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24-10-04

Perche' tanto accanimento contro l'ANPI?

Mattia Gatti, Niccolò Volpati

La maggioranza che sostiene il Governo Berlusconi non nasconde la sua
arroganza e i suoi tentativi di colpire con ogni mezzo a sua
disposizione le basi fondanti della Repubblica a partire dalla
Costituzione e dalla Resistenza. Non può essere sottovalutata la
gravità degli episodi che di recente hanno reso ancor più evidente il
carattere estremo, quando non direttamente nostalgico, del fascismo di
questa destra che vorrebbe dipingersi come “moderata” ed “europea”.

La maggioranza alla Camera ha votato le modifiche alla Costituzione,
la presenza dei militari italiani in Iraq rappresenta una costante
violazione dell’articolo 11 della Carta Costituzionale, Alleanza
Nazionale ha proposto (e la commissione Difesa ha approvato), un
disegno di legge che riconosce come legittimi belligeranti gli
appartenenti al cosiddetto esercito della Repubblica Sociale Italiana
e, nello stesso tempo, è stato tagliato del 55% il contributo statale,
già esiguo e già precedentemente decurtato di un altro 10%, destinato
all’ANPI.

Accanto alla necessità di denunciare la gravità di atti come questo,
di sostenere concretamente le attività dell’ANPI (a questo scopo
pubblichiamo l’appello per una sottoscrizione nazionale straordinaria
in favore dell’associazione) e di intensificare il lavoro politico per
far cadere il più presto possibile questo infame Governo, crediamo sia
fondamentale riavviare una riflessione sul significato di attacchi come
questi.

La maggioranza di Governo vuole colpire ancora una volta la storia
della Resistenza, ma in questo caso viene colpita direttamente anche
un’altra storia e non vorremmo che quest’attacco fosse sottovalutato:
si cerca di cancellare il ruolo degli antifascisti nella costruzione e
nella difesa della democrazia in Italia; si vogliono colpire i
partigiani che, dopo il 25 aprile ’45, non credettero esauriti gli
scopi della loro lotta e la proseguirono, con altri mezzi, per
costruire una società che fosse veramente e non solo formalmente libera.

L’ANPI sin dalla sua fondazione a Roma nel giugno ’44 e in particolare
dall’aprile ’45 quando, dopo la Liberazione, divenne una realtà
nazionale, è stata la forza organizzata degli antifascisti, uniti, non
solo dal ricordo del passato, ma anche dalla comune lotta per
contrastare il pericolo, mai scomparso in Italia, di involuzioni
autoritarie e soprattutto per vedere realizzati quei principi e quelle
proposte politiche che derivavano direttamente dalla Resistenza.

Quasi nessuno ricorda oggi i numerosi attentati compiuti dai fascisti
dopo il 25 aprile del ’45, le stragi, i tentativi di colpi di Stato e
le trame occulte che hanno caratterizzato e influenzato la politica
italiana nel secondo dopoguerra. Gli oltre mille criminali di guerra
italiani, autori di torture e stermini di massa in particolare nei
Balcani, mai processati e anzi riciclati nelle file di Stay Behind e
Gladio. La NATO e il governo democristiano sono stati un naturale
approdo per chi aveva sostenuto la dittatura fascista.

Nei giorni successivi al 25 aprile, in particolare nel Nord Italia,
c’era la consapevolezza di poter costruire una società radicalmente
diversa da quella conosciuta fino a quel momento, da quella fascista,
ma anche da quella “liberale” che l’aveva preceduta e, come scrive
Pietro Secchia descrivendo un corteo di partigiani a Milano,
l’entusiasmo varcava ogni limite, milanesi e partigiani stavano vivendo
il sogno più bello che avessero mai immaginato.

Ben presto però, nonostante alcune importanti conquiste come la
vittoria della Repubblica il 2 giugno del ‘46 e l’approvazione di una
costituzione decisamente avanzata (non a caso non fu mai fedelmente
attuata), apparvero evidenti i segnali di continuità tra il passato
regime e il nuovo Stato.

I Comitati di Liberazione Nazionale che si erano formati a tutti i
livelli (da quello di quartiere e di azienda a quello nazionale) e i
Comitati di Gestione che nei mesi successivi al 25 aprile avevano
gestito direttamente numerose fabbriche, avrebbero potuto rappresentare
la base per un sistema democratico che includesse finalmente le masse
nella gestione del potere. Con la cacciata dei comunisti dal governo
nel 1947 furono sconfitti. Confindustria, liberali e Democrazia
Cristiana, con il sostegno determinante delle forze armate
anglo-americane, si riappropriarono del potere politico ed economico.

Nella maggior parte dei casi i fascisti mantennero le loro posizioni
di potere, nella magistratura, nella polizia, nell’esercito, nella
pubblica amministrazione. Il termine “vinti” usato da Pansa non sembra
appropriato per descrivere questa situazione. Un decreto del ’48
revocava i provvedimenti di epurazione e una legge del ’49 consentirà
agli ex epurati il recupero dei benefici di carriera.

Dal punto di vista politico i fascisti, almeno a partire dall’inizio
del ’46, si riorganizzarono in diverse formazioni armate: AIL (Armata
Italiana di Liberazione), ECA (Esercito Clandestino Anticomunista), FAI
(Fronte Antibolscevico Italiano), SAM (Squadre d’Azione Mussolini),
mentre altri militavano nell’Uomo Qualunque di Giannini. Finché nel
dicembre ’46 verrà fondato il Movimento Sociale Italiano: un partito
neofascista legale nonostante la presenza di norme costituzionali che
lo vieterebbero.

I partigiani invece in questo stesso periodo subirono numerosi
attacchi. Vennero dipinti come criminali o delinquenti da durissime
campagne di stampa, fu ostacolata in tutti i modi la loro assunzione
nelle forze di polizia, furono sostituiti i prefetti con un passato
partigiano, furono boicottate tutte le forme di assistenza che erano
inizialmente previste per loro, sino a giungere al divieto formulato da
Scelba nel ’48 di manifestare pubblicamente per festeggiare il 25
aprile, anniversario della Liberazione.

Il revisionismo, cominciato subito dopo la liberazione, non ha
conosciuto soste. Da alcuni anni fa proseliti anche tra intellettuali
ed esponenti politici del centrosinistra. Cominciò Violante con “i
ragazzi di Salò”. Ha proseguito Giampaolo Pansa con il suo libro “Il
sangue dei Vinti”. Pansa ammette candidamente che la fonte principale
di cui si è servito è Giorgio Pisanò e il risultato è significativo sin
dai titoli dei paragrafi del suo testo: “il mattatoio di Milano”, “i
gulag di Genova”, “la cartiera degli orrori”, “un triangolo pieno di
morti”. Così vengono descritti i mesi immediatamente successivi alla
Resistenza. In pochi amano ricordare il ruolo dell’Unione Sovietica
nella sconfitta del nazifascismo, tanto che alle celebrazioni ufficiali
si invita la Germania, ma ci si dimentica della Russia.

Il cancro revisionista non ha conquistato solo intellettuali e
politici della sinistra moderata. Le posizioni politiche di Bertinotti
e dei disobbedienti del Nord Est sulle foibe sono ormai del tutto
simili a quelle della destra. Come se non bastasse, il segretario di
Rifondazione ha parlato di “angelizzazione della Resistenza” e in molti
hanno ravveduto, nelle sue recenti analisi sulla nonviolenza,
un’implicita critica all’esperienza partigiana.

In questi ultimi anni il revisionismo è stato attivo non solo sul
fronte politico e culturale, ma anche su quello repressivo e
giudiziario. Non è un caso se a Milano vengono arrestati e processati
dei giovani antifascisti, militanti di alcuni centri sociali, che hanno
“osato” allontanare degli estremisti di destra dal corteo del 25 aprile
o da un treno che portava i manifestanti a una manifestazione a Genova.

E’ in questo clima che s’inserisce l’attacco che il Governo Berlusconi
porta all’ANPI. E di questo clima bisogna tener conto per evitare
pericolose sottovalutazioni. Dunque, mentre si riabilitano e si
legittimano gli aguzzini e i torturatori che si occuparono della
repressione dei partigiani e delle deportazioni nei campi di sterminio,
mentre si processano gli antifascisti, si cerca di colpire mortalmente
la vita di un’Associazione che ancora oggi mantiene viva la memoria
degli orrori di fascismo e nazismo. Tagliare il contributo statale
all’ANPI significa anche ostacolare l’attività educativa rivolta ai
giovani nelle scuole. La memoria fa ancora paura. La memoria è uno
degli ostacoli principali di un regime.