"Rimasi così nella foiba per un paio di ore. Poi col favore della
notte, uscii..."
---
Da "Liberazione" del 4/2/2004:
<< Le foibe oggi su Raitre.
La testimonianza dell'unico sopravvissuto alle Foibe, Graziano Udovisi,
parlerà della propria esperienza con Giovanni Minoli e lo storico
Giovanni Sabbatucci nella puntata de "La storia siamo noi" che Raitre
manda in onda oggi alle 08.05 e alle ore 00.20. Sulle foibe, nonostante
esistano studi storici accreditati, si è diffusa una pubblicistica di
destra. Su questo capitolo della storia italiano si abbatte di
frequente la scure del revisionismo storico. La vicenda è ricostruita
da Giovanni Minoli con due rari documenti. L'unico testimone di cui
finora si abbia notizia è Graziano Udovisi, che sarà chiamato a
raccontare gli eventi di cui è testimone. Tra i documenti, le immagini
esclusive girate da un operatore del luogo.>>
Qualcuno di noi ha avuto la malaugurata idea di guardare la
trasmissione di cui sopra. La ripresentazione acritica del documento di
Vitrotti, con le dissolvenze delle immagini dei partigiani che entrano
festosi nelle città e la mano che fa i mucchietti con le ossa degli
infoibati, e tutto il resto...
Propaganda di guerra, sostanzialmente. Fatta da chi la guerra l'ha
incominciata e l'ha persa, ma vorrebbe ancora capovolgerne gli esiti.
Certo, oggi senza la Jugoslavia ed in un clima di nuove guerre e nuovi
fascismi, si ha gioco facile.
Vediamo un esempio piu' specifico della propaganda di guerra contenuta
nel documentario di RaiTre:
---
In merito alla trasmissione di Raitre educational dedicata alla “foibe”
ed andata in onda il 4 febbraio scorso, parliamo di un episodio che è
entrato nel “mito”, e che viene riportato come oro colato anche da
Gianni Oliva e del quale nessuno pare averne ancora colto le
contraddizioni. Parliamo dei racconti dei due “sopravvissuti alla
foiba”. Il primo si chiama Graziano Udovisi, e racconta di essere stato
arrestato a Pola nel maggio ‘45 dai “partigiani slavi”. A questo punto
va inserito, nella biografia di Udovisi, quanto si legge nella sentenza
n. 165/46 della Corte d’Assise Straordinaria di Trieste, che giudicò
Udovisi responsabile degli arresti di due partigiani nel 1944. “Udovisi
Graziano, appena ottenuto il diploma delle scuole magistrali di Pola,
all’età di 18 anni, si arruolò nella milizia per evitare di iscriversi
nelle organizzazioni tedesche. (…) Fatto il corso allievi ufficiali,
venne nell’ottobre 1944 inviato a Portole quale comandante del Presidio
e quivi rimase fino alla fine della guerra (…)”. Udovisi venne
riconosciuto colpevole di avere arrestato i partigiani Antonio Gorian e
Giusto Masserotto, nei pressi di Portole. Il teste Gorian dichiarò che
Udovisi legò lui e Masserotto con filo di ferro: ricordiamo questo
particolare, ed anche che risulta da varie testimonianze che i
prigionieri dei nazisti che venivano caricati nei vagoni per essere
deportati nei lager venivano legati col filo di ferro.
Torniamo al racconto di Udovisi (la versione che citiamo è quella
raccolta da Maria Paola Gianni e pubblicata ne “Il rumore del
silenzio”, dossier curato da Azione Giovani nel 1997, p. 153 e sgg.):
“Mi hanno imprigionato in una cella di quattro metri con altre trenta
persone, stretti come sardine, quasi senza aria e tutti con le mani
legate col fil di ferro dietro la schiena”.
Dopo essere stato torturato “tutta la notte” e “dopo mezz’ora non
sentivo più nulla (…) dovevo avere la testa rovinata completamente (…)
una donna ufficiale mi spaccò la mascella sinistra con il calcio della
pistola (…) ci legarono in fila indiana, l’ultimo di noi era svenuto e
gli fecero passare il fil di ferro intorno al collo. Lo abbiamo
inevitabilmente soffocato nel dirigerci verso la foiba. (…) durante il
tragitto sono scivolato e caduto. Immediatamente mi è arrivata una
botta con il calcio di una mitragliatrice al rene destro. Durante il
tragitto (…) mi hanno fatto mangiare della carta, dei sassi, mi hanno
sparato vicino alle orecchie (…) Poi la Foiba. (…) quando ho sentito
l’urlaccio di guerra mi sono buttato subito dentro come se questa Foiba
rappresentasse per me un’ancora di salvezza. Sono piombato dentro
l’acqua e mentre calavo a picco sono riuscito a liberarmi una mano con
la quale ho toccato quella che credevo essere una zolla con dell’erba
mentre in realtà era una testa con dei capelli. L’ho afferrata e tirata
in modo spasmodico verso di me e sono riuscito a risalire (…) ho
salvato un italiano”.
Udovisi avrebbe quindi salvato un italiano. Chi? C’è un’altra persona
che racconta più o meno la stessa storia, e torniamo a pag. 48 dello
stesso libro dal quale abbiamo tratto la storia di Udovisi, cioè
“Genocidio… “ di Marco Pirina .
Titolo: “La Foiba doveva essere la sua tomba”. Segue il racconto di
Giovanni Radeticchio di Sisano, che sarebbe stato arrestato il 2.5.45 a
casa sua. Fu condotto assieme ad altri 4 prigionieri a Pozzo Littorio,
dove videro altri prigionieri che venivano fatti “correre contro il
muro piegati e con la testa all’ingiù. Caduti a terra dallo stordimento
vennero presi a calci in tutte le parti del corpi finché rinvennero
(…)”. Seguono le descrizioni di altre sevizie ed alla fine “dopo tenta
ore di digiuno”, li fecero proseguire a piedi per Fianona dopo aver
dato loro “un piatto di minestra con pasta nera non condita”, e “per
giunta legati col filo di ferro ai polsi a due a due”. Altre torture
all’arrivo ed infine “prima dell’alba”, assieme ad altri cinque
prigionieri, e cioè: “Carlo Radolovich di Marzana, Natale Mazzucca da
Pinesi (Marzana), Felice Cossi da Sisano, Giuseppe Sabatti da Visinada
e Graziano Udovisi da Pola”, con le mani legati dietro la schiena e
picchiati per strada, lo condussero fino all’imboccatura della Foiba. E
qui viene la parte più interessante: “mi appesero un grosso sasso, del
peso di circa dieci chilogrammi, per mezzo di filo di ferro ai polsi
già legati con altro filo di ferro e mi costrinsero ad andare da solo
dietro Udovisi, già sceso nella Foiba. Dopo qualche istante mi
spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo
di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso nell’acqua della
Foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto
arenarmi. Intanto continuavano a cadere gli altri miei compagni e
dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l’ultima vittima
gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non
reggevo più. Sono riuscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i
polsi, straziando contemporaneamente le mie carni, poiché i polsi
cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così nella foiba per un paio
di ore. Poi col favore della notte, uscii da quella che doveva essere
la mia tomba…”.
Dunque se crediamo al racconto di Udovisi, questi, che dice di avere
salvato un italiano, ma non ne fa il nome, dovrebbe avere salvato
Radeticchio, dato che Radeticchio dice di essere sopravvissuto alla
“Foiba”. Mentre a voler credere al racconto di Radeticchio, Udovisi non
solo non lo avrebbe salvato, ma non si sarebbe salvato neppure lui.
Curioso che i curatori del “Rumore del silenzio”, così inclini a
rilevare le piccole inesattezze di chi si occupa di storia in modo non
propagandistico, non abbiano rilevato questa contraddizione. Curioso
anche che Oliva riporti tutte e due le storie, una dopo l’altra, senza
rilevare che si tratta della stessa vicenda.
D’altra parte, sono ambedue le storie che non stanno in piedi. Intanto
non è credibile che uomini ridotti in condizioni fisiche così precarie
come vengono descritte, siano riusciti ad uscire da una “foiba” piena
d’acqua. Né, per quanto si accetti l’improbabile, ci sembra possibile
che il colpo di moschetto che ha colpito il filo di ferro che legava il
sasso di dieci chili ai polsi di Radeticchio legati dietro la schiena
sia riuscito a spezzare il filo di ferro e non colpire l’uomo. Che
oltretutto sarebbe rimasto illeso sotto i colpi di moschetto, di
mitragliatrice e dopo l’esplosione della bomba a mano, sarebbe riuscito
a “rompere il filo di ferro” e pur con le carni “completamente
straziate” sarebbe riuscito ad uscire dalla foiba dopo un paio d’ore
trascorse dentro l’acqua.
Verifichiamo inoltre i nominativi di coloro che sarebbero stati
infoibati assieme a Radeticchio. I dati sono tratti dall’“Albo d’oro”
di Luigi Papo, che riteniamo possa essere almeno su questo argomento
una fonte attendibile, dato che tutti gli arrestati risultano essere
stati in forza al 2° Reggimento “Istria”, cioè l’arma di Papo.
Radolovich e Mazzucca risultano infoibati il “13/14.5.1945 nei pressi
di Fianona”; Cossi risulta invece “deportato in Jugoslavia”; Sabatti
“catturato nei pressi di Sissano fu infoibato assieme ad altri sei
prigionieri nei pressi di Fiume”. Dunque neppure i dati di Papo
concordano assolutamente con la versione di Radeticchio.
Eppure, nonostante il fatto che Udovisi racconti questa storia sempre
in maniera diversa (pure nella trasmissione di Minoli, così come in
altre occasioni in cui abbiamo sentito il “sopravvissuto” raccontare
pubblicamente la vicenda, il racconto differisce in molti punti da
quello da noi riportato), nessuno si è mai posto il problema
dell’attendibilità del testimone: perché?
(testo a cura della redazione de La Nuova Alabarda, Trieste)
notte, uscii..."
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Da "Liberazione" del 4/2/2004:
<< Le foibe oggi su Raitre.
La testimonianza dell'unico sopravvissuto alle Foibe, Graziano Udovisi,
parlerà della propria esperienza con Giovanni Minoli e lo storico
Giovanni Sabbatucci nella puntata de "La storia siamo noi" che Raitre
manda in onda oggi alle 08.05 e alle ore 00.20. Sulle foibe, nonostante
esistano studi storici accreditati, si è diffusa una pubblicistica di
destra. Su questo capitolo della storia italiano si abbatte di
frequente la scure del revisionismo storico. La vicenda è ricostruita
da Giovanni Minoli con due rari documenti. L'unico testimone di cui
finora si abbia notizia è Graziano Udovisi, che sarà chiamato a
raccontare gli eventi di cui è testimone. Tra i documenti, le immagini
esclusive girate da un operatore del luogo.>>
Qualcuno di noi ha avuto la malaugurata idea di guardare la
trasmissione di cui sopra. La ripresentazione acritica del documento di
Vitrotti, con le dissolvenze delle immagini dei partigiani che entrano
festosi nelle città e la mano che fa i mucchietti con le ossa degli
infoibati, e tutto il resto...
Propaganda di guerra, sostanzialmente. Fatta da chi la guerra l'ha
incominciata e l'ha persa, ma vorrebbe ancora capovolgerne gli esiti.
Certo, oggi senza la Jugoslavia ed in un clima di nuove guerre e nuovi
fascismi, si ha gioco facile.
Vediamo un esempio piu' specifico della propaganda di guerra contenuta
nel documentario di RaiTre:
---
In merito alla trasmissione di Raitre educational dedicata alla “foibe”
ed andata in onda il 4 febbraio scorso, parliamo di un episodio che è
entrato nel “mito”, e che viene riportato come oro colato anche da
Gianni Oliva e del quale nessuno pare averne ancora colto le
contraddizioni. Parliamo dei racconti dei due “sopravvissuti alla
foiba”. Il primo si chiama Graziano Udovisi, e racconta di essere stato
arrestato a Pola nel maggio ‘45 dai “partigiani slavi”. A questo punto
va inserito, nella biografia di Udovisi, quanto si legge nella sentenza
n. 165/46 della Corte d’Assise Straordinaria di Trieste, che giudicò
Udovisi responsabile degli arresti di due partigiani nel 1944. “Udovisi
Graziano, appena ottenuto il diploma delle scuole magistrali di Pola,
all’età di 18 anni, si arruolò nella milizia per evitare di iscriversi
nelle organizzazioni tedesche. (…) Fatto il corso allievi ufficiali,
venne nell’ottobre 1944 inviato a Portole quale comandante del Presidio
e quivi rimase fino alla fine della guerra (…)”. Udovisi venne
riconosciuto colpevole di avere arrestato i partigiani Antonio Gorian e
Giusto Masserotto, nei pressi di Portole. Il teste Gorian dichiarò che
Udovisi legò lui e Masserotto con filo di ferro: ricordiamo questo
particolare, ed anche che risulta da varie testimonianze che i
prigionieri dei nazisti che venivano caricati nei vagoni per essere
deportati nei lager venivano legati col filo di ferro.
Torniamo al racconto di Udovisi (la versione che citiamo è quella
raccolta da Maria Paola Gianni e pubblicata ne “Il rumore del
silenzio”, dossier curato da Azione Giovani nel 1997, p. 153 e sgg.):
“Mi hanno imprigionato in una cella di quattro metri con altre trenta
persone, stretti come sardine, quasi senza aria e tutti con le mani
legate col fil di ferro dietro la schiena”.
Dopo essere stato torturato “tutta la notte” e “dopo mezz’ora non
sentivo più nulla (…) dovevo avere la testa rovinata completamente (…)
una donna ufficiale mi spaccò la mascella sinistra con il calcio della
pistola (…) ci legarono in fila indiana, l’ultimo di noi era svenuto e
gli fecero passare il fil di ferro intorno al collo. Lo abbiamo
inevitabilmente soffocato nel dirigerci verso la foiba. (…) durante il
tragitto sono scivolato e caduto. Immediatamente mi è arrivata una
botta con il calcio di una mitragliatrice al rene destro. Durante il
tragitto (…) mi hanno fatto mangiare della carta, dei sassi, mi hanno
sparato vicino alle orecchie (…) Poi la Foiba. (…) quando ho sentito
l’urlaccio di guerra mi sono buttato subito dentro come se questa Foiba
rappresentasse per me un’ancora di salvezza. Sono piombato dentro
l’acqua e mentre calavo a picco sono riuscito a liberarmi una mano con
la quale ho toccato quella che credevo essere una zolla con dell’erba
mentre in realtà era una testa con dei capelli. L’ho afferrata e tirata
in modo spasmodico verso di me e sono riuscito a risalire (…) ho
salvato un italiano”.
Udovisi avrebbe quindi salvato un italiano. Chi? C’è un’altra persona
che racconta più o meno la stessa storia, e torniamo a pag. 48 dello
stesso libro dal quale abbiamo tratto la storia di Udovisi, cioè
“Genocidio… “ di Marco Pirina .
Titolo: “La Foiba doveva essere la sua tomba”. Segue il racconto di
Giovanni Radeticchio di Sisano, che sarebbe stato arrestato il 2.5.45 a
casa sua. Fu condotto assieme ad altri 4 prigionieri a Pozzo Littorio,
dove videro altri prigionieri che venivano fatti “correre contro il
muro piegati e con la testa all’ingiù. Caduti a terra dallo stordimento
vennero presi a calci in tutte le parti del corpi finché rinvennero
(…)”. Seguono le descrizioni di altre sevizie ed alla fine “dopo tenta
ore di digiuno”, li fecero proseguire a piedi per Fianona dopo aver
dato loro “un piatto di minestra con pasta nera non condita”, e “per
giunta legati col filo di ferro ai polsi a due a due”. Altre torture
all’arrivo ed infine “prima dell’alba”, assieme ad altri cinque
prigionieri, e cioè: “Carlo Radolovich di Marzana, Natale Mazzucca da
Pinesi (Marzana), Felice Cossi da Sisano, Giuseppe Sabatti da Visinada
e Graziano Udovisi da Pola”, con le mani legati dietro la schiena e
picchiati per strada, lo condussero fino all’imboccatura della Foiba. E
qui viene la parte più interessante: “mi appesero un grosso sasso, del
peso di circa dieci chilogrammi, per mezzo di filo di ferro ai polsi
già legati con altro filo di ferro e mi costrinsero ad andare da solo
dietro Udovisi, già sceso nella Foiba. Dopo qualche istante mi
spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo
di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso nell’acqua della
Foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto
arenarmi. Intanto continuavano a cadere gli altri miei compagni e
dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l’ultima vittima
gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non
reggevo più. Sono riuscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i
polsi, straziando contemporaneamente le mie carni, poiché i polsi
cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così nella foiba per un paio
di ore. Poi col favore della notte, uscii da quella che doveva essere
la mia tomba…”.
Dunque se crediamo al racconto di Udovisi, questi, che dice di avere
salvato un italiano, ma non ne fa il nome, dovrebbe avere salvato
Radeticchio, dato che Radeticchio dice di essere sopravvissuto alla
“Foiba”. Mentre a voler credere al racconto di Radeticchio, Udovisi non
solo non lo avrebbe salvato, ma non si sarebbe salvato neppure lui.
Curioso che i curatori del “Rumore del silenzio”, così inclini a
rilevare le piccole inesattezze di chi si occupa di storia in modo non
propagandistico, non abbiano rilevato questa contraddizione. Curioso
anche che Oliva riporti tutte e due le storie, una dopo l’altra, senza
rilevare che si tratta della stessa vicenda.
D’altra parte, sono ambedue le storie che non stanno in piedi. Intanto
non è credibile che uomini ridotti in condizioni fisiche così precarie
come vengono descritte, siano riusciti ad uscire da una “foiba” piena
d’acqua. Né, per quanto si accetti l’improbabile, ci sembra possibile
che il colpo di moschetto che ha colpito il filo di ferro che legava il
sasso di dieci chili ai polsi di Radeticchio legati dietro la schiena
sia riuscito a spezzare il filo di ferro e non colpire l’uomo. Che
oltretutto sarebbe rimasto illeso sotto i colpi di moschetto, di
mitragliatrice e dopo l’esplosione della bomba a mano, sarebbe riuscito
a “rompere il filo di ferro” e pur con le carni “completamente
straziate” sarebbe riuscito ad uscire dalla foiba dopo un paio d’ore
trascorse dentro l’acqua.
Verifichiamo inoltre i nominativi di coloro che sarebbero stati
infoibati assieme a Radeticchio. I dati sono tratti dall’“Albo d’oro”
di Luigi Papo, che riteniamo possa essere almeno su questo argomento
una fonte attendibile, dato che tutti gli arrestati risultano essere
stati in forza al 2° Reggimento “Istria”, cioè l’arma di Papo.
Radolovich e Mazzucca risultano infoibati il “13/14.5.1945 nei pressi
di Fianona”; Cossi risulta invece “deportato in Jugoslavia”; Sabatti
“catturato nei pressi di Sissano fu infoibato assieme ad altri sei
prigionieri nei pressi di Fiume”. Dunque neppure i dati di Papo
concordano assolutamente con la versione di Radeticchio.
Eppure, nonostante il fatto che Udovisi racconti questa storia sempre
in maniera diversa (pure nella trasmissione di Minoli, così come in
altre occasioni in cui abbiamo sentito il “sopravvissuto” raccontare
pubblicamente la vicenda, il racconto differisce in molti punti da
quello da noi riportato), nessuno si è mai posto il problema
dell’attendibilità del testimone: perché?
(testo a cura della redazione de La Nuova Alabarda, Trieste)