(sullo stesso argomento vedi anche:

Gli interessi petroliferi in Sudan dietro la risoluzione Onu
http://www.anti-imperialism.net/lai/
texte.phtml?section=BQ&object_id=23080

The Hidden Agenda is Oil
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3865
The mask of altruism disguising a colonial war
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3702
F. Grimaldi su Cap Anamur, Sudan ed imperialismo
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3690
Imperialismo umanitario, dalla Jugoslavia al Sudan
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3638 )


http://www.zmag.org/Italy/whitney-sudannelmirino.htm

4 ottobre 2004 -- ZNet

Il Sudan nel mirino

Mike Whitney

"Gli avvertimenti da parte americana sull'imminenza di un'apocalittica
catastrofe umanitaria a Darfur sono frutto dell'esagerazione dei
funzionari di governo."
Peter Beaumont, The Observer UK


Il fatto che Colin Powell abbia parlato di "genocidio" a Darfur
equivale a una dichiarazione di guerra, e spiana la strada a una
progressiva escalation di misure repressive, ispirate
dall'amministrazione Bush e messe in atto dalle Nazioni Unite, con il
solo scopo di "sovvertire il regime" sudanese. Una strada già percorsa
in passato, e che ora sembra prendere la direzione di Khartoum.

L'amministrazione Bush non è realmente interessata ai quotidiani
episodi di orribile violenza che avvengono a Darfur. La sua attenzione
è attratta esclusivamente dalle vaste riserve di petrolio e di gas
naturale che si trovano, per ora, al di fuori del controllo americano.
Secondo la compagnia petrolifera canadese Talisman, le riserve
petrolifere del Sudan sono di circa 1 miliardo di barili, mentre quelle
di gas arrivano a 3000 miliardi di metri cubi. Il massacro e la fuga
della popolazione locale è solo un pretesto per future azioni militari.
Bush e i suoi luogotenenti sanno quanto sia necessario manipolare i
sentimenti della pubblica opinione, e sfruttano la tragedia umana per
promuovere i propri obiettivi ad ampio raggio. La drammatica
definizione di "genocidio", utilizzata da Colin Powell, è solo una
mossa tesa a indurre le Nazioni Unite a sanzioni che fermino il vitale
flusso di petrolio (diretto principalmente verso la Cina) e creino il
presupposto per un "intervento umanitario".

Queste considerazioni hanno trovato risonanza nella discussione
trasmessa da un canale via cavo, C-Span, del 15 settembre scorso.
definendo il conflitto in Sudan "una guerra civile", Akbar Muhammad,
portavoce della Nation of Islam, ha asserito che si tratta di un
"complesso conflitto umanitario, che non ha a che vedere con la razza."
Tutti gli altri partecipanti alla discussione (tutti di colore) si sono
detti d'accordo su questo punto fondamentale.

"Non si tratta di genocidio, né di pulizia etnica" ha confermato
l'attivista nero Imam Khalid Abdul-Fattah Griggs. La "crisi umanitaria"
è reale, ma secondo lui la guerra è provocata da "una iniqua
distribuzione delle risorse" (Al jazeera)

L'intervento umanitario è un sotterfugio noto e già praticato
efficacemente dalle amministrazioni Clinton e Bush. È stato invocato
come giustificazione del coinvolgimento americano in Kosovo, che ha
portato all'indiscriminato bombardamento aereo di obiettivi civili
serbi per settantotto giorni. In realtà, si è trattato di un piano ben
congegnato per stabilire basi strategicamente dislocate nei Balcani:
basi che molti considerano fondamentali per il futuro economico
dell'America. I Balcani, infatti, sono il crocevia di cruciali
oleodotti e gasdotti, e un terreno di prova per il controllo dell'Asia
centrale e delle sue ricchezze naturali.

Le accuse di Powell sono parse sospette negli ambienti governativi
sudanesi: l'amministrazione americana si è dimostrata assai meno
interessata a trovare una soluzione alle tragedie umanitarie in atto in
Iraq, Afghanistan e Haiti. Il presidente sudanese Omar Al Bashir è
giunto a ipotizzare che gli Stati Uniti possano avere un ruolo
nell'istigazione del conflitto di Darfur. Bashir afferma che gli Stati
Uniti "hanno contribuito all'addestramento e all'armamento dei ribelli
del Sudan Occidentale che si sono sollevati contro il governo sudanese
l'anno scorso" (Reuters).

"Chi, se non gli Stati Uniti, sta dietro a tutto questo... Hanno
raccolto i ribelli in Eritrea, hanno creato campi di addestramento per
loro, li hanno finanziati, armati e dotati di telefoni satellitari
Thuraya, in modo che potessero parlare da qualunque luogo con tutto il
mondo, " ha ribadito Bashir al quotidiano Al-Ahram, rispondendo a una
domanda sul coinvolgimento di potenze straniere in Darfur. (Reuters)

E chi, sapendo quanto il massacro in Iraq sia motivato dal petrolio,
potrebbe dubitare delle parole di Bashir? Solo la scorsa settimana, il
Guardian ha riferito che gli Stati Uniti potrebbero essere coinvolti
nel golpe in Guinea Equatoriale. "L'aiuto sotto-segretario alla Difesa
per gli affari africani del Pentagono si è incontrato due volte
ufficialmente con un cittadino britannico accusato di essere uno degli
organizzatori del colpo di stato. Il presidente della Guinea
Equatoriale ha accusato gli Stati Uniti di essere dietro al complotto,
ma l'amministrazione Bush ha negato di avervi avuto alcun ruolo."
(Democracy Now)

Analogamente, il coinvolgimento dell'amministrazione americana nel
fallito colpo di stato contro Hugo Chavez, in Venezuela, è oggi ben
documentato. In quel brutto affare, Bush aveva immediatamente quanto
illegalmente riconosciuto il nuovo governo Carmona, nonostante il
"manager petrolifero" avesse rapidamente messo i sigilli al Parlamento
e alla Corte suprema nelle prime 24 ore del suo breve regno. Questa è
stata, forse, la migliore dimostrazione dell'atteggiamento
dell'amministrazione Bush nei confronti della democrazia, e della sua
determinazione a fare "tutto quel che va fatto" per controllare le
sempre più scarse risorse del pianeta.

Il petrolio è l'elemento che domina la politica estera
dell'amministrazione Bush: che richieda un colpo di stato o un
"intervento umanitario", una minaccia del Congresso (come nel caso
delle PEMEX messicana) o il trasferimento clandestino di azioni
prestanome di investitori americani (come nel caso della Yukos russa),
o la guerra (come in Iraq e in Afghanistan), il petrolio è il motore di
ogni decisione politica.

La stessa regola si applica anche al Sudan. Gli Stati uniti non hanno
intenzione alcuna di ridurre la violenza a Darfur. Basta guardare cosa
sta accadendo in Afghanistan per sapere che l'amministrazione Bush non
è disposta a rischiare la vita dei soldati americani per rendere sicuro
il paese. In tre anni, gli Stati Uniti non hanno fatto nulla per
mettere in discussione i signori della guerra locali e favorire
l'integrazione della nazione sotto un governo centrale forte. Sarebbe
ingenuo aspettarsi che per Darfur si inauguri un nuovo corso.

Anzi, un intervento americano probabilmente sarebbe la migliore
garanzia di una "afghanizzazione" del Sudan. In altre parole, sarebbe
messo al governo un fantoccio degli americani (come Karzai), per
permettere e giustificare il saccheggio delle risorse, mentre la
violenza e le sofferenza continuerebbero appena al di fuori delle mura
della capitale. L'impegno delle truppe sarebbe limitato alla messa in
sicurezza di Khartoum e a tutelare le ricchezze sudanesi, passate sotto
l'ombrello economico degli Stati Uniti.

Hashim Syed Mohammad bin Qasim, rappresentante della Online
International News Network (OINN) nota che "Il controllo del gas e del
petrolio sudanese è certamente al centro di tanta attenzione...
Nonostante in Kashmir, in Cecenia e in Palestina ci siano situazioni
analoghe (di lotta per la libertà politica), le Nazioni Unite fanno
finta di non vedere. È dunque evidente che la macchina delle Nazioni
Unite (USA+UE) ha bisogno di petrolio per mettersi in moto, e si tiene
alla larga dalle aree che non ne hanno."

bin Qasim sembra aver scoperto la chiave di volta della politica estera
americana, i cui architetti sembrano avere, adesso, il Sudan nel mirino.


Documento originale  
Zeroing in on Sudan
http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=2&ItemID=6352

Traduzione di paolo canton