IRAQ = JUGOSLAVIJA / 16:

DALL’IRAQ OCCUPATO

Dalla redazione de "La Nuova Alabarda", periodico triestino, riceviamo
questo importante reportage di Marino Andolina.
Andolina è un pediatra dell'Ospedale Civile Burlo di Trieste impegnato
in prima persona ad aiutare concretamente le popolazioni colpite dalle
guerre. E' stato attivo negli scorsi anni anche in Bosnia ed in Kosovo,
e nel 2001 ha aderito al nostro Coordinamento.
E' ritornato recentemente dall’Iraq, dove ha lavorato per rimettere in
piedi l’ospedale di Nassirya: quanto segue è la trascrizione di un suo
intervento fatto “a caldo” il 24 maggio scorso.

 
Sono tornato stanotte dall’Iraq e quello che per primo mi viene in
mente di dire sono le parole di un vecchio film sull’Algeria con Alain
Delon: “né onore né gloria”. Per uno come me, che ha sempre avuto
rispetto e stima per l’esercito ed anche un certo senso patriottico,
dato che ero abituato a girare con gli alpini ed ammirarli per come
sono in grado di gestire la protezione civile, è dura da dire che anche
il mio orgoglio patriottico si sta sciogliendo.

Sono tornato e non ho ancora letto i giornali italiani di questi
giorni, nel mio periodo iracheno ho guardato soltanto le televisioni
arabe, anche se non riesco a comprendere tutto quello che dice Al
Jazeera in arabo, ma vorrei parlare dei funerali di stato, per quel
poveraccio che è stato ammazzato laggiù. Ecco, questo è il tipico
martire di questa ideologia incivile che ci sta dominando, uno che è
andato in Iraq per fare i soldi facili, per depredare gli altri. Gli
eroi di solito rappresentano delle ideologie (se le ideologie sono
sbagliate poi li chiamano terroristi).

Allora con un’ideologia dominante come quella che abbiamo, è giusto che
facciano i funerali di stato per uno come quello che è stato ucciso in
Iraq, perché è il migliore rappresentante di essa.

Anch’io potrei quasi definirmi un mercenario: dopotutto vado a fare
servizio internazionale come dipendente del Burlo, sono pagato per
quello che faccio. Non vado lì da uomo libero, ma da dipendente e come
tale ho sempre cercato di essere prudente in quello che dico perché non
vorrei mettere a rischio i fondi per l’assistenza e per gli ospedali
che ci sono dati anche da giornali di destra. Ma adesso che i fondi
stanno per finire, io apro la diga, non ce la faccio più ad essere
prudente perché la prudenza ora sarebbe un crimine.

Io sono un testimone, ho visto ed ho sentito e posso dire oggi che
l’Italia è complice di criminali di guerra, è complice di torture e di
uccisioni, è complice dell’invasione di un Paese sovrano, è complice di
manifestazioni di un disgustoso razzismo nei confronti di un altro
popolo che è invece molto più civile di noi.

Le televisioni arabe sono migliori delle nostre: esse danno notizie più
che commenti, gli arabi sanno le cose perché vedono le immagini e non
hanno bisogno che vengano loro commentate per capire cosa accade.

Succedono delle cose orrende una dietro l’altra, però noi ci indigniamo
a comando: oggi ci indigniamo per le torture perché ci hanno detto che
dobbiamo indignarci per esse, ma queste torture (che non sono state
particolarmente efferate, né le torture sono una novità in guerra) non
sono peggio di altre cose per le quali invece non ci siamo indignati
perché nessuno ci ha detto di farlo.

Per queste torture un presidente USA ci rimetterà il posto, ma al posto
suo ne verrà un altro che probabilmente non sarà molto diverso.

Qualcuno dice che a Nassirya gli italiani sono stati bombardati perché
consegnavano agli americani i prigionieri iracheni, quindi gli iracheni
vedono gli italiani come complici dei torturatori e responsabili delle
torture inferte. È stato sicuramente un atto di terrorismo bombardare
gli italiani, però è stato motivato dal comportamento dei militari
italiani.

Ed il risultato di questo scandalo delle torture è che adesso i
prigionieri non vengono più torturati per il semplice fatto che adesso
non vengono più fatti prigionieri: adesso si spara a vista, si uccidono
subito i “sospetti”, perché non possono permettersi di fare prigionieri.

A Falluja la realtà è peggiore della fantasia più atroce. Io sono in
contatto con pacifisti USA, la cosiddetta sinistra liberal, che è stata
la prima vittima di questa situazione. Una cosa che tengo a precisare è
che, come non sono antitedesco perché sono antinazista, e difatti le
prime vittime di Hitler furono proprio i tedeschi antinazisti che
furono eliminati, così io non sono antiamericano perché sono contro il
governo di Bush; infatti i pacifisti USA sono le prime vittime di
questa situazione, sono isolati, vengono incarcerati e repressi (e
possono testimoniare che nelle prigioni americane le torture commesse
in Iraq sono all’ordine del giorno, alla fine è stato semplicemente
esportato in Iraq il modello di carcere USA), e tramite le e-mail che
inviano (anche a me) denunciano quello di cui sono a conoscenza; hanno
denunciato la scuola di addestramento per i torturatori, hanno
denunciato il fatto che a Falluja i cecchini USA sparavano sulle
ambulanze, le ambulanze che cercavano di portare soccorso alle donne
incinte che dovevano partorire. A bordo delle ambulanze c’erano
infermieri e medici americani, che facevano vedere fuori dai finestrini
i loro passaporti, ma i cecchini sparavano lo stesso su di loro, anche
se sapevano che erano loro compatrioti, perché, come mi ha riferito un
mio amico medico, dirigente del partito sunnita, chiesto ad un soldato
perché avesse sparato contro l’ambulanza, questo ha risposto “for me is
just a target”, è solo un bersaglio, i generali gli avevano dato ordine
di sparare contro tutto e tutti.

Perché Falluja doveva essere punita come città che sosteneva la
guerriglia; Falluja è una città martire, ha vissuto la stessa storia
del ghetto di Varsavia. A Falluja gli ordini erano di tagliare prima
l’acqua e l’elettricità, poi di scannare i civili. L’ospedale stesso fu
chiuso, occupato dalle truppe americane, che arrestavano e portavano
via tutti i feriti che arrivavano, perché se uno era ferito, dicevano,
era di sicuro un guerrigliero e quindi andava catturato. E così per
quindici giorni l’ospedale di Falluja non ha potuto funzionare.

L’Italia è complice di tutto questo: non è andata in Iraq per aiutare
le ONG a portare soccorsi. Nessuna ONG è andata a lavorare dove c’era
la presenza di militari italiani per non dare loro l’alibi di essere in
Iraq.

Naturalmente sono conscio che i soldati, in genere, sono persone in
buona fede che ritengono di essere lì per fare del loro meglio per
aiutare la gente. Mettono pannelli solari, impiantano ambulatori
veterinari per aiutare gli allevatori, costruiscono pozzi: sono persone
normali che cercano di fare il loro dovere.

Il problema sono le regole d’ingaggio: se le regole ordinano che si
deve fare una determinata cosa, allora i militari devono obbedire.

È stato dato l’ordine di liberare un ponte occupato dai guerriglieri:
allora per liberare questo ponte i militari hanno sparato su chi c’era
sopra, hanno sparato sui civili, hanno ucciso anche bambini. “Perché i
guerriglieri avevano messo davanti i bambini”, hanno detto i comandi
militari, “bisognava sparare per liberare il ponte e se c’erano i
bambini era colpa dei guerriglieri”. Ora, quando si è visto che prima
si ammazzano gli ostaggi e poi si vede di catturare i rapitori? Per
quello che è successo a Falluja bisognerebbe fare un processo per
crimini di guerra: perché è vero che i militari obbediscono agli
ordini, ma qualcuno che dà gli ordini c’è, ed è lui il colpevole.

E questa è la conseguenza della follia militare, perché ogni esercito
diventa criminale quando deve fare la guerra; l’abbiamo visto in tutte
le guerre e da parte di tutti gli eserciti. Ho un amico che era
militare e ha passato delle grane grosse per essersi rifiutato, in
Africa, di obbedire ad ordini non scritti che gli dicevano di usare gli
elettrodi per torturare i civili; ha preteso un ordine scritto che
naturalmente non gli è stato dato, però l’hanno preso di mira e gli
hanno reso la vita impossibile, poi è uscito dall’esercito.

Dicono che l’Italia è andata in Iraq ad aiutare i civili, ma gli aerei
militari non possono essere usati per trasportare feriti civili, così
come i feriti civili non possono essere curati negli ospedali militari.

Inoltre vediamo come si sono comportati i militari (anche italiani) in
Iraq: io penso che un iracheno che ha visto l’occupatore entrare in
casa sua con le armi; che lo ha legato a terra, spogliato ed umiliato
davanti alle sue donne; che gli ha violentato le donne davanti agli
occhi e poi lo ha portato via e gli ha distrutto la casa, quest’uomo
odierà per sempre gli “occidentali”, gli americani e gli europei che
gli hanno fatto questo.

Per questo è necessario che si vada via dall’Iraq, che si lasci la
situazione in mano all’ONU: ma non la stessa ONU che ha votato
l’embargo, un’ONU che ormai è del tutto delegittimata; dovrebbero
invece essere mandati in Iraq soldati islamici di paesi non coinvolti,
indonesiani, pachistani… oppure cinesi, russi, insomma coloro che erano
contrari all’intervento armato USA.

Il ritiro delle truppe potrebbe essere l’unico atto che potrà fermare
questa guerra, non sarebbe un atto vile, ma un atto di giustizia che
potrebbe produrre un effetto a catena per far allontanare anche le
altre truppe d’invasione.

Mi spiego meglio: se noi ce ne andiamo da Nassirya, costringiamo gli
USA a coprire le postazioni lasciate sguarnite da noi, e così se tutti
gli altri eserciti se ne vanno, lasciando soli Stati Uniti e Gran
Bretagna, questi si troveranno con il problema di trovare altre truppe
ed altri fondi da inviare in Iraq per mantenere il controllo del
territorio, e forse questo provocherebbe una reazione contraria delle
popolazioni, che potrebbe spingere i governi a decidere per una
soluzione ONU accettabile. Dove per accettabile intendo dire che gli
USA si troverebbero ad avere fatto tutto questo senza poter portare via
neanche una tanica di benzina, quindi non credo sia una soluzione
realizzabile facilmente.

Ma senza un nostro ritiro la guerra continuerà come guerra civile, la
legge islamica prenderà il posto dello stato laico che noi abbiamo
contribuito ad abbattere: sarà stato un pessimo stato laico, ma almeno
era laico, e dove vigeva un certo ordine (prima della guerra una donna
poteva tranquillamente girare da sola di notte a Baghdad senza dover
temere di venire aggredita, cosa questa oggi inimmaginabile), dove
venivano garantiti dei diritti sociali (le tessere annonarie che
assicuravano alle famiglie il fabbisogno alimentare;
l’ospedalizzazione; l’istruzione), mentre se al suo posto si insedierà
un regime del tipo di quello iraniano, io ho già visto la
preoccupazione delle donne irachene, medici e non, che temono uno
sviluppo del genere che le vedrebbe chiuse in casa senza possibilità di
continuare ad esercitare, lavorare, studiare, vivere.

In effetti per scongiurare il realizzarsi di uno stato islamico l’unica
speranza che ho la ripongo nel voto delle donne irachene che, dopo aver
vissuto libere per tutti questi anni, non accetterebbero supinamente di
diventare come le donne iraniane o, peggio, le donne afgane. D’altra
parte i partiti in lizza con possibilità di vittoria sono ambedue
religiosi e c’è una forte religiosità anche negli strati più colti
della società, per cui c’è la convinzione diffusa che “se Dio lo vuole”
allora bisognerà seguire la legge islamica.

Le caratteristiche con cui la legge islamica verrà applicata, cioè se
saranno ammesse fustigazioni, lapidazioni, burkha ed altro, le vedremo
in seguito, e dipenderà soprattutto da come si comporterà il popolo
iracheno. Ma sarà anche una responsabilità nostra, determinata dal
nostro comportamento, passato e futuro.


Fonte: LA NUOVA ALABARDA
C. Cernigoi, c.p. 57 - 34100 Trieste