Slovenia: le micidiali conseguenze della liberalizzazione dell'economia
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http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=2722
Delocalizzazione ad est: la manodopera slovena è troppo cara
Un articolo tratto da Le Courier des Balkans, omologo francese
dell’Osservatorio. Un’indagine sul fenomeno della delocalizzazione
produttiva ad est da un punto di vista sloveno.
(09/01/2004)
Da Lubjana scrivono Maja Grgic e Patarina Fidermuc – Delo
Traduzione a cura dell’Osservatorio sui Balcani
Le imprese si globalizzano ed inseguono i mercati più attraenti.
Altrimenti rischiano di rimanere fuori dai giochi. La delocalizzazione
della produzione industriale verso Paesi con una manodopera a buon
marcato è sicuramente preoccupante per l’economia slovena perché
implica una diminuzione dei posti di lavoro e la chiusura di molte
imprese. La delocalizzazione è l’implacabile risultato della
comparazione tra i salari medi sloveni e quelli di Paesi con una mano
d’opera meno cara e che non siano troppo lontani in modo da limitare le
spese logistiche. Il salario minimo in Romania è sei volte inferiore a
quello Sloveno, quello Bulgaro nove volte inferiore. Nelle produzioni
ad alto tasso di manodopera i calcoli sono presto fatti.
“Dal punto di vista politico sarebbe anche possibile trovare modalità
per rallentare la delocalizzazione, dal punto di vista strategico non è
però una posizione auspicabile” afferma con sicurezza Hribar Milic,
segretario generale dell’associazione degli imprenditori sloveni. “Non
possiamo dimenticare i continui processi di globalizzazione subiti dal
mercato mondiale. Ad est ed in Asia vi sono mercati enormi. Senza
dubbio un numero sempre crescente di imprese cercherà di conquistarli
delocalizzando la propria produzione”.
Un esempio può essere l’azienda Alpina, che produce attrezzatura per
la montagna, che ha deciso di chiudere i propri stabilimenti di Col e
Gorenja Vas (Slovenia) e di spostarsi in Romania ed in Cina. Martin
Kopac, membro del consiglio di amministrazione dell’azienda, chiarisce
le ragioni chiave di questa scelta: una manodopera meno cara ed il
fatto che tutte le aziende concorrenti già hanno aperto stabilimenti in
questi due Paesi. Alpina è stata quindi costretta a muoversi. Kopac fa
notare come con la delocalizzazione progettata Alpina risparmierà circa
250 milioni di talleri (più di un milione di euro) all’anno. Anche la
Labod, attualmente con sede a Novo Mesto, ha già delocalizzato gran
parte della propria produzione in Ungheria, Polonia e Romania.
Le imprese slovene optano per la manodopera meno cara con varie
modalità. Qualcuno costruisce delle fabbriche, qualcun altro con
partecipazioni di capitale, altri affittano degli stabilimenti
produttivi, altri demandano a subcontraenti. Capita spesso che si
delocalizzi la propria produzione nei Paesi più vicini mentre in quelli
più lontani, come ad esempio la Cina, si preferisce optare per
partenariati.
Si può porre termine a questo processo? La Slovenia potrebbe,
adottando misure specifiche, abbassare il prezzo della manodopera e
bloccare il flusso delle produzioni verso Paesi terzi? Accademici ed
economisti constatano in modo unanime che è impossibile, perché la mano
d’opera slovena è troppo cara. Una tendenza che si può addolcire ma non
certo invertire. Il salario netto in Slovenia ha un divario troppo alto
rispetto ai Paesi concorrenti. Secondo Samo Hribar Milic nonostante
quanto risulti da alcune analisi internazionali che deifniscono il
salario sloveno eccessivamente alto rispetto all’andamento generale
dell’economia, sarebbe impossibile abbassarlo. E dunque, essendo
impossibile abbassare quello che per le imprese è un costo, queste
ultime si sposteranno inevitabilmente dalla Slovenia. Un fenomeno già
evidente, anche se non ancora al suo apice.
Anche lo Stato si troverà a dover risparmiare. Diminuirà infatti il
gettito fiscale ed i contributi sociali creando innanzitutto problemi
ai fondi destinati alle pensioni ed alla sanità. E lo Stato dovrà
sforzarsi di affrontare in modo graduale la questione. La
delocalizzazione andrà a colpire soprattutto i lavoratori con una
formazione bassa, il cui reinserimento nel mondo del lavoro non sarà
semplice. I posti di lavoro che andranno a crearsi verosimilmente non
potranno prescindere da una formazione elevata e conoscenze altre
rispetto a quelle in possesso dei lavoratori espulsi. La politica
statale in tal senso dovrà essere attiva, adeguata, trasparente.
Ma la delocalizzazione non è solo dovuta al basso costo della
manodopera. Lek e Kraka, due aziende farmaceutiche slovene, hanno già
messo radici in Polonia e Russia, dove hanno creato una rete di
commercializzazione ben strutturata ancor prima che la dislocazione ad
est divenisse un imperativo per il capitale europeo. Si sono infatti
rese conto che per le imprese farmaceutiche, più che per le altre, nei
Paesi dei quali si voleva conquistare il mercato fosse necessario
ottenere lo status di “imprese nazionali”, privilegiate rispetto a
quelle straniere. Non si può quindi affermare che queste aziende
slovene si siano mosse ad est rincorrendo il basso costo della
manodopera, tanto più che le due società hanno ancora 6500 dipendenti
in Slovenia.
» Fonte: © Osservatorio sui Balcani
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http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
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Delocalizzazione ad est: la manodopera slovena è troppo cara
Un articolo tratto da Le Courier des Balkans, omologo francese
dell’Osservatorio. Un’indagine sul fenomeno della delocalizzazione
produttiva ad est da un punto di vista sloveno.
(09/01/2004)
Da Lubjana scrivono Maja Grgic e Patarina Fidermuc – Delo
Traduzione a cura dell’Osservatorio sui Balcani
Le imprese si globalizzano ed inseguono i mercati più attraenti.
Altrimenti rischiano di rimanere fuori dai giochi. La delocalizzazione
della produzione industriale verso Paesi con una manodopera a buon
marcato è sicuramente preoccupante per l’economia slovena perché
implica una diminuzione dei posti di lavoro e la chiusura di molte
imprese. La delocalizzazione è l’implacabile risultato della
comparazione tra i salari medi sloveni e quelli di Paesi con una mano
d’opera meno cara e che non siano troppo lontani in modo da limitare le
spese logistiche. Il salario minimo in Romania è sei volte inferiore a
quello Sloveno, quello Bulgaro nove volte inferiore. Nelle produzioni
ad alto tasso di manodopera i calcoli sono presto fatti.
“Dal punto di vista politico sarebbe anche possibile trovare modalità
per rallentare la delocalizzazione, dal punto di vista strategico non è
però una posizione auspicabile” afferma con sicurezza Hribar Milic,
segretario generale dell’associazione degli imprenditori sloveni. “Non
possiamo dimenticare i continui processi di globalizzazione subiti dal
mercato mondiale. Ad est ed in Asia vi sono mercati enormi. Senza
dubbio un numero sempre crescente di imprese cercherà di conquistarli
delocalizzando la propria produzione”.
Un esempio può essere l’azienda Alpina, che produce attrezzatura per
la montagna, che ha deciso di chiudere i propri stabilimenti di Col e
Gorenja Vas (Slovenia) e di spostarsi in Romania ed in Cina. Martin
Kopac, membro del consiglio di amministrazione dell’azienda, chiarisce
le ragioni chiave di questa scelta: una manodopera meno cara ed il
fatto che tutte le aziende concorrenti già hanno aperto stabilimenti in
questi due Paesi. Alpina è stata quindi costretta a muoversi. Kopac fa
notare come con la delocalizzazione progettata Alpina risparmierà circa
250 milioni di talleri (più di un milione di euro) all’anno. Anche la
Labod, attualmente con sede a Novo Mesto, ha già delocalizzato gran
parte della propria produzione in Ungheria, Polonia e Romania.
Le imprese slovene optano per la manodopera meno cara con varie
modalità. Qualcuno costruisce delle fabbriche, qualcun altro con
partecipazioni di capitale, altri affittano degli stabilimenti
produttivi, altri demandano a subcontraenti. Capita spesso che si
delocalizzi la propria produzione nei Paesi più vicini mentre in quelli
più lontani, come ad esempio la Cina, si preferisce optare per
partenariati.
Si può porre termine a questo processo? La Slovenia potrebbe,
adottando misure specifiche, abbassare il prezzo della manodopera e
bloccare il flusso delle produzioni verso Paesi terzi? Accademici ed
economisti constatano in modo unanime che è impossibile, perché la mano
d’opera slovena è troppo cara. Una tendenza che si può addolcire ma non
certo invertire. Il salario netto in Slovenia ha un divario troppo alto
rispetto ai Paesi concorrenti. Secondo Samo Hribar Milic nonostante
quanto risulti da alcune analisi internazionali che deifniscono il
salario sloveno eccessivamente alto rispetto all’andamento generale
dell’economia, sarebbe impossibile abbassarlo. E dunque, essendo
impossibile abbassare quello che per le imprese è un costo, queste
ultime si sposteranno inevitabilmente dalla Slovenia. Un fenomeno già
evidente, anche se non ancora al suo apice.
Anche lo Stato si troverà a dover risparmiare. Diminuirà infatti il
gettito fiscale ed i contributi sociali creando innanzitutto problemi
ai fondi destinati alle pensioni ed alla sanità. E lo Stato dovrà
sforzarsi di affrontare in modo graduale la questione. La
delocalizzazione andrà a colpire soprattutto i lavoratori con una
formazione bassa, il cui reinserimento nel mondo del lavoro non sarà
semplice. I posti di lavoro che andranno a crearsi verosimilmente non
potranno prescindere da una formazione elevata e conoscenze altre
rispetto a quelle in possesso dei lavoratori espulsi. La politica
statale in tal senso dovrà essere attiva, adeguata, trasparente.
Ma la delocalizzazione non è solo dovuta al basso costo della
manodopera. Lek e Kraka, due aziende farmaceutiche slovene, hanno già
messo radici in Polonia e Russia, dove hanno creato una rete di
commercializzazione ben strutturata ancor prima che la dislocazione ad
est divenisse un imperativo per il capitale europeo. Si sono infatti
rese conto che per le imprese farmaceutiche, più che per le altre, nei
Paesi dei quali si voleva conquistare il mercato fosse necessario
ottenere lo status di “imprese nazionali”, privilegiate rispetto a
quelle straniere. Non si può quindi affermare che queste aziende
slovene si siano mosse ad est rincorrendo il basso costo della
manodopera, tanto più che le due società hanno ancora 6500 dipendenti
in Slovenia.
» Fonte: © Osservatorio sui Balcani