Quelli che vogliono squartare la Russia (9)

1. LE AZIONI DELLE AUTORITA’ RUSSE E IL FRONTE UNITO CONTRO PUTIN
(Dmitrij Jakushev - http://www.left.ru)

2. Sangue, potere e petrolio. Partita mortale tra le macerie di Grozny
e Beslan (Giacomo Catrame - UMANITA' NOVA)

3. Una nuova lettera a Liberazione di MAURO GEMMA: Sui numeri di
Bertinotti sulla Cecenia...


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LE AZIONI DELLE AUTORITA’ RUSSE E IL FRONTE UNITO CONTRO PUTIN

di Dmitrij Jakushev

http://www.left.ru/2004/13/yakushev112.html


All’ultima sequela di atti di diversione, le autorità russe hanno
risposto con il cambiamento del sistema di elezione dei governatori e
dei presidenti delle repubbliche, con il passaggio alla formazione
della Duma di Stato esclusivamente sulla base di liste di partito, ed
anche con la fusione di “Gasprom” e di “Rosneft”. Tutte queste azioni
rispondono pienamente alla logica del rafforzamento delle posizioni del
potere centrale in tutti gli ambiti. Proprio così sono state valutate
dai più autorevoli “media” russi e stranieri. Come ci si doveva
attendere, i tentativi di rafforzare economicamente e politicamente il
potere centrale russo, hanno provocato in questi stessi “media”
un’ondata di indignazione.

Si è agitata in particolare la stampa occidentale. Basti citare i
titoli dei più autorevoli giornali europei e americani: “La Russia
potrebbe intossicarsi con la medicina di Putin” (“The Financial Times”,
Gran Bretagna), “Ogni dittatore ha bisogno della sua Beslan” (“The
Times”, Gran Bretagna), “Come rispondere al putch di Putin” (“The
Washington Post”, USA), “La democrazia del KGB” (“The Wall Street
Journal”, USA), “Le nuove tendenze economiche: “Gazpromizatsja” e
“Jukosizatsja” (“The Financial Times”, Gran Bretagna), “Il monopolio
energetico: veleno per l’economia russa” (“Die Welt”, Germania) “Putin
ritiene che in Russia ci sia un deficit di dittatura” (“Die Presse”,
Austria), e altri dello stesso tenore.

Colpisce il livello particolarmente mediocre di tutto questo
giornalismo. In generale, salvo qualche rara eccezione, nella lettura,
non è necessario andare oltre i titoli di tutti questi articoli.
Dovunque ricorre il cliché dell’agente del KGB, della dittatura,
dell’abbandono delle riforme, del ritorno ai tempi dell’URSS. Ancora
una volta si ha la conferma che la libertà di parola, nelle condizioni
dell’imperialismo, è prerogativa delle forme più primitive di
propaganda.

Per noi l’importante è che tutta questa – se si utilizza il termine del
conduttore del programma “Però” Mikhail Leontyev – “mediatica” dimostra
eloquentemente l’intimo rapporto esistente tra l’imperialismo e il
moderno potere russo. Nel “Washington Post”, il giornale portavoce
dell’establishment USA, il collaboratore dell’istituto Carnegie Robert
Kegan scrive: “la dittatura in Russia non è meno pericolosa per gli
interessi USA, della dittatura in Iraq”. Dal che si deduce quale
potrebbero essere le misure nei confronti della Russia, quando se ne
presenterà l’occasione. Come si può allora criticare le autorità russe
per il deciso incremento dei fondi destinati alla difesa?

L’atteggiamento dell’Occidente imperialista nei confronti delle Russia
e delle sue autorità del momento dimostra in modo convincente anche il
fallimento della politica che Putin aveva intrapreso per far entrare la
Russia nel club imperialista. Non vi verrà mai inclusa, come si sarebbe
dovuto capire già in precedenza. La Russia interessa all’Occidente,
come territorio da cui poter estrarre petrolio e gas, senza alcun
riguardo per la popolazione locale, e non come partner paritario
nell’ambito del club imperialista. Così, è evidente che l’Occidente
preferirebbe la prosecuzione della politica eltsiniana, fino alla
dissoluzione dello stato unitario. E per perseguire ciò sono
indispensabili politici del tipo Rizhkov e Javlinskij (noti esponenti
liberali, nota del traduttore), non certo Putin. Non c’è dubbio sul
fatto che le autorità russe comprendono in pieno questa situazione. Ma
sorge la domanda: sono pronte a cambiare la loro politica? E ci sono
nella società e nella classe dirigente le forze su cui appoggiarsi per
ottenere ciò? Si capisce che, per cambiare la politica in senso
antimperialista, il presidente borghese Putin dovrebbe individuare
nella classe dirigente un partito patriottico su cui anch’egli,
innanzitutto, potrebbe contare. Oppure questo stesso partito dovrebbe
delinearsi ed esigere da Putin una politica antimperialista e, nel caso
egli si dimostrasse inadeguato nel far fronte alla situazione, dovrebbe
proporre al paese un nuovo leader.

Nel frattempo, alcuni segnali positivi nelle azioni delle autorità
russe, che parlano della possibilità di un serio cambiamento del
vettore politico, sono visibili già oggi. La Russia ha dato
l’impressione di schierarsi più apertamente e decisamente dalla parte
dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia, il che dà la speranza che la
volontà dei popoli di queste repubbliche di riunificarsi alla Russia
verrà realizzata e che essi non saranno lasciati alla mercé del regime
di Saakashvili. All’incontro dei capi di stato della CSI ad Astana (nel
Kazakhstan, dove si sono fatti grandi passi avanti nella definizione di
uno spazio economico comune eurasiatico e dove i leader di Kazakhstan,
Bielorussia e Ucraina hanno inteso difendere Putin dagli attacchi
occidentali dopo la tragedia di Beslan, nota del traduttore), Putin,
per la prima volta, ha parlato in modo inaspettatamente benevolo di
Lukashenko, da cui in precedenza era solito prendere le distanze. E’
naturale che, quando Putin pensava di essere in procinto di entrare nel
club imperialista, il suo atteggiamento nei confronti di Lukashenko,
che l’imperialismo aveva definito malfattore internazionale e canaglia,
fosse in notevole misura sprezzante. Non conviene certo avere rapporti
amichevoli con i malfattori e le canaglie. Ora, invece, sembra quasi
che Putin abbracci il caro amico Lukashenko e affermi che lo ha sempre
amato come un fratello. Chissà cosa succederà, quando l’Occidente
presenterà anche Putin come un malfattore.

In Russia le energiche misure assunte da Putin per la centralizzazione
del potere e il rafforzamento del controllo statale sul settore del
petrolio e del gas rappresentano il catalizzatore di un processo,
avviato da lungo tempo, di formazione di un fronte unito contro il
presidente che va da Maskhadov e Kasparov fino a Zjuganov e Tiulkin
(presidente del Partito Comunista Operaio Russo). L’opinione che del
regime hanno tutte queste, a prima vista, diverse forze, è
letteralmente coincidente. Dovunque, in primo piano viene posta la
democrazia borghese che, nel contesto dato, significa solo libertà di
saccheggio della Russia per le compagnie multinazionali, e dovunque
viene completamente dimenticato il ruolo dell’imperialismo e la
posizione del regime di Putin nei suoi confronti. E’ comprensibile che
“non si accorgano” dell’imperialismo Javlinskij o Kasparov, ma
convenite che è strano che a non voler riconoscere il suo ruolo siano
Tiulkin o Zjuganov. Allora spontaneamente sorgono gli interrogativi
sugli sponsor oligarchici dei “comunisti” e sul loro ruolo nella
formazione dell’attuale posizione dei partiti formalmente di sinistra.
Questo fronte unito contro Putin, senza ombra di dubbio, verrà
appoggiato da molti governatori, dal grande capitale privato e
dall’imperialismo straniero.

Una descrizione precisa della manifestazione congiunta di PCFR e “Mela”
(il partito liberale di Javlinskij, tra i maggiori fruitori dei
finanziamenti dei gruppi oligarchici, nota del traduttore), con la
partecipazione della Novodvorskaya e dei nazionalisti tatari, è offerta
dal giornale “Kommersant” del 17 settembre: “Il conduttore del meeting,
il leader dell’ala giovanile di “Mela” ha dato la parola a Valerja
Novodvorskaya, leader di “Unione Democratica” (formazione legata
all’oligarca Berezovskij, “esule” in Gran Bretagna, nota del
traduttore), che in quel momento stava concedendo un’intervista a
giornalisti occidentali…Ma, indicando una bandiera dell’URSS, impugnata
da uno dei comunisti intervenuti al meeting, ha risposto che non
sarebbe intervenuta, “fino a quando da qui non se ne vanno quegli
idioti di comunisti”. Al posto della signora Novodvorskaya è
intervenuto il primo segretario del comitato cittadino di Mosca
Vladimir Ulas (che ha sostituito il leader della sinistra del partito
Kuvayev, tra i fondatori del “Partito Comunista Panrusso del Futuro”,
che raccoglie parte consistente del vecchio gruppo dirigente del PCFR,
nota del traduttore), il quale ha annunciato “che guarda con
soddisfazione all’unità raggiunta tra PCFR e “Mela”.

La Novodvorskaya e il PCFR a ranghi serrati: non è un aneddoto, ma,
come possiamo constatare, un dato di fatto. Non è neanche un segreto
che PCFR e “Mela” abbiano sponsor in comune e, di conseguenza,
posizioni comuni e manifestazioni comuni.

Ecco, a proposito, anche un frammento della dichiarazione del leader
del PCOR Tiulkin in merito alle riforme proposte degli organi di
potere, la quale, nel complesso, se non fosse per il rituale
riferimento al socialismo, non si differenzia praticamente in nulla
dalle valutazioni dei partiti neoliberali e della stampa occidentale ed
oligarchica russa:

“In pratica si propone di introdurre un meccanismo di nomina dei
governatori, che segue la precedente riforma della camera alta,
trasformandola di fatto in un organo svuotato di funzioni, composto
sempre di più da uomini vicini al presidente, non comprendente nessun
esponente dell’opposizione. Esso avvicina il moderno sistema politico
russo all’assolutismo dei tempi di Nicola “il sanguinario”. Non si
possono nutrire dubbi sul fatto che la proposta di introduzione del
sistema proporzionale puro di elezione della camera bassa, unitamente
alla riforma del sistema elettorale e della legislazione sui partiti
politici, farà in modo che in pratica nel paese venga annientato il
cosiddetto multipartitismo politico, e che in tutti i rami del potere
rimanga un solo partito: il partito del sostegno alla persona del
presidente…Il sistema della cosiddetta “direzione anticrisi”, creato da
Putin, sfocerà nella formazione di uno stato di polizia con la continua
paura dei cittadini di fronte al pericolo di nuove tragedie, con il
controllo totale da parte delle strutture di sicurezza della vita
politica e privata dei cittadini, con la definitiva trasformazione dei
diritti e delle libertà democratici in una finzione”.

E’ evidente che in questa dichiarazione non c’è nulla dell’essenziale
che un comunista avrebbe l’obbligo di dire. E in che cosa consiste
l’essenziale? Che le azioni di Putin sono provocate dalla necessità di
rafforzare lo stato di fronte all’imperialismo, che cerca di farlo a
pezzi. Questo pensiero è stato espresso con chiarezza nelle
dichiarazioni del presidente. E allora, chi, se non i comunisti, è
obbligato a dire che non si può respingere l’imperialismo, se si resta
sul terreno della proprietà privata, del mercato, vale a dire sul
terreno del capitalismo, su cui anche l’imperialismo è sorto. Che le
azioni di Putin da sole non potranno salvare la Russia
dall’annientamento: ecco cosa è obbligato a dire un comunista.

Che è indispensabile un movimento di massa antimperialista, socialista,
che è necessaria una decisa espropriazione delle corporazioni, che è
necessaria una lotta senza quartiere contro la “quinta colonna”,
rappresentata dalla propria borghesia, che aspetta di vedere
l’instaurazione del dominio imperialista in Russia, nella convinzione
che solo l’imperialismo è in grado di garantire le sue posizioni. Nulla
di ciò o di simile a ciò è riscontrabile nelle posizioni di Tiulkin e
nemmeno in quelle di Zjuganov. Del resto, non potrebbe andare
diversamente.

Il fatto è che, approdando all’unità con i neoliberali, non è possibile
per definizione approntare un programma comunista. Come è possibile, in
alleanza con “Mela” e “Comitato-2008” (accozzaglia di ultraliberisti e
radicali “alla Pannella”, diretti dall’ultramiliardaria Irina
Khakamada. Costoro si propongono, usufruendo di enormi finanziamenti
russi e occidentali e di emittenti e giornali – tra cui “Novaya
Gazeta”, fonte privilegiata di informazione russa della “sinistra
moderata” e di quella “più a sinistra” del nostro paese - come
“alternativa democratica” a Putin, nota del traduttore), esigere
l’espropriazione delle corporazioni, la lotta con la borghesia, la
rovina del “mercato”? (…) Di socialismo, in un blocco con costoro, si
può parlare solo astrattamente, proprio come fa Tiulkin, ricordando che
“si può fuoruscire dall’attuale situazione – risolvendo le
contraddizioni tra le nazionalità, politiche e sociali – solo
avviandosi sulla strada del socialismo”. Quale socialismo? Quello
svedese? Quello di Schroeder o di Blair? Di quale socialismo parli
Tiulkin non è assolutamente chiaro. In ogni caso, non del socialismo
marxista, che liquida la proprietà privata ed espropria gli
espropriatori, ma, al contrario di che cosa fare nel blocco con i
neoliberali.

In tal senso il “putinismo rosso” - termine con cui alcuni demagoghi
intendono spaventare un pubblico poco istruito -, vale a dire una
parziale coincidenza delle posizioni dei comunisti a proposito
dell’imperialismo con quelle di un nascente gruppo patriottico di
borghesia ha più fondamento per esistere, di quanto ne abbia il
“neoliberalismo rosso” dei sostenitori di Tiulkin e Zjuganov. In ogni
caso, in un’alleanza antimperialista, nessuno impedirà ai comunisti di
sviluppare e sostenere con coerenza il proprio programma. Ci sono tutti
i presupposti, dal momento che si capisce che nessuna borghesia
nazionale, rimanendo sul terreno del capitalismo, difenderà la Russia e
che la salvezza è possibile solo avviandosi sulla strada del comunismo.
In tale alleanza i comunisti non avranno difficoltà a dimostrare al
popolo che le azioni della borghesia nazionale non sono sufficienti,
che solo i comunisti rappresentano i più conseguenti antimperialisti
(...)

 
Traduzione dal russo di Mauro Gemma


=== 2 ===

Umanità Nova, numero 27 del 12 settembre 2004, Anno 84

http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2004/un27/art3356.html

Sangue, potere e petrolio

Partita mortale tra le macerie di Grozny e Beslan


Il Caucaso torna a far parlare di sé a seguito del duplice attentato
aereo avvenuto ai danni di due apparecchi delle aviolinee russe e al
sequestro mostre di Beslan dove alcune decine di guerriglieri ceceni
hanno preso in ostaggio bambini e genitori di un complesso scolastico
della città della Repubblica autonoma dell'Ossezia del nord
appartenente alla Federazione Russa. La guerra in Cecenia sembra essere
diventata permanente e a pagarne le spese sono sempre di più le
popolazioni civili della Federazione Russa e della stessa repubblica
secessionista ormai pesantemente martirizzata. Lo scontro ceceno, però,
non è l'unica guerra in corso nella tormentata penisola ponte tra
l'Europa e l'Asia. In Georgia il neo presidente Mikheil Saakashvili,
dopo aver piegato la repubblica secessionista dell'Adzaria, posta tra
la Georgia e la Turchia, ha iniziato le manovre di attacco all'Ossezia
del Sud la cui popolazione è etnicamente e culturalmente la stessa del
nord, ma il cui territorio è situato
all'interno della Georgia. L'Ossezia del Sud è indipendente de facto
dal 1993 quando emerse vittoriosa dalla breve guerra di secessione
contro Tblisi all'indomani dello scioglimento dell'URSS. Tale
secessione venne appoggiata dalla Russia che, grazie ai movimenti
indipendentisti in Ossezia, Abkhazia e Adzaria poterono rientrare nella
repubblica caucasica diventata indipendente in funzione di
peace-keepers, costruendo basi militari sul suo territorio in zone non
controllate da Tblisi. La cacciata del Presidente Shevardnadze avvenuta
a dicembre del 2003 con l'appoggio degli Stati Uniti è stato il primo
segnale del palesarsi di un progetto nazionalista georgiano per
recuperare i territori perduti nel 1991-93. Tale progetto viene posto
in essere oggi grazie all'appoggio esplicito degli USA che contano
alcune centinaia di militari sul campo, ufficialmente in funzione
antiterrorista, ma in pratica con quella di addestratori dell'esercito
della repubblica caucasica. L'appoggio di
Washington non nasce da spiccate propensioni americane a favorire la
Georgia nella sua disputa territoriale con osseti ed abkhazi, ma dalla
volontà di isolare in modo drastico Mosca dal trasporto degli
idrocarburi del Mar Caspio verso l'Europa. Il nuovo presidente
georgiano, infatti, si è impegnato alla costruzione dell'oleodotto
Baku-Ceyan che dovrebbe portare il petrolio del Caspio dall'Azerbaigian
al porto turco attraversando il territorio di Tblisi, mettendo così
fuori gioco la linea di trasporto verso il porto russo di Novorossijsk
sul Mar Nero. Inoltre, questo secondo oleodotto passa all'interno della
Cecenia. Diventa così chiaro perché il conflitto in Cecenia ha
un'importanza strategica nei rapporti Usa-Russia e perché Washington si
stia mobilitando per consentire ai georgiani di piegare due piccole
repubbliche ribelli e per espellere le basi e le truppe russe dalla
repubblica caucasica. La costruzione di un oleodotto completamente
controllato dalla Georgia nel momento in cui
l'oleodotto concorrente è a continuo rischio di sabotaggio da parte
della guerriglia cecena comporterebbe l'esclusiva USA nel controllo
delle risorse petrolifere del Caspio meridionale, l'isolamento della
Russia verso l'Europa e il completamento dell'accerchiamento dell'Iran.

All'interno di questo quadro deve essere posta la mobilitazione
progressiva di decine di migliaia di soldati della Georgia ai confini
dell'Ossezia e il rinnovato appoggio di Tblisi alla guerriglia cecena.
Saakashvili spera di scatenare una guerra di breve durata che pieghi
gli osseti, ne provochi la fuga verso il territorio russo e gli
consenta di annettersi il territorio ribelle. Gli osseti da parte loro
sanno, in caso di sconfitta di doversi aspettare una feroce pulizia
etnica che "georgizzi" il loro paese e si preparano a una guerra di
resistenza che probabilmente assumerà tratti di una ferocia
inimmaginabile, dal momento che nessuno degli osseti si è dimenticato i
20.000 morti (quasi tutti civili) subiti da questa popolazione nel
corso della guerra di secessione dalla Georgia. I russi dal canto loro
sanno che la loro cacciata dalle basi ossete ed abkhaze vorrebbe dire
l'emarginazione di Mosca da qualsiasi gioco caucasico e il diffondersi
della ribellione all'interno delle molte
repubbliche autonome della Federazione. Anche Mosca, quindi, non
abbandonerà la mano se non a seguito di un conflitto catastrofico che
potrebbe portare alla dissoluzione della stessa Russia in un insieme di
staterelli oligarchici gestiti da locali feudatari di Washington.

La questione dell'oleodotto è quella attorno alla quale si è venuto a
costruire il conflitto che più di ogni altro sta portando Russia e USA
sulla strada del confronto armato, sia pure per interposto esercito.
Inoltre Ossezia ed Abkhazia , in quanto stati de facto ma non
riconosciuti sono da sempre basi perfette per il contrabbando, il
traffico d'armi, di droga e di uomini, totalmente controllati dalla
mafia russa e dai suoi molti appoggi all'interno del Kremlino e
dell'Armata Russa; una ragione in più per la quale Mosca non può
permettersi di abbandonare le due repubbliche caucasiche secessioniste.

Chi soffia sul fuoco: padri e padrini dell'indipendentismo ceceno

L'assalto alla scuola di Beslan e la successiva carneficina attuata
dalla guerriglia cecena tra gli ostaggi (bambini, maestre e qualche
genitore) in seguito all'attacco all'edificio condotto dalle forze
speciali russe con il consueto mix di ferocia ed incapacità al quale
hanno abituato il mondo negli ultimi anni si inserisce in questa
partita come un episodio della stessa guerra che devasta il Caucaso
dalla fine dell'URSS ad adesso. È vero, infatti, come ricordano molti
commentatori sui media occidentali che la guerra coloniale russa in
Cecenia è iniziata nella prima metà dell'Ottocento quando
l'espansionismo russo toccò le terre del Caucaso meridionale e non è
mai davvero finita, ma è altrettanto vero che la nuova fiammata
indipendentista iniziata con la dichiarazione d'indipendenza del 1991 e
con la successiva guerra voluta e persa da Eltsin nel biennio 1994-96,
ha sponsor e padrini in parte coincidenti con quelli che oggi
sponsorizzano la ventata nazionalista ed aggressiva
georgiana. Il moderno indipendentismo ceceno nasce laico e guidato da
ex ufficiali dell'esercito sovietico decisi ad approfittare dello
sfascio russo seguito ai convulsi giorni dell'Autunno del 1991 per
affermare l'indipendenza di un territorio che avrebbe potuto contare
sulla rendita del transito petrolifero per garantirsi una certa
prosperità. Gli anni successivi vedono la progressiva emarginazione
della leadership laica e la sua sostituzione con una religiosa a base
wahabita il cui finanziamento veniva effettuato in primo luogo dalla
monarchia saudita desiderosa di estendere la propria influenza politica
su tutti i territori a maggioranza islamica tramite l'esportazione
della versione reazionaria ed oscurantista della religione musulmana
nata in Arabia nel corso del XVIII secolo ed adottata dalla dinastia
dei Saud, allora re beduini del Neged in perenne conflitto con gli
altri regni della penisola arabica e con gli Sceriffi della Mecca
appartenenti alla dinastia Hascemita (quella
per intendersi che tuttora esprime il Re di Giordania). Accanto al
wahabismo saudita opera all'islamizzazione dell'indipendentismo ceceno
e alla sua trasformazione in una guerriglia feroce, capace di
utilizzare l'attentato suicida come la strage di ostaggi, la guerra
aperta come l'infiltrazione nel territorio russo, anche una delle
principali compagnie petrolifere mondiali: la Chevron-Texaco, la cui
consigliere per l'area caucasica, responsabile per le politiche locali,
è una signora che tutto il mondo ha imparato a conoscere negli ultimi
quattro anni: Condoleeza Rice, l'attuale ministro per la Sicurezza
nazionale dell'amministrazione Bush. La presenza di volontari wahabiti
della più diversa estrazione nazionale (arabi, algerini, egiziani,
afgani, bengalesi.) tra i guerriglieri ceceni indica, inoltre, che il
reclutamento degli effettivi delle formazioni wahabite cecene avveniva
fin dalla prima metà degli anni Novanta a cura dell'ISI, il famigerato
servizio segreto pakistano
inventore e sostenitore del regime talebano afgano e delle
organizzazioni politiche e militari wahabita e deobandiste (un'altra
scuola islamica a forte orientamento reazionario nata nel XIX secolo
nell'India musulmana). Insomma, come in Afganistan la sinergia tra
petroldollari ed ideologia religiosa saudita, logistica ed
addestramento pakistani e supervisione geopolitica e geoeconomico a
cura dell'intreccio tra dirigenza economica e politica a stelle e
strisce. L'interesse della multinazionale americana nello sviluppo
della guerriglia cecena è chiaro: mettere fuori gioco la concorrenza
europea ed asiatica nel trasporto del greggio del Mar Caspio e tagliare
le gambe al monopolio russo. Questi obiettivi vengono perseguiti con
una politica di sostegno sempre più marcato alle oligarchie che
governano in modo autocratico gli stati asiatici creati dalla
disintegrazione dell'URSS, in primis l'Azerbaigian che possiede i
giacimenti maggiormente sviluppati, e al contempo con una spinta
aggressiva tendente a sabotare le linee di trasporto del greggio
costruite al tempo dell'Unione Sovietica che, invariabilmente passano
tutte all'interno della Russia. Da questo punto di vista l'insurrezione
della Cecenia sul cui territorio passa la condotta che porta a
Novorossijsk, il porto russo sul Mar Nero specializzato
nell'esportazione petrolifera, viene colta come un'occasione unica per
il perseguimento dell'obiettivo di inglobamento del controllo del
petrolio. Le amministrazioni americane, dal canto loro, hanno
continuato a perseguire una politica volta ad impedire che la Russia
potesse ripresentarsi come potenza autonoma dagli Stati Uniti, capace
di continuare la tradizione sovietica di contrapposizione alla potenza
americana e a costruire le condizioni per le quali l'immenso paese
potesse diventare una buona occasione per la speculazione finanziaria
internazionale a guida USA. D'altro canto in questa politica hanno
trovato l'interessata collaborazione all'interno del paese
di una nuova classe di ex funzionari del Partito Comunista riciclatisi
grazie alla loro posizione nei capitalisti della "nuova Russia",
distruttivi dal punto di vista dello sviluppo produttivo ma
estremamente abili nel fare profitti nel campo finanziario. Sono loro
che hanno gonfiato al massimo la bolla della finanza russa esplosa poi
nel 1998 travolgendo il risparmio nazionale del paese ma salvaguardando
le immense fortune che questa classe di capitalisti senza imprenditoria
avevano accumulato negli anni precedenti.

La guerra in Cecenia è sempre stata un buon affare per questa neo
classe dominante; a prescindere dai profitti realizzati con il
contrabbando e il commercio delle armi con il "nemico", in questi anni
la guerriglia cecena è stata soprattutto un ottimo pretesto per
indirizzare il malcontento della popolazione verso un obiettivo esterno
e per decidere i destini politici della Russia del XXI secolo; Eltsin e
la sua banda vengono definitivamente sacrificati grazie a una strana
offensiva della guerriglia a suon di bombe a Mosca ed occupazione di
ospedali in Daghestan (azioni, guarda caso, condotte dall'incredibile
capo guerrigliero Dasayev, concorrente del Presidente ceceno in esilio
Maskhadov, responsabile anche del rapimento carneficina di Beslan) nel
1999, mentre Putin viene presentato alla nazione come il futuro
Presidente grazie all'offensiva che porta alla rioccupazione del
martoriato paese caucasico e che tuttora non ha trovato la sua
conclusione. Oggi non si può che sospettare che
la stessa classe di grandi capitalisti finanziari, proprietari di
tutte le risorse strategiche del paese, sia interessata a contrastare
il tentativo del gruppo dirigente riunito attorno a Putin di costruire
un capitalismo nazionale nel paese, sviluppando la propria base
produttiva e rafforzando i propri legami commerciali e politici con i
paesi europei e, necessariamente, esautorando questa classe di
oligarchi legata a doppio filo al capitale finanziario americano e alla
svendita delle materie prime del paese.

La facilità con la quale i guerriglieri ceceni sono riusciti a far
saltare in aria due aviogetti, a far scoppiare due ordigni nella
metropolitana di Mosca e, infine, ad assaltare la scuola osseta,
rimandano alla presenza di sicure complicità all'interno del paese
oltre che ai suoi vulnerabili confini con la Georgia con la quale, come
abbiamo visto, è in corso una vera e propria guerra sul procinto di
diventare calda con sullo sfondo l'appoggio statunitense a Tblisi.

Dietro alle tragedie russe di questi giorni si configura un'alleanza
spuria tra gli interessi strategici americani, quelli economici delle
multinazionali petrolifere USA, quelli del nazionalismo georgiano e del
fondamentalismo wahabita a guida saudita e quelli dell'oligarchia
finanziaria russa. L'obiettivo di questa alleanza oggi è quello di
dimostrare che l'amministrazione Putin non è in grado di difendere la
Russia e di suscitare un clima che ne permetta la sostituzione con
un'altra più morbidamente incline ad assecondare gli interessi interni
ed esteri legati alla finanza internazionale.

L'assalto criminale con il quale le forze di sicurezza russe hanno
chiuso la vicenda del sequestro di Breslan, con il corollario di
centinaia di morti tra bambini ed adulti rinchiusi nella scuola osseta
rimanda alla necessità per il gruppo dirigente putiniano di mostrarsi
deciso e feroce nei confronti della guerriglia cecena per ottenere
l'obiettivo di impadronirsi realmente della Russia defenestrandone i
padroni finanziari che continuano a muovere i fili fondamentali del
potere nell'immenso paese eurasiatico.

La posta in gioco è enorme e le conseguenze della vittoria di uno o
dell'altro dei due contendenti sono tali che i massacri della
popolazione civile, carne da macello e massa di manovra per gli
interessi contrastanti dei contendenti in campo, sono destinati a
continuare e ad approfondirsi, tanto più adesso quando, dopo il
massacro di Breslan, l'ultimo dei tabù comunemente accettati
dall'umanità, quello del rispetto della vita dei bambini, è stato
definitivamente violato tanto dalla guerriglia che dalle forze di
sicurezza russe in diretta televisiva mondiale.

Giacomo Catrame


=== 3 ===

Sui numeri di Bertinotti sulla Cecenia

http://www.resistenze.org/sito/os/ip/osip4i23.htm

www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società -
23-09-04

Lettera a "Liberazione" - 22 settembre 2004

Cari compagni,

Sulle esagerazioni delle cifre delle vittime della guerra in Cecenia
(vi ricordate la Jugoslavia?) ho avuto modo di scrivere in un articolo
apparso recentemente in alcuni siti internet e in una lettera a
“Liberazione” che, naturalmente, non è stata neppure presa in
considerazione (e in ogni caso te la rispedisco).

Tra le cifre (diffuse in Italia dai nostri amici radicali al servizio
della NATO) c’è anche quella dei 40.000 bambini ceceni che sarebbero
stati massacrati dall’esercito russo (non sovietico, compagno
Bertinotti!). La cifra è stata considerata pienamente attendibile dal
nostro segretario, tanto che l’ha ripetuta più volte nella trasmissione
[ballarò, rai3, 21-09-04, ndr], in cui Floris ci ha proposto un
“toccante” documentario magistralmente preparato con la collaborazione
di alcuni “difensori dei diritti umani” russi (le giornaliste e i
giornalisti di “Novaja Gazeta”, ad esempio), notoriamente al servizio
dei magnati accusati di frode, malversazione e crimini economici,
commessi in nome dei propri interessi e di quelli dei loro protettori
americani.

Vista la certezza con cui il compagno Bertinotti sostiene la
fondatezza di queste cifre, vorrei solo far presente che la popolazione
della Cecenia (secondo dati pubblicati dall’ultima edizione dell’
enciclopedia UTET) ammonta a 780.400 abitanti ed è quindi inferiore a
quella della città in cui risiedo, cioè Torino. Se poi consideriamo
anche l’Inguscezia, di poco si supera il milione. Putin deve essere
davvero andato casa per casa come l’Angelo vendicatore o come Erode,
per aver eseguito un lavoro così meticoloso, in grado di fare sparire
quasi per intero l’ultima generazione della piccola regione caucasica!

Per favore, dite ai vostri informatori russi e ai loro amici italiani
di spararle meno grosse. Ma, soprattutto, prima di dar loro credito,
informatevi a fondo e con rigore.

Grazie per l’attenzione.
Fraterni saluti
Mauro Gemma
Torino


Segue precedente lettera a Liberazione

Lettera a "Liberazione"

Cari compagni,

Incredibile appare l’esaltazione che “Liberazione”del 9 settembre
("Anna Politkovskaya, la giornalista che fa paura al Cremlino" di
Sabina Morandi) fa del ruolo dei personaggi che gravitano attorno ai
vari comitati e fondazioni “per i diritti umani”, dirette emanazioni
delle lobby statunitensi che intendono spartirsi la Russia, e la cui
attività è coordinata direttamente negli "States" dal centro diretto
dallo stratega della politica russa di Washington, vale a dire Zbignew
Brzezinski.

Tali organismi, di cui sono noti i legami con gli attivisti radicali
italiani filo-NATO, che da tempo conducono un’isterica campagna
antirussa nel nostro paese, hanno il compito, esattamente come è
avvenuto nella ex Jugoslavia, di preparare le condizioni per ogni
genere di interferenza occidentale negli affari interni della Russia,
proponendo uno scenario da “emergenza umanitaria”, ingigantendo i
numeri delle vittime e delle distruzioni  che sarebbero provocate dalla
presenza militare russa, giustificando di fatto la bestiale ondata
terroristica (questa si ad aver provocato ormai migliaia e migliaia di
vittime in diverse località della Russia, in particolare tra gli
appartenenti ad etnie caucasiche, musulmani e cristiani ortodossi),
dimenticando che molti osservatori internazionali sono pronti a
riconoscere che le consultazioni condotte dall’amministrazione russa
circa la proposta di autonomia alla Cecenia in ambito federale non
possono essere considerate una farsa.

Non è privo di significato, poi, che gli stessi personaggi (a
cominciare dalla Politkovskaya), così ostinatamente schierati a fianco
del micronazionalismo dei banditi ceceni (solo perché così piace ai
loro amici americani), non esitino a scagliarsi contro le autonomie
presenti all’interno della confinante Georgia (occorrerebbe ricordare
che in Abkhasia - dove Sabina Morandi che ha appena esaltato le ragioni
dell'apertura all'indipendentismo ceceno, senza preoccuparsi della
coerenza delle proprie affermazioni, non ha alcuna esitazione ad
accreditare la tesi di Politkvskaya e soci su presunte “pulizie
etniche” da parte dei russi - l’80% della popolazione ha tuttora il
passaporto della Federazione Russa!), in predicato per entrare nella
NATO, frequentata dalle truppe americane e retroterra del terrorismo
ceceno, avamposto dell’accerchiamento in atto della Federazione Russa.

Quanto poi al ruolo di "Novaja Gazeta", bastino le sue campagne contro
le "persecuzioni" nei confronti del truffatore ed evasore Khodorkovskij
e contro le pretese, considerate evidentemente anch'esse lesive della
libertà (la pensa così anche Sabina Morandi?), di accrescere il ruolo
pubblico nell'economia nazionale, per capire immediatamente da dove può
trarre fondi e sostegni politici il giornale "capofila delle battaglie
democratiche" in Russia.

Grazie per l'attenzione.
Fraternamente

Mauro Gemma
Torino