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Iraq: l’Albania pensa di raddoppiare le truppe


L’Albania sotto pressione statunitense pensa di raddoppiare la propria
presenza in Iraq, contraria l’opposizione. Sconvolta dagli ultimi
avvenimenti sul teatro di guerra mediorientale l’opinione pubblica,
ora, è più timorosa e meno favorevole all’impegno

(19/04/2004)

Scrive Indrit Maraku

Mentre tutto il mondo guarda preoccupato l’escalation della violenza in
Iraq, e gli alleati discutono su cosa fare con le loro truppe,
l’Albania si sta preparando a raddoppiare la sua simbolica presenza di
73 uomini. La decisione, definita da qualcuno come “pura assurdità
balcanica”, questa volta arriva dopo una richiesta da parte di
Washington. Anche se solo ufficiosamente, durante la sua ultima visita
di qualche settimana fa nella capitale statunitense, al Premier
albanese Fatos Nano è stato chiesto di aumentare l’impegno militare di
Tirana in questo Paese a 200-300 soldati. E scoppia subito la polemica.
Dopo un anno dall’invio del primo contingente delle truppe speciali
“Komando”, nella classe politica e nell’opinione pubblica cominciano a
farsi sentire le prime disapprovazioni: il costo economico sarebbe
insostenibile per l’Albania ed ora la situazione è molto più pericolosa.

L’opposizione contro

Dopo le prime notizie sui media locali, il ministro alla Difesa,
Pandeli Majko ha dovuto confermare l’ultima iniziativa albanese.
“Stiamo esaminando la possibilità di aumentare le nostre forze in Iraq
per esprimere la nostra determinazione a fianco della coalizione
internazionale che lotta per instaurare la pace” ha dichiarato Majko,
senza precisare se c’era stata una richiesta ufficiale dagli Stati
Uniti.

Un anno fa, tutta la classe politica albanese si dimostrò unita nella
sua volontà di essere al fianco degli Usa in Iraq, sperando in un
sostegno per entrare il prima possibile nella Nato. La posta in gioco
ora e cambiata e l’opposizione non sembra essere più d’accordo. “La
nostra presenza lì è simbolica – dice Besnik Mustafaj, segretario per
le relazioni con l’Estero del Partito democratico – Capisco che al
Premier Nano non importi del costo economico, ma per quanto ne so è di
7 milioni di dollari e il doppio o il triplo di questa cifra sarebbe
insostenibile” per l’Albania.

Dashamir Shehi (opposizione), a capo della Commissione parlamentare per
la difesa, dice che dal punto di vista politico non esiste alcun
problema. “Questo perché, che siano 73 uomini, o che siano 200, la
nostra decisione politica è la stessa. L’Albania resta un alleato fermo
a fianco della coalizione anti-terrorismo che opera oggi in Iraq”. Ma
quando verrà il giorno di discutere su questo in Parlamento, spiega,
“lo faremo entro la realtà albanese”.

Shehi afferma che gli ultimi sviluppi in Iraq fanno pensare “più
profondamente rispetto alla prima volta”. “Noi auspichiamo che la
permanenza delle nostre forze in Iraq sia la più breve possibile e
senza grossi rischi – aggiunge – ma sfortunatamente la situazione è
tale che la nostra permanenza possa essere prolungata e che ci possano
essere anche elementi di pericolosità”. Dal punto di vista economico,
Shehi si augura che se ci sarà un aumento del contributo albanese in
Iraq “ci sia anche un aumento del contributo finanziario dei nostri
alleati”.

Dall’indifferenza alla paura

La pomposa cerimonia dell’aprile 2003 nella piazza “Skanderbeg” che
accompagnò la partenza del primo contingente albanese per l’Iraq,
questa volta ha lasciato lo spazio alla paura e alle lacrime. A
differenza di un anno fa, gli Albanesi lo scorso 12 aprile hanno visto
in Tv le madri, le sorelle e le fidanzate dei soldati che, piangendo,
non si staccavano dai loro cari, mentre un aereo li aspettava sulla
pista militare dell’aeroporto “Madre Tereza” di Tirana. Si trattava del
terzo gruppo di truppe “Komando” che partiva per l’Iraq a dare il
cambio al contingente già presente sul posto. E improvvisamente,
l’indifferenza mostrata in tutto questo tempo si è trasformata in
angoscia. Le ostilità delle ultime settimane, i rapimenti, gli ostaggi,
le uccisioni, avevano fatto svanire quella sensazione di sicurezza,
scaturita, forse, dall’identità religiosa islamica tra la maggior parte
degli Albanesi e degli Iracheni.

Mentre in altri Paesi, anche vicini, la gente scendeva per le strade ad
esprimere la loro disapprovazione nei confronti dell’intervento armato
in Iraq, l’opinione pubblica albanese mostrava tutta la sua più grande
indifferenza. Presi a lottare contro la povertà quotidiana, nessuno si
è fermato più di tanto a pensare sui rischi della partecipazione del
proprio Paese in questo intervento. Ed è proprio su questa indifferenza
che il Governo di Tirana, ma anche più in generale la classe politica
del Paese, ha potuto fare affidamento. Il Parlamento votò all’unanimità
l’invio di truppe in Medio Oriente, vedendo i suoi 73 uomini come degli
attori sul palcoscenico iracheno; attori i quali avevano il compito di
dimostrare al mondo intero la preparazione dell’Esercito albanese,
sperando in un rapido ingresso, con tanto di tappeto rosso,
nell’Alleanza Atlantica.

E Bush raddoppia i “ringraziamenti”!

A buttare acqua sul fuoco delle polemiche ci pensa il Presidente
americano Bush in persona: in due messaggi diversi spediti al primo
ministro Fatos Nano e al Presidente della Repubblica, Alfred Moisiu, il
capo della Casa bianca ha ringraziato l’Albania per il suo contributo
in Iraq (gentilissimo… ma non esagera un po’?). “In nome del popolo
Americano desidero ringraziarvi per il fermo sostegno dell’Albania nel
raggiungere la pace e la democrazia in Iraq”, dice, aggiungendo che “le
forze albanesi hanno dimostrato nella loro missione abilità e coraggio
e noi gli siamo grati per i loro sforzi”.

Anche il capo del Dipartimento di Stato, Colin Powell, ha voluto
esprimere la sua gratitudine al suo omologo di Tirana, Kastriot Islami.
Dal canto suo, il ministro degli Esteri albanese ha preferito
rassicurare Powell per l’ennesima volta: “la vostra lettera dell’8
aprile mi dà la possibilità di confermare ancora una volta l’impegno
invariabile dell’Albania come membro della coalizione internazionale in
Iraq e nella lotta globale al terrorismo”, si legge nel messaggio
consegnato all’ambasciatore Usa a Tirana.

Ma il doppio “ringraziamento” di Bush, che tra l’altro arriva pochi
giorni dopo quello precedentemente espresso a Nano durante la visita di
quest’ultimo a Washington, punta a mettere a tacere le voci contrarie
nell’opposizione sul raddoppiamento delle truppe, specialmente dopo la
sindrome “Zapatero” che sta invadendo negli ultimi giorni l’Europa.

Ora il Governo di Tirana deve fare bene i conti: da un lato c’è la
volontà espressa agli Usa in cambio dell’adesione alla Nato; dall’altro
lato c’è il problema dell’opinione pubblica interna. Le elezioni
politiche del 2005 si avvicinano sempre di più, e uno sbaglio potrebbe
costare caro ai socialisti al potere, i quali devono sperare
nell’incolumità dei soldati albanesi sul palcoscenico iracheno. La
domanda alla quale il Premier Nano deve rispondere prima d’ogni
decisione è: il gioco vale veramente la candela?


» Fonte: © Osservatorio sui Balcani