivite.it/antenati/xixsec/_gaj_lju.htm%5d.
come viene alla luce una lingua letteraria? quasi sempre, si evolve da
un dialetto o da un gergo popolare: il serbocroato non fa eccezione.
nell’area che per lungo tempo abbiamo chiamato jugoslavia, ossia l’area
che include la croazia, la bosnia e l’erzegovina, la serbia ed il
montenegro (ed anche la macedonia e la slovenia, dove però si parlano
macedone e sloveno, e le caratteristiche linguistiche specifiche
meriteranno un articolo a parte), erano diffuse tre parlate locali:
quello che chiameremo dialetto stokavo, quello che chiameremo dialetto
cakavo, e quello che chiameremo dialetto kajkavo. i nomi di questi tre
gerghi sono ‘definizioni di comodo’ ad uso dei linguisti e degli
studiosi, germogliate banalmente dal modo in cui le popolazioni locali
formulavano la domanda “che cosa?”: in alcune aree si chiedeva sto?
(es. sto radis?, che cosa fai?), in altre si chiedeva ca? (es. ca
delas?, che cosa fai?), in altre ancora kaj? (es. kaj delas?, che cosa
fai?). in realtà, dei tre vernacoli appena menzionati, il più diffuso
geograficamente era lo stokavo: questa è la ragione per cui i primi
linguisti slavi del sud lo scelsero come base per sviluppare da esso
una futura lingua letteraria che venisse riconosciuta come comune fra i
popoli dell’area jugoslava.
http://www.exju.org/images/uploads/serbocroatoevoluzione.JPG
[immagine] l'evoluzione del serbocroato
il dialetto stokavo era caratterizzato da alcune differenze di tipo
strettamente fonetico, originate da un’ineguale trascrizione della
lettera paleoslava “jat”. per spiegarci meglio, nel corso
dell’evoluzione storica degli idiomi di ceppo slavo [2], una
particolare lettera (corrispondente naturalmente ad un particolare
suono: il suono i/j/e) venne trascritta – e quindi pronunciata – in
modi leggermente dissimili in base alle aree geografiche. venne
trascritta come E in serbia, come IJ in croazia, in bosnia ed in parte
del montenegro, e venne trascritta come I in dalmazia. queste tre
pronunce (izgovor, in serbocroato) sono state battezzate pronuncia
ekava, pronuncia ijekava e pronuncia ikava. questa trascrizione
differente portò la lingua ad avere un certo numero di parole
lievemente disuguali in base alle zone [3]: latte, che in serbia si
scrive e si pronuncia mlEko, in croazia, in bosnia e in montenegro si
scrive e pronuncia mlIJeko, ed in dalmazia mlIko. niente che possa
intralciare la comprensione fra le rispettive popolazioni. tenendo
conto anche delle numerossime e replicate migrazioni all’interno dei
territori slavi del sud, semplicemente in jugoslavia non esiste una
zona linguisticamente pura: se è vero che in croazia prevale la
pronuncia ijekava, è anche vero che a zagabria si tende ad adoprare
quella ekava, proprio come a belgrado; ed in bosnia, i serbi hanno
assimilato la pronuncia ijekava esattamente come in croazia. pronuncia
ekava e ijekava tendono a mescolarsi, entrambe diffusissime; la
pronuncia ikava, invece, è limitata alla costa dalmata, perciò i
linguisti tennero conto solo delle prime due varianti, e stabilirono
che il serbocroato, come lingua letteraria, sarebbe stato il dialetto
stokavo nella sua pronuncia sia ekava che ijekava.
una successiva differenza si evidenziò con la diffusione degli
alfabeti. lo stokavo ekavo/ijekavo è, come si intuisce, una lingua di
ceppo slavo [2]: provenendo dall’est, il primo alfabeto di cui si hanno
tracce somiglia decisamente al cirillico russo. in realtà si chiama
glagolitico [figura 1]. di questo primo, rudimentale alfabeto abbiamo
ritrovato testimonianze storiche in tutte le regioni slave del sud: in
serbia, in bosnia [http://personal.inet.fi/cool/blt/bosancica.jpg%5d ed
in croazia. quando si trattò di alfabetizzare le popolazioni e ‘mettere
in uso una scrittura’, le scuole di pensiero si separarono per ragioni
più culturali che pratiche: in croazia ed in bosnia, da sempre sotto
l’influenza dell’occidente (e della chiesa romana), trascrissero il
glagolitico evolvendolo in un alfabeto identico al latino [4]. nacque
così il serbocroato scritto in latino (latinica). in serbia, dove le
influenze orientali avevano avuto più presa (comprese quelle religiose
della cristianità ortodossa), il glagolitico si trascrisse con un
moderno cirillico. nacque così il serbocroato scritto in cirillico
(cirilica). si tratta della stessa lingua, e nella seconda jugoslavia i
due alfabeti erano intercambiabili: un po’ come accade in grecia, dove
l’uso della lingua inglese ed i frequenti contatti con i paesi del
mediterraneo hanno reso familiare, oltre all’alfabeto greco, quello
latino. come potete osservare in queste tabelle [figura 2 e 3], i
trenta suoni dell’alfabeto sono identici, ed alcune lettere, come fa
notare anche bogdanic nell’articolo, sono simili e si comprendono ad
istinto.
da questo deduciamo che il serbo, il croato, il bosniaco ed il
montenegrino, ovvero le recenti ideazioni dei nazionalismi esacerbati,
sono soltanto un’unica lingua che si distingue per leggere diversità
fonetiche ed inflessioni regionali: esattamente quello che
linguisticamente accadrebbe ad un americano del new jersey se la sua
pronuncia e l’uso di alcuni vocaboli si paragonassero a quelli di un
americano della california. in termini di “mancata comprensione”, fra
un serbo ed un croato può accadere quello che accade fra un palermitano
ed un torinese: entrambi parlano un italiano arricchito da differenze
fonetiche e lessicali autoctone, ma si comprenderanno a perfezione.
ho voluto rimarcare l’espressione “arricchimento” perché il
serbocroato, esattamente come tutte le lingue da sempre soggette ad
influenze esterne differenti (confini adattabili, passaggi storici da
un’area di influenza culturale ad un’altra, spesso antitetiche), era ed
è una lingua splendida nella sua complessità: linguisticamente, si può
parlare di un ponte fra le lingue romanze e quelle slave, con forti
influenze sassoni a nord (nel croato sono presenti molti termini di
origine tedesca e magiara, retaggio della dominazione austroungarica) e
forti influenze turche a sud (nel serbo e nel bosniaco sono presenti
molti termini di origine turca, eredità degli ottomani) che, grazie
alla nazione jugoslava, avevano occasione di mescolarsi e di dar vita
ad una lingua dinamica, con grande potenziale espressivo. quello che
accade con l’avvento dei nazionalismi che risorgono dopo la morte di
tito, è un esperimento esasperato (e fallimentare) di differenziare una
variante linguistica regionale dall’altra, a costo di introdurre
forzate modificazioni, di mettere in atto rettifiche artificiali,
alcune francamente improponibili. accade, va detto, soprattutto nella
croazia di tudjman, dove la classe ‘intellettuale’ (sic) si mobilita
per ideare un’operazione di pulizia e di distinzione linguistica tesa a
costruire il “novi govor”, la nuova lingua. come è possibile
riconvertire una lingua in uso in una sua (impoverita) variazione? con
la strumentalizzazione dei mass media e degli organi ufficiali non è
difficile.
ad esempio, si cominciano - attraverso i giornali, le televisioni, le
autorità - ad imporre sinonimi non molto impiegati in precedenza: come
se in una regione italiana si stabilisse a tavolino che il termine
“scherzo” non può più essere utilizzato e deve essere sostituito
sistematicamente con il suo equivalente “burla”. è chiaro che il
significato di per sé non cambia: la lingua, però, si immiserisce
drammaticamente, perde sinonimi e sfumature perché mette al bando
quelle parole d’uso collettivo che portano in seno la colpa d’essere
“in comune” con il nemico. l’operazione “nuova lingua” prevede tutta
una serie di distorsioni ed amputazioni che nell’articolo bogdanic
spiega nei dettagli: si comincia con le lievi contorsioni (ad esempio,
immaginate una regione italiana in cui, al posto di ‘traduttore’ e di
‘lavoratore’, si comincino ad usare i termini ‘traducente’ e
lavorante’: non solo risulterà grottesco, ma si perderà la sfumatura
fra i due termini, che sono simili ma non identici), si procede con il
rimettere in uso termini antiquati (così in croazia vengono ripescati i
nomi dei mesi di stampo medievale, per sostituire quelli più diffusi di
origine romanza, sicché januar si dirà sijecanj, februar si dirà
veljaca, mart si dirà ozujak e via dicendo, con significati a dir poco
comici nell’ottica di un linguaggio moderno: hanno tutti significati
come “il momento della mietitura”, “il tempo delle foglie cadute”...),
e si finisce – com’è caratteristico di tutti i fascismi - per ripudiare
tutti i forestierismi, specie quelli comuni al nemico. in poco tempo,
in croazia, i termini mutuati da altre lingue e di uso quotidiano nella
seconda jugoslavia (televizija e televizor per televisione, frizider
per frigorifero, ambasador per ambasciatore, aerodrom per aeroporto)
diventano proibiti: come se nel linguaggio di ogni giorno ci
obbligassero a sostituire aeroporto, frigorifero ed ambasciatore con
“porto d’aria, ghiacciaia, grande emissario”. come scrive bogdanic, la
lingua viene modificata “a costo di inventarsene una nuova”, un
“croato” così svincolato dal serbocroato in uso che “agli stessi croati
risulta quasi incomprensibile”.
perché accade, lo comprendete senza bisogno di ulteriori spiegazioni:
il nazionalismo esasperato genera orrori di ogni tipo, sclerosi
culturali e sociali spesso irreparabili. ne abbiamo chiari esempi anche
nel nord italia, e a questo proposito vale la pena di ricordare “la
secessione leggera” di paolo rumiz: gli attori dei secessionismi, dei
tribalismi locali, della filosofia del paesello [5] sono sempre due, in
padania
[http://www.giovanipadani.leganord.org/
argomentofed%2Easp?StringaDaCercare=Lingue&Stringa=Federale] come
nei balcani. come protagonista abbiamo una classe dirigente che ha il
dovere – per conquistare il potere e mantenerlo - di partorire un mito
ingannevole che dev’essere tenuto in vita (“noi pinchi pallini siamo
superiori a loro pallini pinchi per storia e per cultura”, e non di
rado rispuntano le farneticanti supremazie genetiche, del ghenos, ossia
della razza: i razzismi, per farla breve), e come sparring partner sul
palcoscenico dell’esaltazione etnica e tribale abbiamo una popolazione
soggiogata, strumentalizzata e terrorizzata da tutto quel che è altro:
lo straniero, percepito come usurpatore, come invasore, come intruso
che giunge a minare la (fasulla) stabilità e a mettere in pericolo la
(irrilevante) sicurezza. l’incontro di questi due attori – capi
fascistoidi e popolo ammaestrato – è fatale. la croazia ha voluto ad
ogni costo estirpare da sé tutto quello che era stato jugoslavo: così
facendo, ha estirpato buona parte della propria storia e del proprio
bagaglio culturale. in questa follia purificante, non ha fatto ancora i
conti neppure con la credibilità dei miti: basti pensare che ante
starcevic [http://www.geocities.com/i_canjar/history/starcevic.htm%5d,
considerato il padre dalla nazione (e decisamente nazionalista)…
scriveva in ekavo, ossia nella variante fonetica serba del serbocroato
(!); e che miroslav krleza
[http://www.girodivite.it/antenati/xx2sec/_krleza.htm%5d, vate della
letteratura ora (sic) croata, usava dire che “serbi e croati non sono
che la stessa merda di vacca spaccata in due dal passaggio del carro
della storia”.
in bosnia ed in serbia il fenomeno di ripulitura linguistica s’è
verificato con minore incidenza, e più per reazione alla croatizzazione
esagerata che per reale volontà della classe dirigente e
dell’inteligencija. in bosnia, ad esempio, si è voluto e ancora si
vuole ‘calcare la mano’ nell’uso dei termini di origine turca ed araba,
anche aiutati dalla celere diffusione dell’islamismo
[http://www.bosnaislam.com/%5d che certo non ha giovato ad una società
multiculturale. in serbia, a dire il vero, il fenomeno è marginale, e
s’è sentito – solo a livello di movimenti quasi spontanei, non ancora
istituzionali – nelle zone rurali, dove l’ortodossia ha riconquistato
terreno perduto in cinquant’anni di società laica e si è tornati a
rivangare inutili leggende di “grandezze storiche”. in serbia, ad ogni
modo, i libri di testo per studenti stranieri sono ancora quelli di
serbocroato [6], si possono facilmente acquistare dizionari di
serbocroato editi prima dello smembramento della nazione che fu di
tito, e lo stesso aggettivo jugoslavo non è affatto rigettato come
accade da oltre un decennio in croazia. basti pensare all’esistenza, a
belgrado, del museo della storia della jugoslavia
[http://www.muzejistorijejugoslavije.org/%5d, alla composizione sociale
che è concretamente multietnica ed all’uso della lingua nel quotidiano:
è raro trovare un cittadino della serbia che non sappia leggere e
scrivere sia in cirillico che in latino, libri e giornali vengono
stampati in entrambe le versioni. quello che si può temere è che, in
assenza di una classe dirigente improntata al pensiero laico e
multiculturale, ed in procinto di entrare in europa, con l’urgenza di
darsi un’identità nazionale più definita e con la chiesa ortodossa che
comincia ad invadere il campo politico, culturale e filosofico che non
le spetterebbe, anche in serbia prevalga (certo con meno ardore, ma non
per questo con meno rischi) una tendenza alla serbizzazione coatta. ho
osservato con grande delusione alcuni siti internet, ad esempio, venir
riconvertiti da un tranquillizzante ed internazionale latino [7] ad un
improvviso cirillico in queste settimane pre-elettorali. cattivo segno,
nei balcani, dove – grazie ad un’idea di nazione più herderiana che
mazziniana [8] – si continua a ritenere la lingua uno strumento di
discriminazione e di aggressione piuttosto che di comunicazione ed
interscambio.
[seguono note e tabelle >>>]
[1] bogdanic nell’articolo di limes
[http://www.limesonline.com/doc/navigation/%5d spiega così le principali
differenze linguistiche fra serbo e croato: “lo stokavo è la
caratteristica generale del dialetto in quanto il pronome interrogativo
“che” viene espresso con la parola “sto”; ijekavo è la caratteristica
che si riferisce alla pronuncia delle sole vocali” (pagina 230). ho
domandato ad una decina di lettori non avvezzi alle questioni
linguistiche slave se la spiegazione di bogdanic fosse chiara, e mi è
stato detto che non lo è affatto. è un peccato, perché si smarrisce il
senso dell’articolo, che è in realtà molto interessante.
[2] un piccolo esempio basilare che chiarisce quanto sia effettivamente
riconoscibile il ceppo linguistico slavo. in questa tabella si possono
osservare sette lingue slave (serbocroato, sloveno, macedone, bulgaro,
ceco, polacco, russo) paragonate fra loro in vocaboli d’uso comune:
http://www.exju.org/images/uploads/tabellacepposlavo.JPG
http://www.exju.org/images/uploads/glagolitico.JPG
[figura 1]: alcuni esempi di alfabeto glagolitico, progenitore della
scrittura serbocroata. introdotto dai santi cirillo e metodio verso
l’anno 900, rimase l’unico alfabeto in uso in tutte le regioni slave
del sud fino all’avvento del latino (metà del 14esimo secolo).
[3] consideriamole solo sfumature della stessa lingua, come in effetti
sono: immaginate di dover spiegare ad uno straniero in quali aspetti
differisca l’italiano parlato nelle regioni venete dall’italiano
parlato in sicilia o in calabria; trovereste sfumature legate alla
pronuncia di certe consonanti, una cadenza differente e alcuni vocaboli
“locali” dissimili, niente di più.
[4] attenzione, si tratta di un alfabeto latino identico a quello in
uso in italia, ma le lingue slave hanno suoni che nel nostro alfabeto
semplicemente non esistono. proprio come in francese ed in spagnolo la
fonetica ha lettere e segni diacritici aggiuntivi.
[figura 2 e 3]
http://www.exju.org/images/uploads/cirillicolatino.JPG
si noti che l’ordine dell’alfabeto cirillico (qui presentato) non è lo
stesso dell’alfabeto latino.
osserviamo come le stesse parole (knjiga = libro, suma = bosco,
jugoslavija = jugoslavia, ed il già menzionato mlijeko = latte) possano
diversificarsi nelle due varianti cirillica e latina:
http://www.exju.org/images/uploads/cirillicolatino1.JPG
i segni diacritici si aggiungono alle lettere latine per formare suoni
non presenti originariamente, ed alcuni dittonghi (dj, lj, nj, dz)
formano fonemi che in cirillico hanno necessità di un solo segno, così:
http://www.exju.org/images/uploads/cirillicolatino2.JPG
[5] paolo rumiz, la secessione leggera, feltrinelli, 7e; il termine
“filosofia del paesello”, o “filosofia del villaggio” è mutuato (anche
dallo stesso rumiz, nonché da nicole janigro in “l’esplosione delle
nazioni” e da rada ivekovic in “autopsia dei balcani”) da un’opera
tanto sottovalutata quanto amaramente profetica: filozofija palanke di
radomir kostantinovic.
[6] uno dei più diffusi libri di testo editi a belgrado è
“serbocroatian for foreigneres” di slavna babic (che non prevede
neppure una lezione in cirillico), ed anche “srpski za strance (serbo
per stranieri)”, di bozo coric, è concepito per insegnare agli studenti
entrambe le varianti del serbocroato; i testi editi a zagabria, invece,
come “dobro dosli” di jasna baresic, non prevedono in alcun modo né lo
studio del cirillico né alcun vocabolo jugoslavo, e sono completamente
‘ripuliti’ dai vecchi termini, in particolari dalle parole d’uso comune
di origine greca, francese ed inglese.
[7] trovo sciocco che i serbi, che a differenza dei russi o dei greci
hanno un alfabeto alternativo già in uso, identico a quello adoperato
da buona parte del pianeta, debbano limitarsi all’uso del cirillico,
che non facilita i contatti e le comunicazioni internazionali. esistono
siti internet, come questo [http://www.balkantimes.com/%5d, che hanno una
versione serba cirillica ed una serbo[croata] latina, e mi pare la
soluzione più auspicabile.
[8] di johann gottfried herder
[http://www.girodivite.it/antenati/xviiisec/_herder.htm%5d e delle sue
teorie sulle eredità naturali della nazione, contrapposte alle
aspirazioni volontaristiche e dunque politiche di giuseppe mazzini
scrive stefano bianchini ne “la questione jugoslava”, giunti casterman,
8e.
posted by: babsi jones on 20/12/03 | 00:15
http://www.exju.org/comments/590_0_1_0_C/