(english / italiano)

IRAQ = JUGOSLAVIJA
3: Mercenariato per le colonie

A - La privatizzazione della guerra (M. Dinucci)
B - Cosa e' e cosa fa Dyncorp/CSC in Colombia e con l'Azienda Trasporti
Milanese (Ass. Mi Ranchito, 10 marzo 2003)

C - The privatisation of war
(Ian Traynor, Dec. 10, 2003 - The Guardian) : "... The biggest US
military base built since Vietnam, Camp Bondsteel in Kosovo, was
constructed and continues to be serviced by private contractors. At
Tuzla in northern Bosnia, headquarters for US peacekeepers, everything
that can be farmed out to private businesses has been... In the Balkans
MPRI are playing an incredibly critical role. The balance of power in
the region was altered by a private company..."

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LINK: tutto quello che avreste sempre voluto sapere sul MPRI, military
professional resources, inc e non avete mai osato chiedere...

http://www.serbianna.com/columns/vaknin/035.shtml


--- A ---

La privatizzazione della guerra

In Iraq l'uso dei mercenari dimostra il fallimento
dell'«irachizzazione» del conflitto

MANLIO DINUCCI
Il manifesto, 14 aprile 2004

La Dts Security, per la quale lavorano i quattro italiani catturati in
Iraq, ha il proprio quartier generale a Newington in Virginia. Da lì
fornisce «sicurezza» ai propri clienti, soprattutto grosse
multinazionali, dagli Stati uniti all'Oman, dall'Uzbekistan all'Iraq.
Poiché essa garantisce i suoi servizi in qualsiasi situazione, anche di
guerra, il suo personale è composto di specialisti provenienti dalle
forze scelte di vari eserciti. A simbolo della sua efficienza, la Dts
Security, che vanta oltre vent'anni diesperienza, ha messo nel suo
sito, al posto del solito puntatore del mouse, quello di un mirino
telescopico di un fucile di alta precisione. In Iraq, essa fa parte
della quindicina di compagnie fornitrici di «sicurezza», assoldate
direttamente o indirettamente dal Pentagono come «contrattiste militari
private» per sorvegliare installazioni, scortare convogli e addestrare
il «nuovo esercito iracheno». La maggiore è la statunitense Blackwater
che, composta di cinque compagnie specializzate, «ha stabilito una
presenza globale, fornendo addestramento e soluzioni tattiche per il
21mo secolo». Tra i suoi clienti, oltre a società multinazionali, vanta
il Dipartimento della difesa e il Dipartimento di stato degli Stati
uniti d'America.

Un'altra importante compagniache opera in Iraq per conto del Pentagono
è la Vinnell Corp., affiliata della Northrop Grumman, una delle
principali industrie belliche. Avendo molti compiti da svolgere, ha
subappaltato l'addestramento delle truppe irachene a Kirkush a un'altra
società statunitense, la Mpri di Alexandria (Virginia), che ha già
partecipato alla formazione dei nuovi eserciti di Croazia e Bosnia.
Operano in Iraq anche compagnie britanniche, come laErinys, il cui
compito è la sorveglianza delle installazioni petrolifere, e la Global
Risk, che fornisce «protezione armata» alla «Autorità provvisoria della
coalizione».

Nessuno conosce con esattezza il numero dei «moderni mercenari» (come
li definisceThe New York Times) che operano in Iraq per conto di queste
compagnie private. Le stime vanno da 15 a 20 mila, ma potrebbero essere
anche di più. Molti sono stati reclutati, soprattutto dalla Blackwater,
in Cile: tra questi vi sono «commandos addestrati, sotto il governo
militare diAugusto Pinochet, in speciali campi a Santiago e in North
Carolina negli Usa» (The Guardian, 5 marzo). Le loro paghe annue vanno
da 70 a 250mila dollari, ma sicuramente ricevono anche premi extra.
Essi vengonoinfatti impiegati in vere e proprie azioni di
combattimento. Lo conferma il fatto che, il 4 aprile, «un attacco della
milizia irachena contro il quartier generale del governo Usa a Najaf è
stato respinto non dai militari statunitensi, ma dai commandos della
Blackwater» (TheWashington Post, 6 aprile).

Tale impiego dei commandos delle compagnie private sta crescendo, di
pari passo con la disgregazione del «nuovo esercito iracheno». Alla
cerimonia di fine corso del secondo battaglione iracheno (620 uomini),
il 6 gennaio, il generale Sanchez, comandante statunitense delle forze
terrestri, aveva affermato: «Questi soldati sono molto fieri, molto
impegnati. Ho alte aspettative che contribuiranno a riportare la
sicurezza e la stabilità in Iraq». Ma quando il secondo battaglione ha
ricevuto qualche giorno fa l'ordine di andare a combattere contro gli
insorti di Fallujah, si è rifiutato dichiarando: «Non siamo stati
reclutati per combattere gli iracheni». SecondoThe Washington Post(11
aprile), negli ultimi giorni il 20-25% dell'esercito e della polizia
irachena ha disertato o è addirittura passato dalla parte di chi
avrebbe dovuto combattere. Da qui la crescente importanza dei «moderni
mercenari» delle compagnie private, cui vengono affidati compiti che
avrebbero dovuto svolgere gli iracheni reclutati.

Questa «privatizzazione della guerra» rappresenta però il fallimento
della strategia dell'amministrazione Bush: il piano di creare un
governo ossequiente che, con un proprio esercito, avrebbe dovuto
«ripristinare la sicurezza e la stabilità» in un Iraq sotto il
controllo politico, militare ed economico degli Stati uniti, sta
crollando come un castello di carte. E le stesse forze statunitensi
sono sempre più in difficoltà. In questo clima, in cui il morale dei
soldati sta visibilmente calando, molti hanno solo il desiderio di
tornare a casa. Altri, sapendo qual è la busta paga dei commandos delle
compagnie private, pensano sicuramente che, se si deve rischiare, è
meglio farlo con un contratto da oltre 200mila dollari di una delle
moderne compagnie di ventura.

--- B ---
 
Data: Wed, 14 Jan 2004 15:43:12 +0100 (CET)
Da: "as. int. mi ranchito"
A: This email address is being protected from spambots. You need JavaScript enabled to view it.
Oggetto: Cosa e' e cosa fa Dyncorp/CSC in Colombia e ATM.

10 marzo 2003

Computer Sciences Corporation (NYSE: CSC) ha completato l’acquisizione
di DynCorp, con l’avvenuta approvazione da parte degli azionisti di
maggioranza di DynCorp.

CSC si aspetta che l’acquisizione possa dare i suoi frutti sin dal
prossimo anno fiscale (il FY 2004 CSC inizia l’1 aprile 2003),
superando i carichi finanziari relativi alla transazione.

“Siamo lieti di aver concluso l’acquisizione, che potenzia notevolmente
la nostra leadership nel mercato della pubblica amministrazione e
supporta i nostri obiettivi strategici di crescita e incremento del
valore delle nostre azioni,” ha affermato il presidente e CEO di CSC,
Van B. Honeycutt. “Questa transazione supporta CSC nella crescente
richiesta di servizi IT nel settore pubblico e ci aiuterà a
incrementare le nostre capacità di delivery. Ora CSC è posizionata in
modo ideale ed è ancora più pronta a fornire una vasta gamma di
soluzioni end-to-end su basi globali, ivi comprese quelle per il
Dipartimento della Difesa”.

DynCorp, posizionata tra le public company americane nel settore
tecnologico e dell’outsourcing, in seguito all’acquisizione diventa
parte della divisione CSC dedicata agli enti pubblici, la cui sede
centrale è a Falls Church (Usa). L’organizzazione Federal Sector CSC si
aspetta di arrivare circa a 6 miliardi di dollari di ricavi annuali,
derivanti dal governo federale (come stima di entrate relative al FY
2003), con circa 40.000 addetti al servizio del governo statunitense,
dislocati in circa 750 postazioni in tutto il mondo.

“Quello di oggi è un momento molto importante nella storia di DynCorp
nonchè nella vita professionale delle migliaia di persone che sono, e
sono state, parte integrante di questa grande società”, ha dichiarato
il CEO di DynCorp, Paul Lombardi. “Con il completamento della fusione,
ora possiamo guardare a nuove, stimolanti opportunità di carriera per i
nostri professionisti, e disporre di un’offerta di soluzioni vasta e
ineguagliabile per i nostri clienti”.

L’offerta di servizi e tecnologia di CSC nei confronti del settore
pubblico si è infatti arricchita, ampliando e ottimizzando le già vaste
competenze messe a disposizione del nuovo Department of Homeland
Security statunitense. L’acquisizione, inoltre, va a rafforzare le
competenze e la presenza nelle attività di outsourcing per i settori
telecomunicazioni e sanità.

Sono circa 26.000 i professionisti che si aggiungono all'organico CSC,
in base a questa acquisizione.
“Tutta CSC è lieta di dare il benvenuto ai professionisti di DynCorp”
ha aggiunto Paul Cofoni, presidente della divisione Federal Sector CSC.
“Quasi il 50 per cento degli addetti CSC, me compreso, sono in CSC in
seguito a fusioni, acquisizioni o accordi di outsourcing. Siamo quindi
in grado di assicurare che questa transizione non comporterà
contraccolpi negativi ne’ per i clienti sia ne’ per la forza lavoro”.
“La fusione tra CSC e DynCorp” ha sottolineato Cofoni, “crea una
organizzazione che si posiziona al terzo posto tra i fornitori IT del
mercato governativo statunitense e al vertice di quelli del
Dipartimento della Difesa”.

Fondata nel 1959, Computer Sciences Corporation è una delle compagnie
leader mondiali nei servizi IT. La sua missione è quella di supportare
le aziende dei settori pubblico e privato con soluzioni specifiche per
le loro peculiari esigenze, consentendo alle imprese di trarre profitto
dall’uso della tecnologia.
Con circa 90.000 addetti (comprendendo gli oltre 26.000 che dal 7 marzo
2003 si sono uniti a CSC in seguito all’acquisizione di DynCorp) CSC
fornisce soluzioni innovative per i suoi clienti in tutto il mondo,
combinando le migliori tecnologie con le proprie consolidate capacità
in molteplici ambiti. Tra questi: progettazione e integrazione di
sistemi; outsourcing IT e di processi di business; sviluppo di software
applicativo; Web e application hosting; consulenza.
Nell’anno solare 2002, CSC ha conseguito ricavi per 11,3 miliardi di
dollari. La sede corporate si trova a El Segundo, California; la sede
europea è a Farnborough, in Gran Bretagna.
In Italia, CSC è protagonista ai massimi livelli nel mercato ICT, con
una offerta specifica e strategica nei settori finance, industria e
commercio, pubblica amministrazione, telecomunicazioni, servizi. Opera
nel nostro Paese con circa 2.600 addetti e sedi a Milano (direzione
generale), Bologna, Firenze, Padova, Ravenna, Roma e Torino


A.T.M. - Azienda Trasporti Milanesi

Il cliente

L'Azienda Trasporti Milanesi (ATM) opera nel settore del Trasporto
Pubblico Locale (Tpl) nell'area metropolitana, offrendo ai cittadini
della Grande Milano una rete di trasporto pubblico costituita da tre
linee metropolitane e centoventi linee tranviarie, filoviarie e
automobilistiche.
Complessivamente la rete si sviluppa per quasi 1400 chilometri e
raggiunge Milano e altri 85 comuni.
Oltre al trasporto pubblico ATM gestisce i parcheggi di interscambio e
la sosta sulle strade del centro storico e delle zone commerciali con
il sistema SostaMilano.
Come già avvenuto per altri settori dei servizi pubblici
(telecomunicazioni, energia, gas), il business del Tpl si trova in una
fase di forte evoluzione e cambiamento a seguito della definizione di
un nuovo quadro normativo teso a introdurre elementi di
concorrenzialità e liberalizzazione.

Il progetto

Il progetto ha interessato l’implementazione di SAP R/3 (moduli
coinvolti: PM – PS - PP).
In seguito dell’aggiudicazione di un bando di gara, CSC è occupata
della configurazione del sistema SAP R/3 nelle aree riguardanti la
manutenzione dei mezzi (superficie e metropolitana) e delle
infrastrutture (patrimonio) dell’Azienda Trasporti Milanesi.

Il ruolo di CSC

CSC ha realizzato l’implementazione per tutti i depositi , officine,
impianti gestiti da ATM.
CSC ha inoltre progettato gli sviluppi delle personalizzazioni
necessarie a tenere conto delle peculiarità di gestione e definito le
regole di caricamento dati.
Il progetto nel suo complesso ha visto il coinvolgimento di altri
partner nella fase di progettazione e di formazione utenti.

Benefici per il cliente

Curare la qualità del servizio offerto è uno dei cardini su cui
poggiano le attività di ATM; ed una maggiore qualità la si può
esprimere principalmente attraverso un controllo diretto della
manutenzione e degli investimenti, in modo da ridurre gli sprechi, e di
conseguenza i costi, indirizzando in questo modo gli investimenti al
miglioramento del servizio.
Questo progetto ha avuto come obiettivo l’introduzione di strumenti in
grado di dare un valido supporto alle attività di manutenzione: maggior
controllo delle scorte, analisi tecniche puntuali delle singole
componenti di veicoli e impianti, valutazione dei fornitori e,
soprattutto, una più precisa quantificazione economica degli interventi
manutentivi, in modo da permettere un’oculata valutazione, da parte del
personale competente, sull'effettiva convenienza di realizzare
l’intervento di manutenzione.
Questo progetto ha introdotto un vero e proprio sistema di controllo
nell’ambito delle attività di manutenzione effettuate in ATM. In
pratica è stato realizzato un servizio che misura la propria efficienza
in termini di qualità, costi e prestazioni temporali e che permetterà
di introdurre sempre di più dei nuovi fattori correttivi.
Con questo progetto si genererà un nuovo propellente la cui miscela è
costituita dal miglioramento dell’efficienza.
Vantaggi che, uniti al cambiamento organizzativo, incrementeranno la
cultura aziendale e aiuteranno il management ad avere un maggior
controllo dei costi migliorando contestualmente la qualità.
L’omogeneizzazione dei sistemi informativi aziendali ed una loro
perfetta integrazione renderanno più semplici ed immediati i processi
decisionali.
La manutenzione come elemento fondamentale per ottimizzare sicurezza e
affidabilità, ma anche la realizzazione di una banca dati in grado di
evidenziare i tassi di guasto di singoli sottosistemi ed infine la
certificazione degli interventi effettuati, rappresenta per un’Azienda
di servizi, che ha il suo “core business” nelle attività di trasporti
dei passeggeri, uno dei principali punti di attenzione.


Secondo il settimanale Newsweek, tra i 300 effettivi statunitensi
presenti in Colombia, vi sarebbero "almeno un centinaio di agenti della
Dea e della Cia"; Nesweek segnala inoltre come gli avieri dell’RC-7 non
sarebbero le prime vittime Usa della ‘guerra alla coca’: "A partire dal
1997 sono morti tre piloti della società privata DynCorp (Virginia)
contattata dal Pentagono per missioni di intercettazione anti-droga. La
DynCorp che conta in Colombia 90 impiegati, in coordinamento con la
Polizia nazionale ha lanciato tonnellate di defoglianti chimici sulla
selva e ha effettuato incursioni in elicottero contro i laboratori di
trasformazione". La DynCorp, che impiega piloti di elicottero veterani
della guerra in Vietnam, fornisce inoltre la manutenzione dei velivoli
della polizia impegnati in operazioni anti-coca.

L’impatto socio-ambientale della campagna finanziata attraverso
l’International Narcotics Control del Dipartimento di stato avrebbe
avuto effetti devastanti. Nel solo ‘98 gli aerei T-65 e Ov-10 ‘Bronco’
della DynCorp avrebbero fumigato oltre 65.000 ettari di terra nei
dipartimenti meridionali di Guaviare e Caquetà, utilizzando il
glisosfato, un’erbicida cancerogeno solubile in acqua. Solo lo scorso
anno all’impresa privata il Dipartimento avrebbe versato 68 milioni di
dollari, tre volte e mezzo in più dei 19,6 milioni spesi nel ’96 per
fumigare la Colombia.

In realtà l’’affaire Colombia’ si tra strasformando in un immenso
business per le aziende private statunitensi che operano nel settore
militare. I colossi United Technologies e Bell competono per
assicurarsi la megacommessa per la componente elicotteristica; accanto
alla DynCorp stanno inserendosi in Colombia altre aziende specializzate
nel fornire ‘assistenza tecnica’ e ‘consiglieri militari’ alle forze
armate colombiane, favorite dal Pentagono che così può eludere le
limitazioni degli emendamenti del Congresso che fissano il personale
statunitense in Colombia a non oltre i 250 addetti militari e 100
impiegati civili. L’ultima di queste società ‘di servizio’ ad aprire
una filiale a Bogotà è stata la Mpri (Military Professional Resources
Inc.), anch’essa con sede in Virginia, contattata per il sostegno
logistico e l’addestramento ‘supplemenatre’ della polizia e delle forze
armate colombiane. La Mpri, il cui manager è il generale in pensione
dell’Us Army Ed Soyster, gia direttore della Dia (la Defense
Intelligence Agency), è una delle società più note nelle aree di
conflitto internazionali: essa ha fornito supporto logistico per una
serie di operazioni militari nei Balcani, in Medio Oriente e in Africa.
Fondata appena 12 anni fa nella città di Alexandria conta su un giro
d’affari annuo di circa 12 milioni di dollari, con 160 dipendenti
full-time, tra cui una serie di ex alti ufficiali delle forze armate
statunitensi, come i generali Carl Vuono, che guidò l’esercito durante
l’operazione Desert Storm e Crosbie ‘Butch’ Saint, che fu uno dei
comandanti delle operazioni Usa in Europa.

La Mpri, in particolare, è stata impegnata nel rifornimento di
munizioni e nel sostegno operativo degli eserciti croato e bosniaco
durante le loro controffensive contro le unità serbe. Così come in
Colombia, le attività della Mpri si sono incrociate con quelle della
DynCorp nel teatro di guerra dei Balcani; a quest’ultima società,
infatti, gli Stati Uniti hanno affidato nell’autunno ‘98 il compito di
verificare il ritiro delle unità serbe dal territorio del Kosovo, in
seguito al rifiuto del leader yugoslavo Slobodan Milosevic di ammettere
la presenza di monitor ‘militari’. I dati di ‘intelligence’ raccolti
dai 150 uomini contrattati dalla DynCorp sono stati determinanti per
l’operazione Nato di bombardamento in Kosovo e Serbia la primavera
successiva.

--- C ---

Special investigation

The privatisation of war

· $30bn goes to private military
· Fears over 'hired guns' policy
· British firms get big slice of contracts
· Deals in Baghdad, Kabul and Balkans

Ian Traynor
Wednesday December 10, 2003
The Guardian

Private corporations have penetrated western warfare so deeply that
they are now the second biggest contributor to coalition forces in Iraq
after the Pentagon, a Guardian investigation has established.

While the official coalition figures list the British as the second
largest contingent with around 9,900 troops, they are narrowly
outnumbered by the 10,000 private military contractors now on the
ground.

The investigation has also discovered that the proportion of contracted
security personnel in the firing line is 10 times greater than during
the first Gulf war. In 1991, for every private contractor, there were
about 100 servicemen and women; now there are 10.

The private sector is so firmly embedded in combat, occupation and
peacekeeping duties that the phenomenon may have reached the point of
no return: the US military would struggle to wage war without it.

While reliable figures are difficult to come by and governmental
accounting and monitoring of the contracts are notoriously shoddy, the
US army estimates that of the $87bn (£50.2bn) earmarked this year for
the broader Iraqi campaign, including central Asia and Afghanistan, one
third of that, nearly $30bn, will be spent on contracts to private
companies.

The myriad military and security companies thriving on this largesse
are at the sharp end of a revolution in military affairs that is taking
us into unknown territory - the partial privatisation of war.

"This is a trend that is growing and Iraq is the high point of the
trend," said Peter Singer, a security analyst at Washington's Brookings
Institution. "This is a sea change in the way we prosecute warfare.
There are historical parallels, but we haven't seen them for 250 years."

When America launched its invasion in March, the battleships in the
Gulf were manned by US navy personnel. But alongside them sat civilians
from four companies operating some of the world's most sophisticated
weapons systems.

When the unmanned Predator drones, the Global Hawks, and the B-2
stealth bombers went into action, their weapons systems, too, were
operated and maintained by non-military personnel working for private
companies.

The private sector is even more deeply involved in the war's aftermath.
A US company has the lucrative contracts to train the new Iraqi army,
another to recruit and train an Iraqi police force.

But this is a field in which British companies dominate, with nearly
half of the dozen or so private firms in Iraq coming from the UK.

The big British player in Iraq is Global Risk International, based in
Hampton, Middlesex. It is supplying hired Gurkhas, Fijian
paramilitaries and, it is believed, ex-SAS veterans, to guard the
Baghdad headquarters of Paul Bremer, the US overlord, according to
analysts.

It is a trend that has been growing worldwide since the end of the cold
war, a booming business which entails replacing soldiers wherever
possible with highly paid civilians and hired guns not subject to
standard military disciplinary procedures.

The biggest US military base built since Vietnam, Camp Bondsteel in
Kosovo, was constructed and continues to be serviced by private
contractors. At Tuzla in northern Bosnia, headquarters for US
peacekeepers, everything that can be farmed out to private businesses
has been. The bill so far runs to more than $5bn. The contracts include
those to the US company ITT, which supplies the armed guards,
overwhelmingly US private citizens, at US installations.

In Israel, a US company supplies the security for American diplomats, a
very risky business. In Colombia, a US company flies the planes
destroying the coca plantations and the helicopter gunships protecting
them, in what some would characterise as a small undeclared war.

In Kabul, a US company provides the bodyguards to try to save President
Hamid Karzai from assassination, raising questions over whether they
are combatants in a deepening conflict with emboldened Taliban
insurgents.

And in the small town of Hadzici west of Sarajevo, a military compound
houses the latest computer technology, the war games simulations
challenging the Bosnian army's brightest young officers.

Crucial to transforming what was an improvised militia desperately
fighting for survival into a modern army fit eventually to join Nato,
the army computer centre was established by US officers who structured,
trained, and armed the Bosnian military. The Americans accomplished a
similar mission in Croatia and are carrying out the same job in
Macedonia.

The input from the US military has been so important that the US
experts can credibly claim to have tipped the military balance in a
region ravaged by four wars in a decade. But the American officers,
including several four-star generals, are retired, not serving. They
work, at least directly, not for the US government, but for a private
company, Military Professional Resources Inc.

"In the Balkans MPRI are playing an incredibly critical role. The
balance of power in the region was altered by a private company. That's
one measure of the sea change," said Mr Singer, the author of a recent
book on the subject, Corporate Warriors.

The surge in the use of private companies should not be confused with
the traditional use of mercenaries in armed conflicts. The use of
mercenaries is outlawed by the Geneva conventions, but no one is
accusing the Pentagon, while awarding more than 3,000 contracts to
private companies over the past decade, of violating the laws of war.

The Pentagon will "pursue additional opportunities to outsource and
privatise", the US defence secretary, Donald Rumsfeld, pledged last
year and military analysts expect him to try to cut a further 200,000
jobs in the armed forces.

It is this kind of "downsizing" that has fed the growth of the military
private sector.

Since the end of the cold war it is reckoned that six million
servicemen have been thrown on to the employment market with little to
peddle but their fighting and military skills. The US military is 60%
the size of a decade ago, the Soviet collapse wrecked the colossal Red
Army, the East German military melted away, the end of apartheid
destroyed the white officer class in South Africa. The British armed
forces, notes Mr Singer, are at their smallest since the Napoleonic
wars.

The booming private sector has soaked up much of this manpower and
expertise.

It also enables the Americans, in particular, to wage wars by proxy and
without the kind of congressional and media oversight to which
conventional deployments are subject.
From the level of the street or the trenches to the rarefied corridors
of strategic analysis and policy-making, however, the problems
surfacing are immense and complex.
One senior British officer complains that his driver was recently
approached and offered a fortune to move to a "rather dodgy outfit".
Ex-SAS veterans in Iraq can charge up to $1,000 a day.

"There's an explosion of these companies attracting our servicemen
financially," said Rear Admiral Hugh Edleston, a Royal Navy officer who
is just completing three years as chief military adviser to the
international administration running Bosnia.

He said that outside agencies were sometimes better placed to provide
training and resources. "But you should never mix serving military with
security operations. You need to be absolutely clear on the division
between the military and the paramilitary."

"If these things weren't privatised, uniformed men would have to do it
and that draws down your strength," said another senior retired officer
engaged in the private sector. But he warned: "There is a slight risk
that things can get out of hand and these companies become small armies
themselves."

And in Baghdad or Bogota, Kabul or Tuzla, there are armed company
employees effectively licensed to kill. On the job, say guarding a
peacekeepers' compound in Tuzla, the civilian employees are subject to
the same rules of engagement as foreign troops.

But if an American GI draws and uses his weapon in an off-duty bar
brawl, he will be subject to the US judicial military code. If an
American guard employed by the US company ITT in Tuzla does the same,
he answers to Bosnian law. By definition these companies are frequently
operating in "failed states" where national law is notional. The risk
is the employees can literally get away with murder.

Or lesser, but appalling crimes. Dyncorp, for example, a Pentagon
favourite, has the contract worth tens of millions of dollars to train
an Iraqi police force. It also won the contracts to train the Bosnian
police and was implicated in a grim sex slavery scandal, with its
employees accused of rape and the buying and selling of girls as young
as 12. A number of employees were fired, but never prosecuted. The only
court cases to result involved the two whistleblowers who exposed the
episode and were sacked.

"Dyncorp should never have been awarded the Iraqi police contract,"
said Madeleine Rees, the chief UN human rights officer in Sarajevo.

Of the two court cases, one US police officer working for Dyncorp in
Bosnia, Kathryn Bolkovac, won her suit for wrongful dismissal. The
other involving a mechanic, Ben Johnston, was settled out of court. Mr
Johnston's suit against Dyncorp charged that he "witnessed co-workers
and supervisors literally buying and selling women for their own
personal enjoyment, and employees would brag about the various ages and
talents of the individual slaves they had purchased".

There are other formidable problems surfacing in what is uncharted
territory - issues of loyalty, accountability, ideology, and national
interest. By definition, a private military company is in Iraq or
Bosnia not to pursue US, UN, or EU policy, but to make money.

The growing clout of the military services corporations raises
questions about an insidious, longer-term impact on governments'
planning, strategy and decision-taking.

Mr Singer argues that for the first time in the history of the modern
nation state, governments are surrendering one of the essential and
defining attributes of statehood, the state's monopoly on the
legitimate use of force.

But for those on the receiving end, there seems scant alternative.

"I had some problems with some of the American generals," said Enes
Becirbasic, a Bosnian military official who managed the Bosnian side of
the MPRI projects to build and arm a Bosnian army. "It's a conflict of
interest. I represent our national interest, but they're businessmen. I
would have preferred direct cooperation with state organisations like
Nato or the Organisation for Security and Cooperation in Europe. But we
had no choice. We had to use MPRI."