(Sullo stesso tema vedi anche:
Imperialismo umanitario, dalla Jugoslavia al Sudan
Testi di F. Grimaldi, J. Elsaesser, P. Catapano -
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3638 )


CAP ANAMUR, SUDAN, IMPERIALISMO EUROAMERICANO IN AFRICA: COMPLICI,
IGNORANTI, UTILI IDIOTI

MONDOCANE FUORILINEA 3/8/04

di Fulvio Grimaldi

 
“Quel che il popolo americano ha imparato dalla guerra del Golfo è che
è molto più facile andare a prendere a calci in culo la gente del
Medioriente, che non fare sacrifici per limitare la dipendenza
dell’America dal petrolio importato” (James Schlesinger, ministro
dell’energia sotto Jimmy Carter, 1992).

 
Posto che la Destra, la borghesia, il capitalismo colonialista e
imperialista, fanno il loro mestiere, ideologicamente abbastanza
dichiarato e, comunque, autoevidente, la vicenda Cap Anamur-profughi
“sudanesi” è da iscriversi a caratteri di granito negli annali delle
vergogne della sinistra italiana e europea (non statunitense, né,
ovviamente, terzomondiale) e dei suoi mezzi d’informazione, con
citazione per particolare ignominia di “manifesto”, tristemente vista
la sua tradizionale dignità, e, non sorprendentemente, di
“Liberazione”, autoproclamati “giornali comunisti”.
 
A quanto nei primi trenta giorni mi è stato dato di leggere, vedere,
rintracciare in rete (ammetto la possibilità di qualche vocina
trascurata), siamo stati in 2 (DUE!) del mestiere, tra Germania e
Italia, a denunciare un tanto efferato quanto trasparentissimo
complotto imperialista contro il più grande paese arabo-africano,
giocato sulla pelle, non tanto di 37 robusti e sanissimi giovanotti
ghanesi e nigeriani, probabilmente strumenti consapevoli
dell’operazione (le loro storie degli “orrori” visti e subiti in un
Darfur dove non erano mai stati, le loro sceneggiate nevrotiche, la
falsa identità sudanese dichiarata a tutti gli
“umanitari” precipitatisi a bordo), quanto degli autentici disperati
che a frotte sfuggono alle sciagure direttamente o indirettamente
inflitte dal colonialismo e dai suoi eredi, mercenari e sodali. I 37
“sudanesi” e i loro padrini tedeschi sono serviti, venuta alla luce la
megatruffa, a sputtanare gli autentici fuggiaschi e richiedenti asilo.
Per la maggiore agibilità dei Bossi-Fini, Turco-Napoletano e Pisanu.
Proprio come, in un’operazione non dissimile, il perugino rossonero
Campo Antimperialista, attribuendo patente di resistenti a squalificati
e truffaldini personaggi anti-iracheni, da decenni nell’orbita Cia, ha
agevolato la criminalizzazione della Resistenza popolare di quel paese
e, grazie al protagonismo di arnesi del neonazismo stragista e
picchiatore italiano, da decenni nell’orbita dei servizi, la sua
identificazione con quel poco di antisemitismo che, tra quelle schiere,
rigurgita in Europa, al di là delle provocazioni e mitizzazioni
sioniste. Quei due eravamo il sottoscritto e Juergen Elsaesser, già
autore del fondamentale “Menzogne di guerra”, opera incontrovertibile
di smascheramento dell’aggressione “umanitaria” alla Jugoslavia e,
dunque, di svergognamento delle sinistre anche allora conniventi.
Meritiamo medaglie? Neanche per sogno. Il nostro è stato il più
elementare esercizio del dovere-diritto di cronaca e di analisi che
tutti, ma proprio tutti i fatti della vicenda e del suo retroterra
storico e politico, consentivano agevolmente, anzi, imponevano.

La grandiosità della cosa sta nella diserzione di tutti gli altri.
Tutti, proprio tutti, si sono avvolti nei caldi panni dell’indignazione
morale e della commozione umanitaria, tralasciando ogni pur minimo
studio, ogni più elementare considerazione sia del Sudan, di cui
nessuno mostrava di sapere un cazzo, al di là delle decennali balle
comboniane, israeliane e imperialiste in genere, né di voler spedire
qualcuno a vedere, sia della Cap Anamur e dei suoi rintracciabilissimi
trascorsi di provocazione al servizio dell’imperialismo occidentale. A
questa cosiddetta “ONG” navigante, “Liberazione”, confermando una
vocazione consolidata all’incompetenza e alla subalternità alle fonti
del nemico di classe, diretta emanazione della strategia del suo
sovrano partitico, non si è addirittura peritata di dedicare un
altamente elogiativo riquadro in neretto intitolato “La nave della
speranza – Quando la salvezza viene dal mare: in azione di 25 anni”.

Dunque i cronachieri del tabloid cartonato di RC sapevano che 25 anni
fa la Cap Anamur era stata protagonista assoluta (10.000 salvataggi e
assordanti clamori mediatici) della “tragedia” del boat people
vietnamita. Gente che, sollecitata da opportune promesse di bengodi
statunitensi ed europei (il modello erano i migranti cubani verso la
Florida, attratti da posti, case e privilegi sicuri), tentava di
lasciarsi alle spalle un paese devastato e impoverito da vent’anni di
carneficine e distruzioni franco-statunitensi e che, a fatica, provava
a rimettersi in piedi sotto un embargo non meno micidiale dello
stragista “agente orange”alla diossina (a proposito di “armi chimiche
in mano a terroristi”). Era con ogni evidenza il tentativo di rivincita
contro gli irriducibili comunisti vittoriosi, modello e istigazione
rivoluzionaria per le masse del mondo. Ma per “Liberazione”, cioè per
Bertinotti e i suoi corifei scribacchini, si trattò di eroismo
umanitario, lì come poi in Somalia, Angola, Etiopia, Afghanistan,
Cecenia (!), Haiti (!), Iraq(!), Sudan, dove “l’associazione – sempre
rimasta indipendente da qualsiasi organo di governo -ancora oggi
raccoglie disperati e profughi persi fra i flutti”. La fonte?
Un’accurata ricerca in Internet, un’indagine presso compagni tedeschi
della cosiddetta “Sinistra Europea”, una domandina ai governi
interessati? Macchè, solo ed esclusivamente la stessa “ONG”, nella
fattispecie il suo dirigente Bernd Goeken. Affidabilità? Ovvia, l'ha
detto la tv…

Ricapitoliamo. E basterebbe già. Il 20 giugno – dicono il capo della
“ONG”, il tedesco Elias Bierdel, e il suo capitano Stephan Schmidt – i
37, tutti maschi, tutti giovani e gagliardi in piene forze (non s’era
mai visto), sarebbero stati pescati a largo di Malta; il 24 la Cap
Anamur entra in un porto di Malta dove le toccherebbe, per diritto
internazionale, depositare i profughi. Non lo fa, più tardi giustifica
la sosta a Malta con un guasto. Trova che la vicenda susciterebbe
maggiori echi nel mondo se si approdasse in Italia. Gira per altri 5
giorni nel Mediterraneo, stranamente visto che secondo i naviganti e
gli “umanitari” che si sono precipitati a bordo (Legambiente, Arci,
Acli, Caritas, Emergency, l’oscura Medici Senza Frontiere, la
spionistica Reporters Sans Frontieres, l’inquietante ICS “tutto per gli
albanesi, niente per i serbi”, parlamentari sinistri, e tutta la
compagnia di giro già fattasi sostegno alle menzogne Nato in
Jugoslavia) i profughi sarebbero allo stremo, fisico e psicologico,
viste le orrende immagini del “loro” Darfur con stupri, incendi,
massacri, rapimenti, che ancora gli sconvolgono corpo e mente ( e qui
si sono distinti per Gran Guignol strappasinghiozzi soprattutto qualche
padre comboniano e Massimo Serafini, precipitatosi sul posto con la
“Goletta Verde”). Il 29 giugno, dopo ben nove giorni di inspiegabile
girovagare con i “disperati esausti e a corto di acqua a viveri”
(gliene hanno portato da affondare la nave), Bierdel chiede di sbarcare
a Lampedusa. Ottiene di attraccare a Porto Empedocle, da un governo
italiano perfettamente al corrente dell’imbroglio (e che non mancherà
di utilizzarlo contro successivi, autentici profughi), il 12 luglio.
Succede ancora un po’ di trambusto attorno all’arresto dell’equipaggio,
rapidamente azzerato dall’indignazione umanitaria generale, e
all’espulsione dei falsi “sudanesi”, falsi fuggiaschi da falsi orrori,
che, rientrati in Ghana e Nigeria e tirati per le orecchie per aver
rinnegato la patria, tornano tranquillamente ai loro villaggi. Villaggi
da cui chissà chi li aveva estratti.

Dopo aver attirato sul Sudan la riprovazione e la commiserazione di
tutto il mondo, dei delinquenti colonialisti, dei complici travestiti
da samaritani e degli utili idioti, la storia di spie, provocatori e
mercenari, elevata a manifestazione autoesaltante, politically
correct,di tutto il perbenismo cialtrone o ignorante internazionale,
poteva dirsi esaurita, ma vincente. Nei giorni successivi, innescate da
Bierdel e soci, partono le cannonate propagandistiche e di avvertimento
contro il Sudan: Washington, Londra, Berlino, Parigi, ONU e Nato
ventilano sanzioni e interventi. La corsa degli imperialismi verso il
petrolio, gli oleodotti e la sovranità e unità del Sudan, paese che
diversamente da Angola, Nigeria, Senegal, Marocco, Muaritania, Niger,
Ciad, Mali, Uganda, Kenia, Etiopia, Eritrea, non regala i suoi minerali
alle multinazionali e non accetta basi e “istruttori” USA, è partita.
Il Consiglio di Sicurezza, infervorato di umanitarismo non meno che al
tempo dello sbranamento della Jugoslavia e, poi, dell’avallo
all’occupazione e ai suoi fantocci in Iraq, scaglia tuoni, fulmini e
sanzioni. Powell sfanfareggiava ai quattro venti sul “genocidio nel
Darfur”. La scena è pronta, lo spettacolo può iniziare. Grazie Cap
Anapur.

Storia di spie, provocatori e mercenari? Ohibò, non ci andiamo giù un
po’ pesanti? Che diranno mai gli umanitaristi non violenti,
muncipalisti e partecipazionisti della “Sinistra radicale e
innovata”? Dovunque, in passato, colonialisti e imperialisti hanno
cercato di infilare tentacoli, la Cap Anamur era lì, a pescare nel
torbido, esibendo una volta 10.000 vietnamiti, un’altra milioni di
kosovari in fuga e un’altra 37 “sudanesi”. Fondata nel 1979 da Rupert
Neudeck, si è data lustro ripescando i boat peoplevietnamiti “in fuga
verso un occidente prospero e libero”, definitiva “satanizzazione” dei
vietnamiti e dei comunisti. In Congo, a mestare contro Kabila, quando
fu cacciato il dittatore Mobutu, Neudeck si manifesta anche all’assalto
dell’ideologia socialista partecipando dal largo della Corea del Nord
alle pressioni militari e propandistiche statunitensi, per poi dare un
contributo fondamentale all’aggressione, prima tedesco e papalino e poi
di tutto l’Occidente, (ricordare il sergente non pentito D’Alema, in
corsa verso la presidenza della Repubblica sottobraccio al compagno
Bertinotti) alla Jugoslavia, sostenendo le storie-horror del ministro
Rudolf Scharping e di Madeleine Albright (la cannibala di Iraq e
Jugoslavia, recuperata alle guerre giuste e ben fatte da John Kerry).
Entra in campo al suo fianco Elias Bierdel, all’epoca ancora
corrispondente della Tv tedesca ARD, che rafforza l’intento squartatore
con sanguinolenti aneddoti antiserbi e antipalestinesi raccattati qua e
là. Dal 2003 è il successore di Neudeck. Battesimo del fuoco per
ottenere la qualifica di spia e provocatore, i 37 “sudanesi” e la farsa
del Canale di Sicilia.

Sorella e sostenitrice della Cap Anamur è la tedesca Gesellschaft fuer
Bedrohte Voelker (Associazione per i popoli minacciati, APM), che ha
anche una sezione sudtirolese nella quale si è distinto il presunto
“pacifista interetnico” Alex Langer, sudtirolese, sodale del
provocatore e disinformatore Adriano Sofri, allorché invocava
l’intervento bombarolo della Nato contro la perversa etnia serba e si
agitava per agevolare l’aggressione Nato e la fine dell’interetnicità
socialista nei Balcani. Dal compagno Giuseppe Catapano, che ha
effettuato in proposito una ricerca che sarebbe spettata ai ben più
attrezzati giornali di sinistra, apprendiamo che l’APM si è adoperata
più di tutti perché il governo tedesco difendesse e liberasse Bierdel e
compari. Finta di sinistra, come la Cap Anamur, l’APM ha una sezione
anche in Bosnia, che lavora con zelo per la secessione del Kosovo e del
Sangiaccato in Serbia. Per anni ha gestito l’illegale università
parallela albanese di Pristina, etnicamente pulita, finanziata dal
destabilizzatore finanziario George Soros e sostenuta con i fondi del
narcotraffico degli indipendentisti UCK, istruiti dall’amerikana Al
Qaida. Sempre l’APM, non ha fatto mancare il suo sostegno alle
“minoranze oppresse” nel Caucaso, a partire naturalmente dai
filotedeschi terroristi ceceni, pure rinforzati dall’amerikana Al Qaida
(per il “manifesto” e “Liberazione”, prodighi di attribuzioni
terroristiche a palestinesi e iracheni, trattasi di “ribelli” e
“guerriglieri”),per finire con gli analogamente filotedeschi tartari
della Crimea. Massimo appoggio viene poi riservato, non tanto alle
legittime nostalgie, quanto al revanscismo dei tedeschi cacciati dai
Sudeti, dalla Transilvania, dalla Slesia, dal Don e da Danzica.

In Italia il comitato dei garanti dell’APM vede la presenza del noto
medievalista di estrema destra e di Campo Antimperialista, Franco
Cardini, e di Sergio Salvi, autore di un libro intitolato “L’Italia non
esiste” (Camunia, Firenze, 1996). L’associazione del defunto Langer e
soci ha rapporti stretti con le riviste della “nuova” destra radicale
comunitarista (“Frontiere”) e con lo chauvinismo croato attraverso
l’Associazione Culturale Italia-Croazia di Sandro Damiani. Innumerevoli
i proclami per l’autodeterminazione del Kosovo, spesso ospitati da un
–auguriamocelo – inconsapevole “manifesto”, giornale ingannato non di
rado dalle facciate libertarie-ecologiche-sociali-umanitarie di queste
conventicole collateraliste.

Quanto stretto sia il legame tra questa gente e gli ambienti della
riconquista coloniale occidentale è saltato agli occhi in primis grazie
al sincronismo tra l’operazione Cap Anamur e le mosse della cancelleria
tedesca, precipitasi sul boccone petrolifero sudanese prima ancora che
Colin Powell riuscisse a completare davanti al Consiglio di Sicurezza,
dove ha contro una Cina già ampiamente introdotta in Sudan e una
Francia che, invece, vorrebbe la sua fetta, la frase “genocidio nel
Darfur”. Facendo passare per sudanesi i passeggeri della nave, al
ministro degli esteri Joshua Fischer è stata offerta l’occasione di
“dirigere tutti i fari dell’opinione pubblica mondiale sul Sudan”.
Heidemarie Wieczorek-Zeul, ministra per i paesi emergenti, e Gerhard
Baum, ex-ministro degli interni, hanno tempestivamente proposto un
intervento militare. Kerstin Mueller, sottosegretaria agli esteri,
ricupera la “pulizia etnica” e la “guerra di espulsione”, Christa
Nickels, presidente della commissione parlamentare per i diritti umani,
non si avventura nel Darfur – come del resto nessuno dei trombettieri,
dalle cancellerie occidentali a “Liberazione” - ma si dichiara certa
che in Darfur “è in atto, in sostanza, un genocidio”. Dal Darfur, un
capo ribelle, eccheggia, con meravigliosa conoscenza di causa e
effetto: “Questa è la nostra Sebrenica”. Quando si dice le sinergie!

Sullo sfondo, la reale vicenda sudanese, di un paese in cui
ripetutamente ho assistito di persona a come l’imperialismo sionista,
cattolico e statunitense, ora anche europeo, da almeno 40 anni, cioè
dall’indipendenza e dall’ascesa al potere di successivi governi
nazionalisti ed antimperialisti, cerca di sfasciare e ridurre
all’obbedienza, con particolare accanimento da quando, dieci anni fa,
si sono scoperti, accanto all’acqua e alla fertile agricoltura, ricchi
giacimenti di idrocarburi. E’ bastato che il governo centrale di questo
paese, tradizionalmente laico e con un’intellighenzia assai evoluta –
che mai ha tentato di imporre la legge coranica agli animisti e ai
pochissimi cristiani del Sud – riuscisse a combinare una pace con le
varie bande ribelli del Sud, specialiste in stragi reciproche, ma
dall’Occidente armate e pubblicizzate, che subito si è aperta l’altra
morsa della tenaglia attorno alla sovranità e unità del paese: le
divergenze tra musulmani nomadi e contadini musulmani nel Darfur, area
opportunamente piagata da un’avversità ambientale che è in massima
parte responsabilità dello “sviluppo” occidentale e del sottosviluppo
in cui i britannici, cacciati nel 1959, lasciarono, come ovunque, lo
loro colonia. Già qualche anno fa mi ero inoltrato con un ottimo
ambasciatore italiano (altri tempi!) in profondità nel Darfur. Già
allora la siccità provocava carestie spaventose e fughe in massa,
allora, non istigate e mascherate, proprio come in Kosovo, da atrocità
governative, verso il centro Sudan, ma allora la "comunità
internazionale umanitaria" era totalmente assorbita dalla necessità di
destabilizzare il sud dei secessionisti neri e al Darfur non dedicava
nè una pagnotta, nè "forze di liberazione".  

Da lì le versioni del tutto unilaterali e, come nel caso dell’Iraq e
della Jugoslavia, razzisticamente sprezzanti verso le rettifiche delle
autorità statali sudanesi, su “bande di milizie arabe janjawid” che
sterminerebbero e espellerebbero i poveri contadini: leggende orrifiche
di tipo “kosovaro” mai verificate, “milioni” di profughi nel Ciad amico
degli USA (come l’Uganda, da sempre fomentatore della secessione
meridionale), “centinaia di migliaia” di massacrati, gente e villaggi a
gogò bruciati, gli inevitabili stupri, voracemente illustrati da certi
monumenti femministi, fino agli “orrori dipinti negli occhi dei 37
sudanesi” mai stati in Sudan. E, inevitabili, le “forze della
democrazia”, variamente intitolate “Movimento per la giustizia e
l’eguaglianza”, o “Esercito di Liberazione del Sudan” (del Sudan,
capite, mica del solo Darfur!), ontologicamente buone, come l’UCK
kosovaro, o gli stragisti di civili ceceni, con il corollario dei
santuari nel paese “amico” filo-USA, Ciad, e dei mai menzionati
armamenti forniti da misteriosi umanitari a stelle e striscie (ma,
nella vulgata umanitaria, “strappati ai governativi”). Ed ecco l’ esito
pianificato, talmente banale, scontato e ripetitivo da ricordare i
“selvaggi senz’anima” dei missionari (non per nulla la bandiera morale
è agitata dai monaci comboniani che da cent’anni, con il pretesto delle
scuole e delle cliniche private, rompono i coglioni ai sudanesi): la
grandinata degli annunci di “interventi umanitari” delle potenze
occidentali, in gara per sbranare il paese e rapirne le ricchezze nel
quadro della generale “normalizzazione” del Medio Oriente e della
ricattura euro-statunitense dell’Africa, in questo caaso soprattutto
del petrolifero Sahel.

A questo proposito, è opportuno un cenno sulla progressiva
militarizzazione dell’Africa sahariana e subshariana da parte delle
amministrazioni Clinton e Bush e, prima, la vicenda dell’infiltrazione
tedesca in Sudan.

E’ per iniziativa degli USA e dell’UE, quest’ultima sospinta da
Berlino, che il Consiglio di Sicurezza ha licenziato una risoluzione
che, pur non nominandole espressamente, consente sanzioni contro il
Sudan. Nuove sanzioni, visto che sono in vigore dai tempi
dell’indipendenza di quel paese riottoso – e anche in disputa con
l’Egitto, “nostro amico”, per la gestione delle vitali acque del Nilo,
accaparrate in misura sproporzionata dal Cairo - sanzioni, variamente
giustificate, degli USA e, a intermittenza, degli europei. Sono stati i
tedeschi e i britannici a esercitare il massimo della pressione morale
sulla necessità di intervenire militarmente, ricorrendo alla
drammatizzata rappresentazione della disperazione nella provincia
occidentale del Darfur . Pressione denunciata ripetutamente dal
ministro degli esteri sudanese Mustafa Osman Ismail, già artefice
dell’accordo con i secessionisti del Sud, che a costoro concede buona
parte dei proventi del petrolio a scapito della collettività nazionale
(vedi Croazia), nonché un referendum sull’indipendenza tra sei anni. A
nulla è servita questa davvero generosa disponibilità di Khartum,
neanche a impedire che i negoziati con i “ribelli” del Darfur,
ripetutamente avviati dal governo, venissero da costoro ripetutamente
sabotati, nonostante l’impegno del presidente Omar El Bashir ad
adoperarsi per la pacificazione della provincia entro il tempo
impossibile di 30 giorni, arbitrariamente imposto dall'ONU contro il
precedente impegno di 90 giorni concordato con Kofi Annan. 

Per i tedeschi c’è in ballo un grosso affare. Bypassando con
disinvoltura predatrice le legittime istituzioni sudanesi, sotto gli
auspici di Berlino, la multinazionale tedesca di infrastrutture
Thormaehlen Schweisstechnik ha concluso in Kenia un accordo con gli
esponenti del Sud Sudan per la costruzione di un corridoio ferroviario,
stradale e di oleodotti di 2.500 km, tra la capitale della provincia
meridionale Juba, sprofondata in giacimenti di petrolio, oro e uranio,
attraverso il fidato Uganda, fino a Mombasa nel fidato Kenia. Oggi le
vie di comunicazione e di trasporto dal Sud portano tutte al Nord,
verso Port Sudan e rimangono quindi sotto controllo governativo. Un
progetto con cui l’impresa tedesca favorisce oggettivamente lo
smembramento del paese. “Si tratta dell’arteria femorale della nostra
indipendenza”, si è infervorato Costello Garang, leader di una delle
tante bande secessioniste alimentate dall’esterno. Al contrario, a
rafforzare con il governo l’asse sud-nord, che finora ha tenuto insieme
il grande paese multietnico, si sono impegnati paesi come Russia, Cina,
Malaysia. Il loro contributo di 1,7 miliardi di dollari è però poca
cosa rispetto ai 3 miliardi offerti dai tedeschi. Del resto, è da tempo
che il neocolonialismo di Berlino tiene gli occhi puntati su quest’area
dell’Africa, in evidente competizione con quanto gli USA vanno facendo
sul fianco occidentale e nel Sahel: con sostegno tedesco sta per
partire tra Kenia, Uganda e Tanzania un’unione economico-monetaria, cui
dovrebbero associarsi presto i secessionisti del Sud Sudan, con il
risultato di evidenti tensioni diplomatiche tra i filo-occidentali,
oltrechè corrottissimi, regimi di Uganda e Kenia, da un lato, e Khartum
dall’altro.

Non restano fuori dal gioco gli statunitensi che, fin dai tempi del
primo mandato Clinton, hanno intrapreso una massiccia campagna di
penetrazione e militarizzazione soprattutto dei paesi della Costa
Occidentale e del Sahel. La definitiva presenza militare degli USA, in
forma di basi permanenti, truppe e “istruttori” delle forze armate
locali, è stata sancita il 23-24 marzo scorsi a Stoccarda, quando i
capi di stato maggiore di Ciad, Mali, Mauritania, Marocco, Niger,
Senegal e Tunisia hanno partecipato per la prima volta a una riunione
presso la sede del comando europeo dell’esercito statunitense
(Us-Eucom). Tema: “La cooperazione militare nella lotta globale contro
il terrorismo”. L’autoattentato dell’11 settembre 2001 dei golpisti al
potere a Washington è servito anche a questo. E per la prima volta,
forze armate di Washington hanno partecipato nel marzo 2004 a
operazioni militari in quattro paesi del Sahel: Ciad, Mali, Niger e
Algeria, in quell’Algeria che gli USA stanno da anni destabilizzando e
ricattando proprio manipolando il terrorismo, di patronato Al Qaida,
cioè Cia e Mossad, del Gruppo Salafista per la predicazione e il
combattimento.  E’ con l’alibi della lotta a questi agenti
dell’imperialismo, che gli USA hanno fornito armi in particolare al
Ciad, con ogni probabilità per sostenere la ribellione dei movimenti
nel Darfur (dove abitano sei dei 22 milioni di sudanesi). E all’interno
della corsa statunitense al petrolio e ai minerali africani, con
obiettivi Angola, Nigeria, Zambia, il ribelle Zimbabwe di Mugabe, il
Congo, il Senegal, e il Sudan che prendono vita via via mezzi e
strutture colonialiste statunitensi più articolate e potenti, come la
Pan Sahel Iniziative, l’African Crisis Response Iniziative, l’African
Center for Strategic Studies, emanazione diretta del Pentagono,
l’Africa Contingency Operations Training Assistance“per il mantenimento
della pace e per l’aiuto umanitario”.

Come scrive il giornalista francese Pierre Abramovic, analista
dell’Africa, “Nell’arco dei prossimi dieci anni, il continente africano
diventerà, dopo il Medioriente, la seconda fonte di petrolio, di gas
naturale e di minerali indispensabili degli Stati Uniti”. Due percorsi
strategici sono al centro del pensiero militare americano: a ovest
l’oleodotto Ciad-Camerun verso l’Atlantico e, a est, l’oleodotto
Higleig-Port Sudan. Il Sudan, orgogliosamente indipendente, sta nel
mezzo. Sul posto, in Ciad, ci sono già i mercenari del MPRI, la massima
compagnia USA di assistenza militare al Pentagono, collaudata in
Kosovo, Bosnia, Macedonia e Iraq. L’intera campagna politico-mediatica
del Darfur, cui la Cap Anamur ha fornito pozzi di carburante, e
l’intervento “umanitario” di Bush, Blair, Schroeder e del Consiglio di
Sicurezza sono da collocarsi su questo sfondo. Difficile? No, a
disposizione di tutti. Per la maggiore vergogna dell’informazione
cosiddetta alternativa e di “sinistra radicale”, insieme al suo codazzo
del “volontariato umanitario”.

P.S. Si direbbe che il capo di un partito sedicente comunista dovrebbe
prendere provvedimenti contro quei suoi collaboratori esteri e
giornalisti internazionalisti che di tutto questo al pubblico italiano
non hanno fornito neanche un’ acca, anzi hanno corroborato con
entusiasmo degno di miglior causa l’enorme inganno teso a favorire il
ritorno a ferro e fuoco dell’imperialismo nei confronti dei popoli.
Nulla del genere, come abbiamo visto. Anzi, nei confronti di un modesto
informatore come il sottoscritto, ha "agito" (cambiare l'intransitivo
in transitivo è una di quelle radicali innovazioni che piacciono al
capo) la mannaia inquisizionista del Collegio Federale di Roma, con la
sospensione di nove mesi dal partito per aver difeso Cuba, Milosevic,
la resistenza irachena, l’Intifada palestinese e aver schifato le
piroette liberaldemocratiche ed entriste del vertice (provvedimento la
cui esecutorietà è stata per ora sospesa dal meno obbediente Collegio
Nazionale di Garanzia, “per evidente mancanza di motivi di gravità”).
Intanto il “giornale comunista” “Liberazione” va per la sua strada. Il
29 luglio con un’intera copertina dal- l’agghiacciante titolo “MASSACRO
DI DISOCCUPATI”, dedicato all’operazione della Resistenza irachena a
Bakuba contro l’esercito di collaborazionisti in formazione, addestrato
alla liquidazione e, come provato, alla tortura dei combattenti per la
libertà e la sovranità del paese; con un editoriale di prima pagina del
dirigente per gli esteri dal nome-burla, Migliore, il 3 agosto, in cui
del tutto sprovvisto dell’elementare capacità di classe, ma anche di
semplice mestiere, di distinguere tra atti della resistenza vera e
terrorismi della provocazione eterodiretta (come se in Italia non ci
fossero state le stragi di Stato), si ripete l’anatema contro “gli
attentati alle lunghe file di chi cerca lavoro” ( i partigiani che
colpivano i collaborazionisti dei nazirepubblichini si rivoltano nella
tomba) e, butta insieme le operazioni autentiche della resistenza con
l'assoldato Mossad e Cia e inquinatore della resistenza, Al Zarkawi,
gli attentati alle moschee, universalmente riconosciute come di matrice
israelo-statunitense per frantumare l’unità dello sforzo liberatore
iracheno, e, infine, le bombe contro le chiese cristiane,
evidentissimamente dello stesso stampo, ma dal Migliore definite
“scontro di civiltà”, per la maggiore gloria e soddisfazione di
Huntington, Bush e Berlusconi. 

Terminiamo con una frivolezza femminile. Cercatevi il “commento” di
Ritanna Armeni, una dama che fa la portavoce del leader maximo e,
ohibò, è l'annunciata co-conduttrice della spia Giuliano Ferrara a
“Otto e mezzo”, del 28 luglio. Qui si trascorre felicemente, nella scia
dell’alleanza D’Alema-Bertinotti e Sinistra Europea-UE, dalla donna che
rigetta la rincorsa dell’uomo nella sua scalata maschilista delle
gerarchie borghesi e capitaliste, nientemeno che all’esaltazione di
autentiche emancipate, seppure in un contesto diverso, "tutto da
rispettare" peraltro, come Hillary Clinton, Teresa Heinz Kerry,
Elizabeth Ananaia Edwards. Incrdibile? Troverete questi concetti:
“Superando una visione dell’emancipazione tutta europea”, queste
coniugi si sono emancipate “nella giovane società americana dove altra
è la funzione della famiglia, altro il suo ruolo istituzionale e
religioso” e, dunque, “la via dell’emancipazione e della liberazione
non è univoca né certa. Quella che ci mostra in questi giorni la
convention democratica americana può essere una di queste (sic!). Una
forma nella quale il supporto al ruolo del consorte nulla toglie alle
personali aspirazioni, al personale desiderio di far politica. Del
resto le donne sono abituate a cercare escamotage e scorciatoie”. Così
parlò la First Lady del PRC, che, evidentemente, di “escamotage e
scorciatoie” è ottima intenditrice. Così si inebriò dell’ascesa di
donne nell’ombra e nella collusione con tre uomini che quattro quinti
dell’umanità considerano criminali provati o promessi. Da Rosa
Luxemburg a Hillary Clinton. Bel salto. Mortale.  

Il resto, cari amici, è silenzio. Fino al ritorno dal Venezuela.